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4 - 𝐹𝑎𝑙𝑙

{Brividi}

^^

"Mi dispiace per quello che è successo alla festa, Trevor."

Io e il ragazzo di Tassorosso, vittima e complice del mio misfatto durante la festa di settembre, stavamo camminando fianco a fianco durante la nostra ronda serale. Non avevamo più avuto modo di parlare da quella notte, tra le lezioni, le ronde i cui studenti dovevano seguire accoppiamenti ben precisi e, sicuramente, l'imbarazzo che aleggiava tra noi. Non avevo avuto neanche grande voglia di confrontarmi con lui, sia non volendo che mi dicesse che ci era rimasto male per il modo in cui l'avevo abbandonato, sia perché sapevo che scusarmi avrebbe potuto dare il messaggio sbagliato, e cioè fargli intendere un mio interesse che in realtà non c'era.

"Figurati, Rose. Ho sbagliato anch'io a lasciarmi andare in quel modo," Trevor scrollò le spalle con un sorriso ampio. Nel suo tono, quando parlò di nuovo, sorse una punta di risentimento. "Comunque, la tua uscita di scena l'altra sera è stata abbastanza teatrale," si sforzò di ridere, il che sembrò ancora più forzato, e mi venne istintivo corrugare le sopracciglia.

Perché essere gelosi di Malfoy?

Non sapendo che rispondere, risi anch'io. "Oh, non dirlo a me. Non sono affari suoi quello che faccio e quello che non faccio, e, visto e considerato tutto quello che ci gridiamo contro, dovrebbe averlo capito ormai."

Trevor stavolta mi accontentò con una risata più sentita, di certo rincuorato del modo in cui parlavo di Malfoy.

"Ho saputo anche di quello che è successo dal professor Hagrid, e di come ti sei vendicata," aggiunse, mentre svoltavamo per finire di controllare anche il corridoio davanti che portava al dormitorio dei Tassorosso nel seminterrato.

Era stata una ronda noiosa, nessuno si era fatto trovare fuori tranne un paio di ragazzini del secondo anno di Grifondoro e Serpeverde, e io ciondolavo dalla stanchezza. Volevo soltanto andarmene a dormire, ma era scortese piantare in asso Trevor mentre ancora si impegnava a fare conversazione.

Di nuovo.

"Continuo a credere che Malfoy se lo sia meritato," dissi ostinata.

"Lo penso anch'io," mi sorrise, poi facendosi avanti per darmi un bacio sulla guancia. "Allora buona notte, Rose."

Lo salutai anch'io, con più entusiasmo del necessario soltanto prevedendo la mia libertà di tornare al dormitorio adesso che lui si era ritirato, e Trevor sparì dietro la fila di botti che costituiva l'ingresso della Sala Comune di Tassorosso.

Io, stanca morta ma contenta di poter tornare anch'io al mio dormitorio, mi incamminai verso le scale, facendo di tutto per sgombrare la mente dalle sette rampe che mi attendevano. Iniziai a riflettere sulle Selezioni del Quidditch che avrei dovuto tenere di lì a breve, e sulla pergamena di Difesa Contro le Arti Oscure da consegnare per il giorno dopo—la quale avevo pronta già da qualche tempo e che attendeva solo una revisione veloce—finché, finalmente, non intravidi il ritratto della Signora Grassa.

Fu solo quando arrivai di fronte alla cornice, ed ebbi modo di vedere come la protagonista del dipinto stesse dormendo beata, che notai con la coda dell'occhio qualcosa di... di strano. I miei occhi stanchi ci misero qualche secondo, ma alla fine notarono, alla luce flebile della torcia appesa alla parete, una piccola e ordinata fila di ragni che camminava parallelamente al ritratto.

Dovetti soffocare un'esclamazione di disgusto, e scossi la testa, i denti serrati, per non permettere al mio cuore di entrare in tachicardia. Presi un paio di respiri profondi, e poi alzai gli occhi, dispiaciuta ma ansiosa di svegliare la Signora Grassa per farmi entrare in Sala Comune.

A quel punto, e per un istante credetti di essere solo suggestionata, percepii i capelli rizzarsi sulla mia nuca: deglutii, e con il labbro inferiore stretto tra i denti mi voltai verso la fine del corridoio, immerso nell'oscurità.

"Lumos," sussurrai, con voce instabile, e la punta della mia bacchetta si accese. Sentivo solo i battiti erratici nelle mie orecchie e il respiro teso, finché il mio grido non riempì l'intero settimo piano.

Ragni, ragni ovunque, che brulicavano sulle pareti, alcuni delle dimensioni di capocchie di spille e altri della grandezza delle mie mani tremanti. Si muovevano in sciami, veloci come la morte, con andatura scattante, aggressiva, e ricoprivano ogni centimetro della superficie su cui si muovevano. Con i loro mille occhi gialli mi fissavano, mi studiavano, mi adocchiavano come la loro preda, e correvano verso di me con le lunghe zampe pelose in modo agguerrito e deciso. Ragni che stavano ricoprendo i muri e i pavimenti in pietra, come un'onda nera come la notte che ricopre la battigia, implacabile, spaventosa.

Il mio respiro, che già si era fatto irregolare nel vedere quella ora irrisoria fila, si spezzò come una corsa troppo tesa. Il terrore, puro, sconcertante, invase ogni centimetro del mio corpo, facendo esattamente quel che non avrebbe mai dovuto fare in una situazione del genere, ovvero paralizzarmi. Non riuscivo a smettere di guardare quegli esseri che si dirigevano verso di me, i muscoli gelidi e tesi e immobili. Riuscii a girarmi e darmi alla fuga, di nuovo in direzione delle scale—che pur sembravano lontane mille miglia—solo quando sentii il rumore che facevano: tenaglie che si aprivano e si chiudevano, scattanti, e zampe che colpivano il terreno sotto di loro, rapidi e terribili.

Iniziai a correre per tutto il corridoio, con la bacchetta alta a farmi luce, e terrorizzata nel profondo. Senza nemmeno che me ne accorgessi, gli occhi mi presero a bruciare in modo fastidioso, e si riempirono di lacrime, il che rendeva ancora più difficile il vedere dove mettere i piedi. Ero così atterrata da aver persino smarrito la capacità di gridare: correvo, mi asciugavo rabbiosamente gli occhi, correvo di nuovo.

Mi chiesi come mai nessuno potesse essersi accorto di un simile orrore, o delle mie grida agonizzanti, finché non dovetti realizzare che ero da sola—sola a combattere la mia paura più grande.

A furia però di correre, schizzando come una gazzella inseguita da un leone per tutto il corridoio, con l'adrenalina a farmi da allenatrice, riuscii a intravedere l'imbocco delle scale, debolmente illuminato ma per me un porto di salvezza. Non mi interessava, né avevo in mente, il luogo dove mi sarei potuta rifugiare una volta arrivata alle scale. Era necessario prima mettere distanza tra me e quell'orda mostruosa, e poi riflettere con più calma.

Alle brutte, avrei strillato per tutto il Castello finché qualcuno non avesse avuto la decenza di alzarsi.

Mi girai per vedere a che punto fossero i ragni dietro di me, e riuscii a rassicurarmi nel vedere che li avevo distanziati notevolmente: così facendo, però, non vidi dove stavo andando, e la mia corsa fu arrestata all'improvviso da... da qualcosa, un muro alto e grosso. Io, che stavo procedendo veloce come un fulmine, non riuscii a fermare i piedi, e l'impatto mi fece volare all'indietro, fino a farmi sbattere addosso alla parete dietro di me.

Con la testa appesantita e dolorante dall'impatto con la pietra, l'udito fuori uso dal baccano che faceva il sangue nelle mie orecchie e la vista offuscata dalla botta ricevuta, non vidi contro cosa avevo sbattuto solo finché non riuscii a calmare il mio corpo sovraccarico di impulsi e adrenalina.

Quando, quindi, incrociai sei occhi scuri, inumanamente rotondi, e famelici nella loro mancanza di espressività, pensai che la mia ora era giunta. Non riuscii nemmeno a gridare: con un gemito soffocato riuscii a scansarmi dal punto in cui ero atterrata nell'istante in cui le tenaglie nere del ragno si serrarono, intese a mangiarmi per cena. Sentivo la testa vorticare così forte che temetti di essere sul punto di svenire.

Incastrata tra il corpo mostruoso del ragno, con le sue zampe pelose e affilate come lame che incidevano sul pavimento sotto di noi, e la parete di pietra, capii che non sarei potuta scappare da nessuna parte. "Lasciami stare!" urlai, con tutto il fiato che avevo in corpo, furiosa per il modo in cui la mia mente stava reagendo—con lacrime copiose e la nausea incipiente. "Se non te ne vai ti faccio pentire di essere entrato nel Castello, hai capito?"

Gli puntai tremante la bacchetta contro, la vista disgustosamente offuscata dalle lacrime, e costretta a scalciare per bloccare la sua fatale avanzata. Il ragno, che stava sfoderando le zanne—da cui grondava veleno trasparente—e muoveva con lentezza quelle zampe enormi che si ritrovava, avanzò ancora verso di me, minaccioso. Non solo non riuscivo più a respirare, e il mio cuore batteva spaventosamente veloce, ma non mi veniva nemmeno in mente alcun incantesimo per proteggermi.

Allungò la testa pelosa verso di me, le zanne che si aprivano e serravano con un rumore terrificante, e chiusi gli occhi...

"Weasley!"

Credetti di essermelo immaginato. Non potevo che essermelo immaginato, giusto? Eppure, quando socchiusi di nuovo le palpebre, il sudore a impregnarmi le tempie e il corpo scosso dai brividi e dal freddo, mi trovai davanti la Preside, con i suoi occhi verdi che mi scrutavano mortalmente preoccupati. Era chinata davanti a me, su di me, e mi abbassò la bacchetta appena vide che l'avevo messa a fuoco.

Accanto a lei, l'ultima persona che avrei mai voluto vedere in quel momento, ovvero Scorpius Malfoy.

"Dove sono? Che avete fatto?" chiesi, rimanendo immobile, non fidandomi di quel che stavo vedendo. Dov'erano finiti tutti i ragni? E quello che mi stava per sbranare? Ero svenuta, avevo perso i sensi oppure si era davvero volatilizzato nel nulla?

"Dove sono cosa?" replicò confusa la McGranitt, prendendomi le spalle tra le sue mani ossute. "Weasley, che cosa hai visto?"

"I ragni," risposi, incredula, incapace di credere che non li avessero visti. Nell'ascoltare quella sola parola, la Preside trasalì, consapevole del terrore che avevo appena sperimentato. "Erano ovunque, riempivano ogni metro del piano, e uno—uno mi stava inseguendo, mi voleva—mi voleva divorare... come avete fatto a non vederli?" domandai, basita e sgomenta, iniziando a sospettare che mi fossi immaginata tutto.

Dato che la Preside non sembrava avere intenzione di rispondere, spostai la mia attenzione su Malfoy.

La sua calma mi colpì come una doccia fredda, distendendo all'istante i nervi contratti che mi facevano tremare. I suoi occhi grigi avevano mantenuto per tutto il tempo quell'indifferenza costante che li caratterizzava, e possedevano al momento una pacatezza imperturbabile, velata di una sorta di curiosità che non aveva nulla a che fare con la paura.

"Non c'è mai stato niente, qui, Weasley," mi informò, impassibile. "Ti abbiamo sentita gridare, e siamo venuti a vedere. Eri da sola."

Lo fissai, incredula, un pessimo presentimento che si faceva spazio dentro di me. Dal modo in cui aveva parlato, dalla sua sicurezza sconcertante, era ovvio che stesse dicendo la verità. Ma non era possibile: il cuore ancora mi martellava nello sterno, e le mani non riuscivano a stare ferme...

La McGranitt si alzò con un movimento frusciante delle gonne. "Malfoy, aiutala. Vi aspetto in Presidenza," impartì, prima di imboccare la fine del piano dove si trovava il suo ufficio.

Rimasta sola con Malfoy, lo fissai con una punta di risentimento. Lui continuava a guardarmi, impassibile, come uno spettatore non del tutto convinto della scena messa in atto dagli attori. "Non mi sono immaginata tutto," sbottai, acre, aggressiva.

Che quello che avevo appena visto fosse reale o meno, dannazione, lui non aveva alcun diritto di credere che avessi costruito un teatrino per attirare attenzioni. Anche perché prima che fossero arrivati loro due, io ero stata sola, completamente sola.

La distrazione offertami dalla sua sfiducia e perplessità, tuttavia, bastò al mio sistema nervoso per ricomporsi. Mi spazzai dal volto le ultime tracce di lacrime, i miei occhi rossi piantati nei suoi, come a sfidarlo a contraddirmi.

Lui sospirò, ancora accovacciato sui talloni, più alto di me, e di sicuro più calmo. "Non sto dicendo che non è vero," chiarì, anche se il suo atteggiamento dava a pensare il contrario. "Ti sto solo informando che devi aver avuto una sorta di allucinazione. Qualcuno deve averti fatto uno scherzo."

Entrambi a quel punto fummo colpiti da una realizzazione.

"Ma certo," esclamai, infuriata, incurante di star gridando. Questa volta le mie parole lo fecero sobbalzare, "sei stato tu. Mi hai avvelenata, o drogata, o mi hai fatto un incantesimo, per vendicarti dei miei stupidi vermi. Ma che persona sei?" chiesi a quel punto, gli occhi sgranati e il petto dolorante, "non mi sei mai piaciuto, ti ho sempre ritenuto odioso in ogni sfumatura del tuo essere, ma non avrei mai pensato che—"

Solo quando mi afferrò delicatamente per i polsi, il corpo slanciato premuto contro il mio, che a sua volta aderiva alla parete, mi resi conto che in un impeto di rabbia gli avevo puntato un dito sul petto, spingendolo all'indietro. "Smettila," mi ordinò, la mascella serrata in una linea tagliente e le iridi scure dal fastidio. Il suo respiro colpì il mio viso accaldato, ma al contrario di quel pomeriggio in Sala Grande, dove mi aveva quasi fatta incantare dalla sua bocca perfetta, questa volta ebbe solo il potere di irritarmi. Cercai di liberarmi dalla sua presa, con tanto di occhiata velenosa, e le sue dita in risposta si serrarono attorno alla mia pelle. "Puoi dire quello che vuoi, Weasley, insultarmi finché non ti sentirai meglio, ma non credi nemmeno tu che sia stato io a farti questo. Posso trovarti insopportabile, fastidiosa oltre ogni modo, e sì, mi vendicherò per quello che mi hai fatto, però non sono così come mi dipingi, e lo sai benissimo."

Furibonda, non solo non riuscivo a credergli, ma neanche a guardarlo in faccia. Tremavo, questa volta di rabbia. Come aveva potuto farmi una cosa del genere? Questo andava al di là di ogni scherzo, di ogni vendetta possibile. Era solo crudele, spietato—esattamente come era lui.

Lui si accorse che non credevo ad una singola parola uscita dalla sua bocca, e mi lasciò del tutto andare. Io, che non osavo incontrare i suoi occhi per non prenderlo a sberle, pensai che si fosse annoiato e che se ne sarebbe andato; invece abbaiò: "Guardami, Weasley. Dannazione, guardami," l'intensità della sua voce, insieme alle sue dita, che mi alzarono il mento verso il suo, mi costrinse a fare ciò che mi diceva.

La sua pelle era calda sulla mia, le screziature verdi che affioravano nell'argento liquido del suo sguardo, il quale bruciava nel mio. Era vicino, così vicino da rendere irrisoria la breve distanza di quel pomeriggio in Sala Grande, così vicino che mi tornarono in mente le parole di Lily—a momenti ti infilava la lingua in bocca.

"So che hai il terrore dei ragni," riprese, i miei occhi inchiodati sulla sua bocca, e i suoi sulla mia, "ma non provo alcun piacere a vederti così, credimi..." mi lasciò andare, scrutandomi per cercare di capire se mi fidassi di ciò che stava dicendo, e l'ossigeno affluì di nuovo al mio cervello, permettendomi di riflettere.

Ero così stanca che annuii, non convinta del tutto. Malfoy stesso sapeva che ci sarebbero volute più di un paio di parole amichevoli perché credessi nella sua innocenza, ma sapeva anche che in quel momento avrebbe potuto fare ben poco. Si alzò, e mi fece segno di fare lo stesso per raggiungere la Presidenza.

Camminammo in un silenzio tombale: fu inevitabile chiedermi a cosa stesse pensando, perché non mi guardava nemmeno per sbaglio. Una volta percorso l'intero settimo piano, il biondo si fermò. L'Ufficio della Preside era protetto da un gargoyle, il quale, una volta affidatagli la parola d'ordine per entrare, si animò e balzò d'un lato; la parete dietro di lui si aprì, rivelando una scala a chiocciola di pietra in continuo movimento, come una scala mobile Babbana. In cima, dietro una lucida porta di quercia con il batacchio a forma di grifone, si trovava l'Ufficio. Era una stanza circolare, grande e bella, solitamente ricca di rumori strani. Su alcuni tavoli dalle gambe lunghe e sottili, avvolti in nuvolette di fumo, erano posati molti strumenti d'argento, di cui non avrei saputo dire nemmeno un nome. Le pareti erano ricoperte di ritratti di vecchi e vecchie Presidi, appisolati nelle loro cornici, e di scaffali con vecchi libri ed altri oggetti, come il Cappello Parlante, e una teca di vetro, dietro la quale c'era la spada di Godric Grifondoro. Al centro c'era un enorme scrivania con le zampe ad artiglio. Su una parete c'era un grosso armadio nero, mentre su un'altra c'era un camino, collegato alla Metropolvere. C'erano anche delle finestre, dalle quali si potevano vedere le montagne che circondano Hogwarts e il Campo di Quidditch.

Alla scrivania sedeva la McGranitt, con ancora addosso il lungo abito che teneva per le lezioni e il cappello di velluto a tesa larga, nonostante fosse ormai tardi. La maggior parte dei Presidi che sonnecchiava nelle cornici dei loro quadri stava riposando, fatta eccezione per il Magizoologo Newt Scamander, che invece era ben sveglio, e stava leggendo. Quando si accorse che lo guardavo mi fece un sorriso grande, che non potei non replicare, seppur più timidamente.

Scamander, come i gemelli Lorcan e Lysander, i figli di zia Luna. Solo che lui mi sembrava molto intelligente, acuto, sempre sul pezzo, e non svampito come loro.

La McGranitt stava parlando con un dipinto in particolare, che ritraeva un vecchio mago con la lunga barba bianca e degli occhiali a mezzaluna. Ci videro, e mentre la Preside ci fece soltanto cenno di sederci, Albus Silente ci regalò l'accenno di un sorriso, misterioso e incuriosito. Evidentemente lei gli aveva raccontato che avevo le visioni. Detestai subito quello sguardo. Era simile a quello di Malfoy—più che provare interesse nelle mie condizioni, voleva sapere che cosa mi fosse successo.

Mi sedetti su una delle sedie in pelle, continuando a guardare curiosa lo studio, ma fui distratta da Malfoy, che mi stava porgendo una coperta pesante. Lo guardai sorpresa, e lui fece finta di niente, prendendo posto accanto a me. La lasciai sulle mie gambe, rincuorata dal calore del camino e della stoffa sulla mia pelle cosparsa di brividi.

La McGranitt agitò la bacchetta in aria e una teiera con un servizio di tazze e zuccheriera in porcellana ci comparvero davanti. La teiera versò da sola il tè scuro nelle tazze, e queste levitarono verso me e Malfoy.

Nessuno dei due prese la sua.

"Perché non ci racconta un po' meglio, signorina Weasley?" Noi racconteremo quello che abbiamo visto noi," mi invitò la McGranitt, e io parlai, ora di nuovo calma, di come avessi appena finito la ronda, e di essere ritornata subito al dormitorio dei Grifondoro. Della scia di ragni più piccoli e poi di quello cui ero andata a sbattere addosso. Di come fossi rimasta atterrita da ciò che avevo visto.

Albus Silente e Newt Scamander ascoltavano in silenzio, e avevano tutti e due chiuso i libri che avevano avuto in mano.

"Hai avuto un'allucinazione," disse infine il secondo ritratto. Aveva una voce calda e rassicurante, saggia, e amorevole. Se l'avessi dovuto inserire in una delle Case di Hogwarts, avrei scelto senz'altro Tassorosso. I suoi occhi blu sembravano preoccupati per me come se mi conoscessero da una vita.

"Sembra un caso di avvelenamento," concordò Silente, e la McGranitt si pizzicò nervosamente il ponte del naso con indice e pollice.

"Dobbiamo trovare i colpevoli."

"Potrebbe anche essere un altro studente, Minerva, non pensare sempre al peggio," la rimproverò dolcemente Silente. Mia madre aveva scelto il mio secondo nome perché sperava diventassi anche solo in minima parte come la grande donna che avevo di fronte. Lei annuì, poi ci guardò.

Malfoy non aveva detto una parola, ma sembrava pronto a combattere una guerra; io invece ero esausta, e lo sforzo di tenere gli occhi aperti era diventato notevole. Mi sentivo prosciugata di ogni energia, e fin troppo rincuorata dal calore e dalla morbidezza del posto in cui mi trovavo per seguire quel che stavano dicendo con attenzione.

Newt Scamander, cui avevo l'impressione non sfuggisse nulla, se ne accorse subito. "Perché non cerchiamo di risolvere questa situazione domani mattina? I ragazzi devono essere distrutti, Minerva, e anche tu. La notte porta consiglio, affronteremo tutto ciò con la lucidità necessaria."

Lo ringraziai mentalmente. La McGranitt ci fece cenno di andare, così ripiegai velocemente la coperta e raggiunsi Malfoy, che mi stava aspettando vicino alla porta. Lanciai un ultimo sguardo ai quadri, che stavano già confabulando tra di loro con la Preside, e uscimmo.

Mi sarei aspettata che Malfoy se ne andasse nei sotterranei, incurante delle mie condizioni; invece, con le mani in tasca e lo sguardo fissato davanti a sé, senza dire una parola mi accompagnò davanti al dormitorio. "Non vorrei che ti perdessi," disse con un angolo della bocca alzato. Nonostante tutto, apprezzai il suo tentativo di scherzare.

Stavo per entrare, e lui era già pronto a ritornare verso le scale, quando mi girai di nuovo verso di lui. "Lo dirai in giro, Malfoy?" chiesi, senza tracce di ansia ma quasi di rassegnazione. "È la tua grande occasione per umiliarmi. Rose Weasley, terrorizzata da ragni immaginari a momenti affattura la Preside."

Non gli strappai neanche un sorriso. Semplicemente si avvicinò, il che mi fece deglutire, e dopo un istante di esitazione lasciò che il proprio pollice scorresse sul mio zigomo, già arrossato.

"Stanotte mi hai fatto preoccupare, Weasley. Non farlo più."

Lo fissai, impietrita, mentre mi regalava l'accenno di un sorriso, e mi diede le spalle per andarsene.

^^

Raccontai quello che era successo solo ad Albus.

Avrei voluto dire tutto anche a Izzy e Kalea, ma non volevo farle preoccupare, non ora che non potevamo fare quasi nulla per rimediare alla cosa. Non c'era bisogno che lo sapessero altre persone, nemmeno i familiari come Lily o James. Avevo cercato Hugo per informarlo, ma non l'avevo trovato da nessuna parte. Avevo poi saputo che erano due giorni che scappava da Gazza per non farsi mettere in punizione.

Nel confidarmi con Al, omisi il modo in cui Malfoy mi aveva parlato sera. Come mi aveva accarezzato la guancia e guardata come se avesse inteso quel che aveva detto—come se l'avessi fatto davvero preoccupare.

Oltre alla gelosia cronica di mio cugino, non volevo dirlo perché sarebbe stato come renderlo reale, e a me sembrava ancora un sogno.

"Dobbiamo trovare chi diavolo l'ha fatto," ringhiò Albus. Era furibondo, mi resi conto, i suoi occhi verdi lampeggiavano. Era mattina presto, le lezioni non sarebbero iniziate prima di un'ora e pertanto la Sala Grande non era così gremita.

Per avere un po' di tranquillità però mi ero seduta con lui a quello dei Serpeverde, dato che dai Grifondoro c'era già qualche studente in più che avrebbe teso l'orecchio.

"Al, secondo te sono pazza?" domandai, dando voce al dubbio che mi era sorto la notte prima, quando avevo saputo che né Malfoy, né la McGranitt avevano visto alcun ragno.

Lui scosse la testa, gli occhi decisi e con fare deciso. "Non ci pensare nemmeno. L'hanno detto anche la Preside e i quadri—qualcuno ti ha avvelenata, e noi troveremo chi è stato. Per il momento dovresti solo riposarti, e riprenderti dallo spavento. Hai delle occhiaie enormi, Ronnie," aggiunse, preoccupato. "Sei sicura che non vuoi restare qui a riposare? I professori capiranno."

"Sono certa che Neville sarebbe anche contento se stessi una mattinata a dormire, ma non voglio perdere le lezioni. Sono sicura che ce la faccio benissimo, ho anche le Selezioni di Quidditch..." mi stavo alzando quando un'ondata di spossatezza mi fece girare la testa, e mi dovetti appoggiare al tavolo davanti a me, quasi inciampando in Noah Zabini che aveva avuto la brillante idea di sedersi accanto a me.

Automaticamente mise le mani sulla mia vita per sorreggermi, e sebbene avessi gli occhi socchiusi lo vidi scambiarsi un'occhiata preoccupata con Al. In realtà, e di questo mi vergognavo, la sua stretta morbida mi aveva ricordato la carezza di Malfoy la notte prima.

Portò i suoi occhi d'ossidiana nei miei, ansioso. "Tutto bene, Rose?" mi chiese, con le sopracciglia corrugate.

"Devi andare in Infermeria, Weasley," sbottò Malfoy fissando me e le mani del suo amico sulla mia vita con astio.

Dopo la sera prima si era all'improvviso rinsavito, e aveva deciso di ritornare a fare lo scontroso? Dio, quel ragazzo era imprevedibile, e fastidioso come nient'altro al mondo. Non mi ero neanche accorta della sua presenza fino a quando non aveva parlato, e di sicuro non rimpiangevo l'attimo in cui l'aveva fatto.

"Non ho tempo," risposi, fingendo che mi avesse dato un suggerimento serio anziché un commento non voluto. "Devo andare a Storia della Magia. Dormirò lì," risposi, cercando di sgusciare oltre Zabini che si era seduto sulla panca.

Il ragazzo mi sorresse delicatamente posandomi una mano sulla spalla, il che mi facilitò il gesto. "Davvero, Rose, forse dovresti andare a farti controllare. Non hai una bella cera."

"Ho le Selezioni," ripetei, impaziente, dando vita al vero motivo per cui non ero rimasta sotto le coperte quella mattina.

"Non essere infantile, Weasley," sbottò Malfoy, insistente, le braccia incrociate al petto. "Le Selezioni sono oggi pomeriggio, e non hanno niente a che vedere con le lezioni."

Sbuffai, esasperata dal fatto che continuasse imperterrito a parlare nonostante nessuno gliel'avesse chiesto. "Si può sapere a te che importa?"

L'espressione del ragazzo divenne più dura del marmo e più fredda del ghiaccio. "Assolutamente niente. Vorrei solo poter trovare qualcuno con cui fare una sana scopata senza dovermi preoccupare di trovare te nelle condizioni di ieri sera appena giro l'angolo. Sai, dover soccorrere un morto vivente è uno dei modi migliori per ammazzare ogni desiderio sessuale."

"Se ti è stato tanto di peso perché l'hai fatto, allora?" sbottai, impaziente, fissandolo con chiaro nervosismo. Allora era quello il motivo per cui si era trovato nei corridoi quella notte? Era a caccia di compagnia da ricondurre al proprio dormitorio?

Si passò la lingua tra le labbra, guardando altrove. In quel singolo gesto, compresi che il suo precedente commento non era stato affatto vero, ma solo volto all'infastidirmi. "Perché la McGranitt mi ha detto di farlo. C'eri anche tu quando l'ha detto."

"Non è vero," ribattei, sicura di me, ignorando Zabini e Albus che ci guardavano confusi, "mi hai accompagnata in dormitorio dopo."

"Sarà stato perché avevo i miei dubbi che potessi arrivarci da sola, considerata la tua incapacità di fare nulla per conto tuo," fu la risposta, e senza aspettare replica si sedette accanto a Zabini che stava in mezzo a lui ed Albus.

"Stavo mangiando io là," obiettai, e pigramente prese un panino dolce dal cestino davanti a lui, portandoselo alla bocca.

Alzò un sopracciglio. "A me sembrava te ne stessi andando," osservò, dandogli un morso.

"Ti sembrava male. Io voglio soltanto passare la mia colazione con mio cugino e il nostro amico, ignorando la tua presenza," dissi, cocciuta, sedendomi vicino ad Albus, e fingendo che le sue parole non fossero vere. Zabini quasi si strozzò quando lo definii mio amico, mentre Malfoy si limitò a fare una smorfia e scrollare le spalle.

"Allora, pensi che prenderai Thomas nella squadra?" mi chiese a quel punto Al per sciogliere la tensione, spalmando della cioccolata sopra il suo panino e ficcandosene metà in bocca.

"Non lo so. Insomma, mi sembra di fare un torto a Jay, e poi devo vedere se qualcuno se lo merita più di lui. Però metà della squadra dell'anno scorso è uscita e io devo trovare qualcuno che—"

"Ho sentito che Lily vuole provare ad entrare come Cercatrice, e tuo fratello Hugo e Frank Longbottom come Battitori. Il che formerebbe proprio una bella squadra, con te Portiere e Walker Cacciatore," Zabini aveva la bocca piena di dolcetti alla crema, e per questo capirlo mi diede qualche difficoltà. Gli sorrisi, nonostante mi avesse interrotto a metà frase.

"Grazie, Zabini. Non vedo l'ora di farti punto anche quest'anno."

Zabini mi fece un occhiolino. "Da te me lo faccio fare volentieri, Rose."

"Noah," fece indignato Albus, le parole storpiate dal panino che stava masticando, dandogli un ceffone dietro la nuca, "non provarci con mia cugina."

"Non è colpa mia se tua cugina è una bella ragazza, Albus," gli fece notare l'amico con logica lampante, e sentii le orecchie diventare così rosse da bruciare.

Sentii Malfoy ridere sotto i baffi. "Da te non me l'aspettavo affatto, Noah. Pensavo avessi gusti migliori."

"E i tuoi gusti quali sono?" lo rimbeccai, sporgendomi oltre Albus e Zabini per guardarlo in faccia. Lui, che sapeva che le sue parole sarebbero andate a segno, conoscendo il mio orgoglio, sorrise strafottente. "Amanda Finch-Fletchley, Wilhelmina Goyle e Norah Flint?"

Erano celebri le scappatelle di Malfoy, e la cosa più assurda era che almeno Wilhelmina e Norah erano anche migliori amiche tra di loro, e nel celebre gruppo dei Serpeverde. Non riuscivo a capire come potessero condividere un amante senza accapigliarcisi.

Zabini soffocò una risata e Albus non si diede pena a farlo, quasi soffocandosi con il suo panino. Malfoy, in risposta, mi guardò freddo come al solito. "Almeno io non sono l'unico vergine del mio anno."

"E non vedo come la mia verginità ti riguardi," replicai, il sorriso più falso del mondo, sbattendo le ciglia per provocarlo.

Non mi sarei mai aspettata che nei suoi occhi grigi passasse un lampo di interesse, di desiderio, e ciò mi fece seccare la gola. Lui se ne accorse, e si passò la lingua tra le labbra prima di sorridere tra sé e sé.

A quel punto, fortuitamente, si avvicinò un gruppetto di studenti di Corvonero, e domandarono ai Serpeverde qualcosa sulla formazione della loro squadra di Quidditch; benché fosse il Capitano, Malfoy lanciò loro un'occhiata disinteressata e tornò a spiluccare la frutta che aveva davanti, costringendo ad Al e a Zabini a soddisfare le loro richieste.

Non volendo che Malfoy, dopo il nostro ultimo scambio, pensasse chissà cosa, o di avere la vittoria in pugno, decisi di movimentare le cose. Afferrai la mia forchetta e la usai per prendere la metà di una fragola dal piatto pieno di Malfoy. Me la portai alla bocca facendogli un occhiolino, e gongolai di soddisfazione nel vederlo deglutire, colto alla sprovvista, lo sguardo sulla forchetta appoggiata sulle mie labbra.

"Che c'è, Malfoy—il gatto ti ha rubato la lingua?" lo provocai, inclinando appena la testa con un sorriso che pregavo fosse affascinante, "oppure preferisci Amanda Finch-Fletchley?"

Credevo di essere un minimo in vantaggio, ma lui ci mise poco a invertire la situazione.

Mi rivolse sorrisetto incuriosito. "Che cerchi, Weasley?" chiese a bassa voce. Mi guardai intorno per sincerarmi che nessuno stesse badando a noi e poi mi avvicinai a lui slittando sulla panca di legno, e mettermi al suo fianco dove stava Zabini.

Aveva capito il mio gioco, per fortuna. Si poteva insultarlo in mille modi diversi, ma la stupidità non era qualcosa che gli si poteva rimproverare.

"Mi attacchi la vitiligine se mi stai così vicina," commentò, facendomi sbuffare esasperata.

"La vitiligine non è contagiosa—e comunque le mie sono lentiggini."

Mi guardò in volto, soffermandosi sugli zigomi spruzzati di lentiggini. Le osservò con attenzione, prima di lasciar andare la forchetta e di girarsi anche con il busto verso di me. "E va bene. Si può sapere che vuoi?"

"Voglio che tu la smetta di guardarmi così," sussurrai, per non farmi sentire dal gruppetto che parlava accanto a noi e rideva di una partita avvenuta l'anno prima.

"Così come?" replicò, disinteressato, appoggiando il gomito sul tavolo e sorreggendosi la testa con il palmo della mano.

Mi dava fastidio stargli così vicino, e ancora di più il fatto che facesse il finto tonto, ma era necessario per tornare alla normalità. Dovevo ancora scoprire chi aveva voluto farmi quello scherzo di pessimo gusto e perché, e non potevo farlo da sola.

Non volevo neanche parlarne con Albus o Izzy, perché sarebbero stati sopraffatti dalle emozioni e avrebbero preso a calci chiunque fosse sospettato, e poi perché non volevo si preoccupassero. Ritenevo fosse meglio che pensassero che non volevo averci niente a che fare, e che l'avessi superato invece di rimuginarci sopra.

"Come stai facendo da ieri notte. Come se fossi una povera indifesa improvvisamente diventata incapace di sopportare le tue cattiverie. Non voglio che mi tratti in modo diverso solo perché ho avuto le allucinazioni," lo informai, convinta, e Malfoy mi sbalordì nello scuotere la testa, come se non fosse stato in grado di soddisfare le mie richieste.

"Tu non ti sei vista, Weasley."

"Per favore," insistetti, posando la mano sulla sua in un impeto irrazionale, e fu il suo turno di essere del tutto sbalordito. In effetti, non l'avevo mai toccato così, e non di mia spontanea volontà. "Avanti, Malfoy. Non voglio che quello che è successo rovini la mia quotidianità. E tu, nel bene e nel male, ne fai parte."

Non avevo mai visto Malfoy ridotto in quel modo: mi guardava senza un briciolo di freddezza nello sguardo, solo sgomento dalla mia vicinanza.

"Va bene," disse infine lasciando scivolare la mano via dalla mia come scottato, "c'è altro?"

L'aveva detto di sicuro per chiudere la conversazione, ma vide lo sguardo che avevo e sbuffò rumorosamente intuendo che c'era sul serio dell'altro.

"Vorrei che mi aiutassi a capire chi è stato," gli esposi tutte le motivazioni per cui non potevo lasciare che fossero i miei amici o la mia famiglia ad occuparsene, ma al contempo necessitavo di qualcuno che conoscevo e che conosceva me. Questo sfortunatamente rendeva Malfoy il candidato ideale, perché serviva anche una certa dose di intelligenza, di astuzia, ma soprattutto di persuasione. E dovevo ammettere che, soprattutto dell'ultima, lui ne aveva da vendere.

Rimase in silenzio, riflettendo sulle mie parole, prima di indossare di nuovo la sua maschera di gelo e indifferenza e alzarsi dalla panca. "Al primo insulto da parte tua, l'accordo salta," mi avvertì, scontroso. "E appena troviamo chiunque ti abbia fatto questo, io e te ritorniamo a ignorarci. Chiaro?"

"Cristallino," ribattei, sorridendogli, e lui sbuffò prima di voltarsi e andarsene.

Potevo aver appena stretto un patto con un diavolo, ma al momento non avevo scelta che non fosse accettare le sue condizioni. Non che mi dispiacessero, comunque.

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