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35 [𝑆𝑐𝑜𝑟𝑝𝑖𝑢𝑠] - 𝑇𝑎𝑘𝑒 𝑚𝑒 𝑏𝑎𝑐𝑘 𝑡𝑜 𝐿𝑜𝑛𝑑𝑜𝑛

{Uno Scorpius Malfoy selvaggio a spasso per Londra}

^^

Quando bussai alla porta della casa di Rose, ero un fascio di nervi pronti a scattare.

Per tutto il tragitto fino a là - che tra l'altro non era stato neanche breve, - avevo continuato a pensare a come agire, a come comportarci con il Primo Ministro Babbano, il vecchio che faceva il filo a Rose, cosa fare con lei.

Era da giorni, da quando era saltato fuori che era Thomas quello che le somministrava la Pozione Vulnerante, e da quando lui era stato buttato dentro una cella di Azkaban, che lo stesso, martellante quesito mi tormentava, nella mia testa: lei provava qualcosa per lui, oppure no?

Se si fosse trattato di chiunque altro, l'idea non mi avrebbe neanche sfiorato. Sì, aveva combattuto fino allo stremo per salvarlo, salvarlo da sé stesso e dagli Auror, ma era sotto l'effetto della pozione. Soprattutto, una persona normale non si innamorerebbe mai di uno che prova in tutti i modi ad ucciderla dolorosamente, o no?

Soltanto che Rose era tutto tranne che normale. Era imprevedibile. Ogni volta che si tentava di anticipare una sua mossa, si faceva un buco nell'acqua.

Era una delle caratteristiche che più mi piacevano di lei, ma non in quel frangente, non quando c'era in ballo la sua sicurezza. E in ogni caso mi sentivo un idiota a sentire la competizione con un ragazzo che in realtà era, a tutti gli effetti, morto e sepolto.

Competizione di cosa, poi?

Rose non mi piaceva romanticamente, perciò anche se fosse stata innamorata di Caleb non mi sarebbe cambiato niente - be', tranne il rapporto fisico che avevamo, immaginavo.

Certo, mi sarebbe dispiaciuto per lei, anche perché non doveva essere una cosa semplice, amare un morto, però non ci sarei stato male, ecco. Era solo che mi dava fastidio l'idea che potesse baciare me come aveva fatto la scorsa sera, e poi pensare ad un'altra persona.

Smettila, mi rimproverai aspramente, percorrendo il sentiero in ghiaia che portava all'entrata della casa degli Weasley. Smettila subito.

Bussai, sforzandomi di mettere su una maschera di calma e serenità. Quando la porta venne aperta, però, non mi ritrovai Rose davanti come mi aspettavo, bensì il fratello Hugo, con la maglietta rovesciata, i capelli castani spettinati e un pacchetto di patatine mezzo finito tra le mani, che sgranocchiava rumorosamente nonostante fossero le dieci del mattino.

Mi guardò. "Hey."

"Uh - ciao," mormorai, a disagio, ma tentando di nasconderlo. "Rose è pronta?"

Non avevo mai avuto chissà quale rapporto con quel ragazzo, anche se sicuramente di tutta la marea di parenti di Rose, eccetto Al, era quello che mi apprezzava di più - e la cosa era reciproca. James Sirius, il maggiore, mi fissava ogni volta come se stesse meditando sul modo più doloroso per uccidermi; Lily era semplicemente inquietante, perché non potevo stare nella stessa stanza con la cugina che partivano le occhiate maliziose; tutti gli altri, nomi su nomi che avevo imparato durante gli anni - Roxanne, Dominique, Lucy, ecc. - loro non li calcolavo affatto.

Del resto, se mi fosse dovuto interessare di tutte le persone a scuola che erano imparentate con Al e Rose, avrei conosciuto più gente di quanto fosse stato umanamente possibile.

Hugo invece era sempre calmo, pacato, con un sorriso indolente cucito sulla faccia e uno sguardo furbo, che spesso e volentieri si trasformava in guai e scherzi con l'ausilio della cugina Lily. Loro condividevano lo stesso rapporto che avevano Rose e Al, perciò non mi sorprendeva che fossero un'unione... esplosiva. Nel vero senso della parola, dato che riuscivano ogni due giorni a far saltare in aria qualcosa.

Lui non si impicciava degli affari altrui, non criticava la gente e adottava un atteggiamento menefreghista che apprezzavo, soprattutto perché era molto simile al mio. Si limitava ed esserci per la sorella e gli amici tutte le volte in cui avevano bisogno, ma non spingeva mai perché si confidassero con lui contro la loro volontà.

Non lo conoscevo bene, essendo più piccolo di due anni frequentava giri diversi a scuola, però da quando era entrato ad Hogwarts la cosa che più mi aveva sorpreso era che non gli poteva importare di meno delle faide tra le Case. Era amico di tanti Serpeverde quanti Grifondoro o Tassorosso o Corvonero, tutti lo conoscevano, ma solo una cerchia ristretta poteva dirsi sua amica.

Era una personalità affascinante, dovevo ammetterlo. Mentre la sorella era un concentrato di energia, ammirata e voluta da tutti ma sempre perfetta con professori e adulti, voti eccellenti e comportamento adeguato, impegnata in mille cose, lui era tutto il contrario. Correva anche la voce che durante una delle solite punizioni avesse riempito lo studio di Gazza di un gas inventato dallo zio, George Weasley, che gli aveva provocato pustole su tutto il corpo.

Hugo alzò un sopracciglio, ficcandosi una patatina in bocca. "La conosci o no, mia sorella?" chiese divertito. "Non scenderà prima di mezz'ora, te lo assicuro."

"Ah," commentai senza saper bene cosa dire, ma maledicendo internamente quella ragazza. Due volte la sera prima le avevamo ricordato dell'orario. Ad avere a che fare con lei, dire che serviva un calmante era dire poco.

Hugo mi guardò per un altro paio di secondi, perplesso, infine scrollò le spalle e si fece da parte. "Entra pure."

Feci come aveva detto. Ero già stato a casa Weasley, spesso, anche, ma non smetteva mai di pervadermi quella sensazione di familiarità che mi accoglieva ogni volta.

Era un'abitazione dove di primo impatto sembrava ci abitassero tante persone, nonché l'opposto di Malfoy Manor. Non si trattava tanto del numero di inquilini - gli Weasley erano quattro, noi tre contando la signora Stormy, - era che l'atmosfera era semplicemente molto più accogliente.

Ti dava l'impressione di stare in famiglia nel solo mettere piede nel salone, pieno di libri consumati e pericolanti sui mille ripiani su cui erano impilati, le enormi finestre dalle quali entrava luce ad ogni ora del giorno, i toni del beige e del bianco, così diversi dal nero di casa mia, il disordine ovunque - Rose rientrava tra le persone più disordinate che conoscessi, quindi doveva essere una cosa di famiglia, - il gatto rossiccio acciambellato in una pozza di sole.

Hugo sorrise indolente. Era tutto un sorriso e un'espressione rilassata, le briciole di patatine sparse per tutta la parte inferiore del viso e i capelli più arruffati dei miei, tanto da fare praticamente concorrenza al pelo scarmigliato del gatto.

Mi piaceva.

Non lo dicevo di nessuno perché non c'era una persona ad Hogwarts che sopportassi tranne per i miei amici, e infatti non capivo come potessi essere così popolare; comunque mi ispirava calma e sicurezza, e mi pareva abbastanza spigliato e indifferente per andarci d'accordo.

"Vuoi?" chiese, porgendomi il pacchetto di patatine. Lessi che erano alla panna acida, e mi sarei buttato, ma poi non mi sarei mai arrischiato di avvicinarmi alla sorella, e perciò declinai.

Hugo fece spallucce e si gettò di peso sul divano. "Stavo giocando alla play. Conosci GTA San Andreas?" mormorò, afferrando un controller e porgendomene un altro.

Mi sedetti accanto a lui sul divano. Effettivamente aveva un gioco in pausa sul televisore Babbano, che mostrava un uomo che imbracciava un fucile.

"Ci ho giocato un paio di volte a casa di Albus," risposi con un ghigno, "ma gli ho comunque fatto il culo."

"Non succederà con me," mi garantì Hugo soddisfatto, premendo diversi pulsanti per inserire il secondo giocatore, un sorrisetto di sfida dipinto sulla faccia.

Mi venne da ridere. "Vedremo."

^^

Per fortuna mio padre aveva spostato l'appuntamento per mezzogiorno, in mancanza di disponibili orari precedenti, perché Rose scese dalla sua camera letteralmente quarantacinque minuti più tardi di quanto previsto.

Ormai io e Hugo eravamo nel pieno della partita, e le nostre imprecazioni e grida di esultanza riempivano la casa, per fortuna vuota eccetto le due ragazze al piano di sopra.

"Ma come hai fatto!" mi venne spontaneo gettare il joystick contro la televisione, e Hugo si mise a ridere così gaiamente che se non fossi stato basito mi avrebbe fatto ridere di riflesso. Il nervosismo che avevo provato fino a quando ero entrato in quella casa si era dissolto meravigliosamente, rimpiazzato da un sano spirito di competizione, divertimento e risate che in realtà non sperimentavo da diverso tempo.

Con Albus non facevamo una partita alla playstation - o comunque un'attività ricreativa di quel tipo - da così tanto tempo che neanche me lo ricordavo, e questo sì, perché stavamo ad Hogwarts, dove internet non prendeva neanche a pagarlo, ma anche per il suo improvviso interesse nei confronti di Isabelle che l'aveva portato a trascorrere più tempo con lei invece che con me e i ragazzi.

"Ma come ti sei vestita?" sentii dire da Hugo in un brontolio scontento, ma dovetti attendere alcuni secondi per alzare lo sguardo, o altrimenti sarei stato trivellato di colpi nel gioco. Quando però lo feci, mi venne istintivo aggrottare la fronte.

Rose ci rimandò uno sguardo perplesso. Isabelle, al suo fianco, condivideva il suo stato d'animo nel vederci così contrariati.

La percorsi con gli occhi più e più volte. Io sicuramente apprezzavo, ma avevo l'impressione che anche il vecchio bavoso che stavamo per andare a trovare l'avrebbe fatto.

Indossava una gonna nera, non abbastanza lunga, e le gambe erano fasciate dalle calze dello stesso colore, nonché slanciate da un paio di scarpe col tacco rosso bordeaux, che riprendevano la camicia. Questa aveva i primi ganci sbottonati e lasciava intravedere il solco morbido tra i seni. Si era anche truccata gli occhi di nero e le labbra con un lucida labbra color carne.

Non che fosse un abbigliamento non appropriato, del resto anch'io mi ero dovuto mettere in tiro e non indossare i soliti jeans, però lei si era proprio impegnata nel risultare il più professionale possibile.

"Ti sei vestita così per il tuo spasimante?" chiesi con una punta di acidità, ignorando la mia voglia di continuare a guardarla.

La bocca di Isabelle si tese in un sorrisetto divertito, quella di Rose si piegò in una smorfia. "Prima di tutto, sono state lei," indicò l'amica, "e mia madre che hanno insistito perché mettessi queste cose. E poi, a voi che ve ne dovrebbe fregare?" aggiunse stizzita.

Hugo infilò la mano nel terzo pacchetto di patatine che aveva aperto in quaranta minuti, intervallati con quadratini di cioccolata al latte di cui avevo usufruito anch'io. Come facesse a mangiare così tanto e a rimanere magro come un chiodo rappresentava un mistero. Aveva anche messo in pausa il gioco, non permettendomi di distrarmi con questo. "Non fraintendermi, cara sorellina, stai benissimo. È solo che non ci aspettavamo che ti mettessi in ghingheri per una visita al Presidente Babbano."

"È il Primo Ministro," lo corresse automaticamente Rose, sbuffando. "Avreste preferito mi fossi presentata in tuta e pantofole? Perché sono sempre in tempo per cambiarmi," fece, velenosa.

Io avrei preferito sì che si mettesse in tuta, ma evitai di dirglielo oppure mi avrebbe strozzato a mani nude. Mi limitai ad alzare un sopracciglio. "Ma sì," replicai sarcastico, "hai tutto il tempo del mondo, dato che sei così in anticipo. Ricordami un po' quanto ci hai messo a scendere? Solo tre quarti d'ora, no?"

Rose non sembrò apprezzare. "Senti Malfoy, stai attento a te perché oggi non è aria," mi avvertì solamente, girandosi poi verso l'amica. "Tu che fai, vieni o resti a controllare Hugo?"

Hugo emise un lamento. "Certo, ho assolutamente bisogno della babysitter. Infatti, non ho sedici anni."

"Quindici," precisò Rose, e nascosi un sorriso. Adoravo quando faceva la puntigliosa.

"Comunque è un no," rispose Isabelle incrociando le mani dietro la schiena, iniziando a dondolare nervosamente sulla punta dei piedi. "Perché, uhm - Albus ha detto che vuole passare a fare un saluto prima del pranzo dai vostri nonni."

Roteai gli occhi, lasciando aderire la schiena alla pelle bianca del divano dietro di me. Di bene in meglio: adesso si organizzavano pure per pomiciare tutto il giorno a casa senza neanche informarci. Non che avessero dovuto parlarne proprio con me, però anche Rose e Hugo sembravano sorpresi.

Quest'ultimo sbuffò come un treno. "E io che pensavo di potermene stare in pace. Penso proprio che ora mi farò la mia scorta di cibo spazzatura e me ne andrò in camera mia. Rose, compra Skittles e Doritos quando torni, che sono finiti," fece, alzandosi in piedi e stiracchiandosi.

Si voltò verso di me. "Sei stato un degno avversario, Scorpius. La prossima volta non l'avrai vinta così facilmente," dichiarò prima di prendere tra le braccia altri pacchi di cibo e barrette di cioccolata e sparire su per le scale.

L'avevo già detto, che avevo un debole per quel ragazzo?

"Quindi Al viene a casa per stare con te?" chiese Rose, interdetta, ad Isabelle, che arrossì imbarazzata. Intrecciò nervosamente le dita tra di loro. "Ehm - sì. Mi ha mandato una lettera ieri sera, l'ho trovata stamattina vicino alla gabbia di Zazu. Scusa se non te l'ho detto prima," abbassò leggermente il capo, "pensavo ti saresti arrabbiata."

Rose era evidentemente infastidita. Incrociò lo sguardo con il mio per chiedermi silenziosamente che cosa fare.

Io, polemico e poco incline al compromesso com'ero, le avrei risposto per le rime obiettando che non era proprio una cosa gentile da fare, il vedersi a casa di Rose senza che lei stessa ci fosse. Andava bene che si volessero incontrare, ma dirlo all'ultimo e organizzarsi in segreto no, e soprattutto non ci facevano una bella figura, ad approfittare della nostra assenza alla prima occasione in cui entrambi eravamo fuori.

Però Isabelle era la sua migliore amica, Albus suo cugino; non volevo che litigassero e che lei rimanesse arrabbiata per tutto il giorno, rovinandosi l'unica possibilità - autorizzata dall'alto - che avevamo di investigare al meglio su Caleb.

La sera prima, quando ci avevano detto che saremmo stati esclusi dalle indagini, io ne ero rimasto molto poco entusiasta. Avrei voluto rispondere al signor Weasley e a mio padre per le rime, ed ero stato negativamente sorpreso dalla tranquillità con cui lei aveva accettato di smettere di fare ricerche.

Poi avevo capito che non si sarebbe mai arresa, e che il fatto che i nostri padri ci impedissero di continuare non significava che avremmo smesso di farlo. Le cose sarebbero state solamente più difficili, ma tanto avevamo mai avuto la strada spianata, o no?

Mi leccai le labbra scuotendo appena la testa, segno che avrebbe dovuto lasciar perdere. Rose deglutì, e senza soffermarsi a guardarmi più a lungo tornò a rivolgersi all'amica, che dalla postura evidenziava come stesse aspettando ansiosa un giudizio dell'amica. Lei sembrava poco incline a perdonarla, ma alla fine accettò il mio consiglio e annuì brevemente. "Okay. Salutami Al. Andiamo," fece poi rivolta verso di me.

Isabelle avrebbe voluto sicuramente chiarire a causa del suo tono inespressivo e poco convinto, ma Rose la superò prendendo il cappotto nero dall'attaccapanni, lungo fino a poco prima del ginocchio, e allacciando velocemente tutti i bottoni.

Si voltò verso di me con aria interrogativa. "Vogliamo andare o no?"

Salutai Isabelle con un cenno della testa e poi la seguii fuori dalla casa, indossata anche la mia giacca di pelle, posandole istintivamente una mano sulla base della schiena per accompagnarla nello scendere le scale, sostenendola a causa dei tacchi alti.

Quando fummo sulla ghiaia, passò il braccio sotto il mio, chinando la testa per controllare dove stesse mettendo i piedi. I lunghi capelli rossi si riversarono in onde morbide davanti al viso.

Alla fine, dopo almeno dieci minuti di cammino, Rose si decise ad aprire bocca. "Pensi che abbia fatto bene?" domandò, indecisa. "A mostrarmi arrabbiata con lei. Non è che abbiano fatto nulla di male, no?"

Non seppi bene che cosa risponderle. Da un lato era perfettamente naturale che si fosse stranita per l'accaduto, ma dall'altro era pur vero che Albus e Isabelle non si erano accordati con l'intento di ferirci, e comunque avevano tutto il diritto di volersi vedere e trascorrere un po' di tempo da soli, se era quello che volevano.

Però l'idea che ci escludessero in quel modo non poteva farci piacere.

Improvvisamente mi venne da chiedermi se a me non sarebbe venuto spontaneo fare la stessa cosa, se fossi stato innamorato di Rose.

"Non lo so, forse mi faccio troppi problemi," considerò poi, vedendo che non rispondevo. "Infondo, forse farei la stessa cosa se fossi in loro."

Mi morsi il labbro. Sì, anche io mi sarei decisamente comportato allo stesso modo. E non si parlava di abbandonare i propri amici per stare con il proprio ragazzo o ragazza, soltanto di dedicarsi a costruire un rapporto solido senza dire altri vi si immischiassero. Vista da questo punto di vista non si poteva dire che fosse una cosa sbagliata.

Era solo che il senso di esclusione era difficile da non provare, anche se la loro infondo era una decisione logica, rispettabile, e comprensibile.

Nel frattempo avevamo superato le altre case che affollavano la via in cui viveva Rose e ci eravamo fermati alla fermata dell'autobus Babbano che ci avrebbe portati nel cuore di Londra. Tirai fuori due biglietti che mio padre mi aveva lasciato sul tavolo della cucina quella mattina.

"È normale che ci sia rimasta male," cercai infine di tranquillarla, posandole una mano sul collo e accarezzandole la linea della mascella con il pollice. "Sono i tuoi migliori amici. Ma tu non sei sola, ed è una cosa temporanea. Appena si metteranno insieme, fidati che tornerà tutto come prima."

"Okay," rispose, sorridendomi timidamente. In pochi minuti l'autobus si fermò davanti a noi; riuscimmo a trovare un posto libero in fondo al mezzo, e Rose vi si accomodò, mentre io rimasi in piedi al suo fianco. Nel sedile davanti a lei, stava una signora anziana, dai capelli di una delicata sfumatura di rosa lunghi fino alle spalle e una ragnatela di rughe su viso e mani.

Si guardò Rose senza nascondere la curiosità. Lei rimase rigida, non riuscendo a rilassarsi, e anch'io ero un po' perplesso dalle attenzioni che le rivolgeva. Questa stava facendo finta di leggere un libro, ma a nessuno dei due sfuggivano le sue occhiate.

Lasciò scivolare la mano fino a strattonarmi leggermente la camicia per farmi abbassare, e quando lo feci spinse la bocca contro il mio orecchio per non far sentire la signora. "Che pensi che voglia?"

"Niente, probabilmente ti ha riconosciuta come figlia di Ron ed Hermione Weasley. Non preoccuparti," la mia risposta non la tranquillizzò affatto. Si limitò ad alzare il colletto del cappotto e appoggiare la testa contro il mio addome, chiudendo gli occhi.

Il suo gesto mi fece capovolgere lo stomaco. Rimanemmo in quella posizione per almeno mezz'ora, e l'inquietante anziana dai capelli rosa scese giusto una fermata prima della nostra. Stavolta lanciò un'occhiata a me, prima di scomparire, e mi sorrise.

Ignorai l'accaduto. Era tutta la vita che venivo riconosciuto come figlio di Draco Malfoy, additato e fotografato. Una vecchia in più non faceva certo la differenza.

Mi accorsi poi che Rose si era addormentata solamente quando dovetti svegliarla per lasciare l'autobus.

Sbatté le palpebre disorientata ma mi diede retta senza obiettare; quindi ci ritrovammo a Piccadilly Circus, nel bel mezzo del traffico, e soprattutto di più gente di quanto potessi immaginare, che faceva compere per Natale. Iniziò a nevicare appena svoltammo in Regent Street.

Rose osservava affascinata i negozi e le case decorate con le luci colorate, le persone con mille buste tra le mani e i visi infossati nel cappotti per ripararsi dal freddo e dal vento sferzante, e il paesaggio che man mano si ricopriva di uno strato di neve che rendeva l'atmosfera ancora più particolare.

I suoi capelli rosso scuro si imperlarono di fiocchi bianchi come il suo sorriso gioioso, e mi strinse il braccio per non scivolare su una grata metallica. Mi permise di avvolgerle il bacino una volta calatomi meglio il cappello di lana sulle orecchie, e spostati con uno sbuffo i ciuffi biondi che spuntavano sotto di esso.

Continuammo a camminare in silenzio: non c'era bisogno di parole, perché la passeggiata due giorni prima della vigilia, immersi nell'aria natalizia, festosa, era già abbastanza. Rose non riusciva a levarsi un sorriso enorme dalla faccia, sembrava una bambina piccola, o una turista. Insomma, tornavamo a Londra ogni anno per trascorrere in famiglia il Natale, non vedevo perché essere così felice.

Comprendevo però di essere davvero arido, e perciò non commentai, limitandomi anch'io a guardare intorno e a godermi il suo buonumore, che non se ne andava via nonostante tutto quello che aveva affrontato.

"Al ritorno ti va se ci fermiamo a comprare qualcosa?" chiese, stringendomi il braccio che le avvolgeva la vita. Impedii che andasse a sbattere addosso ad una donna a causa della sua distrazione: gli occhi azzurri sfrecciavano qua e là su ogni possibile negozio e attrazione, ponendo in secondo piano il guardare dove mettere i piedi.

Sospirai. "Se proprio devi."

Si voltò a guardarmi sorpresa. Dovevo averla colpita proprio tanto, se aveva distolto l'attenzione da tutto ciò che ci circondava. "Perché dici così?" chiese infatti, la bocca dipinta socchiusa dallo stupore.

Feci spallucce. "Natale è sopravvalutato."

E poi, era stato in quel periodo che avevamo scoperto della malattia della mamma. Non potevo fare a meno di ripensarci ogni anno che passava, e che quella festività tornava. Non l'avevamo infatti mai celebrata se non quando andavamo dai Potter, nonostante gli iniziali tentativi - fallimentari - della signora Stormy.

Vedere tutti così felici in un momento che per me era il più nero della mia vita mi aveva sempre fatto impressione, specialmente quel fatidico Natale.

Rose corrugò appena le sopracciglia. "Non li compri quindi i regali per tuo padre e la signora Stormy?" fece, confusa.

"No."

"Cioè niente di niente? Vi guardate negli occhi tutto il giorno e basta? Niente scartare i regali, niente biscotti, niente film natalizio e pranzo di venti portate?" domandò con gli occhi allargati dallo stupore. Mi venne da ridere. "No, niente del genere."

"Ma perché?"

Feci una smorfia. "Forse non abbiamo poi così tanto da festeggiare."

Non replicò. Abbassò il capo, il bel sorriso spento del tutto, rimpiazzato da un'espressione triste.

Mi fece automaticamente sentire in colpa. Il fatto che io non apprezzassi il Natale, che mi addolorasse la gioia condivisa da tutti tranne che da me e mio padre, che sentissi la mancanza della mamma più che mai in quei giorni, non significava che anche Rose dovesse incupirsi come me.

Le pizzicai giocosamente il fianco. "Hey - davvero, va tutto bene. Ormai è abitudine."

"Ma il Natale..." scosse piano la testa, incredula. "È la festa più bella dell'anno, tutti sono contenti, stanno con le proprie famiglie, e poi Londra è così bella..."

Mi guardò poi stranita. "Però da Albus ci venite. E portate sempre regali."

Le rivolsi un sorriso sghembo. "Sarebbe terribilmente maleducato non farlo, non credi?" 

"Sì, ma—"

"Siamo arrivati," tagliai corto, lasciando la presa sul suo bacino e mettendomi da parte perché entrasse per prima nel grosso palazzo in stile gotico che affacciava su una traversa di Regent Street.

Avrei voluto rivolgere un cenno del capo cordiale ed educato ai due militari all'ingresso dell'edificio, nelle loro uniformi blu oltremare e i pesanti fucili imbracciati, ma dato che loro risposero al sorriso di Rose con degli sguardi languidi ci ripensai, optando per un'occhiata gelida.

Rose chiese dell'ufficio del Primo Ministro ad un gabbiotto dov'era seduta una donna giovane, che le diede tutte le indicazioni di cui avevamo bisogno. Ci indirizzò al quarto piano, l'ultimo, e disse di rivolgersi alla segretaria dell'uomo, che aveva una scrivania nell'ampio atrio.

Nel mentre mi guardai intorno, sorpreso nel vedere che le molteplici persone con passo frettoloso e le cartelle di documenti strette sotto il braccio non erano per nulla differenti dai maghi e le streghe nel Ministero, e, proprio come il Ministero, il palazzo era enorme, con un grande ingresso, ascensori e numerose rampe di scale, i soffitti alti decorati maestosamente, i pavimenti fatti di marmo, lo stesso che mia nonna aveva usato per fare il bagno suo e del nonno, il Rosso Lepanto: una sfumatura di rosso molto decisa, scura, solcata di venature bianche, che abbinata con i colori giusti era più che gradevole alla vista.

Seguii Rose su per le scale, accigliato nel vedere la gente squadrarmi da capo a piedi. Mi resi conto soltanto dopo un po', che era perché ero vestito più come per una passeggiata in motocicletta che non per una riunione con uno degli uomini più importanti dell'intera Inghilterra. Mi levai almeno il cappello, infilandolo nella tasca della giacca di pelle nera e la chiusi per non far vedere che sotto non avevo una camicia. Almeno avevo una sorta di pantaloni eleganti, ma non si poteva avere tutto dalla vita.

Ero già abbastanza in tiro per un vecchio Babbano, e poi non era che ci tenessi alla cosa.

Rose cercò la scrivania della segretaria, che fu difficile da trovare in quanto un capannello di almeno quindici persone lo nascondeva allo sguardo; fui io che dovetti andare avanti, essendo alto più di tutti quelli là davanti. Raggiunsi la segretaria, anche questa una ragazza giovane, dai vivaci occhi castani, che mi guardò con un gran sorriso. "Posso fare qualcosa per lei?" chiese gentile.

Anch'io le restituii un sorriso. "Abbiamo un appuntamento con il Primo Ministro a mezzogiorno. Sono Scorpius Malfoy."

Alle mie parole, iniziò a sfogliare l'agenda che aveva sulla scrivania tra le tante carte e le diede una veloce letta, poi annuì portandosi una ciocca dei capelli neri dietro l'orecchio. "Sì, eccolo qua, il signor Malfoy a mezzogiorno," annuì tra sé, e la sentii a malapena sopra il chiacchiericcio dei Babbani alle mie spalle.

"Può accomodarsi su quelle sedie, il signor Primo Ministro la vedrà in pochi minuti," concluse facendo riferimento alla fila di sedie di plastica grigia addossate alle due pareti parallele. Rose era già lì seduta, e mi fece un sorriso quando notò che la stavo guardando.

Ringraziai la segretaria e tornai dalla ragazza riferendole ciò che aveva detto, perciò non ci rimase che aspettare. Lei annuì. "Non ci dovremmo mettere molto, no?"

"Dobbiamo solo sapere se ha intenzione di aiutarci o ignorare la cosa," risposi scrollando le spalle. "Quindi direi di no."

Fu contenta della mia replica, e anche se non disse niente capii che stava pensando al tempo che aveva per fare regali e girare la Londra immersa nello spirito natalizio. Non avevo mai conosciuto qualcuno così esaltato per quella festa, probabilmente perché tutte le persone così infervorate le tenevo a prescindere a distanza come se fossero state un morbo contagioso.

Lei invece mi dava meno fastidio del previsto, cosa che avrebbe dovuto far scattare un campanello d'allarme nella mia testa.

Non passarono che una manciata di secondi prima che la segretaria chiamasse il mio cognome grazie ad un microfono collegato all'altoparlante, e ci indicò una grossa porta decorata con ghirigori argentati. Rose vi dovette bussare due volte prima di ricevere l'invito ad entrare.

Gliela tenni aperta, permettendole di entrare per prima; ci ritrovammo in una stanza che trapelava lusso da tutti i dettagli, dai soffitti decorati con degli affreschi di rara bellezza, il mobilio pregiato, il grosso tappeto persiano che ricopriva gran parte del pavimento. La scrivania era posta di fronte all'entrata, ma dall'altra parte della stanza, e al centro stavano delle poltrone attorno ad un tavolino da tè.

L'uomo seduto davanti a noi non sollevò neanche gli occhi per guardarci. Indossava giacca e cravatta di un blu scuro, la barba tagliata scrupolosamente perché venisse fuori un pizzetto sottile che gli circondava il mento, e i capelli neri erano non troppo corti, ma comunque tenuti in piedi dal gel per evitare che si ottenesse la parvenza di un ciuffo. Mi colpì l'età che dimostrava: non avrei mai creduto che un ragazzo di massimo trent'anni - se portati molto bene - potesse ricoprire una carica così alta, tra le più importanti dello Stato.

Rose si schiarì lievemente la gola, incerta su cosa fare. Neanche in quel caso l'uomo alzò gli occhi, cosa che contribuì ad accrescere la mia non poi così sottile antipatia. Aveva tra le mani un tablet che guardava febbrilmente, gli occhi azzurro ghiaccio sgranati.

La mia fantasia fu inevitabilmente stuzzicata. "Magari sta vedendo un porno," sussurrai all'orecchio di Rose. "Sembra abbastanza concentrato."

Nascose una risatina nel palmo della mano. "Smettila. Se ti dovesse sentire—"

Al suono della sua voce Shaw la testa di scatto, e lo sguardo scattò su di lei, che si bloccò. Un rosa vivace si diffuse sulle sue guance, colta in flagrante. Lui si alzò velocemente, facendo stridere la sedia con uno sgradevole rumore. "Signorina Weasley," fece balbettando. "È un piacere rivederla. Non avrei mai creduto - insomma, non pensavo sarebbe venuta anche lei, con - con il signor Malfoy."

Quel tipo doveva sul serio prendersi un calmante.

Rose gli sorrise in modo tranquillizzante, stringendosi appena nelle spalle. "È un problema?"

"Oh no!" si affrettò a dire l'uomo con un tono alzato di un'ottava, "sono davvero contento - onorato - di averla qua."

Decisi dunque di porre fine a quella scena patetica, sia per evitargli di continuare a fare quella figura pietosa che stava facendo, sia per provare meno pietà.

"Scorpius Malfoy," mi presentai gelidamente, senza tendergli una mano ma attirando la sua attenzione su di me. "Vogliamo iniziare? Non abbiamo tutto il giorno, signore," lo apostrofai con marcata ironia, e le sue narici vibrarono dall'imbarazzo e dal fastidio.

Annuì appena, raddrizzando le spalle: sentiva chiaramente la competizione, voleva marcare il suo territorio e far vedere che era lui a comandare. Peccato che per l'interesse di Rose non c'era affatto competizione, dato che vincevo a mani basse. "Vogliate accomodarvi," fece, indicando le due poltrone davanti alla sua scrivania.

Rose si levò il cappotto e lo appoggiò allo schienale della sua poltrona, e vidi Shaw seguire i suoi gesti con un tale interesse che sembrava avere di fronte la volta della Cappella Sistina a Roma.

Era forse questo, a darmi più fastidio. Lui non la guardava come la guardavano gli altri, con cupidigia, desiderio, osservando le sue curve e immaginandosi le cose peggiori; no, lui ne era profondamente ammirato, dava l'impressione di avere davanti una musa, una dea greca. Pareva adorarla, meravigliato, eppure stando ai racconti di lei l'aveva vista soltanto una volta prima, per pochi minuti. Proprio per quello la sua forma di venerazione era così sincera, e a dirla tutta anche così spiazzante.

Mi faceva sentire in difetto, e non sapevo neanche il motivo. Forse un tale livello di adulazione l'avrebbe indotta a voler lui, anche se da Rose non mi aspettavo una cosa del genere. O forse avevo il timore che dato che io non ero in grado di contemplarla in quel modo, lei avrebbe preferito qualcuno capace di farlo.

Però quando sollevò gli occhi, e lo trovò a fissarla estasiato, non gli rivolse che un sorriso cortese, e poi voltò appena il capo verso di me. "Vuoi iniziare?" mi chiese.

Notai la reazione di Shaw, poco soddisfatto della scarsa attenzione che lei gli si riservava, e ciò mi indusse quasi a sorridere divertito. Lo costrinsi ad ascoltarmi prendendo a parlare. "I nostri padri, in qualità di Capo e Vicecapo Auror del Ministero Britannico, hanno deciso di condurre delle indagini più approfondite riguardo l'episodio del civile rimasto ferito ieri," spiegai, appoggiandomi con le spalle allo schienale e incrociando le braccia al petto. "Hanno quindi stabilito di mandare me e Rose a spiegarle che cosa hanno scoperto, e a chiederle se vuole aiutarci, per il bene della sua città, oppure no."

Shaw aggrottò la fronte. "E il Ministro e la sua cerchia non sanno di questa loro iniziativa?"

"No," rispose Rose scuotendo il capo, "e non lo deve sapere nessuno. È per questo che siamo qui. Dobbiamo poter contare su di lei, signor Shaw, e sul suo silenzio. Abbiamo poche notizie, ma riguardano lei e l'intera comunità di non maghi di Londra. È importante che lei ci ascolti."

"Senz'altro," roteai gli occhi alla risposta asservita dell'uomo. Probabilmente la sarebbe stata a sentire con quella faccia da pesce lesso anche se lei si fosse messa a cantare Jingle Bells o a discutere del procedimento per preparare la Pozione Occhiopallato.

Mi passai le dita tra i capelli, riflettendo. "Il punto è, che il Ministero le ha detto che il civile è stato ucciso durante la fuga di un detenuto evaso di prigione, vero? Caleb Thomas. Me lo conferma?"

Shaw annuì, attento. "Me l'hanno riferito ieri all'incontro. Hanno detto che dopo che ha coinvolto il civile a Camden, è stato recuperato da due dei vostri poliziotti e riportato nella sua cella, dove si è tolto la vita."

"Le hanno detto una stronzata," risposi inespressivo senza troppi giri di parole. Rose gemette lievemente e si passò esasperata una mano sul viso, Shaw sgranò gli occhi sorpreso. "Come?"

Sospirai cercando di mostrarmi il più paziente possibile. Mi sporsi verso di lui, appoggiandomi alla scrivania. Mi guardò a disagio, ma non me ne curai. Capivo che potevo incutere timore a volte, non avevo esattamente uno sguardo caldo, o rincuorante.

"Quello che le sto dicendo, è che il Ministro le ha mentito. Caleb Thomas non è mai uscito dalla sua cella di Azkaban, stanno cercando di coprire qualcuno di importante, che ha ucciso il civile al posto suo. L'hanno preso in giro, signor Shaw, perché fa loro comodo che lei insabbi l'accaduto senza fare domande, permettendo così al vero colpevole di non essere inseguito," spiegai lentamente per fargli assorbire meglio ciò che stavo dicendo. Avrei potuto parlare in modo più delicato, ma volevo che la verità lo colpisse dritto in faccia, che si sentisse usato, in modo che ci avrebbe aiutati più volentieri.

Rose mi posò una mano sul braccio, prendendo parola. "Non vogliono che nessuno parli della cosa, che si sappia in giro, né nel nostro mondo, né nel vostro. Tutte quelle parole sulle cicatrici lasciate dalla Grande Guerra, sul non voler che il panico dilaghi, erano per convincerla a dar loro retta. Non faccia il loro gioco, permetta ai nostri padri di trovare il colpevole e di restituire giustizia a Caleb," fece con tono appassionato, persuasivo.

"Come fate a sapere tutto ciò?" domandò con una lieve ruga tra le sopracciglia.

Rose sorrise. "Oh, è lungo da spiegare."

Shaw mi sorprese nel sembrare indeciso e non completamente sottomesso. Si morse il labbro. "È una scelta difficile..."

"No, non lo è," replicai bruscamente. "Finché lei sta seduto qui a non fare niente, immerso nella sua bolla d'oro con i militari a proteggerla, può pensare che sia lecito permettersi il beneficio del dubbio. Ma se ci impedisce di indagare, di sbattere in galera chi ha fatto del male all'uomo che lei ha il dovere di proteggere," enfatizzai scandendo bene le parole, "allora questo può tornare indisturbato, e la sua gente avrà paura, e non sarà al sicuro. Nessuno ci dice che si sia trattato solo di un caso isolato, signore. La prima volta non poteva prevederlo, ma se qualcun altro morirà, sarà unicamente colpa sua," conclusi deciso, squadrandolo con freddezza.

Aveva le guance rosse, la postura rigida, e quasi potevo vedere le rotelle del suo cervello in movimento. 

Rose mi guardò, quindi le feci un impercettibile cenno della testa che lei interpretò correttamente; allungò dunque una mano e la posò su quella di Shaw, che la guardò, piacevolmente sorpreso. "La prego, Logan," fece con un tono che personalmente giudicai irresistibile, sbattendo le ciglia lunghe e osservandolo con occhi da cerbiatta. "Non vogliamo che nessun altro si faccia male."

Mi venne la gola secca ad assistere al suo flirt, anche se non era a me che si stava rivolgendo. Shaw arrossì con violenza, e Rose per incentivarlo gli strinse la mano. China com'era sulla scrivania, lo vidi lanciare un'occhiata alla sua scollatura, cosa che mi avrebbe fatto alzare gli occhi al cielo, se solo non fossi stato troppo impegnato nello squadrarla anch'io, rapito - anche se non in modo palese come l'altro.

Era innaturale il potere che aveva su di lui. Aveva letteralmente la bava alla bocca e le pupille dilatate. Non potevo dire che non mi infastidisse, ma il tutto poteva rivelarsi molto utile.

"Cosa devo fare?" chiese infine, facendoci sorridere vittoriosi.

"Per portare avanti le investigazioni i nostri genitori hanno bisogno di una scusa, un pretesto. Pensavano di dire al Ministro che c'è un secondo civile sfuggito alla squadra degli Obliviatori - cioè coloro che rimuovono la memoria, - che sta mettendo strane voci in giro per Londra, e che richiede la loro attenzione. Per questo le chiederanno di confermare, o di risolvere lei la situazione. Dovrà dire di sì nel primo caso, e nel secondo chiedere l'intervento degli Auror. Di lì la questione la gestiranno loro," dichiarò Rose facendo scivolare via la mano dalla sua presa. "Ci aiuterà, Logan?"

Lui non si fece pregare. Rimanemmo qualche altro minuto a chiarire la situazione, e i possibili scenari, e rispondere alle sue domande; poi arrivò finalmente il momento di andare via. Shaw insistette per aiutare Rose a rimettersi il suo cappotto.

"È stato davvero un piacere rivederla, signorina Weasley," gli sentii dire sottovoce. "Mi chiedevo - mi chiedevo se un giorno di questi le andasse di prendere un caffè insieme."

Lei mi spiazzò, sorridendogli e annuendo. "Mi piacerebbe molto. Grazie per averci ascoltati, e per aver deciso di aiutarci," gli strinse appena l'avambraccio. "E mi chiami Rose."

Mi raggiunse vicino alla porta, salutò Shaw con un cenno della mano - lui era rimasto incantato a guardarla - e poi sgusciò fuori dalla stanza, non lasciandomi altra opzione che seguirla.

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