28 - 𝑰'𝑚 𝑎 𝑚𝑒𝑠𝑠
{Albus e Scorpius}
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Ho bisogno di aiuto, pensai, affranta, guardando le mie dita insanguinate, le gambe e le braccia piene di graffi rosso vivo e gli occhi iniettati di sangue.
Lo specchio mi restituì l'immagine di una persona distrutta, e sveglia, come ormai sette giorni a quella parte, nel bel mezzo della notte.
Strofinai in maniera assente il sangue via dalle braccia bianche e poi dalle dita, per scoprire, senza esserne troppo sorpresa, che avevo le unghie spezzate.
Mi morsi le labbra mentre mi sedevo sul bordo della vasca e prendevo un respiro profondo, gli occhi chiusi.
L'ennesimo incubo stavolta mi aveva impedito di dormire anche solo due ore di seguito. Ero così stanca che mi veniva da piangere, così stanca che mi sarei addormentata là, in piedi come un cavallo, se solo non avessi avuto paura di fare un altro brutto sogno.
L'unica persona che mi era stata accanto quella settimana d'inferno, Noah, di certo non potevo chiamarla. Lui era così fortunato a poter riposare nel suo letto, non avevo il cuore di svegliarlo e obbligarlo a passare la notte alzato con me.
Da quando Caleb Thomas era stato portato via da Hogwarts, nessuno aveva più prestato attenzione a Noah e a quando mi si avvicinava. E soprattutto, non c'era più nessuno cui importasse.
Erano i momenti come quelli, gli attimi che seguivano gli incubi che mi facevano soffocare le urla nel cuscino, che ero nel massimo della consapevolezza, lucida come mai ero durante il giorno.
Era durante quelle ore che mi accorgevo che se tutti i miei amici erano scappati, era solamente colpa mia. Ogni volta che avevano provato ad avvicinarsi li avevo letteralmente fatti scappare a furia di urlargli contro: persino Neville quando avevo lezione con lui evitava il mio sguardo.
E la cosa peggiore era che, nel bel mezzo delle litigate, io non mi accorgevo che la furia che si impossessava di me, la voglia di rompere qualcosa - tutto - e gli urli non erano emozioni normali, non erano gesti che avrei fatto tutti i giorni.
Sapevo che in me c'era qualcosa che non andava, perché quando di notte ci riflettevo su me ne accorgevo, ma se pensavo di parlarne con qualcuno, ecco che montava una rabbia violenta che mi faceva allontanare anche le ultime due persone che non volevano lasciarmi, cioè Izzy e Hugo.
Malfoy era stato il primo che dopo la litigata epocale della settimana prima aveva fatto le valigie ed era sparito dalla mia vista. Mi evitava come se fossi stata un'appestata, e la stessa cosa Albus.
Persino i miei genitori avevano smesso di scrivermi, Lily non sopportava le mie scenate e una volta mi aveva pure impresso una bella cinquina per farmi calmare. Hugo l'aveva conciata per le feste intimandole di non azzardarsi mai più a fare una cosa del genere, ed era stata l'ultima volta che avevo permesso a qualcuno che non fosse Noah di avvicinarsi a me.
Non sapevo neanche perché proprio lui. Forse il fatto che nelle sue parole non ci fosse altro che gentilezza mi impediva di prendermela, o forse non tenevo abbastanza a lui da curarmi troppo di cosa diceva.
Ad ogni modo, era l'unica persona con cui parlavo, e oltre a sentirmi sola, percepivo anche come il mio corpo stesse iniziando a non reggere più le tre ore massimo di sonno che mi concedevo a notte. Mi stavo spegnendo come una lucciola rinchiusa da troppo tempo in un vasetto di vetro.
Entro tre giorni sarebbero però iniziate le vacanze invernali. Era ironico come quando ero stata a casa non avevo visto l'ora di tornare ad Hogwarts, e invece ora che ci stavo l'unica cosa che volevo era tornare nella mia camera e non uscire mai più.
Mi alzai e spensi la luce, lasciando passare un paio di minuti perché i miei occhi si abituassero al buio, e poi uscii dal piccolo bagno.
Trovai però Izzy di fronte a me con una lucina in mano, che mi guardava. Per non urlare dovetti portarmi una mano alla bocca, e lei notò in che condizione era ridotta, piena di graffi e morsi, e allargò gli occhi.
"Rose - stai male? Che cosa hai combinato?" chiese ansiosa, accarezzandomi il viso.
La scostai delicatamente. "Niente, Iz, torna a dormire."
La superai e scostai le tende del mio letto a baldacchino per potermici mettere dentro, ma lei mi seguì mettendosi a gambe incrociate sulle coperte. Aveva gli occhi gonfi dal sonno e i capelli spettinati, ma mai le avevo visto un'espressione più decisa stampata in viso.
"Ora mi racconti che cosa c'è che non va, Rose, e non intendo accettare un no come risposta."
Agitò la bacchetta per accendere le luce, e io già la stavo per rimproverare perché avrebbe svegliato Kalea e Livia, quando scoprii che i loro letti erano vuoti; e non solo vuoti, ma intatti.
Izzy osservò la mia faccia perplessa e scrollò appena le spalle. "Kalea sta come sempre da Logan. Se fossi un suo compagno di dormitorio l'avrei già cacciato fuori a calci..." scosse la testa esasperata, "e Livia non so più dove sia. Non dorme qua da ben prima che tu partissi. Magari ha trovato un ragazzo e non vuole dircelo," fece, con una punta di fastidio.
"Comunque," riprese subito dopo, prendendo le mie mani tra le sue e passandoci la bacchetta sopra finché non furono guarite, "perché ti stai comportando così?"
Mi leccai le labbra a disagio. Il suo sguardo era fin troppo penetrante per i miei gusti, trasudava sincerità.
"È per Caleb?" chiese dopo un po' vedendo che non riuscivo a formulare una risposta. Mi salì il panico, perché non sapevo neanche io il motivo per cui reagivo tanto male ad ogni cosa.
Mi passai una mano sul volto, prendendo un respiro tremolante. Izzy però mi sorprese continuando a parlare lei. "Insomma, Scorpius me l'aveva detto da subito, che forse hai una cotta per lui, anzi, che te ne sei proprio innamorata, però non ci ho voluto credere, all'inizio. Invece ora non trovo altra spiegazione al tuo comportamento, Rose."
Infilai una mano tra i miei capelli per aggiustarmeli, deglutendo. Come facevo a dirglielo? A dire che stavo impazzendo?
Perché era quello che stava succedendo, io mi stavo ammattendo. Non ci sarebbe stato nessuno in grado di aiutarmi, avevo un problema serio, e non riuscivo neanche ad aprirmi con la gente che amavo.
Non mi accorsi di avere gli occhi umidi finché Izzy si allarmò nel vedermi piangere silenziosamente. "Allora è vero?" chiese sgomenta, passandomi un braccio attorno al collo per attirarmi a sé in un abbraccio.
Il suo profumo dolce, di vaniglia, mi accolse come faceva quello di Malfoy ogni volta che mi baciava. Posai la fronte sulla sua spalla mentre lei mi massaggiava piano la schiena. "Tranquilla, Rose," la sentii dire, "troveremo un modo. C'è sempre, un modo."
"Non amo Caleb," dissi a bassa voce, quasi sussurrando. Mi tirai indietro e mi asciugai con i palmi delle mani le lacrime, tirando su con il naso. "Non lo amo, Izzy. Non è questo."
Si legò i capelli in una crocchia scomposta, evidenziando le guance scavate che non le avevo mai visto addosso. "Che sta succedendo allora? Di giorno sembri un'altra persona, e invece ora sei la Rose di sempre..."
Mi pizzicai il ponte del naso cercando di trovare le parole giuste per dire alla mia migliore amica che stavo diventando pazza, quando mi resi conto che era un gesto che avevo visto da Malfoy, e mi distrassi un'altra volta.
"Sono tutti arrabbiati con me, vero?" sussurrai, titubante. "Anzi, mi odiano."
"Non ti odia proprio nessuno," replicò decisa Izzy, "è solo che a molti non va di farsi urlare contro ad ogni cosa, ecco tutto."
Dovevo dirglielo. Lei era la mia metà migliore, e avrebbe potuto aiutarmi. A tenerlo per me la situazione sarebbe soltanto peggiorata, ne ero certa, il problema era che non era proprio facile ammettere di star impazzendo. In primis era ardua per me stessa accettarlo, e soprattutto avevo paura delle conseguenze.
Sarei stata sbattuta al San Mungo tra i malati di mente? Era una conseguenza dello stress provato la settimana prima? Alle persone normali al massimo spuntava un brufolo, io perdevo la bussola. Totalmente okay.
"Izzy," feci a bassa voce, guardandomi le dita intrecciate tra di loro. Le parole mi morirono in gola. Dovevo riuscire ad aprirmi, dovevo farcela, per il mio bene e per quelli attorno a me era fondamentale.
"Izzy, io sto diventando pazza."
La mia amica si lasciò sfuggire un rantolo sorpreso. Si sporse verso di me incredula, io la fissavo inespressiva. "Che cosa hai detto?"
"Ho detto che sto impazzendo. Da quando Caleb è stato portato via non ho più il controllo delle mie azioni. Vi rispondo male quando in realtà non vorrei assolutamente farlo, anzi, desidero scusarmi. E più vi amo, più vi ferisco." aggiunsi, cogliendomi da sola alla sprovvista. Era però vero: più mi accorgevo che tenevo alle persona contro cui gridavo, più subito dopo realizzavo quanto effettivamente le volessi bene, e mi mordevo le mani all'idea di averla fatta soffrire.
L'unico che non mi pentivo di aver trattato male era Malfoy, perché mi ricordavo chiaramente che una settimana prima - l'ultima volta in cui avevamo avuto contatto, perché poi non ci eravamo neanche più guardati in faccia, - era stato proprio il Serpeverde il primo a reagire male al mio desiderio di non volermi confidare con lui. Se poi gli avevo urlato addosso era colpa dell'asprezza con cui mi si era rivoltato contro, non certo per gli scatti d'ira che mi colpivano come un fulmine a ciel sereno.
Dovevo ammettere però che mi mancava davvero tanto passare del tempo con lui. Soprattutto se pensavo a quanto l'avventura appena trascorsa ci aveva legati, mi si stringeva il cuore nel rendermi conto che probabilmente quel filo che ci legava, frutto di amicizia, complicità, paura che accadesse qualcosa di male all'altro, passione e felicità intrecciati tra di loro, si era spezzato per sempre a causa di un litigio.
Ero anche consapevole che di certo non saremmo tornati al rapporto che avevamo prima, fatto di baci segreti e sussurri nascosti, né tantomeno a quello precedente, di scherzosi dibattiti e semplici uscite di gruppo, ma avevo la sensazione che non avremmo riacquistato neanche le discussioni e la competizione per i voti e gli sguardi assorti. Non avremmo più dato spettacolo nella Sala Grande né fatto i matti per chi risultasse il migliore a Quidditch, non saremmo stati più in grado di far divertire i compagni a lezione o di insultarci ogni volta che aprivamo bocca con l'altro nelle vicinanze.
Io ero anche sicura che almeno per il resto dell'anno non sarei riuscita più a guardare un ragazzo, a pensare ad uscire con qualcuno o a - follia - baciarlo, perché il suo tocco sul mio corpo era fresco nei miei ricordi e perché nessuno mi avrebbe più dato il brivido che provavo nel vederlo.
Non credevo affatto per lui fosse la stessa cosa, anche perché era per suo volere che non ci rivolgevamo la parola, per quanto io avessi messo la mia parte perché ciò accadesse. Avrei voluto andare da lui e scusarmi, ma di notte era il mio orgoglio ad impedirmelo, in quanto non avrei potuto spiegare perché mi stavo comportando così senza dire anche che stavo partendo di testa, e di giorno avrei voluto soltanto prendergli il viso e sbatterlo contro una parete.
Mi sentivo come il Dottor Jekyll alle prese con Mister Hyde nel romanzo di Robert Louis Stevenson, e non mi rincuorava affatto sapere come finiva la sua storia.
Izzy sbatté le palpebre. "Stai scherzando."
"Ti sembra che stia scherzando?" ringhiai in risposta, pentendomi di averne parlato con qualcuno, con lei. Sapevo che nessuno avrebbe capito quello che stavo passando, ne ero certa. "Non ho più il controllo delle mie emozioni, è soltanto dopo gli incubi che riacquisto lucidità e tu mi dici che sto scherzando?"
"No!" si affrettò a dire nel panico, allargando gli occhi castani e afferrandomi la mano, "no, assolutamente! È che - non lo so, pensavo fosse perché Caleb è andato ad Azkaban e che tu fossi innamorata di lui, per quanto
assurdo, ma di certo non mi aspettavo - be', questo," concluse abbassando lo sguardo.
Tutta l'irritazione che aveva scatenato in me con la sua domanda incredula svanì immediatamente. Mi massaggiai piano le
tempie, cercando di riordinare i pensieri.
Non dovevo reagire così. Non potevo farlo.
"Mi dispiace così tanto di averti trattata male in questi giorni," ammisi infine, sentendo l'impellente bisogno di rimediare a tutte le cazzate che avevo combinato, "vorrei smetterla, vorrei ritornare la Rose di prima, ma ho paura che non succederà mai. E io preferisco andare via piuttosto che ferire voi, che amo più della mia vita," conclusi sospirando.
Izzy corrugò appena le sopracciglia. "Che stai dicendo? Andartene? Da Hogwarts?"
Da quando non avevo più capacità di tenere a bada le mie reazioni non avevo il coraggio di mettere piede fuori dal dormitorio, se non per le lezioni che dovevo necessariamente seguire, per cui tutto il tempo che avevo avuto libero, e che non passavo a sbollire la rabbia, lo dedicavo al riflettere.
Non stavo bene con me stessa e la mia presenza faceva stare male pure gli altri, le persone che per me significavano tutto. Non potevo continuare così, anche perché d'altronde non avevo certezze che la mia infermità non si sarebbe ulteriormente aggravata, anzi.
Mi costrinsi a parlare, anche se non avrei voluto fare altro che raggomitolarmi sotto le coperte e non uscirne mai più. "Mi dispiace, Izzy, ma adesso sono lucida solo di notte, dopo gli incubi, che mi schiariscono le idee. Potrebbe non essere più così, alla lunga, e la rabbia che mi prende trasformarsi in qualcosa di più. Non voglio perdere il poco controllo che mi rimane, e farvi fisicamente del male. È una cosa che non mi perdonerei mai," sussurrai strofinandomi gli occhi che bruciavano dal sonno e dalla voglia di piangere.
I suoi, enormi e scuri alla fioca luce della lampada ad olio, luccicavano per lo stesso motivo. "Ma non puoi andartene. A casa tua ci sarebbe lo stesso problema. Ti prego, rimani. Troveremo una soluzione insieme, Rose, te lo giuro—"
Scossi appena la testa. L'espressione da cucciolo ferito che indossava rendeva per me ancora più difficile metterla al corrente di ciò che intendevo fare. "Per questo non tornerò neanche a casa. Andrò via. Forse in Europa, in Francia dallo zio Bill e zia Fleur, oppure in America. Qualsiasi posto, purché sia abbastanza lontano."
Il pensiero di trasferirmi e non rivedere più la mia famiglia mi angosciava. Mancavano poco più di tre mesi e avrei compiuto diciotto anni, e sarei stata legalmente maggiorenne anche in tutta Europa per i Babbani, per cui avrei dovuto far attenzione soltanto per quel breve periodo di tempo, e guardarmi da tutte le persone che mia madre e mio padre avrebbero potuto sguinzagliare per ritrovarmi; poi la mia nuova vita sarebbe potuta cominciare, in assoluta solitudine.
"E se provassimo al San Mungo?" chiese con pur poca speranza nella voce. La bocca le tremò, si tirò le ginocchia al petto rabbrividendo per il freddo. "Ci sono i migliori medici dell'Inghilterra."
Presi il mio cuscino e me lo abbracciai, affondandovi il mento. "Non lo so. Se dovessero capire che non c'è cura, mi terrebbero là per rendermi inoffensiva, ma preferisco scappare a vita piuttosto che morire in una stanza con la camicia di forza."
Izzy si lasciò sfuggire un lamento esasperato. Con mia grande sorpresa si alzò in piedi e diede un calcio alle assi in legno del mio letto a baldacchino, furiosa improvvisamente, e poi mi fulminò con lo sguardo. "Basta con questi piani del cazzo, Rose Weasley. Hai bisogno di una mano, hai bisogno di qualcuno che ti stia accanto cui non importi niente delle conseguenze. Io sono quella persona per te, ti sto offrendo tutto quello che ho in questo preciso istante. La tua famiglia ha il diritto di sapere, esattamente come tutti gli altri, altrimenti non farai che accrescere il loro dolore, e soprattutto il tuo. Albus è il tuo migliore amico e si sta disperando per come stai, Hugo che è tuo fratello non fa che combinare guai per distrarre la gente dal parlare di te, e tu che fai? Stai qua a piangerti addosso."
Fece un grosso respiro, gli occhi accesi dalla rabbia. Puntò sul fatto che fossi troppo impegnata a guardarla come un pesce lesso, con la bocca spalancata, per risponderle. "E se hai paura di ciò che succederà è normale. Quest'anno hai affrontato tante di quelle cose orribili che mi meraviglierei se tu non fossi partita di testa, ma non sei l'unica a soffrire. Potresti benissimo solo essere affetta dal disturbo post traumatico da stress, che sarebbe perfettamente risolvibile."
Mi puntò un dito contro. Già da in piedi era di diversi centimetri più alta di me, figurarsi quando io ero seduta. "Perciò invece di farmi incazzare, ora ci mettiamo a dormire, e domani andiamo in Sala Grande e fai vedere a tutti che stai benissimo, mi hai capita? Parleremo con chi dobbiamo parlare e risolveremo questa situazione, esattamente come facciamo sempre."
"E se non fosse possibile? Se non ci fosse una soluzione?" replicai con tono di sfida, ma in realtà ero assurdamente preoccupata. Il suo discorso accorato mi aveva scaldata dentro, mi aveva fatta rendere conto che l'amore che provava nei miei confronti era ben più grande di quanto pensassi, eppure la verità era che c'erano ben più cose storte rispetto quanto raccontava lei.
"Se non c'è una soluzione io non ti lascio comunque, Rose. Significa solamente che ci rimboccheremo le maniche e che pianificheremo qualcos'altro. Non ti lascio sola," esclamò solennemente mettendomi una mano sulla spalla. "E se l'unica cosa rimasta da fare sarà scappare, scapperemo insieme," decretò infine.
La fissai sbalordita. Era risoluta, decisa come mai l'avevo vista, fiera nello sguardo e dritta nella postura. E sapere che era la mia migliore amica mi riempì di gioia, e di orgoglio.
Non le avrei mai permesso di rovinarsi la vita per colpa mia, di vivere come una fuggitiva fin dai diciassette anni, ma sapere che era disposta a farlo per me era così bello che le sorrisi ampiamente. "Grazie," dissi, ma in quell'unica parola era racchiusa tutta la gratitudine che provavo in quel momento.
Lei mi restituì un sorriso, se possibile, ancora più grande. "Tu sei la persona più importante nella mia vita. Mi hai accolta come una sorella, i tuoi genitori come una figlia, non c'è stato un momento in cui non mi hai aiutato quando ne avevo bisogno. Per te ci sarò sempre, Rose. Per favore, non dubitarne mai più," completò gettandomi le braccia al collo.
La strinsi forte a me, grata di aver trovato qualcuno di così speciale e chiedendomi che cosa avessi fatto per meritarmelo. Era fondamentale per me sapere che sarebbe rimasta al mio fianco anche qualora non ci fosse stato più nessun altro, che mi avrebbe appoggiata e sostenuta, quando e se avessi mai ceduto. In pochissimi potevano dirsi così fortunati da avere qualcuno del genere accanto.
Ci infilammo sotto le coperte del mio letto come facevamo da bambine mentre stavamo a casa mia durante le vacanze di Natale, strette l'una all'altra e ridendo come delle sceme. Ci addormentammo in pochissimo tempo, stremate dall'ora passata sveglie nel cuore della notte, ma contente di essere tornate amiche esattamente come prima.
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"Era solo una sostituzione, Paige!" sbuffai esasperata per l'ennesima volta, di fronte alle insistenze di Paige Halsey, alias la ragazza che aveva giocato da Portiere al posto mio quando ero stata a casa a inizio dicembre. Tra l'altro, aveva pure fatto perdere la partita a causa della sua incompetenza, e adesso voleva conservare il posto in squadra. Roba da matti.
Paige mi guardò male. Sembrava pronta a mollarmi un ceffone di fronte a tutto il tavolo dei Grifondoro che assisteva attentamente al battibecco. "Non mi interessa! Te non ci sei stata e io ho dovuto prendere il tuo posto. Adesso quel che è fatto è fatto!" replicò, cocciuta come un mulo. Dietro di lei il suo ragazzo, un anno più piccolo, annuì per sostenerla.
Mi pentii per la centesima volta di aver dato retta a Isabelle ed essermi fatta convincere a scendere a colazione la mattina dopo. Già da subito la giornata era iniziata con il piede sbagliato: c'eravamo svegliate con un sole insolitamente caldo per essere metà dicembre, che aveva trasformato la soffice neve bianca nel parco in fanghiglia appiccicosa, che avremmo dovuto attraversare per raggiungere le serre di Erbologia il pomeriggio.
Poi come ero scesa già in Sala Comune i miei compagni mi avevano guardata con tanto d'occhi, per cui inutile dire che una volta messo piede in Sala Grande un brusio si era sollevato all'improvviso, e mi ero ritrovata davanti alle porte con lo sguardo di ogni singolo studente e professore puntato addosso.
Ad Albus erano scivolate le posate di mano, Noah e Izzy ai miei fianchi si erano scambiati un sorrisetto d'intesa e di vanto, come a sottolineare che se ero uscita dalle coperte era tutto merito loro.
Dal canto mio non mi ero accorta che fosse passata una settimana intera dall'ultima volta in cui mi avevano vista in un luogo comune, ovvero quando avevano tutti scoperto che ero un'Animagus e quando a detta loro avevo fatto sbattere Caleb ad Azkaban io stessa.
A lezione avevo sempre evitato di farmi vedere, non avevo rivolto parola a nessuno, e perciò mi resi conto che parve ancora più strano quando la prima persona che approcciai fu Paige Halsey.
Ci avevo riflettuto sopra, e l'unico modo per ritornare alla normalità, contando sull'aiuto di Izzy per ridurre gli scatti d'ira, era contare sulla mia popolarità per riprendermi tutti i ruoli che avevo a scuola, a partire dal mio preferito, il Portiere, e Capitano, della squadra di Quidditch.
Peccato che Paige non era stata dello stesso avviso, dato che si era rivoltata soffiando come un gatto appena le avevo detto che non serviva più che mi sostituisse.
"Ascolta, Paige, non te lo ripeterò ancora," esclamai scaldandomi, e delle risatine sparse attraversarono la folla di Grifondoro che aveva l'aria di divertirsi un mondo ad ascoltare noi che discutevamo. "Il posto nella squadra dei Grifondoro è mio. E non solo è mio, ma io sono anche il Capitano, ti ci ho messa io, al mio posto. E ciò significa che come te lo dico, tu alzi il culo e te ne vai."
Forse era stato un po' troppo brutale.
Paige fece una smorfia. "Oh, mi dispiace, ma non ti tratterò con il guanto soltanto perché sei una Weasley, perché Caleb ti ha quasi ammazzata, e perché sei un'Animagus. A me non me ne frega niente, e ciò significa che io rimango in squadra. Ora sparisci."
Sorrisi indolente, incrociando le braccia al seno. "Whoa, tu sì che mi fai paura. Ora che mi hai detto davanti a tutti che non ti sono simpatica, andrò a piangere un angolino."
"È inutile che fai del sarcasmo, Weasley," scattò Paige alzandosi in piedi e fronteggiandomi. Se c'era un motivo per cui l'avevo scelta come Portiere, era perché oltre a saper volare discretamente era anche alta e grossa abbastanza da poter coprire più anelli senza dover muoversi troppo, data la scarsa agilità, ma adesso non era un aspetto che mi stava piacendo. "Sei solo una stronzetta che pensa che tutto le sia dovuto. Be', sorpresa, non otterrai niente da me."
"Strano, avrei pensato fossi io, il Capitano. Che c'è, hai le orecchie tappate, Paige? Ti ho detto che il posto è mio, e non accetterò altre obiezioni," conclusi girando i tacchi per andarmene, ma la sua mano scattò e mi afferrò per il gomito strattonandomi all'indietro con tale forza da farmi barcollare.
"Fottiti, puttana che non sei altro. Perché non torni a farti Malfoy e lasci stare noialtri in pace?" sibilò arricciando il naso aquilino. La smorfia che le distorse i lineamenti mostrò sia quando irritata fosse dalla mia ricomparsa, sia quanto avesse in realtà paura della mia influenza.
Il tavolo dei Grifondoro ammutolì. Realizzai in seguito le sue parole. Mi aveva dato della puttana?
Non sarebbe vissuta abbastanza a lungo da vedere il sole tramontare, poco ma sicuro.
Una mano mi si posò sulla spalla, sorprendendomi, ed impedendomi di prenderla per i capelli. In un impeto irrazionale pensai fosse Malfoy, venuto come al solito a sistemare uno studente poco simpatico con una frase ben piazzata, oppure Izzy, che aveva capito che mi stavo scaldando ed era pronta ad intervenire per evitare che scoppiassi come una bomba ad orologeria.
Invece mi ritrovai al fianco Julian Walker, che fissò i suoi limpidi occhi color giada su Paige. "Non hai nessun diritto di prendere il posto di Rose. Nessuno in squadra ti vuole, per cui meglio se te ne vai," proferì, gelido come un pezzo di ghiaccio.
Paige strinse la bocca in una linea sottile e afferrò per il braccio il fidanzato, tirandoselo via come una bambola di pezza. Uscirono insieme dalla Sala Grande, e nel momento di silenzio che seguì si sentirono le urla di lei. Di certo non aveva apprezzato come Julian l'aveva messa a posto quanto me.
"Che dire," fece il ragazzo sollevando appena le spalle, "è una liberazione non avere più a che fare con lei."
Mi sorrise ampiamente, e un senso di benessere che non sentivo da giorni mi invase lasciandomi sorpresa. Le sue labbra rosee si tesero, i denti bianchi e dritti scintillarono. Un sorriso davvero cambiava completamente il suo viso, di una bellezza comune ma non per questo meno affascinante.
Accennò un inchino che fece ridere il tavolo e Izzy accanto a noi. "Ed è un piacere averti qui tra di noi, Capitano Weasley. Dico bene?" gridò poi al resto dei Grifondoro, che iniziò a battere le posate sui piatti facendo un baccano assurdo.
Mi misi a ridere, deliziata dall'accoglienza calorosa e dalle attenzioni di Julian, che mi avvolse le spalle con un braccio. "Fai colazione con me?"
Accanto a lui i suoi amici presero a fare versi strani, uno di loro fece l'occhiolino ad Izzy che arrossì e sorrise compiaciuta. Sorrisi al ragazzo che attendeva una risposta. "Certo."
I ragazzi fecero spazio scalando, e fui lì lì per mettermi a sedere quando mi accorsi di Noah, che era rimasto in piedi alle mie spalle, lievemente a disagio. "Forse dovrei andare..." fece schiarendosi appena la gola.
"Stronzate," replicò Julian, senza neanche pensarci, "gli amici di Rose sono amici miei. Vieni, siediti qua."
La colazione si svolse in completa armonia e allegria, tanto che anche se per poco tempo, mi dimenticai dei problemi che mi affliggevano e della situazione con Albus che ancora mi pesava sul cuore. Lui ci fissava dall'altra parte della Sala, ma non si era neanche alzato per venirmi incontro, per cui dedusse fosse ancora arrabbiato.
Decisi di non volermi rovinare però la giornata che era istantaneamente migliorata soltanto per le bizze che faceva mio cugino, e per gli sguardi tempestosi di Malfoy al suo fianco: se avessero voluto parlarmi l'avrebbero fatto senza problemi, non c'era bisogno di angosciarsi.
Trascorsi rilassata e sorridente ogni attimo della pausa prima dell'inizio delle lezioni, godendomeli fino all'ultimo, non entusiasta di dover affrontare quella giornata di studio ma lieta di aver ritrovato, anche se per poco, un piacevole equilibrio interiore.
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