26 - 𝑆𝑎𝑣𝑒 𝑚𝑦𝑠𝑒𝑙𝑓
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L'unica cosa che riuscivo a vedere nitidamente era l'espressione terrorizzata di Albus, e Izzy intrappolata tra le braccia di Malfoy, che le impediva fermamente di gettarsi verso me e Caleb, il quale mi stringeva il collo con una mano e lo punzecchiava tramite la punta della bacchetta con l'altra.
Quest'ultimo ghignò crudelmente, rivolgendosi a loro tre e a James, la faccia irriconoscibile per quanto era macchiata di sangue. Fino a quel momento non avevo neppure visto Teddy, che si reggeva con una smorfia il braccio, e aveva i capelli bianco neve macchiati di marrone scuro. Altro sangue.
"Se accennate un solo passo, io la uccido. Posso farla morire in pochi, dolorosissimi secondi bucando l'aorta. Sei agitata, Rose? Sento i tuoi battiti veloci," rise profondamente divertito. Vidi Malfoy digrignare i denti e Albus asciugarsi il sudore, dato dall'agitazione, che gli imperlava la fronte.
Tutta la scuola, radunata a cerchio attorno a quello che era stato il potentissimo scudo di Caleb e adesso attorno a me e lui, era in rigoroso silenzio, consapevole della minaccia reale del loro compagno, e del fatto che la mia vita fosse seriamente in pericolo.
Io chiusi gli occhi. Le espressioni sgomente e spaventate a morte di tutti quelli che mi circondavano non mi aiutavano per niente a rimanere calma, preferivo semplicemente non vederle.
Avevo cercato di dare a Caleb tutte le possibilità del mondo, ma lui si ostinava a rimanere nella scia distruttiva che si era creato, a indossare la maschera di cattivo ragazzo che pensava fosse l'unica adatta a lui.
Era sordo alle mie richieste e implorazioni, e da come mi aveva detto, riteneva che stessi mentendo e che non volessi realmente aiutarlo, quando io in verità - e non sapevo neanche perché, dopo tutto quello che mi aveva fatto, - non volevo fare altro.
Iniziai a guardarmi intorno nella speranza che spuntassero all'improvviso i professori, che era assurdo non si fossero già presentati per rimettere tutti in riga, considerando che non c'era un singolo studente in tutta Hogwarts che stesse nel dormitorio.
Dov'erano finiti tutti?
"Non darti pena a cercare aiuto, cara Weasley," Caleb mandò in frantumi le mie speranze alitandomi fastidiosamente sul collo, "ho dato una bella quantità di Distillato Soporifero ad ogni insegnante, tanto che dormiranno tutti probabilmente fino a mezzogiorno," spiegò, fiero di sé.
Rantolai deglutendo faticosamente. "Senza l'approvazione della Preside gli Auror non possono varcare le difese magiche di Hogwarts," considerai, allibita dal suo piano perfetto, che al contrario di quelli di Al continuava a filare senza un intoppo.
Ecco perché rimaneva fermo là a sorridere come se avesse avuto tutto tempo del mondo, nonostante l'uso di una Maledizione senza Perdono avrebbe dovuto far comparire Auror a vista d'occhio nel giro di pochi minuti.
Loro c'erano, non erano soltanto in ritardo o a dormire, il problema era che stavano fuori le difese e senza la Preside non sarebbero potute essere buttate giù.
"Ma come siamo perspicaci, oggi!" trillò entusiasta Caleb, facendo scorrere la punta di legno della bacchetta lungo la mia gola. La infilò sotto il mio mantello, sganciando l'unico bottone che teneva insieme i due lembi. Un freddo gelido mi colpì direttamente, non protetta più dalla lana pesante dell'indumento.
"Ora ti dirò quello che faremo, Rose," mi disse poco dopo abbassando la voce perché lo sentissi solamente io, "per scappare, ho bisogno della Passaporta che ho collocato su un passaggio della torre ovest del Castello, proprio lassù." Indicò con il dito la torre più a sinistra.
Non riuscii a credere che avesse addirittura fatto in modo di creare una Passaporta. Se solo ogni sua azione non fosse stata finalizzata ad uno scopo malvagio, sarebbe stato il mago più brillante della nostra generazione, ne ero certa.
Sospirò, abbattuto. "Il problema, è che per arrivarci mi serve la tua scopa. So che saresti disposta a darmela, però, vedi, se io ti lascio andare mi bombarderanno di incantesimi. Perciò verrai con me, e ci rimarrai finché io non sarò al sicuro dall'altra parte dello Stato. Tutto chiaro?"
Annuii appena. L'idea che sarebbe scappato facendola franca dopo tutto il male che mi aveva provocato era disgustosa. Volevo che affrontasse i suoi problemi e che li risolvesse, non che fuggisse rimanendo una minaccia per me e per la mia famiglia.
Per quanto però potessi implorarlo e ribellarmi, sapevo che non avrebbe cambiato idea, perché il suo folle piano l'aveva architettato in mesi e mesi di tempo, e non sarebbero bastate due parole ben piazzate per portarlo dalla mia parte.
Appellò la mia scopa, poi mi ci fece montare a cavalcioni e si piazzò dietro di me, circondandomi i fianchi con una mano e continuando a reggere la bacchetta con l'altra.
Incrociai gli occhi di Albus, che scuoteva la testa disperato. "No, Rose!" sbottò compiendo un passo verso me e Caleb che fece irrigidire quest'ultimo. "Non andare, ti prego."
"Mi dispiace, Potter, ma dovevi pensarci prima, quando facevi lo spaccone con quel coglione del tuo amico, dandovi arie come se foste gli eredi di Salazar Serpeverde. E adesso mi duole informarvi che è un po' tardi per il pentimento," concluse secco Caleb, dando la spinta con i piedi perché la scopa si alzasse da terra.
Viaggiare in due era sicuramente scomodo: non avevo spazio per sistemare i piedi senza toccare i suoi, e il suo braccio attorno alla mia vita per reggersi era fastidioso e opprimente. Mi venne la mezza idea di disarcionarlo adesso che non mi puntava più la bacchetta al collo, ma considerando l'altezza che stavamo guadagnando con un volo del genere l'avrei soltanto fatto ammazzare.
Raggiungemmo in un minuto massimo i merli della torre. Erano alti un metro, di pietra scura, e tra questi e la torre ovest c'era un piccolo passaggio della stessa misura di larghezza. Più avanti il passaggio proseguiva sospeso nel vuoto fino a raggiungere un'altra torre, ed era là che doveva stare la Passaporta di cui aveva parlato.
Appena fummo con i piedi per terra, la prima cosa che fece Caleb fu gettare la mia scopa dalla fila di merli che offriva un minimo di protezione dal cadere giù, e vidi la mia unica speranza di fuga atterrare due metri e mezzo più sotto, sulla superficie piatta che costituiva la copertura di un'altra torre un po' più piccola.
Mi sarebbero dovute spuntare le ali per recuperarla.
Caleb sogghignò compiaciuto. Non soffrivo in genere di vertigini, ma a quell'altezza spropositata era impossibile non provare paura all'idea di cadere, perciò mi premetti contro la parete della torre cercando di respirare a fondo. Lui mi passò accanto come se niente fosse, e poco dopo ritornò davanti a me.
Trasudava soddisfazione da tutti i pori. "Sono lieto di informarti che la mia Passaporta è esattamente lì, e che a breve andrò via."
"Che cosa aspetti, un bacio d'addio?" sbottai sarcastica, guardandolo storto.
Roteò gli occhi annoiato. "Fossi in te ci andrei piano con queste battute, perché non sei proprio nella posizione di farle."
"Invece di rimproverarmi per come ti rispondo, perché non mi dici che cosa vuoi e la facciamo finita?" replicai a muso duro, stanca di dover essere sempre quella che insiste per trovare un compresso.
Lo stronzo il compromesso non lo voleva, e quindi tanto valeva combattere fino all'ultimo per evitare che se la desse a gambe impunito.
Caleb sembrò sorpreso dal mio repentino cambiamento nell'atteggiamento, sgranò appena gli occhi, ma subito riacquistò un'espressione fredda e controllata. "Non l'hai capito ancora, vero? Io devo ucciderti."
Sbuffai sonoramente. "Come no."
"Dico davvero! Farò provare a tuo padre quello che ha provato il mio nel vedersi strappata via la persona cui teneva di più, senza poter fare nulla per impedirlo. I Potter vedranno il tuo cadavere cadere giù dalla torre e rimpiangeranno amaramente tutte le volte in cui mi hanno deriso e trattato male!" era tornato furibondo.
"Bla, bla, bla," gli feci il verso, annoiata. "Come sei prevedibile."
Strinse i denti, i suoi occhi scuri mandavano lampi. "È inutile che fai queste scene, non ti verrà a salvare proprio nessuno, Rose. Perché invece non fai una cosa intelligente e pensi alle tue ultime parole?"
Alzai un sopracciglio. "L'unica cosa in cui sono imbattibile è parlare," gli garantii, "perché mai dovrei smettere di farlo?"
E mentre lui realizzava ciò che avevo detto, mi staccai improvvisamente dalla parete della torre e mi gettai su di lui per strappargli di mano la bacchetta.
Con un ceffone talmente poderoso che mi fece vedere le stelle - ma che quasi gli fece perdere l'equilibrio, - mi rimandò da dov'ero venuta, facendomi picchiare la testa contro la pietra e scivolare a terra, senza neanche darmi la possibilità di sfiorarlo con un dito.
Mi costrinsi a ignorare il dolore lampante e mi tirai faticosamente in piedi. Sputai per terra un grumo di sangue che mi si era formato in bocca. "È tutto qui, quello che sai fare?" chiesi sentendo il sangue colare dalla ferita riapertasi sul labbro e macchiarmi il mento. "Mi aspettavo di più, dal grande, forte e tenebroso Caleb Thomas!"
Caleb strinse forte i pugni e mi puntò la bacchetta contro. "Apprezzo il tuo coraggio, ma non ti servirà a niente."
"Io dico che un po' di coraggio non guasta mai," replicai allargando le gambe per ottenere più equilibrio possibile.
"Non quando ti stai per beccare un'Avada Kedavra," obiettò Caleb.
Sorrisi in modo innocente. "Punti di vista."
Non ero armata di bacchetta per replicare alla fattura, né potevo sperare in un salvataggio tempestivo, perciò non mi restava che sfruttare l'agilità che avevo, essendo letteralmente la metà di Caleb, per evitare i suoi colpi.
Quando la maledizione si materializzò in una luce verde acida che puntò verso di me, fui costretta a fare un salto per schivarla e mi aggrappai con le dita ad una sporgenza sulla pietra della torre, tirando su le gambe.
La fattura si andò ad infrangere contro la parte di merlo che avevo alle mie spalle, provocandone la distruzione, e lasciando quindi una parte di pavimento fumante a strapiombo sull'erba del giardino, e mancante di protezione.
Mi lasciai ricadere a terra piegando di poco le ginocchia per non perdere l'equilibrio, e guardai Caleb alzando un sopracciglio. Fare gli allenamenti di Quidditch serviva a qualcosa, testa di cazzo.
"È inutile che scappi!" sbottò lui, irritato dal fatto che mi aveva mancata, continuando a impugnare la bacchetta contro di me, "non è saltando come un coniglio che eviterai per sempre la morte."
"Ah no?" replicai sarcastica, "allora stammi a guardare."
Il ragazzo gonfiò il petto dalla stizza e piegò le labbra in una smorfia spietata nel mandarmi di nuovo la stessa fattura contro, che stavolta riuscii ad evitare per puro miracolo gettandomi a terra e che con un sibilo ben distinguibile si perse nel vuoto dietro di me.
Mi alzai velocemente con un colpo di reni e iniziai a correre per il passaggio protetto dai merli, mentre Caleb mi inseguiva, scagliando incantesimi che li distruggevano facendo scivolare pesanti pezzi di pietra nel vuoto e lasciando pavimento bruciacchiato al loro posto.
"È inutile che corri!" mi gridò, quando mi dovetti coprire la testa da una pioggia di polvere e frammenti di pietra che si erano staccati dalla torre e piombati addosso a me. Gli feci un dito medio senza neanche guardarlo, facendolo ringhiare come un animale selvatico, e continuai a correre per raggiungere quel passaggio sospeso nel vuoto che portava all'altra torre, dove stava la sua Passaporta.
Non avrei certo potuto distruggerla, ma se avessi intrapreso quel passaggio sarei arrivata alla torre dei Corvonero, che senza farlo apposta era proprio in quell'ala del Castello, e lì sarei potuta entrare dentro spaccando una finestra. Gazza si sarebbe arrabbiato, ma ne sarebbe valsa la pena pur di sopravvivere.
Dovevo soltanto mettermi le gambe in spalla e continuare a correre, correre e correre, ed evitare i colpi mortali di Caleb, che ad ognuno che scansavo si arrabbiava di più fino ad urlare dalla frustrazione.
Una risata mi scosse il petto portandomi via anche la poca aria che mi rimaneva nei polmoni, frutto del panico e della trepidazione derivati dall'inseguimento più pericoloso - letteralmente mortale - della mia vita in cui ero impegnata.
Non mi venne da pensare al fatto che un singolo passo falso e sarei morta, precipitata giù e schiantata sul giardino, che non avrei più rivisto tutta la mia famiglia, che non avrei più abbracciato Albus, scherzato con James e Teddy, parlato fino a notte fonda con Izzy e Kalea o baciato Malfoy.
Non pensai a niente che non fosse schivare gli incantesimi letali e concentrarmi per non cadere di sotto, altrimenti sarei finita molto male.
"Basta, ragazzina," gridò Caleb, con un tono così colmo di collera che mi spaventò. L'altro colpo che sparò non fu diretto a me, ma direttamente alle pareti della torre.
Fu una mossa astuta: aveva capito che lui era troppo grosso, che non riusciva a correre lungo quel passaggio così stretto, o quantomeno non riusciva a farlo in modo veloce quanto me per potermi prendere.
Dalla parete si staccò un enorme pezzo di pietra grezza insieme ad una montagna di polvere che mi ricoprì di bianco i capelli. Per schivarla, non potendo né fermarmi di colpo né aumentare la corsa per superare l'ostacolo prima che si frantumasse a terra, dovetti schivarla di lato, gettandomi verso la protezione offerta dai merli.
Caleb, che aveva calcolato tutto alla perfezione, scelse nell'esatto momento in cui mi appoggiai ai merli per farli saltare in aria con una "Bombarda!".
Il pavimento mi si frantumò sotto i piedi, negandomi l'appoggio necessario per tenermi dritta, e per questo caddi con un breve urlo di sorpresa.
Annaspai e riuscii per miracolo ad afferrare con la punta delle dita un pezzo di pietra sporgente, sentendo i polmoni bruciare per la mancanza di aria e i muscoli delle braccia andare a fuoco.
Non avevo la minima idea di quanto sarei riuscita a tenere duro, per ora non mi sembrava di non poter mantenere la presa, ma in realtà cadere sarebbe stato inevitabile, - e allora mi sarei schiantata senza troppi tanti complimenti.
"Ma tu guarda," fece Caleb ironico, chinandosi sulle ginocchia per superare il vento che mi impediva di sentire bene le sue parole, "sembri in difficoltà, piccola Weasley."
Strinsi la presa e trattenni l'impulso di sputargli in faccia. "Stai zitto!" abbaiai fulminandolo con lo sguardo. Ormai vedevo il cielo rosa come i fiori di ciliegio alle sue spalle, una luce morbida che rendeva la sua pelle scura bella come poche. Peccato che fosse marcio dentro.
Sorrise ignorando la mia intimazione, "Sai, finora ho voluto ucciderti con l'Avada Kedavra. Non mi sono mai fermato a riflettere, che moriresti in pace, moriresti subito e senza sentire dolore," disse, prendendo le mie mani e facendomi provare per un secondo del sollievo, in quanto mi stava totalmente reggendo lui, affievolendo il dolore che provavo ai polpastrelli delle dita.
Peccato che l'alleviamento che provavo nel corpo era compensato da un enorme inquietudine nell'anima, - sapevo che se mi stava sorreggendo lui era solamente perché voleva riservarmi qualcosa di peggiore.
"E invece," continuò confermando i miei timori, "se ti lasciassi cadere, e se ti spezzassi la schiena cadendo su quella maledetta torre, proveresti il dolore peggiore della tua vita, e io ne sarei contento."
Realizzai le sue parole, che sotto di me non c'erano metri e metri di vuoto come pensavo, che all'impatto con il suolo avrebbero trasformato il mio corpo in fertilizzante per il giardino, bensì soltanto due metri e mezzo prima della pietra che costituiva il tetto di una torre più bassa.
Ritornai a guardare Caleb, e in lui non riuscii a vedere altro che quanto fosse crudele, cattivo fino in fondo, il godimento che provava all'idea che morissi nel modo peggiore che riusciva a pensare, e per questo capii che non c'era salvezza per lui.
Provai a fare un ultimo tentativo per salvare la mia pelle, invece che la sua. "Caleb, puoi evitarlo, se non mi uccidi puoi salvarti—"
"Oh smettila, Rose, di pensare solo a te stessa. Io voglio ucciderti ed è quello che farò," mi sorrise dolcemente. "Dì addio all'ultima cosa che vedrai."
Lasciò andare le mie mani in modo che fossi di muovo aggrappata ai merli spezzati soltanto con la pura forza delle mie dita.
Erano unicamente due metri e mezzo di distanza, continuavo a ripetermi. Così com'ero non sarei mai riuscita a compiere un salto del genere senza rompermi la faccia, ma in forma non umana forse avevo una speranza.
Mi concentrai il più possibile, anche le dita erano scivolose a causa del sudore e sentivo i muscoli pian piano abbandonarmi, - così decisi di tentare e mi lasciai cadere nel vuoto.
Per un attimo mi sembrò di galleggiare, sospesa in aria, e mi ritornò alla mente il volto della McGranitt durante il corso speciale che aveva tenuto solo per me lo scorso anno. I suoi occhi verdi avevano assunto un taglio felino nel mentre che li guardavo, e il suo lungo corpo si era, sotto il mio sguardo stupefatto, rimpicciolito fino a diventare quello di un gatto soriano.
Per tutto il corso ero riuscita a cambiare pochissimo di me, e a raggiungere la trasformazione completa solo una volta, con il rischio, peraltro, di distruggere la Stamberga Strillante, dove ci allenavamo.
Mi ricordai del suo consiglio, di smettere di cercare la trasformazione come qualcosa che non dipendesse da me, come qualcosa che cascasse dal cielo, e di far sì che fossi io la prima a scegliere di abbandonare la forma umana e di accogliere quella animale. Di capire che la creatura in cui mi sarei tramutata era parte di me esattamente come la Rose di tutti i giorni.
E così quando toccai terra, non fu un impatto brusco che mi provocò dolore, bensì un movimento delicato che accolsi lievemente sotto i cuscinetti delle zampe.
Non avevo modo di guardarmi, però dallo sguardo sbalordito di Caleb rimasto sulla torre più alta era chiaro che avevo sortito l'effetto sperato.
Con i miei occhi ero capace di vedere qualsiasi cosa, le facce smunte e preoccupate degli studenti sotto di me, addirittura gli occhi rossi di Izzy, e il cambiamento radicale nel viso di Albus una volta che si accorse che non avevo più la forma della Rose che conosceva.
Tutti iniziarono a urlare e a parlare con foga, e sopra il vento che lassù tirava forte mi arrivavano parole dettate dalla sorpresa, nonché l'odore fresco che spirava dalla Foresta Proibita e quello dolciastro proveniente dal Lago Nero.
"Bella mossa, Rose, davvero bella mossa," sentii dire da Caleb, e alzai il muso verso di lui in tempo per vederlo Appellare la scopa e così fare un breve volo fino ad atterrare davanti a me.
L'insulto che mi salì in gola si tramutò in un ringhio così potente che sicuramente lo avevano sentito anche i ragazzi giù. Caleb per un attimo si fermò, spiazzato dalla mia reazione, poi deglutì e cercò di assumere un'aria sicura di sé, anche se era evidente la sua paura.
"Non lo sapeva nessuno, che sei un'Animagus, no? Una leonessa, poi... che forza d'animo, lo spirito coraggioso per eccellenza," aveva un tono derisorio, eppure era evidente che quello che stava dicendo pensava fosse giusto. Era impressionato, perché lui non era riuscito a padroneggiare una magia del genere, che era per pochi eletti.
Scrollò le spalle, con aria fintamente dispiaciuta. "Peccato che leonessa o non leonessa, morirai comunque. Hai fatto un bel salto, ma non pensavi sul serio di metterti in salvo, o no?" rise sinceramente divertito.
Si mise a cavalcioni della scopa e sorrise indolente, guardandomi negli occhi. "Mi dispiace solo che tanto talento concentrato in un'unica persona sia destinato a finire così malamente."
Risposi con un ringhio, scoprii i denti nella sua direzione, e accennai un balzo: Caleb trasalì e per poco non cadde di sotto.
"Non farai tanto la stronza quando brucerai viva!" urlò, e agitò la bacchetta in aria pronunciato l'ultimo incantesimo che mi sarei aspettata potesse evocare.
"Incendio."
Dalla punta della bacchetta scaturirono fiamme che mi fecero drizzare i peli su tutto il corpo. Mossi agitata la lunga coda, spostandomi verso il bordo della pavimentazione.
Adesso sì, che era finita. Il fuoco magico invase l'intera copertura della torre, e Caleb si alzò in volo con la mia scopa per evitare di essere colpito.
Si mise a ridere sadicamente. Ormai mi rimaneva poco tempo; mi alzai sulle zampe posteriori e afferrai il retro della scopa tra gli artigli, facendogli perdere l'equilibrio. Caleb piombò nuovamente sul pavimento, e tentò di controllare il fuoco, che però divampò fino a bruciacchiargli i vestiti.
Mi acquattai al lato della pavimentazione della torre per sfuggire all'incendio, Caleb era accanto a me, e fissava un punto sotto di noi: la scopa, l'unico modo per fuggire da quell'inferno.
Avevo il fumo negli occhi e nei polmoni e vedevo poco che non fosse il grigio e il rosso del fuoco, però era nitida la sagoma della scopa appesa per miracolo ad una sporgenza della pietra.
Caleb non ci sarebbe mai potuto arrivare, aveva le braccia troppo corte, ma io se mi fossi sporta l'avrei potuta prendere in bocca. L'unico problema era che sarei stata vulnerabile agli attacchi del ragazzo che pur avendo perso la bacchetta nell'incendio comunque avrebbe potuto spingermi giù, contando sul precario equilibrio datomi dalla posizione.
Lo guardai freddamente, e anche se non potevo parlare, lui capì la situazione e alzò le mani per indicare che non avrebbe fatto niente.
Il tempo intanto scadeva: l'incantesimo che Caleb aveva lanciato, che cercava di limitare le vampate di fuoco, si stava esaurendo velocemente a causa della distruzione della bacchetta che l'aveva generato, e avevamo pochi istanti prima che fossimo fatti al barbecue.
Non ero sicura che non avrebbe cercato di buttarmi giù, ma in quanto leonessa ben cresciuta non sarei dovuta cadere tanto facilmente, no? E poi lui ci sarebbe morto tanto quanto me.
Allora piantai gli artigli nella pietra, incidendola, e mi sporsi, sentendo la muscolatura da felino tendersi al massimo mentre allungavo il collo.
Presi delicatamente la scopa tra i denti cercando di non spezzarla come uno stuzzicadenti, poi mi issai sulle zampe anteriori per tornare dritta.
Caleb, però, mi rifilò un maledetto calcio nello stomaco, colpendomi le costole con così tanta forza che fu inevitabile per me perdere la presa e cadere di lato con ancora la scopa in bocca.
Nel sentirmi precipitare mi salì ancora più il panico, agitai le zampe rossicce nel tentativo di trasformarmi. Il terreno era sempre più vicino, l'aria mi sferzava gli occhi impedendoli di aprirli, udivo solo il vento tagliente.
Che cos'altro potevo aspettarmi da Caleb? Era ovvio che avrebbe comunque provato ad uccidermi, anche se sarebbe morto anche lui nel farlo.
"Trasformati! Trasformati!" gridava Izzy con le mani a coppa attorno alla bocca. "Trasformati!"
Perdevo metri sempre più velocemente, ormai potevo praticamente vedere ogni filo d'erba e ogni viso preoccupato sotto di me. Stavo già per pregare tutti i santi che conoscevo quando mi accorsi che stavo piangendo, anzi, singhiozzando, così forte che fui sconvolta dal gesto totalmente umano che stavo facendo, anche se erano lamenti felini quelli che uscivano dalle mie fauci.
Mi ritornò alla mente le parole dolci della McGranitt quando, una volta compiuta la mia prima trasformazione, mi stava cercando di far tornare normale: "Sono le piccole cose che ti fanno rendere conto di quanto umana tu sia. Il tuo leone è parte di te come il mio gatto è parte di me, ma il motivo per cui tu sei quella che sei, la coraggiosa, intrepida, amorevole e intelligente Rose Weasley, non è perché è il tuo Animagus che lo è, l'animale con queste caratteristiche per eccellenza. È il contrario, Rose: il tuo Animagus è il tuo animale perché tu sei così. E quando capirai questo, che è il tuo lato umano a dare come conseguenza quello animale, allora capirai anche come trasformarti."
Fui improvvisamente in grado di stringere con le dita il manico della scopa. Emisi un grido di gioia, sentendomi cogliere dall'euforia, nell'esatto momento in cui presi il controllo del manufatto magico e sentii di nuovo aria pulita entrarmi nei polmoni.
Sentii Izzy gridare insieme a me, ma poi fu l'urlo di dolore di Caleb a distrarmi dall'attimo di sollievo. Il fuoco gli stava lasciando bruciature per tutto il corpo e ormai era sull'orlo del pavimento rischiando di cadere di sotto.
"Rose!" invocò, piangendo per le ustioni. Non ci pensai due volte prima di lanciarmi più velocemente possibile verso di lui, afferrarlo per un braccio e issarlo sulla scopa dietro di me.
Mi strinse la vita con le braccia, gli si stavano creando bolle bianche sulla pelle bruciata. "Perché?" chiese singhiozzando, appoggiata la fronte sulla mia spalla. "Perché mi hai salvato?"
Virai per evitare il fuoco, sentendo i capelli sciolti agitati dal vento e le lacrime sul viso asciugarsi. Il cielo ormai azzurro era un sollievo a vedersi.
"Perché io non sono come te," risposi solamente, e lui singhiozzò più forte. Planai a terra dopo qualche altro secondo in volo, nello spiazzo d'erba che gli studenti avevano lasciato libero per l'atterraggio.
Avrei voluto con tutta me stessa gettarmi fra le braccia dei miei amici, sul petto di Malfoy, o al collo di Albus e James, e sfociare in un pianto liberatorio, ma rimasi al fianco del ragazzo, che si accasciò pesantemente a terra.
"Fermi!" intimai in un ringhio che mi ricordò quello fatto sotto forma di leonessa. Tutti i ragazzi che si erano avvicinati minacciosi a Caleb, primi tra tutti i miei cugini, si arrestarono di colpo, probabilmente colpiti da come fossi diventata una predatrice della savana sotto i loro occhi e avessi giocato ad acchiapparella con un mago che voleva uccidermi.
"Dammi la mia bacchetta," ordinai a James, tendendo una mano fermamente verso di lui. Mio cugino mi guardò un attimo, inebetito, poi mi porse la mia bacchetta.
Mi chinai e iniziai ad applicare più incantesimi di guarigione possibili, per farlo ristabilire dalle ustioni così importanti che il fuoco gli aveva provocato.
"Rose," sentii dire da Albus, perplesso, "che stai facendo?"
Feci finta di non sentirlo, continuai a guarire Caleb che mi guardava in modo adorante. Mi accarezzò la mano. "Grazie, Rose."
Annuii appena, con un sorriso stanco, e mi tirai in piedi. "Non toccatelo," esalai freddamente a tutti gli altri che mi fissavano interdetti.
Albus venne verso di me, con aria polemica negli occhi. Era sicuramente contro, al pari di tutti gli altri, come avevo reagito. Non voleva che Caleb mi stesse nei paraggi, che potesse farmi ancora del male, ma in realtà lui per me ero sicura non rappresentasse più alcun pericolo.
Caleb aveva ricevuto amore nella sua vita soltanto dai suoi genitori, di cui uno era morto e l'altro cacciato dalla sua posizione prestigiosa e finito a fare un lavoro che fungeva da monito per chiunque altro decidesse di agire come lui; il fatto che io gli avessi dimostrato gentilezza, che avessi insistito per salvarlo anche dopo che lui mi aveva recato immenso dolore, doveva averlo non solo sorpreso, ma anche spinto a riflettere.
Ero certa che d'ora in poi avrebbe pensato prima di agire, che non sarebbe stato più alcuna minaccia per nessuno e che, anzi, colpito da come io avevo scelto di comportarmi nei suoi confronti, non si sarebbe più azzardato a fare qualcosa del genere.
L'aveva detto e l'avevo anche visto nei suoi occhi, che mi ammirava. Mi ammirava per le mie capacità di strega, per come mi ero trasformata e avevo seguito il corso per diventare Animagus senza dirlo a nessuno, e per come questo fosse una leonessa, la regina della savana, tra i predatori più pericolosi al mondo, - ma sicuramente erano tutti aspetti secondari rispetto alla bontà che gli avevo rivolto e che lui aveva assimilato con sbigottimento.
Non aveva mai visto una reazione tale da un estraneo cui aveva recato sofferenza, ed era per questo che era diventato così pieno di crudeltà e cattiveria. Gli bastava provare un po' di affetto per capire come approcciarsi agli altri, e non dubitai neanche per un istante di aver fatto la cosa giusta.
Ed ero sicurissima di star continuando a fare la cosa giusta anche nell'andare dalla Preside, svegliarla, spiegarle cosa Caleb aveva fatto e come desiderassi che non fosse per questo punito gravemente. Volevo che fosse ammesso ad Hogwarts, che conseguisse i suoi M.A.G.O. e che avesse una carriera normale.
Ciò che aveva fatto per rabbia e per passione non doveva incidere su tutta la sua vita, perché non capiva in che cosa si stava immischiando nel momento esatto in cui lo faceva.
Più difficile sarebbe stato inventarsi qualche scusa da rifilare agli Auror, tra cui mio padre e mio zio, che ero sicura attendevano con ansia fuori dal Castello. Ci avrei pensato con la McGranitt, qualora lei avesse scelto di assecondarmi nel porgere l'altra guancia a Caleb, se dire loro la verità e sperare nel perdono anche da parte del Ministero, se dire loro una bugia, oppure accettare rassegnata che il ragazzo andasse incontro al suo destino.
Sapevo che però avrei fatto di tutto, perché ottenesse clemenza. Non era giusto e non era formativo che fosse perdonato esclusivamente da me, doveva vedere che il mondo non era così come se lo immaginava, che le persone potevano essere risparmiate, e non soltanto punite.
Alzai una mano in direzione di mio cugino per fermarlo, lui chiuse la bocca. I suoi occhi verdi mandavano lampi, ma tutta quell'irritazione per il mio gesto era unicamente frutto della preoccupazione che aveva provato per me in quelle ore.
Inarcai le sopracciglia. "Se dici qualcosa di brutto verso Caleb ti do un calcio nelle palle, Albus," lo avvertii. Lui strinse le labbra guardandomi storto, io allora scrollai le spalle con un sorrisetto.
"Però se vuoi abbracciarmi adesso puoi farlo."
Le sue braccia mi avvolsero stretta, lasciò mille baci tra i miei capelli, e io lasciai che il suo calore passasse a me, scacciando tutto il freddo che avevo provato.
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