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La mattina non tarda ad arrivare. La neve lascia il posto al sole e l'odore dei pancakes appena caldi profuma la casa. Queste sono le ore che più preferisco della giornata. Con la faccia ancora assonnata, vado in bagno, un getto d'acqua fredda in viso e mi preparo ad affrontare questa giornata nel migliore dei modi.
"Buongiorno, papà", lo raggiungo in cucina. "Vedo che oggi ti stai dando un gran da fare", mi piace salutarlo sempre con un bacio sulla guancia. Lui si è già vestito: indossa un completo blu notte con una cravatta dal colore più chiaro. È un avvocato, il migliore della città. Lo ammiro molto e da grande vorrei assomigliare a lui almeno per la metà. Nonostante la sua fama, è un tipo che ama stare sulle sue, un tipo semplice, uno che sa apprezzare le piccole cose.
Quando Peter ed io eravamo piccoli, non c'era sera che passasse senza un suo racconto. Uno di quei racconti che ti fanno desiderare di diventare grande in fretta.
"Buongiorno principessa", mi saluta con un sorriso. "Dormito bene?".
"Sì sì", bevo del succo di frutta. "Mamma non c'è?", mi guardo intorno. La sua assenza si fa sentire.
"È appena uscita, ma ti ha lasciato questo", mi porge un post- It giallo.
Buongiorno, oggi, a lavoro, ho molte cose da fare, quindi non posso fare colazione con voi. Troverò il modo di farmi perdonare. Ci vediamo stasera. Baci. P.s: oggi tocca a vostro padre preparare qualcosa.
Per me è già perdonata, soprattutto per il suo modo originale di lasciare bigliettini ovunque.
"Per essere la prima volta che cucini, non è male", divido il pancake in quattro pezzi e ne assaggio un pezzo.
"Avevi dubbi?".
"Ecco cos'era questo buon profumo", Peter ci raggiunge proprio mentre sto per rispondere.
Per una buona mezz'ora il tempo passa così, tra musica e risate. Non pretendo altro.
Salgo in camera mia per prepararmi.
Mi siedo per un attimo nel letto a gambe incrociate e controllo le notifiche appena arrivate sul mio cellulare. Un nuovo messaggio. Niccolò.
"Buongiorno Giusy. Ho delle cose da raccontarti. Tra cinque minuti ti vengo a prendere".
Questo messaggio mi fa sorridere. Lui è fatto così. Diretto.
Ci conosciamo da tanti anni. Abitiamo nello stesso quartiere, praticamente a due passi da me. È un ragazzo che mi ha dato tanto, forse anche troppo, e pensare che da piccola l'odiavo. Nel corso degli anni abbiamo imparato a volerci bene e a sostenerci a vicenda. Niccolò mi vede come la sorella che non ha mai avuto, io lo considero un secondo fratello. Con lui posso essere me stessa e se mi giudica lo fa solo perché mi vuole un gran bene.
E forse è proprio vero quando dicono che gli opposti si attraggono. Io e lui non abbiamo proprio nulla in comune, se non la stessa età.
La nostra amicizia si è sempre basata sugli abbracci, sui messaggi inviati alle due di notte, sulle litigate, sui pianti, sulle vacanze trascorse insieme ogni anno...
Per non parlare poi di tutte le cazzate che abbiamo fatto insieme.
Ribelle, orgoglioso, e provocante: tre aggettivi che lo descrivono alla perfezione.
Mi affretto a rispondere al suo messaggio.
"Giusy, scendi. Sono già qui", mi urla da sotto. "Sbrigati. Ho delle cose da dirti".
Mi affaccio alla finestra e lo vedo appoggiato al cancello, proprio come la prima volta che ci siamo conosciuti. Sarà uno di quei ricordi che mi porterò per sempre dentro. Lui mi cambiato la vita.
"Te l'ho mai detto che sei pazzo?".
"Almeno un milione di volte", sorride. Il suo sorriso mi fa stare bene.
È un ragazzo dai capelli non tanto lunghi, ma sempre spettinati e fuori posto; un po' come quando ci si sveglia e non si ha voglia di sistemarsi. Li adoro: un pretesto per prenderlo in giro.
Il suo viso è ricoperto di lentiggini, un po' come il mio.
E poi ha quegli occhi verdi così profondi che è facile perdersi dentro. Sembra quasi che vogliano raccontare qualcosa.
La cosa che più mi piace di lui è che sa essere sempre alla moda; indossa un paio di jeans chiari e una felpa nera con un stampa colorata.
"Dammi dieci minuti", chiudo la finestra.
"Più che pazzo, io mi definirei un casino, ma almeno so farti ridere come nessun altro", continua a dire.
"Grazie", scrivo con le dita sul vetro appannato dall'umidità. Mi tremano le mani, un po' per il freddo, un po' per le sue parole.
Lui lo legge e ricambia con un altro sorriso.
Mi preparo in fretta e lo raggiungo. Scelgo di indossare qualcosa di molto semplice.
"Ciao Niccolò", lo saluto con un gesto della mano. "Vedo che oggi i tuoi capelli non vogliono collaborare", lo prendo in giro.
"Sono sempre così", cerca di sistemarli.
"Aspetta faccio io", li scompiglio ancora di più. "Ecco, adesso va meglio".
"Oh, finalmente", si rilassa.
"Allora? Cosa volevi raccontarmi con così tanta urgenza?".
"Niente", alza le spalle. "Solo un pretesto per fare una passeggiata con te".
"Stavo per farti la stessa proposta", ammetto.
"Come vedi... io ti anticipo sempre", cammina davanti a me.
"Non sarebbe la prima volta", infilo le mani nel giubbino perchè oggi è una giornata particolarmente fredda.
Camminiamo per un altro quarto d'ora parlando del più e del meno. La scuola dista circa mezz'ora da casa.
Amo passeggiare in queste ore della giornata. Si riesce a respirare un'aria diversa. Mi mancava farlo.
"Buongiorno ragazzi", si avvicina un signore dall'aspetto piuttosto malandato. Hai in mano un mazzo di Fiordaliso blu.
"Buongiorno", rispondiamo in coro.
"Le serve qualcosa?", chiedo.
"Voi due siete fidanzati?", si rivolge a noi con un' altra domanda.
Colgo negli occhi di Niccolò un certo imbarazzo, io mi limito ad arrossire.
"Solo amici", mi stringe a sé.
"Volevo regalarvi due fiori", li porge a noi.
"Per quale motivo?", mi piace sentirne il profumo. È un fiore dai petali così delicati e leggeri.
"Questo fiore è ideale per esprimere l’affetto di una amicizia sincera o, chissà, per dichiarare il proprio amore".
"Grazie mille", il viso di Niccolò s'illumina.
"Voi due insieme mi riportate alla mente tanti ricordi", ammette con nostalgia.
Abbasso lo sguardo e continuo ad arrossire più del solito. Non sono mai stata brava a nascondere l'imbarazzo.
"Del tipo?".
"Dall'amore, all'amicizia. È tutto così bello quando si è adolescenti, solo che non ce ne accorgiamo. Sì ha tanta voglia di crescere, di diventare grandi ma per me gli anni più belli rimangono i vostri", commenta con un sorriso. Un sorriso che ne ha viste tante.
"G-grazie", balbetto e non so spiegarne il motivo.
Faccio un cenno a Niccolò che è ora di andare, altrimenti faremo tardi.
"Oh, sì, giusto", si una mano tra i capelli. "Scusi, ma noi dobbiamo andare. Di nuovo grazie per i fiori".
"Di nulla ragazzi", si toglie il cappello in segno di riconoscimento. "Buona giornata".
"A lei", lo saluto con un gesto della mano.
Per tutto il tempo che camminiamo segue un silenzio imbarazzante. Osservo il fiore che ho tra le mani e, in un attimo, ripercorro tutti i momenti passati con Niccolò. Chissà a cosa starà pensando in questo momento lui. Chissà se anche lui fa tesoro di tutto il tempo trascorso insieme.
Scaccio dalla mente questo pensiero e mi affretto ad entrare a scuola. Niccolò si ferma un attimo a salutare i suoi amici, io invece mi dirigo verso la mia classe ancora vuota.
Conservo il fiore nello zaino e prendo il mio cellulare. Sullo schermo appare il messaggio di Niccolò a cui non avevo risposto.
Mancano dieci minuti all'inizio della lezione, così mi distraggo con la magia che solo una canzone può creare. In cima alla playlist? Ovviamente Ultimo.
Dopo un po' la stanza comincia a riempirsi. Niccolò si siede vicino a me. Sì, condividiamo persino lo stesso banco.
"Tutto okay?", chiede.
"Certo", ripongo il cellulare nello zaino.
Prima ora: letteratura, la materia che più amo. Oggi la professoressa Martini deve restituirci le verifiche della scorsa settimana.
"Buongiorno ragazzi", entra in classe con garbo ed è proprio per questo che riesce ad essere apprezzata anche dai ragazzi più svogliati e indisciplinati.
I lunghi capelli biondi che le ricadono sulle spalle, gli occhi azzurri come il mare e quel fisico slanciato, fanno di lei una vera modella. Un po' la invidio.
"Buongiorno professoressa", ci alziamo in piedi.
Comincia con l'appello. Non manca nessuno.
"Ehi Giusy, pensavo ad una cosa", la voce di Niccolò si confonde con quella degli altri.
"A cosa?"
"Quel signore aveva proprio ragione".
"Lo penso anche io", abbasso lo sguardo. Sulle mani tengo stretta una matita. Di solito lo faccio quando sono nervosa. Non so perché, ma oggi provo una strana sensazione.
"Anche tu hai fretta di diventare grande?".
"Tu?", il mio sguardo si posa su un piccolo gattino che cammina sopra il tetto di un edificio.
"Voglio diventare grande solo per dimostrare che certe persone si sbagliano su di me", il suo sguardo si fa più serio. So che si riferisce a suo padre e al fatto che da sempre lui lo consideri un fallito. E quelle parole piene di disprezzo e di odio, a Niccolò fanno più male di un pugno.
Lui non vuole parlarne con me, ma nei suoi occhi lo leggo che avrebbe voluto avere un padre diverso. Uno di quelli a cui puoi raccontare tutto, persino il primo appuntamento con una ragazza.
Un giorno, però, mi chiese: "Com'è avere un padre che ti guarda come fossi la cosa più bella che gli sia capitata?".
"Mi fa sentire amata", risposi sentendomi un po' in colpa.
Crescere con un padre così non è facile: me lo dimostra tutte le volte che abbraccia sua madre. In quegli abbracci c'è tutto l'amore di una donna che lotta, ogni giorno, per non spegnere il sorriso del proprio figlio.
"Tu non devi dimostrare niente a nessuno", stringo la sua mano alla mia. "Sei perfetto così".
"Giusy, la perfezione non esiste", sbuffa.
"E tu che ne sai?", lo stuzzico.
"Come fai a vedere sempre il lato positivo delle cose?", mi guarda negli occhi.
"Ho imparato dal migliore".
La professoressa comincia a distribuire i nostri compiti.
"Complimenti, Giusy", sorride per l'ennesima volta.
Quel nove, scritto sul retro del foglio, mi rende orgogliosa.
"La solita secchiona", punzecchia.
"A te quanto ha dato?", poso lo sguardo sul suo tema.
"Solo otto".
"Non sei contento?".
"Mi aspettavo di più".
"Perchè? Cosa hai scritto di così importante da meritare un voto più alto?", lo prendo tra le mani.
"Ehi, ridammelo. Non puoi leggerlo".
Con una scusa mi distrae e se lo riprende.
Per un momento sembra imbarazzato, ma poi torna ad essere il solito Niccolò.
Per questo tema, la professoressa ha voluto che scrivessimo di una persona importante. Io ho voluto scrivere di mio zio. Avrei potuto scegliere altre persone, ma lui resta al primo posto.
Da piccola ero talmente goffa che le giornate si concludevano sempre in modo bizzarro, così ogni volta che cadevo per terra e mi ferivo, lui mi prendeva per mano e mi portava con sé. Qualsiasi posto mi andava bene perché la sua presenza valeva più di mille altre cose.
Lui era la mia roccia, il mio punto di riferimento e ritrovarsi, da un giorno all'altro, a crescere senza di lui, non è per niente facile.
A volte sarebbe bello poterlo rincontrare anche solo per cinque minuti... ne avrei di cose da dirgli. Gli direi che sto bene: la sua assenza mi fa stare male ma riesco comunque a cavarmela. E poi... gli direi grazie, grazie per tutte le volte che mi ha fatto sentire amata, per tutte le volte che mi ha messo al primo posto, al centro del suo mondo.
Gli direi grazie per tutte le volte che ha preso per mano le mie paure, trasformandole in coraggio, per i suoi mille consigli e per il suo modo di essere.
E nelle giornate in cui mi crolla tutto addosso, è lui a darmi la forza. Ogni tanto guardo il cielo e mi sembra di poterlo toccare con mano.
Non basta un cielo per dividerci.
Di lui mi rimane solo una vecchia papera di peluche. Che poi di vecchia non ha proprio nulla.
La sistemo ogni giorno nel mio letto, così quando la guardo, mi ricordo di sorridere. Glielo devo.
"Giusy?", Niccolò mi riporta alla realtà.
"Sì?".
"A cosa stavi pensando?", chiede.
"Ho scritto questo tema pensando a mio zio", ammetto con gli occhi lucidi.
"Come ci sei riuscita? Voglio dire... cioè...", sì passa una mano tra i capelli. Questa volta è davvero imbarazzato. Le sue guance rosse ne sono la prova "S-scusa, non so perché l'ho detto".
"Ho lasciato che fossero le mie emozioni a riempire le pagine. Io non so spiegare cosa provo davvero, ma quando scrivo tutto mi viene naturale".
"Scrivere aiuta molto anche me".
"Nel tuo tema cosa hai scritto?", chiedo curiosa.
"Ho parlato di te", confessa con un espressione difficile da descrivere.
"D-davvero?", abbasso lo sguardo. "E-E cosa hai scritto?".
"Che sei imbranata", ride.
"Non è colpa mia", mi fingo arrabbiata ma poi la sua risata contagia anche me.
Per un attimo mi dimentico di tutto, persino della professoressa che ha ripreso la lezione da un bel po'.
"Giusy, Niccolò", lei si avvicina quasi arrabbiata.
Mi sento terribilmente a disagio e osservata.
"Vi prego di uscire", indica la porta.
Non la giudico. Quando spiega lei pretende il massimo silenzio e, onestamente, penso sia giusto così.
Non è la prima volta che mi prega di uscire: succede sempre per colpa di Niccolò e, ogni volta, finisco con litigare con mia madre.
"Scusi", è la sola cosa che riesco a dire. Prendo il mio cellulare ed esco. Lui mi segue.
"Ormai ci ho fatto l'abitudine", ci scherza su.
"Ad essere sbattuto fuori?", mi siedo per terra a gambe incrociate. "Io non lo trovo divertente".
"È più divertente se ci sei tu", si appoggia alla parete.
"Non hai detto che sono imbranata?", distolgo lo sguardo dal suo.
"È vero, sei la persona più imbranata che abbia conosciuto", si siede accanto a me. "Ma sai essere anche una brava ragazza, ed è per questo che piaci molto alle persone".
Lo guardo senza dire una parola. Di lui mi piace il fatto che dice sempre quello che pensa, senza troppi giri di parole.
"Ma smettila", fingo un sorriso.
"E perché dovrei? Non è forse vero?", mi sfiora la guancia.
"Ti voglio bene, lo sai questo?".
"Non fa mai male sentirtelo dire", mi stringe a sé e mi scompiglia i capelli.
Poi comincia con il solletico.
A parte ridere non riesco a fare nient'altro.
Una professoressa ci osserva contrariata dall'altra parte del corridoio.
"Okay okay", si ricompone. "La smetto".
"Ti ringrazio", sistemo i capelli che, nel frattempo, sono diventati ingovernabili.
"Tu sei innamorata di qualcuno?", chiede tutto d'un fiato senza scandire bene le parole.
Questa domanda mi mette a disagio.
"Cosa hai detto?".
"Niente, niente", si gira dall'altra parte. "Pensavo ad alta voce".
"No", rispondo con naturalezza. "Non sono innamorata", mi alzo in piedi e mi dirigo verso la finestra. "Devo prima trovare la persona giusta".
"E come fai a capire che è quello giusto?", si avvicina a me. La luce del sole riflette nei suo occhi, rendendoli ancora più profondi.
"Non lo capisci, lo senti nel cuore", guardo il cielo e mi chiedo cosa si prova ad amare qualcuno.
Niccolò poggia una mano sulla mia come a voler dire: "Grazie di esistere".
Non sa che per me vale lo stesso.
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