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Capitolo 2

Dove si narra della meravigliosa festa in casa Capuleti

ROMEO - È una Capuleti? Che terribile prezzo dovrò pagare.
Debbo la vita a una nemica.
GIULIETTA - Nascita d'amore tra le più strane e rare che un odioso nemico io debba amare.

Sulla città di Verona sono calate le tenebre e tutti gli abitanti sono rientrati nelle loro case per mangiare.
Chi ha duramente lavorato in bottega tutto il giorno, mangia ora attorniato dalla propria famiglia; le suore del convento cenano insieme nella sala della mensa dove risuona una voce che legge una preghiera; i servi vuotano la loro scodella in un'ampia stanza accanto alla cucina, mentre i piatti migliori vengono dirottati nella sala da pranzo, dove i signori cenano attorno a un lungo tavolo, riccamente imbandito.
In una delle strade principali della città, dove sorge la dimora dei Capuleti, si assiste a una particolare animazione.
Dalle finestre della casa, quasi tutte illuminate, escono echi di voci, di richiami e di risate, rumori di stoviglie e di passi affrettati, le note di una musica da ballo.
Dal fondo della via sbuca una frotta di giovani in maschera. Portano torce e fiaccole per illuminare il cammino e tra essi si distingue Romeo, accompagnato da Benvolio e dall'inseparabile Mercuzio.
Mercuzio è da sempre il miglior amico di Romeo: è di nobili origini - la sua famiglia è imparentata con quella del signore di Verona - ed egli è cresciuto con tutta la spavalderia e la disinvoltura dei ragazzi vissuti nel benessere.
Romeo e Mercuzio hanno condiviso i giochi dell'infanzia, hanno organizzato insieme scherzi e monellerie, hanno imparato a tirare di spada con sfide reciproche in duelli che la loro fantasia trasformava in scontri all'ultimo sangue. In una parola, hanno condiviso i sogni, le risate e a volte anche le punizioni, come quella volta in cui, ancora bambini, avevano voluto deviare un torrentello lavorando sodo in un'imponente opera di ingegneria infantile, e avevano fatto tardi, senza accorgersi delle tenebre che avanzavano. Al loro rientro i genitori preoccupati li avevano condannati a saltare la cena e a rimanere per i seguenti quattro giorni in casa, nella stanza in cui le donne filavano.
In questa tiepida serata primaverile, Mercuzio ha aderito con entusiasmo al programma di Benvolio, sia perché non vuole più vedere il suo caro amico ridotto all'ombra di se stesso, sia perché l'idea provocatoria di partecipare mascherato a una festa in casa del nemico lo stuzzica in gran misura.
Romeo, invece, è taciturno e non partecipa al l'eccitazione generale. Persino l'abito che ha scelto per travestirsi rivela il suo umore: è il grigio saio di un pellegrino in tela grezza e ruvida, e contrasta visibilmente con le maschere sgargianti e dorate della combriccola degli amici.

ROMEO - Datemi una fiaccola: non ho voglia di ballare, cupo come sono, mi farà bene portare la luce.
MERCUZIO - No, gentile Romeo, siamo qui per farti ballare.
ROMEO - No, non io, credetemi. Voi avete scarpe da ballo, con l'anima di raso; io ho un'anima di piombo che m'inchioda al suolo così da non potermi muovere.
MERCUZIO - Sei un amante, prendi in prestito le ali di Cupido e con esse vola oltre ogni normale limite.
ROMEO - Mi ha ferito troppo gravemente la sua freccia perché possa alzarmi sulle sue piume leggere, e così, limitato, non posso saltare oltre l'altezza d'una ottusa pena d'amore. Schiacciato dal pesante fardello dell'amore, affondo.
MERCUZIO - Come? Per affondare nell'amore dovresti schiacciarlo.
Saresti un peso troppo grosso per una cosa così tenera.
ROMEO - È una cosa tenera l'amore? È duro, rozzo, villano, prepotente, capace di pungere come una spina.
MERCUZIO - Se l'amore è duro con te, tu sii duro come l'amore.
Rendigli puntura per puntura, e vedrai come s'affloscerà.
Datemi qualcosa per coprirmi il viso: una maschera sulla mia maschera! Che m'importa se un occhio curioso vorrà scoprire le mie bruttezze? Ecco qui la faccia mostruosa che arrossirà per me.
BENVOLIO - Su, bussiamo ed entriamo. Poi, una volta dentro, ognuno si affiderà alle sue gambe.

Addossari al muro di cinta del giardino dei Capuleti, cercano il coraggio per fare ingresso alla festa.
Romeo però non si decide ad avviarsi verso il portone: la notte precedente ha fatto uno strano sogno e ora risente nel petto la stessa sottile angoscia che lo ha pervado al risveglio. È quasi un presagio, come se lo aspettasse una qualche sciagura, in agguato; il suo cuore gli dice che quella è una sera speciale, che il duo destino si prepara e l'ignoto lo attira a sé.
Ma non si può attendere ancora: con un profondo sospiro, incoraggia il gruppo di amici verso l'ingresso.

***

Il salone delle feste è chiassoso e gremito di gente, illuminato a giorno da fiaccole e candele. Il vecchio Capuleti, cordiale e ridanciano, accoglie gli ospiti, li invita a divertirsi, a ballare, ad approfittare della grazia r della bellezza delle donne presenti. È un uomo ricco e soddisfatto e, benché il peso degli anni gli abbia imbiancato il capo e segnato il volto di rughe, gli piace ancora molto scherzare, andare a caccia e far baldoria con gli amici. A volte le sue battute volgari e grossolane mettono in imbarazzo Giulietta, quando si trova in pubblico con il padre.
Ora, sulla porta della sua dimora, Capuleti è rosso di eccitazione e particolarmente accalorato.

CAPULETI - Benvenuti signori! Le dame che non soffrono per i calli vorranno fare un ballo con voi! Ah, mie care, chi di voi potrà ora rifiutare un ballo? Chi farà la mammoletta è perché, lo giuro, ha i piedi a barchetta! Colpite, eh? Benvenuti signori! Li ho conosciuti anch'io i tempi quando andavo ai balli in maschera e sussurravo favole dolci alle orecchie delle belle signore.
Che le gradivano: ma è tutto finito, passato, passato!
Benvenuti, signori! E voi, musici, suonate! Largo, largo, fate spazio, e voi, ragazze, forza!

I numerosi invitati si accalcano nel salone delle feste: si radunano in capannelli a conversare e brindare, si spostano nella sala dove vengono serviti i cibi, urtano i servi che si aggirano instancabili per versare vini e servire bevande agli ospiti accaldati; molto, soprattutto tra i più giovani, ballano al centro della sala grande, accompagnati dal suono dei musici.
Dappertutto volti sorridenti, maschere, risate gorgoglianti, frusciare di vesti, un volteggiare di velluti e ricchi tessuti preziosi e ricamati, perle, pizzi, ricami, scie di profumi e fragranze. E su tutti, il riflesso scintillante e tremulo delle fiaccole assicurate alle pareti e degli innumerevoli candelabri.
L'enorme camino, al centro della parete, è quasi spento, non viene più alimentato perché l'atmosfera nel salone è surriscaldata.
Anche nelle ampie cucine, sul retro della casa, regna il fermento e un'attività febbrile. Enormi piatti di portata in metallo, di quelli con i manici che solo due servitori insieme possono trasportare, vengono approntati e riempiti di ogni leccornia: fagiani, cinghiali, un intero maialino cotto al ginepro, formaggio al miele, polli e anatre alle spezie, trionfi di verdure, lenticchie, pane con le forme più originali, frutta, pasticcini di marzapane, confetti.
I cuochi e i servi non si fermano un attimo, l'andirivieni verso il salone è ininterrotto, poiché nulla deve mancare ai nobili convitati: sembra che la frenesia della festa abbia contagiato anche i domestici.

PRIMO SERVO - Dov'è Pentolaccia, che non ci aiuta a sparecchiare? Mai che cambi un piatto, che sgrassi un tagliere!
SECONDO SERVO - Quando la pulizia è nelle mani di un paio di persone che non si lavano mai le mani, la faccenda diventa sporca.
PRIMO SERVO - Leva gli sgabelli, sposta la credenza, e stai attento all'argenteria. E, se mi sei amico, mettimi da parte un po' di marzapane. Ehi, Antonio, e tu, Pentolaccia!
TERZO SERVO - Eccomi qua, ragazzi, sono pronto.
PRIMO SERVO - Vi cercano, vi chiamano, vi desiderano, vi vogliono, là nel salone.
QUARTO SERVO - Non possiamo mica essere di qua e di là insieme! Allegri, su, e svelti: chi campa di più prende tutto.

Quando, al culmine della festa, il vecchio Capuleti vede entrare una frotta di giovani mascherati, che si accalcano ridenti all'ingresso del salone da ballo, il suo cuore si commuove, per il piacere di vedere il ricevimento così ben riuscito e per la nostalgia dei tempi perduti della giovinezza. Si siede su una sedia alta con i braccioli addossata alla parete a chiacchierare con un anziano parente, contemplando, contento e turbato, i ragazzi che ballano, ridono e si lanciano battute.
Non tutti i giovani convitati però sono allegri e festanti: Romeo, nei suoi panni da penitente, è rimasto in disparte e osserva, con sguardo incolore, la massa di persone che si diverte. Per lui la musica, le risa, le voci formano un tumulto indistinto che gli è estraneo.
A un tratto però, il cuore gli dà un balzo; da qualche minuto, in modo quasi involontario, i suoi occhi stanno seguendo la figura, i gesti e i movimenti della più bella creatura che eli abbia mai veduto.
Il giovane sente il sangue pulsare nelle tempie e si rende conto in un istante di non avere in vita sua mai incontrato una fanciulla così dolce e soave: è come se la ragazza gli fosse familiare, sa di non averla mai conosciuta, eppure la sente vicina e cara come un'amica di sempre.
Afferra il braccio di uno dei servi che li hanno accompagnati e gli domanda chi è, chi è mai quella giovane donna che spicca fra tutte per bellezza e grazia.
Il servo non lo sa e Romeo, continuando a fissare Giulietta da lontano, si lascia sfuggire dalle labbra la sua ammirazione:

ROMEO - Oh, ella insegna alla torcia a bruciare con più luce! Sembra pendere sulla guancia della notte come un gioiello splendente dall'orecchio di un etiope; una bellezza troppo ricca per l'uso, troppo preziosa per la terra.
Una colomba di neve in un branco di corvi, così è lei tra le sue compagne. Finito il ballo guarderò dove si mette, e, toccando la sua, renderò felice la sua rozza mano.
Ha forse mai amato, signora, il mio cuore? Negatelo, occhi, perché mai, sino a stanotte, avevo visto la vera bellezza.

Il giovane, immemore e trasognato, si accalca tra la folla per tentare di raggiungere il suo sogno.
Ma il destino questa notte è in agguato, perché la voce di Romeo non è stata udita solamente dal servo.
Il focoso Tebaldo ha inteso le parole pronunciate dall'ospite mascherato e non si è fermato a riflettere sul loro significato: gli è bastato riconoscere il suono della voce dell'odiato nemico, per ordinare a un servo di portargli la spada e precipitarsi dallo zio con il volto alterato per la collera e lo sdegno.

CAPULETI - Che c'è adesso, nipote, cosa ti rannuvola?
TEBALDO - Zio, questo è un Montecchi, un nostro nemico, un maledetto, che è qui venuto stanotte a dissacrare la nostra festa.
CAPULETI - Non è il giovane Romeo?
TEBALDO - È proprio lui, il maledetto Romeo.
CAPULETI - Calmati, mio caro, e lascialo in pace: si comporta da vero gentiluomo, e tutta Verona, a dire il vero, vanta in lui un giovane pieno di virtù e gentilezza.
Per tutte le ricchezze di questa città non accetterei che gli fosse fatto del male in casa mia. Calmati, allora, non badare a lui, io voglio così, e se tu mi rispetti, sii di buon umore, e caccia via questi cipigli che non si addicono a una festa.

Tebaldo, per rispetto dello zio, frena la sua indignazione, ma la collera lo fa tremare mentre si allontana, promettendo a se stesso di vendicarsi alla prima occasione.

***

Giulietta è contenta. Si sta divertendo, ha ballato, ha fatto gli onori di casa conversando con gli ospiti, ha salutato e intrattenuto le amiche della madre, cercando di essere gentile e amabile con tutti.
Come aveva promesso, ha risposto con garbo alle attenzioni del conte Paride. Hanno scambiato qualche frase, anche se la cosa l'ha imbarazzata non poco; da lui ha preferito lasciarsi condurre nelle danze, per poterlo osservare a distanza, senza mancargli di riguardo. Le sembra ancora impossibile che il conte, un giovane tra tanti altri, possa diventare davvero suo marito, magari tra poche settimane. Lui è ben vestito, quasi ricercato, di aspetto piacevole, estremamente cortese e affabile, ma Giulietta non prova nulla nel cuore, se non una vaga simpatia. È dunque così che accade? Un estraneo, di modi gradevoli, a cui si viene affidate e alla presenza del quale ci si deve abituare a poco a poco, fino a provare sentimenti di affezione e di stima?
Giulietta è troppo giovane, inesperta e ancora frastornata dalla novità improvvisa, per saperlo. Approfittando di una pausa, mangiando dei frutti e una fetta di torta nella sala da pranzo, ne ha accennato alla sua amica Martina. Hanno la stessa età; Martina è di qualche mese più giovane, è nata in pieno inverno, mentre Giulietta aveva già visto la luce nel mese del raccolto. Le bambine che abitano nella stessa strada in due palazzi non lontani, sono amiche fin da piccole, hanno giocato insieme, si sono trovate alla messa domenicale; e poi le loro balie sono nate nello stesso villaggio. Spesso, con la bella stagione, lungo i prati dell'Adige, le due bimbe hanno raccolto fiori e rincorso farfalle , mentre le loro nutrici chiacchieravano e spettegolavano ininterrottamente, come due pentole di fagioli.
Martina ha ascoltato Giulietta sgranando gli occhi e le ha detto che la notizia le appare stupenda, eccitante, Paride è bello, è uno dei giovani più raffinati della città, Giulietta sarà corteggiata e felice. Ma adesso dov'è il bel conte, che parole le ha rivolto, come si è comportato?
Prima di tornare nel salone delle danze, Giulietta ha raccontato in breve a Martina gli approcci di Paride durante la serata, ravvivata dall'entusiasmo e dall'animazione dell'amica, più che dalla certezza dei propri sentimenti.
Giulietta viene nuovamente invitata a ballare. Poi si allontana dalla concitazione del salone e si appoggia a una balaustra che crea un angolo appartato nel perimetro della grande sala. Di lì può vedere gli invitati e riposare un attimo.
D'un tratto, una mano tocca la sua sfiorandole le dita.
Giulietta si volge sorpresa e i suoi occhi si riflettono nel volto più attraente e appassionato e nello sguardo più profondo e febbrile che abbia mai notato in un uomo.
Lui le parla e le prende la mano, Giulietta risponde, o meglio le labbra rispondono, mentre la mente non pensa più a nulla. E quando il giovane la bacia, lei candidamente, senza pensare alle convenienze, alla gente, a Paride o a chicchessia, lei risponde al bacio con trasporto.
E poi ancora qualche parola, e un altro bacio, lieve, breve.
Una voce li interrompe.

NUTRICE - Giulietta, vostra madre vuole parlarvi.
ROMEO - Chi è sua madre?
NUTRICE - Come, ragazzo mio, sua madre è la padrona di casa, una buona signora, saggia e virtuosa.
Io ho allevato sua figlia, con cui avete parlato sino ad ora, e vi posso dire che chi se la prenderà avrà roba sonante.
ROMEO - È una Capuleti? Che terribile prezzo dovrò pagare. Debbo la vita a una nemica.
BENVOLIO - Su, andiamocene, la festa è al culmine.
ROMEO - Sì, lo temo proprio, il resto sarà il mio tormento.

Giulietta si è riscossa. Raggiunge la balia e le indica il giovane che sta uscendo con il grullo di amici in maschera.

GIULIETTA - Vieni qui, balia: chi è quel gentiluomo?
NUTRICE - Il figlio e l'erede del vecchio Tiberio.
GIULIETTA - E chi è quello che sta uscendo adesso?
NUTRICE - Vergine! Credo che sia il giovane Petruccio.
GIULIETTA - E l'altro, dietro a lui, che non ha mai ballato?
NUTRICE - Non lo so.
GIULIETTA - Va a domandargli il nome. Se è sposato la tomba sarà forse il mio letto nuziale.
NUTRICE - Il suo nome è Romeo, ed è un Montecchi, l'unico figlio del vostro grande nemico.
GIULIETTA - Il mio unico amore nato dal mio unico odio! Uno sconosciuto troppo presto visto e troppo tardi conosciuto! Nascita d'amore tra le più strane e rare, che un odioso nemico io debba amare.

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