14
Giorgia si era cambiata per le ore di educazione motoria, una materia inutile tenuta da un uomo piuttosto gretto che aveva come massima aspirazione il far passare la mattina per poter andare ad allenare una locale squadretta di calcio e insultare tutti i suoi giocatori nelle maniere più turpi.
Per lui, le ragazze erano degli esseri inferiori, da perculare mentre correvano, ridacchiando mentre si affaticavano alla battuta a pallavolo o tentavano di fare malamente canestro. Era per quello che ci si poteva giustificare almeno un paio di volte al mese per il ciclo, e ci si poteva attardare a prepararsi senza l’assillo che c’era per altre materie.
«Giorgia, ce li hai due minuti?» chiese Diletta, allacciandosi svogliatamente le Union NYC Dunk Hi Challenge nuove di pacca.
«Per?» chiese lei sull’attenti. La chica del barrio era specialista per le escandescenze.
«Volevo sentire un po’... i prezzi» replicò, accomodandosi sulla panca e sorridendo mentre mandava un messaggio col cellulare. Probabilmente era il terzo sorriso che Giorgia le vedeva fare da quando erano in classe assieme, se si escludono quelli di scherno. Eppure nel suo sguardo c’era una nota quasi colpevole, diversa da quella che aveva visto negli occhi di Fabio, qualche giorno prima.
Tempo cinque minuti e dalla porta dello spogliatoio erano entrati tre tizi: quello che pareva essere il suo ragazzo, Ezequiel detto Ezzy, e altri due ragazzi di chiara origine sudamericana, che avevano immediatamente puntato gli occhi su Giorgia dopo aver scambiato un veloce sguardo con Diletta.
«Sei te la puttana che smercia la roba?» la aggredì uno dei due che conosceva solo di vista, non era molto alto ma le si era avvicinato a un passo e la guardava con occhi feroci. Gli altri due si erano messi a piantonare la porta, gettando sguardi verso il corridoio che conduceva alla palestra.
Giorgia non seppe bene cosa rispondere, la prima reazione fu distogliere gli occhi. Ma l’altro non la mollò, prendendole il mento con la mano e riportandole la faccia dritta.
«Sto parlando con te, puta! Smerci roba senza chiedere il permesso, da chi compri?».
Giorgia corse con lo sguardo a Diletta, che se ne stava in un angolo, guardando la scena.
«Ehi, smettila di guardare in giro e rispondi, puttana. Tu smerci roba o no?! Ti do due secondi per rispondermi, chiaro?».
«Sì, sì, vendo. Vendo ok vendo. Lasciami stare però».
«Non ti lascio stare un cazzo, puta» continuò il tipo, fissandola con insistenza, «tu non puoi fare nulla senza che lo sappiamo io e i miei fratelli, chiaro? Da chi compri, ti ho chiesto».
«Da nessuno».
«Non dire cazzate, non la fai nel giardino di casa. Chi te la da?».
Non voleva dire chi le passava le cose, ma non la mollavano, era la prima volta che si ritrovava in una situazione del genere. Cedette in poco tempo.
«Mio fratello. Me la da mio fratello, non so dove la prende lui, giuro, non lo so, ma me la da lui».
«Chi cazzo è tuo fratello?» continuò il capo della banda.
«Un tipo grande, con una gran macchina da pappone, l’ho visto al tuo compleanno, quanti anni ha Gio, tipo trenta?» intervenne Diletta, quasi ad aiutarla.
«Si, si, è mio fratellastro, non proprio fratello» aggiunse Giorgia, «Adesso per favore lasciatemi stare».
«Bene, dillo a tuo fratello, che tu qui non vendi più un cazzo, nemmeno una dose della sua roba, chiaro? Diglielo, che da oggi la sua puttana di sorella deve chiudere l’attività, perché qui comandiamo noi, e tutto passa da noi. Claro puta?».
Giorgia annuì, abbassando di nuovo la testa. Non era mai stata chiamata così tante volte con quel termine così forte, ed ogni volta che se l’era sentito dire era stata come una pugnalata.
«La prossima volta non faccio domande, la prossima volta ti apro quella faccia da puttana, e poi la apro anche a quel puttaniere di tuo fratello» concluse il tizio, estraendo un coltello a serramanico dalla tasca anteriore dei pantaloni cadenti e facendolo scattare a pochi centimetri da lei.
Poi girarono i tacchi ed uscirono come erano venuti. Nello spogliatoio si fece un gran silenzio, si sentiva solo il vociare in palestra, attutito.
Diletta si torturava i braccialetti con la mano sinistra.
«Non dovevi fottere con loro, Gio».
«Non ho fottuto con loro. Me le ha chieste la gente e le ho procurate. E tu…» ma si bloccò, non voleva dire quello che pensava, la stava odiando, profondamente, ma doveva tenerselo per lei.
«Io ho solo risposto alle loro domande su di te, bella mia, ti aspettavi che non lo venissero mai a sapere? Non fare l’ingenua. Gli altri li puoi fregare, ma non puoi fregare me. Fai la faccia innocente ma sei una pusher nell’anima».
«Non sono pusher, non mi piace farlo»
«E allora sei a posto. Mi spiace solo che l’abbiano messa giù così dura, ma se vuoi posso parlare io con loro: la smerci per loro al posto che per tuo fratello» le propose Diletta, che sembrava quasi in colpa dopo la scena di ferocia in cui Giorgia aveva subito un vero e proprio sequestro con interrogatorio e minacce.
Quest’ultima uscì scuotendo la testa, avviandosi verso la palestra.
****
Luca vide subito che Giorgia aveva qualcosa che non andava. Aveva chiesto di vederlo e lui si era ritagliato qualche minuto il giorno successivo, all’uscita dalla scuola.
Lei si torceva le mani, guardandosele, in un mutismo ansioso.
«Che succede Giorgia? Hai parlato con Julia?».
Julia, Julia, era assillante con quella storia. Le venne voglia di urlare, ma poi si calmò respirando profondamente.
«Ieri nello spogliatoio mentre mi preparavo per motoria, sono arrivati tre tizi. Mi hanno chiesto se smerciavo, mi hanno minacciata, mi hanno insultata, e mi hanno detto che non posso più vendere nemmeno una dose dentro quella scuola, altrimenti useranno i coltelli contro di me».
Luca mal trattenne un sospiro.
«Ma chi sono questi, li conosci?».
«Uno è il tipo che sta con Diletta, gli altri due sono sempre di origine sudamericana, ma non li conosco bene, è gente che non frequento. W che ne sapevo che questi hanno l’esclusiva?! Hanno detto che lamano me e pure te».
«Hai fatto il mio nome?» aveva detto lui, alzando la voce di un tono.
Non aveva mai fatto scattare in lui un fastidio del genere, nemmeno quando qualche giorno prima aveva “confessato” di aver masturbato Fabio nel bagno delle ragazze. Lui era rimasto imperturbabile o quasi, ad un certo punto le era sembrato che fosse divertito.
Nulla a che fare con il Luca di quel momento, rabbuiatissimo.
«Non proprio il tuo nome, ma ho detto che la passavi a me, e Diletta sa chi sei. La macchina non passa inosservata» spiegò Giorgia.
Ma lui era veramente scocciato, sbuffava forte.
«Giorgia cazzo, Giorgia! Non ti ho detto io di metterti a spacciare coca dentro la tua scuola, ti ho solo aiutato a procurartela. Adesso mi ritrovo ad essere il grossista tuo agli occhi di una banda di latinos che girano con il coltello nelle mutande, cazzo!».
«Scusami, ma io non sapevo che ci fosse questo gruppo! Altrimenti non-».
«Sì, non me ne frega un cazzo Giorgia, ora tocca a me risolvere questa cazzo di grana, perchè ti sei divertita a giocare alla pusher per questi tre mesi. Cazzo» replicò lui mettendosi una mano sulla faccia, «Ti sei allargata, allargata, allargata, e adesso? Adesso il fratellone ci deve mettere la pezza!».
La voce si era nuovamente alzata, Giorgia si sentiva colpevole all’ennesima potenza. Non sapeva dove guardare, mormorò più volte scusa ma senza vedere in Luca un cambio di atteggiamento. Era nero, continuava a ripetere «Questo è un casino, Giorgia, un casino».
Fino a lasciarla davanti al palazzo dove Giorgia non sembrò capire che doveva scendere.
«Mi dispiace tantissimo, lascia che domani ci parli di nuovo. Posso-», si bloccò con il magone in gola, «Posso dire che-».
Luca la bloccò di colpo.
«Hai già detto abbastanza» poi si sporse verso di lei e le aprì la portiera.
Lei ci mise qualche secondo per capire che la stava scaricando e appena scese lui ripartì sgommando lasciandola sul marciapiede in un mare di lacrime.
Bạn đang đọc truyện trên: Truyen247.Pro