Chào các bạn! Vì nhiều lý do từ nay Truyen2U chính thức đổi tên là Truyen247.Pro. Mong các bạn tiếp tục ủng hộ truy cập tên miền mới này nhé! Mãi yêu... ♥

Whisky e verità

Da quanto? Quattro anni e tre mesi. Non sono abbastanza, è ancora nella mia testa, in ogni oggetto fuori posto, nei miei incubi. Ron mi lancia un'occhiata di sottecchi, rallenta ma non si ferma. Lo seguo. Devo capire quanto sa e se ha parlato con qualcuno.

Oltrepassata la soglia, mi trovo di fianco Nicola.

«Già finito?»

Mi volto di scatto verso la voce. Erano in due a piantonare il bagno, per questo Ron era tanto tranquillo. Biacco mi squadra con un ghigno divertito, quasi si aspettasse qualcosa. Me. Immagino non sarebbe la prima volta. Ron parla con Nicola, Biacco fa un passo avanti per starmi addosso.

Sollevo la testa e lo guardo dritto negli occhi. «Si può sapere che cazzo vuoi?»

Resta spiazzato e impiega un paio di secondi a metabolizzare che non ho cambiato atteggiamento.

«Ancora non hai impar―» Gli occhi saettano alle mie spalle.

«Cosa stai facendo?»

La voce di Ron è tagliente e Biacco fa un passo indietro.

«Io...»

«Ti ho dato il permesso?» Non gli lascia il tempo di rispondere. «Stai al tuo posto, altrimenti, è autorizzata a mandarti le palle in gola. Il resto lo finisco poi io. Sono stato chiaro?»

«Sì.»

«Avanti, andiamo.»

Sfiliamo davanti al bancone. C'è meno gente, degli uomini di Ron ne son rimasti pochi. Incrocio lo sguardo di Jail, seduto a uno dei tavolini, che subito corruga la fronte. Ci osserva un istante e fa per alzarsi. Sollevo un angolo della bocca e mi stampo in faccia un ghigno strafottente, quanto basta per fermarlo. Ormai sono brava a recitare la parte, forse perché sono diventata un tutt'uno con la mia maschera e fatico persino a distinguere il confine. Era quello che volevo, in fondo. Recupero il chiodo e usciamo.

Ron va diretto alla sua Audi senza alcuna esitazione, non si cura neppure di controllare se voglia tirargli qualche brutto scherzo. È sicuro che non lo farò. È sempre sicuro di tutto ed è uno dei motivi per cui non l'ho tenuto lontano: ho bisogno di capire come fa, di imparare anch'io e non importa quanto possa essere rischioso. Devo riuscirci, se voglio liberarmi davvero di Fede, del suo ricordo e di questa stramaledetta paura. Devo!

Sprofondo nel sedile di pelle, l'odore che c'è qui dentro è familiare e rilassante. Traffica con l'autoradio e le note della tastiera anticipano il riff di chitarra di Downfall. Sempre i Children of Bodom con lui. Accende e mi guarda di sbieco, con un sorriso beffardo.

Downfall: caduta.

Stronzo, lo ha fatto apposta. Non dice nulla e parte. Cosa ha in mente? Osservo la strada, cercando di capire la sua meta.

«I see angels burning, falling down in ruins

Looking down I see me, I'm my own enemy.»

Ripete le parole della canzone:

"Vedo angeli che bruciano, che cadono in rovina

Guardando giù mi vedo, sono il mio nemico".

«Che ne dici?»

Il profilo deciso, l'angolo della bocca sollevato. Ho capito la domanda, ma non mi piace. «Riguardo cosa?»

«Chi è il tuo nemico?»

«Chiunque mi rompa le palle.»

Scuote la testa. «I nemici vanno selezionati con cura, pantera, o ti fotteranno alla grande.»

«Mi stai scorrazzando in giro per darmi lezioni di vita?»

«Non è quello che volevi?» Merda, lo ha capito ed è pure soddisfatto. «Per ora, il tuo unico nemico lo vedi riflesso nello specchio.»

Non sai un cazzo di quello che vedo nello specchio. Però ha ragione, troppo spesso Fede è lì a fissarmi e mi trascina a fondo. Devo respirare, non posso farmi prendere dal panico proprio in macchina con Ron.

Mi volto dalla parte del finestrino e proseguo sulla linea che ha tracciato, mi è più semplice parlare con la musica. «Guardando giù, vedo le mie ceneri sparse intorno alla mia tomba.»

«Ne sono certo.»

Aspetta, ma questa strada... «Dove stai andando?»

«A casa tua.»

«Che?!»

Ridacchia. «Ti ho detto che voglio fare le cose con calma, stanotte.»

No, cazzo, a casa mia non ce lo voglio. Non ci voglio nessuno, se non in rari casi. «Quindi, sai dove abito.»

«Avevi qualche dubbio?»

Fanculo!

«C'è qualcosa che non sai?» gli ringhio contro a denti stretti.

Si ferma davanti al mio palazzo e non risponde, mi guarda con l'aria di chi la sa lunga, ma non è intenzionato a darmi ciò che chiedo.

Si allunga verso di me. «Avanti, sono curioso di vedere dove vivi.»

Un crampo allo stomaco. Scendo in fretta per nascondere il nervosismo, sbuffo e sbatto lo sportello. La sua presenza incombe alle mie spalle. Sento i suoi occhi addosso e la sensazione sgradevole di essere un topolino, con cui il gatto si sta divertendo un sacco.

Tre giri di chiavi.

Accendo la luce e sfilo accanto al muro. Sistemo il giubbotto sull'attaccapanni, un respiro profondo e mi volto. Ron sta fissando la fila di stivali che si trova davanti alla porta. Inclina la testa. Lo fa per abitudine, quando studia qualcosa o qualcuno. Toglie la giacca e sogghigna, tra me e lui le Crocks su cui sposta l'attenzione. Allunga un piede e le allontana piano, senza staccare gli occhi dai miei. Deglutisco.

Resta immobile di fronte a me, l'espressione compiaciuta che mi riserva è fastidiosa. Cosa crede di sapere? Forse crede che abbia paura e dovrei averne, in effetti, a stare qui con lui. Ma non è così. So di cosa è capace, le storie su di lui si sprecano. Si prenderà quello che vuole, lo farebbe comunque, ma io voglio capire.

Mi porge il giubbino, però non lo molla subito e mi ritrovo a strattonarlo involontariamente. Un altro ghigno. Stronzo.

«Ti stai divertendo?»

«Abbastanza.» Si volta e punta diritto verso il divano, calciando gli anfibi.

Uno, due, tre, quattro... Bastardo! Devo risistemarli, è più forte di me.

Mi rialzo e lo trovo a gongolare, appoggiato allo schienale del divano con le gambe incrociate. Lo ha fatto apposta, voleva verificare la mia reazione e io, da brava scema, gliel'ho data.

«Hai visto il mio appartamento.» Lo raggiungo, controllo il respiro per mantenerlo regolare. «Ora possiamo andarcene.»

«Speravo di trovare qualche tua foto da bambina, magari imbarazzante. Invece, niente.»

«Perché tu hai foto di quando eri bambino appese per casa?» Punto le mani sui fianchi e lo sfotto.

«No.»

«Appunto, era un'idea stupida.»

«Ti sei appena paragonata a me.» Si rimette dritto, i piedi ben piantati alla larghezza delle spalle, a rimarcare la sua incrollabile determinazione. «Ti piacerebbe davvero?»

«Cosa?»

«Essere come me.»

Sì. No. Non lo so, cazzo! Non voglio essere come lui e tanto meno fare la sua vita, però... sì, in alcune cose vorrei assomigliargli. Se glielo dicessi, dovrei spiegargli il perché e troverebbe il modo di approfittarsene. Lui è questo.

Mi dà le spalle e va verso la camera da letto. Non esita, quasi sapesse quale delle due porte non deve aprire. Con uno scatto lo supero e gli blocco il passaggio.

«Si può sapere dove pensi di andare?»

«Voglio vedere l'appartamento.»

«Scordatelo.» Non deve vedere il labirinto di candele. Capirebbe la verità e sarei spacciata.

Affila lo sguardo. «Qual è il problema?»

«Siamo qui per altro. Nessuno ficca il naso nella mia vita.»

«Spostati.»

«No.» Non posso, ho lottato troppo per avere una vita.

«Allora non ci siamo capiti.» Avanza di un passo e me lo ritrovo addosso. «Quando voglio una cosa è quella, non ci sono storie.»

Non ho tempo di ribattere, mi spinge via e devo impegnarmi per restare in piedi. Finire per terra sarebbe ancora peggio, dimostrerei di non sapermi difendere, di non meritare una seconda possibilità. Io, invece, la voglio e me la sono presa, devo solo essere più forte.

Apre ed impiega un attimo ad abbassare la testa. Lo so anche senza vederlo: il suo sguardo è sul pavimento, su quel domino bianco e nero che impedisce l'arrivo al letto. Merda! Deve stare fuori dai miei segreti.

Gli metto una mano sulla spalla. «Lì non ci puoi entrare.»

Richiude. Perché mi ha dato retta? Mi afferra la mano e una scarica dolorosa risale il braccio.

La scosta e mi pianta gli occhi addosso, gelidi. «Siamo paranoici, a quanto pare.» Non molla la presa, si avvicina fino a sfiorarmi il corpo col suo e mi obbliga a stendere il braccio lungo il fianco. «Ossessiva e compulsiva» mi sibila in faccia e la sua voce, la stessa aria che mi soffia contro sembra acido corrosivo. «Nessuno, fuori di qui, direbbe mai che sei soltanto una donna terrorizzata.»

Scoppia a ridere. Con la mano libera lo allontano. Non se lo aspettava, perché indietreggia di un passo, ma è tardi e ha già capito tutto. Ha dato una diagnosi perfetta dei miei disturbi.

«Va' a farti fottere!»

Allarga un sorriso. «Il programma è fottermi te, tranquilla.» Mi sfila di fianco. «Mi piacciono i tuoi paradossi.» Osserva i CD esposti nella libreria. «E anche i tuoi gusti musicali.» Con l'indice li scorre, fino a trovare qualcosa di suo interesse. Lo prende. «Un po' di musica?»

Passo le mani sulla faccia, snervata dal suo continuo cambio di direzione. «Mi stai prendendo per il culo?»

«No. Voglio un po' di buona musica e qualcosa da bere.» Se non avesse usato un imperativo, penserei stia scherzando. «Ce l'hai da bere, vero?»

Mi arrendo e sospiro. «Usa l'Xbox come lettore. Sai fare?»

«Certo.» Fa una pausa e sogghigna, quindi, sta per dire qualcosa che non mi piacerà. «Ma preferisco lo faccia tu.»

Un altro crampo. Porto la mano sullo stomaco, seppur mi sforzi di restare impassibile. «Non sono la tua serva.»

«No, ma lo farai lo stesso.»

Gli mostro il dito medio. «Birra o whisky?»

Ridacchia, si gira e si inginocchia davanti alla TV. «Whisky».

Che diavolo sto facendo? Mi fermo davanti alla credenza e le note del pianoforte, delicate e malinconiche, accarezzano l'aria. Gli Arch Enemy. D'altronde, cosa potevo aspettarmi? Apro e prendo un bicchiere. Recupero la bottiglia di Johnnie Walker nell'altro vano. La batteria irrompe di prepotenza e mi ritrovo a sorridere. Amo questo stacco netto e violento. Il riff trascinante è una scarica crescente di energia.

"Pensieri oscuri si insinuano

Nel profondo della tua mente

L'uccisione della speranza."

Chiudo un istante gli occhi e inspiro. È il passato, ormai non c'è più niente. La speranza è già morta, ma io sono ancora qui.

Verso due dita di whisky e mi fermo. Non siamo al bar, inutile essere tirchi. Ne aggiungo ancora.

"I demoni sussurrano: suicidati."

Avvito il tappo e quel pensiero resta lì, scivola a ogni giro e si avvolge attorno al mio collo. Ho già dato e ho fallito. Ma i demoni sono ancora annidati nella mente, hanno soltanto cambiato le parole. Sono paure che diventano terrore e mi soffocano, anche quando vorrei gridare. Invece, resto in silenzio, o canto.

«The beast destroyed your will.»

«No.» Mi giro di scatto e fronteggio lo sguardo caustico di Ron.

«La bestia non ti ha distrutto?»

Gli allungo il bicchiere. «Sì, ma non sono rimasta un guscio vuoto e mi sono ripresa la mia volontà.»

Osserva il liquido che fa ondeggiare. «Eppure, scopare con me lo metterei proprio nella lista delle cose che portano all'autodistruzione, visto che l'hai scelto.»

Sorride e beve un paio di piccoli sorsi, senza perdermi d'occhio. «E tu niente?»

«Non amo il whisky e non ho sete.»

Lo alza e me lo piazza davanti alla faccia.

Non lo lascio decidere per me, ho giurato che non lo avrei più permesso a nessuno. «Se non lo togli, finisce dritto nello scarico del lavandino.»

«E tu a novanta sopra.»

«Torniamo al gioco duro?»

«Non abbiamo mai smesso, veramente.» Svuota il bicchiere. «Your worst enemy dwells from within.»

«Oh, il mio peggior nemico è passato dallo specchio a dentro di me? Buono a sapersi.»

Scatta avanti, mi infila una mano tra i capelli e la porta dietro la nuca. Mi trattiene e mi spinge a indietreggiare. Non riesco a contrastarlo e mi ritrovo incastrata tra lui e la credenza. Il tintinnio del vetro sul ripiano di marmo.

«Non fingere di essere stupida.» Scandisce con cura ogni parola sulle mie labbra. «Cosa vuoi da me?»

«Scopare senza rott―»

Uno strattone deciso ai capelli tira indietro la testa e mi spezza la voce. Mi aggrappo al marmo, la lingua di Ron risale il collo.

«Basta stronzate.» Il suo respiro si sposta con lentezza snervante sull'orecchio. «Cosa pensavi di trovare con me?»

Comincia a mancarmi l'aria. Non posso, non adesso. «Volevo capire come fai.»

«Spiega.»

Bacia il collo, lo graffia apposta con la barba come fosse carta vetrata e preme i denti sulla pelle. È un animale che si sforza di non azzannare la preda.

«A essere sempre sicuro di te e ad avere tutto sotto controllo, anche le persone.» Sento le sue labbra tendersi con un piccolo sbuffo. «Non è solo la paura che incuti, è altro. Sei tu.»

Mi fissa, piega la testa da un lato e la sua espressione di compatimento arriva come un pugno. Una povera stupida che non ci arriva, non vede i propri limiti e gli fa pena. Stringo i denti.

«Ma tu non puoi» ridacchia.

«Perché?» Mi protendo verso di lui, però mi blocca, frena persino la rabbia che mi ribolle dentro e la sprofonda nell'impotenza. Ancora.

Impotente.

Fanculo, parla! «Piantala di fissarmi così.»

«Ecco, dovresti avere solo questo.»

Non capisco. «Cosa?»

Mi accarezza lo zigomo col pollice, ma mi sottraggo con uno scatto della testa.

«Tu fingi e basta, pantera.» Con l'altra mano risale la schiena. «Fingi di non provare emozioni e di fregartene di tutti. Io no.»

Ogni parola si porta via un briciolo di forza.

«Non ho nessuno da proteggere, perché non me ne fotte un cazzo di niente.» Ed è lì, il vuoto, un abisso nero che risucchia nei suoi occhi, se si è così pazzi da fissarli. «Ci sono io e ciò che è mio. Punto. L'unica emozione che so provare è la rabbia e per questo mi piaci: mi fai incazzare il giusto, di solito.»

Quindi, è vero, non potrò mai liberarmi davvero?

L'odore caldo e legnoso del malto, mischiato a quello acre del tabacco, mi riempie le narici, Ron mi invade la bocca con la lingua e l'aroma affumicato del torbato.

«Ma puoi sempre fingere meglio di così» sogghigna, mantenendo il contatto.

Non è la stessa cosa, non voglio solo una maschera. Voglio un po' di libertà. Vorrei respirare e non sentirmi più soffocare.

«Oppure,» diventa serio, «distruggi ciò che ami. Fallo a pezzi e godi del suo dolore.»

Non posso, siamo qui per questo. Non potevo lasciare che facessero del male a Lisa e lo rifarei per ognuno dei Midcrime. 

Bạn đang đọc truyện trên: Truyen247.Pro