3. Church
Mi sveglio di soprassalto, trovandomi di fronte Donna Way in vestaglia - rigorosamente leopardata - che con le mani sui fianchi ed aria minacciosa mi dice «Dobbiamo parlare».
Guardo la sveglia al led sul comodino.
Sono le 7 del mattino.
Ed io sono un ragazzo pacifico ma alle sette del mattino non parlo con nessuno.
Faccio una smorfia perché Donna continua a guardarmi e sembra non volermi lasciare in pace, così mi arrendo.
Tiro via le coperte e scendo dal letto.
Donna mi dice di seguirla in cucina.
C'è anche mio padre. E Gerard. Ma che bel quadretto di famiglia.
«Guarda qui» mi dice mio padre sventolandomi davanti una pagina del Gazzettino di Belleville.
Strizzo in po gli occhi per mettere a fuoco.
Vergogna e vandalismo sulla Chiesa di città.
Sotto al titolo, un'enorme fotografia della tela dipinta ieri da Gerard, attaccata in bella mostra al campanile di una chiesa.
La foto è a colori, e quel "Succhio cazzi" scritto al centro del disegno risalta nella pagina.
Lancio un'occhiata a Gerard, che si sta nascondendo dietro la sua tazza di caffè ed evita totalmente di guardarmi.
E certo, ieri sera mi guardavi mentre mi spogliavo ed ora mi eviti.
«Ok...» mormoro.
Perché insomma, che altro dovrei dire? Mica ce l'ho messo io quel telo sul campanile!
Mio padre mi guarda in cagnesco, giuro, e lancia il giornale sul tavolo «Ok!? Stai scherzando?» mi chiede.
È un tantino arrabbiato.
Ha il volto rosso e quella vena sulla tempia sinistra che sta per esplodere.
«Perché ti stai arrabbiando? Io non c'entro niente con quel coso!» dico io.
Lui inspira ed espira e inspira di nuovo e poi scuote la testa «Ah no?».
«Eh, no. Non so nemmeno dove sta la chiesa! E poi non so nemmeno disegnare. Non è opera mia» dico in mia difesa, lanciando un'occhiata a Gerard che sembra davvero si stia divertendo come non mai in tutta la sua vita.
Fantastico.
«Ah no!?» chiede ancora mio padre, ed io comincio a pensare che abbia una qualche deficienza mentale.
Scrollo le spalle, e Donna si avvicina a me prendendomi le mani «E come mai ieri avevi tutte le mani sporche di vernice!? È forse una coincienza?» chiede come se fosse appena uscita da un episodio di C.S.I. ed avesse trovato la risposta all'enigma del giorno.
Tiro via le mie mani e vorrei urlare che io non c'entro niente davvero, ma Gerard mormora un «Oops» uscendo dalla stanza e così capisco tutto.
È uno stronzo, d'altronde.
Ripenso a come ieri mi ha chiesto di aiutarlo a cambiare i tappi delle bombolette, e a come abbia premuto le sue dita sporche sulle mie mani, proprio per far sì che mi sporcassi per bene.
È un fottuto genio del male ed ha deciso di rovinarmi la vita.
Perché, poi!? Che cazzo vuole da me!?
Sospiro cercando di calmarmi. Potrei dire a mio padre e Donna di andare a dare un'occhiata ai disegni appesi nella camera di Gerard per rendersi conto di chi sia davvero quell'opera, ma io non sono così infame, quindi preferisco starmene zitto e non dire nulla.
«Che non si ripeta mai più!» mi dice mio padre «E spero davvero che non ti abbia visto nessuno, altrimenti dovrò andare a scusarmi personalmente con Padre Joseph!».
Annuisco, e quando finalmente decidono che posso lasciare la stanza torno al piano di sopra e vado a prepararmi per andare a scuola.
Gerard è nella sua camera.
Si sta vestendo.
«Sei proprio uno stronzo!» gli dico quando solleva lo sguardo verso di me con quel suo tipico sorriso da infame che ha sulle labbra.
Lui sorride ancora scuotendo la testa «È stato davvero divertente» dice con una risatina.
Ti odio!
«Che cazzo ti ho fatto!? Perché ti stai divertendo a mettermi in difficoltà con mio padre e Donna?».
Stringo i pugni dal nervoso.
In questo momento credo di somigliare a mio padre.
Gerard scrolla le spalle, rigirando una t-shirt tra le mani.
Non risponde. Certo che non risponde perché insomma che dovrebbe dirmi? Che mi sta mettendo nei guai per il semplice gusto di farlo?
Non riesco nemmeno a dire altro. Mi tolgo la maglietta XL che mi ha dato per dormire ed indosso gli stessi abiti che avevo ieri, fregandomene che siano sporchi.
Esco di casa in fretta e mi accendo una sigaretta mentre cammino verso la scuola chiedendomi se non sia il caso di raggiungere mia madre in California e dire addio a questi psicopatici di Belleville.
Ho bisogno di almeno altre due sigarette, così me ne sto seduto fuori dalla scuola mentre più passano i minuti e più il cortile si popola di studenti.
Mi mancano i miei amici di New York.
Non ho mai avuto grandi problemi a relazionarmi con le persone ma qui non riesco ancora a sentirmi parte di nulla.
Se non dei giochi infami di Gerard, ovviamente.
E non è una bella cosa.
Ci rifletto, mentre inspiro ed espiro il fumo della Marlboro.
Forse è colpa mia. Forse ho sbagliato qualcosa.
Insomma deve pur esserci un motivo se si comporta da vero stronzo con me, no?
Oppure è solo uno psicopatico e c'è poco da ragionare.
Mi passa davanti con i suoi amici e Ray mi saluta mentre lui sussurra qualcosa a Bert ed entrambi scoppiano a ridere e ricomincio a sentirmi nervoso.
Entro nella scuola e cammino verso il mio armadietto. Ci metto un po a trovarlo perché non sono proprio il mago dell'orientamento.
Devo prendere il quaderno che ieri mi è stato gentilmente concesso dalla segreteria visto che ero venuto qui a mani vuote.
Gerard e i suoi amici sono alle mie spalle, chiacchierano allegri e probabilmente hanno già fumato qualcosa perché dicono un sacco di stupidaggini. Oppure sono solo scemi, non mi stupirei.
Quando apro l'anta d'alluminio, dall'interno cadono giù delle bombolette spray.
Quelle bomblette spray.
Rotolano per qualche secondo sul pavimento, mentre io le guardo sorpreso e prima ancora che possa rendermi conto di essere di nuovo vittima di uno dei fantastici scherzi di Gerard, sento qualcuno mormorare «È stato lui!».
E in quel momento capisco che sto per cacciarmi in un mare di guai.
Sento Gerard ridere di gusto mentre io mi piego a raccogliere le bombolette da terra sotto gli sguardi accusatori dei miei nuovi fantastici compagni di scuola.
Li sento tutti, i loro sguardi.
E la risata di Gerard mi penetra nelle orecchie e mi martella nella testa mentre le mie mani iniziano a tremare e comincio a sentire una morsa di nervosismo partire dal petto ed espandersi a tutto il corpo.
Io. Lo. Odio.
E prima che possa ragionarci su e rendermi conto che così non faccio altro che peggiorare la mia situazione, mi sollevo di scatto e con tutta la rabbia che ho in corpo mi scaravento contro di lui, afferrandolo per le spalle e sbattendolo contro il muro.
Sarò pure un nanetto, ma lui è una primadonna e sa menare.
Mi guarda stupito mentre cerca di liberarsi dalla presa.
È più debole di me.
Sento qualcuno gridare "Botte! Botte!" e qualcun altro dirci di smetterla, ma è solo un sottofondo perché sono accecato dalla rabbia e voglio solo spaccare la faccia allo stronzo che ho davanti.
Gli afferro il colletto della maglietta e provo a buttarlo a terra, ma lui ora riesce a spintonarmi e mi manda a sbattere contro gli armadietti.
Intorno a noi sono tutti in circolo e noi siamo lo spettacolo del giorno.
Gli metto una mano sul collo e stringo la presa, lui prova a darmi un pugno. La prima volta fallisce. La seconda mi colpisce sullo zigomo destro.
Fanculo.
Gli tiro un calcio sulle gambe, Gerard perde l'equilibrio e cade a terra ed io da bravo spettatore di Wrestling gli salgo addosso e comincio a tirare pugni. Lo colpisco due volte.
Poi qualcuno mi afferra per le spalle.
Ops. È il preside.
Un bel richiamo per noi. Tutti e due nel suo ufficio, subito!
Il circolo di studenti sembra essersi evaporato alla velocità della luce, mentre Gerard si alza a fatica e cammina a qualche passo da me massaggiandosi la guancia.
Credo di avergli davvero fatto male.
Il preside ci fa sedere di fronte a lui, nel suo ufficio. Si fa portare del ghiaccio secco dall'infermeria e lo da a Gerard che è effettivamente conciato male.
Ci chiede cosa è successo e Gerard con l'aria più innocente possibile, degna del miglior attore di Hollywood, scrolla le spalle indicandomi e dicendo «Non lo so! Ha iniziato lui, mi si è scaraventato addosso ed ha cominciato a picchiarmi!».
Il preside mi guarda ed io non so che dire.
Perché è vero, è andata così, sono stato io a iniziare la rissa ma vaffanculo è stato Gerard a fare lo stronzo e a mettermi in difficoltà da quando sono arrivato in questa cittadina di merda.
Ci fa una lunga ramanzina, il preside.
Più che altro la fa a me, perché Gerard nella parte della vittima innocente ci sta proprio bene a quanto pare. Ci dice che la violenza genera solo violenza e che i problemi non è così che si risolvono.
Wow, la lezione dell'anno.
Come se fosse il mio hobby preferito andarmene in giro a picchiare la gente.
Comunque il preside dice un mucchio di stronzate del genere e poi ci mette in punizione.
Un'ora nella biblioteca dopo le lezioni per sistemare i libri.
Sul serio.
Tutto qui.
Comportatevi bene e mettete i libri negli scaffali in ordine alfabetico.
Da come aveva detto il Preside, immaginavo che la biblioteca fosse enorme e piena di scaffali disordinate.
Invece è minuscola, una stanza con una sola finestrella e cinque scaffali in alluminio.
Io e Gerard non ci siamo ancora detti una parola. Trascino il piccolo carrello in cui ci sono i libri che vanno riordinati, e lui cammina davanti a me in silenzio.
Sistema due libri sotto la lettera A.
Un libro alla B.
Ogni tanto si massaggia la guancia, dove è spuntato un grande livido.
Ci sta male, su quel viso delicato, quel livido.
E giuro che lo penso davvero.
«Mi dispiace» dico d'un tratto, spezzando il silenzio.
Gerard si volta a guardarmi. Dritto negli occhi.
Non dice una parola.
È snervante. Potrebbe dirmi che gli ho fatto male, o che ne so io, ma non dice assolutamente nulla.
Sospiro «Non potremmo lasciarci tutta questa storia alle spalle e ricominciare da capo?».
Lui continua a guardarmi in silenzio.
Dio che darei per poter capire cosa cazzo gli passa per la testa.
Sembra impenetrabile.
«Beh, comunque sei tu che hai cominciato!».
«Ah!».
Finalmente ha parlato.
Aggrotta le sopracciglia «Non c'era comunque bisogno di prendermi a cazzotti!» dice alterato portandosi la mano sulla guancia di nuovo.
«Ho detto che mi dispiace».
«E ci credo! Guarda che hai fatto, hai rovinato il mio splendido viso».
Sul serio?
Però ha ragione. L'ho pensato anche io.
«Tra qualche giorno tornerai come nuovo».
Gerard fa schioccare la lingua «Beh, prova a mettermi le mani addosso di nuovo e ti spacco la faccia» dice cercando di darsi un'aria minacciosa.
Non riesco a trattenere una risata.
«Ma per favore, meni come una femminuccia» gli dico dandogli un buffetto sulla spalla.
Lui sorride. Forse è la prima volta che mi sorride davvero, senza guardarmi in quello strano modo che mi mette sempre in soggezione.
Mi da un colpo sulla spalla anche lui, più forte però, come per farmi sentire che sa colpire.
Così io gliene do un altro.
Sembriamo due deficienti.
Dico davvero.
Lui mi colpisce ancora, stavolta credo con tutta la forza che ha in corpo, o comunque abbastanza da sorprendermi e farmi sbattere allo scaffale al io fianco.
Per poco non cade tutta la libreria. Fortunatamente resta in piedi, così evitiamo l'effetto domino e qualche altra strana punizione.
Gerard scoppia a ridere e rido anche io.
Forse possiamo andare d'accordo.
Forse.
«Ti sarei piaciuta, se fossi stata una femminuccia» dice dopo un po, quando smettiamo di ridere.
E non è una domanda, ma un'affermazione.
Deglutisco. Che significa?
Mi passo una mano tra i capelli.
«Forse... Dico, se non fossi così stronzo intendo, magari potresti piacermi anche ora» dico parlando piano.
Cosa ho appena detto!?
Stupido Frank!
Gerard solleva lievemente i lati delle labbra in una specie di sorriso compiaciuto.
«Quindi ti piacciono i ragazzi?».
Sento il viso andarmi in fiamme. Sono sicuro di essere completamente rosso in volto.
Non parlo spesso di questo genere di cose. Non lo so nemmeno io. Oddio che ansia.
Ho sedici anni e per lo più mi piace qualsiasi buco con una persona intorno, se capite che intendo.
Mi manca l'aria. E forse è perché Gerard sta facendo qualche passo verso di me.
Si fa sempre più vicino.
Il suo corpo è praticamente a due millimetri dal mio.
Mi sudano le mani mentre mi guarda negli occhi e devo tenere la testa un po sollevata per sostenere il suo sguardo.
«Allora si che le cose si fanno interessanti» dice quasi sussurrando, parlandomi a pochi centrimetri dalla faccia.
Sento il suo odore, un misto di dopobarba, sudore e sigaretta.
Mi piacciono i movimenti della sua bocca quando parla.
Alza una mano e la mette accanto alla mia testa, poggiata contro lo scaffale alle mie spalle. Fa la stessa cosa anche con l'altra mano, tenendomi intrappolato tra le sue braccia.
Sorride di nuovo malizioso, sta volta. Ed io altaleno lo sguardo tra i suoi occhi verdi e le sue labbra.
E fanculo il testosterone, sto avendo un'erezione.
Sul serio.
Sento la gamba di Gerard farsi strada tra le mie, e la sua coscia premermi contro l'inguine. Sorride compiaciuto.
E si avvicina di più a me.
E sta per baciarmi.
So che sta per baciarmi. Sento le labbra quasi formicolare dal desiderio di posarsi su quelle di Gerard.
La sua bocca si posa leggera contro la mia, mi passa la lingua sul labbro inferiore ed io a questo punto sono pronto a tutto.
E poi la porta della biblioteca si apre. Sul più bello, Gerard fa uno scatto all'indietro e si passa le mani tra i capelli per darsi una sistemata.
Io resto poggiato allo scaffale ancora eccitato ed incredulo.
La segretaria della scuola si sporge dalla porta «L'ora è finita, potete andare».
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