4. L'esilio
L'esperienza vissuta da Dante, ovvero l'esilio in seguito alle schermaglie fra guelfi e ghibellini nella Firenze d'inizio '300, sfociate nella prevalsa di chi portò il vessillo dello Stato Pontificio, avevano dato vita a una delle pagine più memorabili della letteratura di tutti i tempi. Di quell'opera mastodontica, che era per lui poema d'eccezionale afflato, prima ancora che summa del sapere di quell'epoca, sentiva proprio le due terzine in cui Cacciaguida premoniva al vate italiano la sua cacciata da Firenze in particolar modo addosso. Come una ferita per certi versi ancora dolente, seppur da tempo rimarginata.
Tu lascerai ogni cosa diletta
più caramente; e questo è quello strale
che l'arco dello essilio pria saetta.
Tu proverai sì come sa di sale
lo pane altrui, e come è duro calle
lo scendere e 'l salir per l'altrui scale.
Aveva vissuto anch'egli il distacco dalle cose più caramente dilette, conosceva bene il sapore di quel pane e la durezza di quelle scale. Continuava imperterrito e con un certo orgoglio a ritenersi cittadino del mondo, purtuttavia ciò non aveva mancato di richiedere un prezzo. Singolare il fatto che avesse deciso di fermarsi proprio lì, fra le colonne dedicate alla cronaca di un vecchio e polveroso quotidiano locale, subito dopo il caloroso abbraccio di Kathmandu e il lungo soggiorno a Himachal Pradesh, nell'amorevole villaggio di Salahar, dove un periodo s'illuse di aver ritrovato se stesso. Occorreva una buona dose di follia per rinunciare alla verde seraficità di quei luoghi preferendovi un'informe colata di cemento. Eppure, in quel freddo e perennemente umido inferno britannico, aveva scorto qualcosa che lo tratteneva, un dardo che squarciava le tenebre al pari di Durga, la dea delle dee, e che forse, stavolta, l'avrebbe condotto lontano dal suo esilio interiore, quel sentimento di marginalità che lo perseguitava ovunque.
Si soffermò un istante ancora su quelle terzine, gli sembrò quasi di leggere un pianto nel loro meraviglioso dispiegarsi. Quasi che il sale di quel pane cui il sommo Dante faceva riferimento fosse tale in quanto intriso delle sue stesse lacrime. E non poteva che essere così, si convinse. «Tu proverai sì come sa di sale lo pane altrui...», gli rimaneva difficile capire se fosse in particolar modo un profondo senso di comunanza a toccarlo o, piuttosto, la splendida sinfonia di un idioma che aveva imparato a conoscere molto bene durante le sue (un tempo molto frequenti) scorrerie nel Bel Paese. Qualunque fosse il motivo una cosa era più che certa, non avrebbe tardato a farvi nuovamente visita.
Ma in che modo l'esilio avrebbe potuto essere ricollegato a Stella? Quale pezzo della sua esistenza avrebbe potuto mai raccontare? Be', il distacco dalla patria e dagli affetti per amore, ad esempio. L'amore ch'ella aveva provato per Wilbur... Scacco matto! Stella aveva di fatto accettato gli strali di un esilio donandosi senza alcuna condizione al suo uomo, seguendolo in una terra a lei estranea, accogliendo usi e costumi molto differenti e adeguandovisi senza la minima lagnanza. Lo aveva appena deciso prendendone subito appunto, ed era più che soddisfatto della sua scelta.
Sarebbe stata proprio quella di Dante, dunque, la vicenda che Wilbur avrebbe dovuto attraversare per accaparrarsi il primo frammento. Ovvero l'esilio perpetuo dalla terra natia con tutto ciò che ne consegue: il difficile e mai pieno processo di adeguamento, il persistente senso d'alienazione, la ricerca continua di affetti che mai sostituiranno figure come quella materna o paterna, il perenne sentore di esser degli ospiti mai veramente graditi. Il medesimo destino toccato a Stella insomma, con l'affatto trascurabile differenza che a lei non era mai stato imposto, ma lo aveva scelto di sua sponte pur di rimanere al fianco del suo amato. Un divario, quest'ultimo, che andava a sommare a tutto il resto la disdetta di dover accomunare due concetti quasi antinomici ben sapendo che l'uno non avrebbe mai escluso l'altro. L'amore, per Stella, avrebbe sempre portato con sé, sottopelle, anche la spiacevole accezione dell'esilio.
E il verso che tutto ciò avrebbe prodotto, o meglio l'incipit della poesia a lei dedicata, sarebbe stato il seguente:
Alle spalle ogni cosa diletta per vivere me.
Prese a frugare fra la posta del giorno precedente. Fra le tante lo colpì la lettera di un tale che denunciava la scomparsa della madre, a suo dire vittima di un astuto complotto omicida ordito dalla regina Elisabetta in persona, lamentando la scarsa attenzione della cronaca in merito all'accaduto. Pare la donna fosse stata stroncata da una notizia di recente diffusione secondo cui Sua Maestà preferisse di gran lunga la compagnia del Welsh Corgi a quella di un Cocker Spaniel. Fu come sopraffatto dal surreale candore di quei fogli. «Riposa in pace, Sally Elizabeth Kilman» pronunciò nell'atto di indossare la giacca.
Bạn đang đọc truyện trên: Truyen247.Pro