3. Il primo frammento
Il problema, ora, era soltanto stabilire su quale mirabolante impianto architettonico si sarebbe potuto sostenere un sogno abbastanza articolato da poter portare il caro Wilbur a ricostruire in modo convincente la figura della sua perduta compagna. Le sue abitudini, i suoi progetti, le sue scelte, le angosce e i motivi di gioia, le tenere fantasie, i più remoti aneliti del cuore.
Certo, il fatto che si trattasse di una traversata onirica lasciava una certa libertà in termini di inventiva, questo era tanto indubbio quanto astutamente premeditato, ma la cosa poteva tramutarsi anche in un'infida arma a doppio taglio. Troppa libertà significava anche idee meno chiare e rischio di sprofondare nel gorgo di mille seducenti suggestioni con conseguente, nefasto e inutile, spreco di energie. Un illustre architetto tedesco, per rimanere in tema progettistica, avrebbe sintetizzato il concetto con un perentorio e più che lecito "Less is more".
Avrebbe tanto voluto che il medesimo assunto fosse valido per la vicenda di cui stava scrivendo: un'incredibile accozzaglia di assurdità al quale nessuno pareva riuscire a dare la benché minima ombra di senso. Il cadavere di un certo Henry Smith, un agente immobiliare sulla sessantina colto in apparenza da improvviso raptus suicida e deceduto in seguito all'ingestione di un numero non ben identificato di lame da barba usa e getta frantumate, era stato ritrovato in cima a una pila alta 2 metri di palette di carico, in un grosso deposito per lo stoccaggio merci della Carver&Co, azienda produttrice di carta da parati. «Qualunque accidenti di idea ti sia saltata in testa, zio Henry, potevi limitarti a un modo meno eccentrico di togliere il disturbo», si disse. A meno che qualcuno non si fosse divertito a mettere in scena il caso di suicidio più strambo che la storia potesse annoverare. Era anche quello, in fin dei conti, il modo di narrare una storia.
L'ipotesi di suicidio sembrava essere avvalorata dal fatto che l'uomo non riportasse alcun segno di colluttazione e che non vi fosse alcuna traccia riconducibile alla presenza di qualcun altro all'interno del deposito. Rimaneva da chiarire per quale motivo costui avesse scelto proprio quel posto per togliersi la vita e in che modo fosse riuscito ad avervi accesso. Di cose da chiarire, in verità, ve n'erano parecchie, a cominciare dalla ragione per cui una persona a detta di tutti gioviale, tranquilla e in pieno possesso delle proprie facoltà mentali potesse esser giunta a un gesto del genere ad esempio, ma scioglier quei due nodi, nel frattempo, pareva già un discreto punto di partenza. L'Interpol era ormai da diverse ore al lavoro. Tutto lasciava presagire quella non fosse una matassa sbrogliabile in brevissimo tempo.
Il suo dilemma architettonico, invece, fu sciolto in men che non si dica.
La svolta era sopraggiunta in precedenza in realtà, quando in occasione della scelta di un nome per il suo protagonista gli era capitato di considerare il verso poetico un elemento interessante da mettere in gioco. Considerava il tema del viaggio ormai stantio nel panorama letterario, troppe le opere di spicco che lo avevano affrontato. Meglio svicolare un po', dunque. Occorreva senza dubbio qualcosa che ricalcasse un percorso a tappe, ma che, allo stesso tempo, si discostasse dall'idea classica del viaggio inteso come mero raggiungimento di una meta. Ogni tappa sarebbe stata una meta, nessuna di esse doveva essere vista esclusivamente in relazione al compito che a Wilbur, nel suo sogno, era stato assegnato. Doveva ricomporre i pezzi di un puzzle, sta bene, ma come farlo in modo da non dare oltremisura l'idea della risalita dantesca dagli Inferi al Regno dei Cieli?
La poesia era la risposta. Ogni fuggevole riflesso di Stella sarebbe stato in realtà un verso che avrebbe al fine formato un componimento poetico a lei dedicato. Avrebbe scovato questi frammenti nell'opera dei grandi della poesia, rivivendo attimi della loro esperienza e asportandone con precisione chirurgica ciò che meglio rappresentava la sua amata.
Paradossalmente fu proprio Dante Alighieri e la sua celeberrima Commedia il punto da cui sarebbe partito. Mossa oltremodo azzardata che pareva recare in sé i crismi di un autolesionismo a metà fra la follia e la supponenza. Quasi come ficcarsi in bocca segatura di lamette a due metri dal suolo in un deposito merci stracolmo di carta da parati.
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