IX
Il mattino dopo la porta della mia stanza si apre lentamente, rivelando la domestica Costance. Furtiva, si avvicina alla finestra e scosta le tende; molto probabilmente pensa che io stia dormendo. Ma non sa che non ho chiuso occhio per tutta la notte.
" Signorina Morgana... Mi sente?"
Forte e chiaro, penso, ma non mi muovo. Non rispondo e continuo a far finta di essere nei sogni più profondi, abbracciata al morbido cuscino. Forse ci rinuncia. Forse mi lascerà sola...
" Signorina Morgana... Mi dispiace, davvero, ma il Signor David la vuole in piedi. Dice che vuole parlarle."
A quelle parole m'irrigidisco, e vorrei tanto non aver sentito. Ma non posso sfuggire, non a lui. Così apro gli occhi, lentamente, fingendo uno sbadiglio e mettendomi seduta. Costance mi guarda con tenerezza, una veste tra le mani e un ciuffo di capelli a coprirle gli occhi. Ai suoi piedi noto un cesto di biancheria pulita.
" Che ore sono?"
Chiedo, inscenando un tono assonnato, mentre lei rivolge lo sguardo all'orologio a pendolo. Ma non c'è bisogno della sua risposta; dalla luce del sole, capisco che sia a malapena l'alba.
" Le cinque e trenta del mattino, Signorina."
A quelle parole sgrano gli occhi, scuotendo poi la testa. Ma che diavolo ha nella testa David? Per convocarmi a quest'ora devo solo temere il peggio.
" Comunica a David che arrivo, Costance. Il tempo di cambiarmi..."
" A proposito di cambi, Le ho portato questo, Signorina. Spero che lo gradisca."
Mi porge la veste che teneva fra le dita, ed io la prendo con delicatezza, tastando il tessuto. È in cotone e profuma di vaniglia. Incuriosita, la spiego, rivelando un completo molto grazioso di colore panna e con dei laccetti sul retro. Rivolgo un sorriso a Costance, che ora sembra imbarazzata.
" Oh, ma è stupendo... Non dovevi, davvero! Grazie, ti devo molto."
Mormoro, e lei sorride, per poi voltarsi verso il mio armadio ed aprirlo. La noto posare delle lenzuola pulite.
" Signorina, oltre a questo... Voglio che mi dia la lettera."
" Cosa?"
Quando mi alzo dal letto per poco non cado a terra, sconvolta così tanto da quelle parole. Lei richiude l'anta con forza, guardandomi negli occhi. La trovo diversa. La trovo agguerrita.
" Mi dia la sua lettera, Morgana. La prego."
" Ma non avevi detto che..."
" Andrò in città, quest'oggi. Ho il permesso, mi è stato comunicato poco fa. Posso spedirla con la scusa di andare al mercato."
Non riesco a capire il suo cambio d'umore, lo slancio di ribellione che ora vedo in lei. Non sembra la ragazza di ieri, quella che mi ha accolto con tanta reverenza e timore. Penso che sia successo qualcosa, qualcosa che le ha fatto cambiare idea. Ma non sto qui ad indagare.
Così annuisco e apro il cassetto del comodino, prendendo la lettera. È stropicciata, e tutt'a un tratto ci ripenso. Forse è una cattiva idea.
" Constance, ne sei sicura? Non è un problema, anzi. Mia sorella probabilmente non risponderà nemmeno."
Lei scuote la testa, avvicinandosi a me e porgendo la mano.
" Sicurissima, Signorina. Sua sorella ha bisogno di Lei."
E così, a quelle parole, il mio cuore va in frantumi. Trattengo a stento delle lacrime, e consegno quel pezzo di carta con il fiato sospeso. Costance capisce e, dopo un piccolo inchino, riprende la cesta e si avvicina alla porta.
" Signorina Morgana?"
" Sì?"
Mi volto verso di lei, girando su me stessa. Mi rivolge un ampio sorriso, lì, sul ciglio della porta, e per un attimo mi sembra di rivedere mia madre.
" Sia forte. La servitù è con Lei."
Mormora, a bassa voce, per poi richiudere la porta alle sue spalle.
La servitù è con Lei.
Rimango senza parole, in piedi e con il cuore in gola. Che diamine potrà mai significare?
—
Dopo essermi sbarazzata del pigiama ed essermi preparata come si deve, scendo al piano terra sperando che qualcuno sappia indicarmi dov'è David. A quest'ora pochi sono i domestici in giro, probabilmente il loro turno non è ancora iniziato. Non vedo William da nessuna parte, e al suo posto posso notare un altro maggiordomo vicino alla porta d'ingresso.
Incuriosita, mi avvicino; è più giovane di William e ha una cicatrice in volto. È fermo a guardare il vuoto, probabilmente annoiato dal suo lavoro.
" Ehm... Mi scusi... Avrei bisogno di un'informazione."
Il nuovo maggiordomo si volta, mi fa un inchino ed annuisce. È apatico, non si scompone.
" Mi dica."
" Sa per caso dove posso trovare il signor David? Ha detto che voleva parlarmi, ma non so proprio come reperirlo."
Lui mi guarda, notando uno strano movimento del sopracciglio. Poi indica una porta in lontananza.
" È laggiù, Signorina. Nel suo studio."
Mi volto verso il punto indicato. Dalla porta a vetro posso notare una luce soffusa fare capolino nel corridoio; è già al lavoro. Così annuisco, tornando al giovane che ora mi fissa insospettito. Mi viene voglia di chiedergli che fine abbia fatto William, ma non insisto e lo lascio solo.
I miei passi rimbombano nella quiete del mattino, e a farmi compagnia è il cuore che batte forte ed il tamburellare della pioggia sulle finestre. Oggi non è una bella giornata, e l'incontro con David è senz'altro un brutto presagio. Tant'è che prima di bussare alla sua porta prendo un bel respiro.
" Avanti."
Quando faccio capolino nella stanza, noto David seduto a braccia conserte davanti ad una grossa scrivania. Dietro di lui un'enorme libreria ricolma di libri, quadri alle pareti e delle morbide poltrone al centro. Deglutisco a fatica e sento le gambe molli esattamente come ieri sera. Sembra quasi mi stesse aspettando.
" Buongiorno, Morgana. Siedi pure e chiudi la porta."
Obbedisco senza far rumore, chiudendo la porta e sprofondando su una poltroncina. Sono davanti a lui, ora, e non posso sfuggire. Non oso guardarlo negli occhi.
" Volevi vedermi?"
Chiedo, piano, tastando il terreno e sperando con tutto il cuore che io non sia qui per una ramanzina. Da come mi risponde, però, capisco che mi sbaglio.
" Sì, volevo vederti. Quello che ho visto ieri sera non mi è piaciuto affatto."
Afferma, deciso, ed io fisso nervosa il pavimento. Sento il suo sguardo penetrare da capo a piedi, un secchio d'acqua gelida addosso. Non oso immaginare a cosa stia pensando.
" Co... cos'è che hai visto?"
" Tu ed Adrian complici, vicini. Un po' troppo."
Alzo il viso. Incontro il suo sguardo e la rabbia che vedo nei suoi occhi mi fa rabbrividire. Il rombo di un temporale mi fa sobbalzare, e la luce di un lampo si proietta per un attimo sulla sua figura. Mi costringo a stare calma.
" Volevo che tu familiarizzassi, ma non così. Avrei preferito che tu venissi con noi altri invece che sgattaiolare fuori con un quasi orfano che ha fin troppi problemi di rabbia."
Le sue parole sono piene di veleno, taglienti e pungenti come un'arma. Anche se so che non sono propriamente per me, mi sento comunque ferita. Lo vedo mandare giù un sorso di tè prima di continuare.
" Adrian non sta bene, Morgana. Ha qualche problemino e pensieri strani per la testa ed io lo tengo qui solo perché mi fa pena. Sua madre è malata e suo padre è morto. Tu lo lasceresti per strada? Beh, perché io no. Forse sono troppo buono."
Parla tra se e se ignorandomi completamente, sorseggiando una tisana che all'improvviso vorrei gli andasse di traverso. Non so perché mi sto infuriando, non so perché sento il dovere di difenderlo, ma non lascerò che sputi addosso ad Adrian in questo modo.
" Forse è stanco, o forse non lo paghi abbastanza. Forse entrambe le cose."
David rimane con la tazza a mezz'aria, ed io credo di aver fatto un grave errore. Mi guarda stupito, mentre un tuono si fa sentire.
" Chi ti ha detto che non lo pago abbastanza?"
" Supposizioni."
Mi affretto a dire, mentre lui poggia la tazza con cautela. Poi, inaspettatamente, si sbilancia con la sedia verso di me, mi afferra bruscamente per un braccio e mi guarda dritto negli occhi. Io perdo un battito e non respiro. La potenza del suo sguardo è inarrestabile.
" Te l'ha detto lui, non è così?"
La sua è una domanda retorica, eppure so che cerca una risposta. Io non riesco a non mentire, e se penso ad Adrian ho un groppo allo stomaco.
" No, no. Te lo giuro, David... Non mi ha detto niente."
" E allora di cosa avete parlato ieri sera? Perché William mi ha riferito che siete stati tre ore, lì fuori. Uno non parla di sport o di bel tempo in tre ore. Non in un giardino ben isolato. Non quando c'è feeling. Penso dovresti saperlo."
La sua mano stringe il mio braccio ed ecco di nuovo quella bestia violenta di cui ho tanta paura, quel mostro che si nasconde in lui. Non mi piace come si comporta, non mi piace il dominio. Così mi libero e lui per poco non cade dalla sedia. Per tutta risposta mi alzo, spaventata.
" Te lo ripeto. Io sono qui solo per lavoro. Parlo con chi voglio, faccio quello che voglio. Solo perché mi stai aiutando non significa che tu possa controllarmi!"
" Oh, ma è qui che ti sbagli."
Si alza anche lui, la mascella contratta ed i pugni serrati. Si avvicina a me, un ticchettio di un orologio a scandire il tempo, ed io mi appiattisco contro il muro. Voglio farla finita, voglio andarmene. Eppure so che i giochi non sono ancora iniziati.
" Io non controllo, io supervisiono. Se questo non ti sta bene puoi anche andartene. Ma poi i tuoi soldi finiranno altrove e tu e la tua sorellina morirete di fame."
Sussurra, ad un centimetro dal mio viso, ed io mi volto verso la finestra. Non voglio guardarlo, non voglio averci niente a che fare.
" Smettila di fare l'eroina e accetta la realtà. Tu risponderai ai miei comandi, farai ciò che ti dico e come lo dico. Esattamente come gli altri. Anzi, forse più degli altri..."
" Cosa intendi dire con questo?"
Mormoro, mentre lui scuote la testa. Mi sposta una ciocca di capelli dal viso e mi sento mancare. Odio che mi tocchi, odio il fatto che io debba sottostare a lui. Una lacrima mi riga il viso.
" Intendo dire che sei preziosa più degli altri. Avrai un ruolo importante nel mio piano, ma non intendo dirti altro. Lo saprai presto..."
Mi sussurra ad un orecchio, ma io lo spingo via e mi aggiusto i capelli.
" Non ho bisogno di essere il tuo pezzo grosso! Mettimi alla pari degli altri, fammi lavorare e pagami... Del resto non me ne frega un accidenti!"
Borbotto, e lui alza gli occhi al cielo sbuffando rumorosamente. È infastidito, mi guarda come fossi una bimba capricciosa. Ma non m'interessa.
" Sei difficile, molto, e mi hai già stancato. Va' a fare colazione. Ci vediamo alle nove in salone."
Finalmente un po' di pace. Ancora adirata mi avvicino alla porta e poso la mano sulla maniglia. Non faccio in tempo ad aprirla, però, perché David mi posa una mano sulla spalla.
" Oh, Morgana, un'ultima cosa... Ho licenziato William ed assunto Rupert... Sappi che Rupert non ti farà più uscire di sera per andare in giardino. Se per puro caso ciò dovesse accadere, però, stai pur certa che ti punirò. Non avrò pietà."
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