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1. 𝙅𝙪𝙨𝙩 𝙊𝙣𝙚 𝙈𝙤𝙧𝙚 𝙏𝙞𝙢𝙚.

𝑹 𝑨 𝑽 𝑬 𝑵
𝑂𝑔𝑔𝑖.

𝑪arne da macello.

Mi sentivo così, come un povero vitellino pronto ad essere ucciso.

«Solo un'altra volta, ti prego. Lo faccio per te.», le parole di mio padre continuavano a risuonarmi come tamburo nella testa.

No, non lo faceva per me. Lo faceva per il suo ego smisurato, per non farci mancare un soldo in cassa e per ancora continuare con le sue stupide scommesse.

Un passo avanti e le luci sono direttamente puntate lungo il mio corpo, snello, splendido... a detta di tutti, tranne me.

Ho cominciato ad odiarmi solo dopo aver ricevuto complimenti da tutti, fin da quando son piccola. Tanto che mio padre e mia madre avevano capito come fruttarci sopra: concorsi di bellezza, casting su casting per stremare una bambina qual'ero.

Secondo mia madre era lui quello che mi obbligava... e, comprendevo perfettamente che era vero ma, mia mamma era stata molto peggio, ragion per cui - nonostante lo sfruttamento - ero a mio agio con Ross Housefield.

Avanti al mio corpo semi-nudo sorrideva, dietro i giudici. Era a braccia conserte, appoggiato con una spalla a una delle porte, ammiccava come avesse fatto lui colpo su di loro.

Gli rivolsi una smorfia disgustata, avrei dovuto lanciargli una scarpa sulla fronte e fuggire via, ma volevo talmente bene a quell'uomo che rimasi lì, impalata, avanti a quelle teste di cazzo, fingendo un sorriso.

«Potresti essere più felice, Raven», diceva sempre lui.

«Cosa intendi?» chiesi appena uscita dal provino. Si lamentava del fatto che avessi perennemente un sorriso ribaltato sulle labbra. Non ero mai contenta e parevo sempre obbligata.

«Ti ho promesso...», mi strinse le mani tra le sue, grandi e calde a confronto delle mie gelide e piccole, «Ti ho promesso che sarebbe stata l'ultima volta ed è così. Ho bisogno di pagare alcuni debiti e non possiamo andare in banca rotta... o dovrò, vendere il maneggio».

Sussultai, nessuno tocca il mio maneggio ippico, nessuno tocca Royal Winner...

Mi strinse di più le mani, dalle quali mi stavo per ribellare e allontanare. Mi costrinse a guardarlo negli occhi uguali ai miei: stanchi, affranti... vuoti.

«Quindi impegnati e non dovrò vendere quello zoppo del tuo cavallo».

Royal Winner non era zoppo ma mia madre l'aveva salvato dalle corse ippiche ed era stato per diverso tempo un cavallo da corsa, allenato proprio e solo per quello.

Sbuffai, dovevo dargli ascolto. Non poteva succedermi nulla di male, anche perché mio padre sarebbe stato sempre accanto a me.

Ma mentirei a dire che in quel momento, non avevo voglia solo di tornare al centro ippico: di sentire l'odore delle stalle, il profumo di avena e il pelo tra le mie mani del mio cavallo.

Avevo voglia di immergere il mio corpo sulle spighe grano dei campi adiacenti ai recinti, liberare Royal e scrivere pagine e pagine con una penna su foglio bianco, o magari leggere un libro con il sole tra le nuvole che illuminava debolmente i prati.

La mia gamba prese a tamburellare velocemente sul pavimento di mattonelle, avevo la mente offuscati dai pensieri.

Quando Ross mi strinse una spalla, cercando di calmarmi, lo cacciai.

Non ero agitata per quello stupido casting da ragazza immagine, volevo solo andarmene.

Dopo pochi minuti infatti, richiamarono la nostra attenzione, un uomo e una donna, entrambi con dei pesanti occhiali da vista e dei tratti tutt'altro che dolci.

Io me ne ero privata quel giorno, degli occhiali, intendo. Anche se li portavo mio padre mi aveva obbligato ad indossare le lenti. «Da più occhio al tuo sguardo!»

Sospirai ripensandoci aspettando che quelle due figure parlassero senza enfasi e suspense, annoiata, d'altra parte mio padre fremeva come un bambino.

Non volevo impegnarmi e se lo facevo era per il bene che volevo a mio padre.

Forse sarei dovuta fuggire, un'altra volta, dopo ciò che era successo con mia madre? Non ne potevo più di fare la vita da latitante, mi era bastato...

«Abbiamo i risultati dell'ultima selezione, le ragazze immagini che stiamo cercando sono Mira Diáz», guardai tra le ragazze spuntarne una, aveva i capelli ricci le scendevano lungo le spalle scuri creando armonia sul viso dai tratti dolci e le labbra carnose.

«E, Raven Housefield».

Strabuzzai gli occhi.

Eh? Io?

Guardai Ross in preda al panico che saltò in piedi gridando verso le altre "concorrenti": «Andate a casa, perdenti!», mi misi le mani sul viso per coprirmi dalla vergogna.

Mi aveva detto che pochi momenti prima, fumandosi una sigaretta poco fuori dall'edificio, qualcuna aveva detto di essere: "la più bella e capace". E... mio padre, non si era stato fermo così come - a suo dire - l'altra ragazza che aveva vinto.

Mi aveva difeso con tutte le sue forze e a questo giro avevamo vinto, o meglio, lui aveva vinto.

Guardai la riccia sorridere premurosamente verso i giudici, qualcosa mi diceva che anche lei lo faceva per soldi glielo si leggeva in faccia. Anche perché i suoi occhi, parlavano di qualche cicatrice misteriosa, qualcosa di triste alleggiava tra i suoi sentimenti, non so perché ma, lo percepivo.

Ancora, Ross saltellava. «Papà...», lo richiamai.

«Papà!», un'atra volta.

Lui si placò guardandomi e dopo pochi secondi si rese conto che molta delle gente, si era dileguata, ed anzi stava mettendo in imbarazzo solamente me e la sua figura.

Mio padre era un personaggio noto per questa compagnia, aveva fatto da guardia del corpo a molti dei lottatori. Lavorava con questa gente da almeno vent'anni, amava lo sport come se l'avesse da sempre praticato.

Era amico della maggior parte dei gestori e artisti marziali.

Mi mise un braccio intorno alla spalla, accompagnandomi fuori, lo guardai dal basso verso l'alto.

Ross era biondo, i capelli erano ciuffo oro che si lanciavano come spighe confuso verso l'alto.

I suoi occhi spenti erano cerchiati di un azzurro tale che mi ricordavano tanto i miei, ma non per la somiglianza per il dolore e le cicatrici.

Quello che era successo con mia madre aveva creato danni irreparabili, tutti e due ne stavamo pagando le conseguenze.

Benché fosse molto alto, Ross non mi aveva passato questa enorme qualità certo, ero più alta di Mira - l'altra concorrente vincitrice - ma non superavo il metro e settanta.

Eravamo dietro quella ragazza dai capelli ricci, che per qualche secondo rinfilandosi un capellino da baseball vecchio e malandato ci osservò per pochi secondi, come se conoscesse me o mio padre.

Poi si voltò, come fosse nulla e continuò a camminare.

«Ora posso andare?» bonfonchiai, mentre uscivamo da un grosso portone di metallo.

Lui roteò gli occhi al cielo, implodendo.

«Ma perché non possiamo andare a festeggiare?», sbuffò mettendosi una sigaretta tra le labbra, «Anzi, ehi!» richiamò l'altra partecipante, poco lontana da noi, ma più avanti.

Aveva già imboccato la strada verso il parcheggio.

Non sarei voluta andare con lui.

Mi avrebbe portato in un bar, si sarebbe ubriacato e subito dopo aversi finito un pacco intero di sigarette, mi avrebbe chiesto accompagnarlo a scommettere su partite di basket, corse di cavalli e giocare alle slot machine.

Mi sarei diretta al maneggio a qualunque costo, era quasi ora di dare i pasti agli animali e volevo fare muovere Royal. Magari una passeggiata tra i boschi mi avrebbe fatto staccare la testa da questa stupida audizione.

Mio padre mi aveva accennato che la mia prima comparsa sarebbe stata il giorno dopo, al "Faccia a Faccia" di Adonis Crow e Fox Beckett.

Mi aveva fatto vedere come i due combattessero, anche se ci capivo poco dello sport, era così violento... avevo comunque osservato quelle ragazze presentare il round con un po' di paura.

Paura che qualcuno, avessero capito il gioco... magari mi avrebbero cercato e...

«Ehi!», richiamò ancora la ragazza che si fermò facendo ondeggiare i capelli setosi neri verso di noi. I suoi occhi dalle ciglia lunghe e catrame come i suoi occhi, nascosti dagli occhiali da sole, ci osservarono.

Diventai così rossa che un peperone mi avrebbe fatto solo i complimenti.

Mi misi le mani sul viso un'altra volta, per evitare che la sconosciuta mi associasse a mio padre. Ma fu inevitabile quasi...

La ragazza scrutò mio padre con fare quasi superiore, alzò il mento e ci osservò come se fosse un gradino in più sopra di noi. Noi, pedine di un gioco che ancora non era neanche cominciato.

«Sì?» chiese. Non era vestita elegante, come mio padre mi aveva imposto ma sembrava uscita da un quartiere latino di gang rivali e rap ispanico.

Aveva un collana d'oro che bazzicava da sopra la felpa extra large nera, degli orecchini a cerchio enormi e un'espressione neanche troppo disturbata.

«Vuoi venire a festeggiare con noi?», chiese mio padre ammiccando un sorriso alla ragazza.

«Papà-», fui interrotta prima che potessi anche solo dirgli di smetterla.

«Con piacere!» sorrise lei.

Osservandomi senza pregiudizi, al contrario sembrava essere interessata a quel gesto.

Mio padre si alzò dal servizio della tavola calda, lasciando me e Mira da sole. Una avanti all'altra.

«Da dove proviene il nome Mira?», chiesi lasciando che la conversazione prese una piega più interessante, eravamo arrivati da poco vicino a casa nostra, a piedi.

Osservando l'Ornamental, aveva chiesto lei di entrarci e prenderci qualcosa di caldo.

La ragazza mi osservò per qualche secondo muovendo il piccolo contenitore dello zucchero verso la sua tazza di caffé. Ne versò così tanto che mentre iniziò a spiegarmi, sgranai gli occhi.

«Mira in spagnolo significa "guarda, osserva". Mio padre sapeva per certo che fossi stata una di quelle che studiavano prima di parlare, e quindi...»

«Hai messo un po' di caffè in quello zucchero?» scherzai.

Mira, mi osservò ancora, appoggiando l'oggetto e congiungendo le braccia in modo conserto.

«E Raven? Che vuoldire?»

«Beh, in inglese, vuoldire "corvo imperiale"», lei annuì. «È mia madre pensò bene che potessi essere sacra, una leader come sempre mi ha imposto».

«E ora dov'è?»

Abbassai gli occhi, nessuno mi chiedeva mai di Liberty, soprattutto con quella confidenza che Mira si era presa così tanto.

Alzai lo sguardo verso di lei, mentre vidi mio padre fare qualche passo per ritornare al tavolo. Dietro di lui una figura sinistra, un'ombra che sembrava osservarci da lontano. Incappucciato teneva gli occhi attenti su Ross, su Mira e su di me...

Sospirai, prima che potessi aprire bocca, mio padre arrivò al tavolo ed io non staccai gli occhi da quell'uomo appoggiato a uno degli ultimi tavoli del bar.

«Allora ragazze?», si sedette con tre grossa pinte di birra tra le mani, c'è le passo a tutt'è tre. «Siete pronte per il grande giorno?»

Faticai a ritornare alle voci dei miei interlocutori, poiché la persona aveva gli occhi retti proprio verso il mio sguardo.

Lo stomaco si comprimeva. La testa cominciava a vorticare ed ebbi una strana sensazione.

Sentii Mira sbattere il vetro di uno dei tre bicchieri contro quello di mio padre. Spostai il gomito per farlo scivolare sul tavolo, avevo improvvisamente voglia di prendere una boccata d'aria fresca.

«Raven!» mi rimproverò una voce, non mi ero accorta che mi fossi alzata e avessi fatto cadere il bicchiere, che guardai a terra.

Un milione di pezzi graffiavano il pavimento, il contenuto liquido era sparso per tutto il parquet.

Quasi mi mancò l'aria.

Quando sentii le gambe molli, un fruscio mi destò un altro sospetto e quando alzai gli occhi verso la figura: non c'era nessuno.

Solo il chiacchiericcio delle voci e mio padre che davanti al cameriere diceva che non fossi una persona attenta, mentendo. Ero una calcolatrice seriale.

Mi massaggiai per un attimo le tempie, era vero ciò che avevo visto? O frutto della mia immaginazione?

Erano passati troppi anni... non poteva essere...

«Raven?» abbassai lo sguardo e mi risedetti al tavolo.

Non volevo un'altra birra, non bevevo.

L'Ornamental non era neanche pieno, poca gente lo popolava ma il legno ci teneva al caldo e fuori le temperature erano scese di diversi gradi.

«Che ti è preso?» chiese Mira, non era preoccupata ma le leggevo negli occhi che aveva avuto la mia stessa sensazione, che qualcosa non andasse.

«Niente, Raven è un po'-» si interruppe mio padre fischiando e girando nell'aria l'indice in piccoli cerchi immaginari, mimando che fossi una psicopatica.

«Smettila,» gli intimai, «non sono pazza, ho solo pensato che ci fosse qualcuno che conoscevo...»

Abbassai il volto a rinchiudermi nei miei pensieri ed un tratto, infatti, qualcosa mutò nella voce di mio padre che si fece più tremolante.

Forse era giunto il momento di ritornare a casa, di andare da Royal Winner e dimenticare questa storia.

Almeno fino a domani.

Almeno fino a quando non sarei salita sul quel misero palco a mostrarmi: bella, decisa e motivata a far soldi.

🖤

Devo fare un piccolo ringraziamento a libri_e_cioccolato per avermi dato l'ispirazione di pubblicare la storia il giorno del suo compleanno e quindi la reputo, un mini-regalo a distanza per lei!
Auguri bimba!🩷

Detto questo, cosa ne pensate?
Lasciatemi qualche commento, qualche critica costruttiva, qualsiasi cosa, stelline ecc. per farvi sentireeee🖤

Ci vediamo ad un prossimo capitolo, un bacioneee❤️

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