3 - Complementari
🍏🍎
"Urano temeva di perdere il potere per colpa dei figli, così decise di rinchiuderli in una prigione nel ventre materno. Allora Gea, arrabbiata col marito, realizzò una falce di metallo e chiese ai figli chi volesse spodestare il padre castrandolo. Soltanto Crono si offrì volontario e riuscì ad evirare il padre con l'aiuto di Gea, la quale attirò Urano con l'inganno."
— When everything's made
to be b r o k e n
I just want you to know who I am
Quella che si apre davanti a me è la sala da pranzo più bella che abbia mai visto. E forse non faccio poi tanto testo, dato che conosco solo il tavolino a quattro posti nell'appartamento di mio padre e la caffetteria di Yale.
Trattengo il respiro in modo involontario, e sia Hades che Hermes, alla mia destra e sinistra, se ne accorgono, perché mi fissano con dei sorrisetti divertiti.
Il tavolo è la prima cosa che salta all'occhio, al centro della sala rettangolare. Ha dieci posti per lato, più i due a capo tavola. È apparecchiato con una tovaglia color cremisi e un set d'argenteria che sembra costare più della mia retta all'università. Un lampadario in quelli che credo siano proprio cristalli cala dal soffitto. Quest'ultimo è interamente dipinto, come quello della sala da ballo in cui sono stata solo due settimane fa. Qui, però, non ci sono scene varie della mitologia greca. C'è quella che riconosco essere la storia dell'origine del mondo.
«C'è chi crede che il mondo sia nato dal Big Bang,» irrompe la voce di un uomo adulto, vellutata ma anche con una nota sinistra. Crono avanza dalla parte opposta della sala a quella in cui mi trovo, e si ferma davanti al suo posto a capo tavola. «Poi c'è chi crede che sia stato l'operato di Dio, nei suoi famosi sette giorni di onnipotenza.»
Faccio un passo in avanti, a mento in alto. «E chi crede che, in principio, vi era il Caos. Un miscuglio universale e disordinato di materia. Non era un vero e proprio disordine, bensì una Divinità capace di generare. È la Cosmogonia.»
Crono inarca un sopracciglio. Sembra piacevolmente sorpreso. Alle sue spalle, compare Rea, con la sua compostezza impassibile.
«Io credo alla versione di Dio,» commenta Liam alle mie spalle.
Crono lo fissa per un istante, poi torna a me. Punta l'indice in alto, in un invito a osservare i disegni sul soffitto. Obbedisco, più perché sono curiosa che perché me l'ha chiesto.
«Dal Caos nacque, prima di tutti, il Destino o Fato, dai voleri imperscrutabili e imprescindibili. Poteva essere benigno, ma anche molto ostile, e le sue decisioni erano inamovibili. Il primo giudice del mondo.» Eccolo lì, nell'angolo più lontano da me. «Poi ci fu Erebo, un abisso senza fondo. La Notte, che per quanto fosse buia, era portatrice di riposo e consigli. Le Parche, anche note come le ministre del Destino. Seguirono la Discordia e la Vecchiaia.»
Il dipinto si apre in un cielo dall'azzurro intenso.
Il rumore dei tacchi di Rea Lively si fa sempre più vicino. Prende posto a tavola, con il naso volto all'insù, per seguire la storia. «Più avanti nacquero divinità più pacifiche. La Concordia, l'Amore, il Giorno, Urano, cioè il Cielo, e Gaia, la Terra. E, per volontà di Amore, queste cessarono di essere parte del Caos, diventando personalità distinte.» Sorride. «È così che iniziò a formarsi l'ordine.»
Crono poggia le mani sullo schienale della sedia, che ha più le parvenze di un trono. «Urano è il primo dio che regnò sull'Universo appena uscito dal disordine del Caos. Egli si unì a Gea, la Terra, e da essa ebbe molti figli. Tra essi, i principali sono i Titani e i Ciclopi. Urano temeva i suoi stessi figli e, appena nati, li nascose nel Tartaro. Gea, adirata, persuase i Titani a ribellarsi al loro padre e a detronizzarlo: diede infatti all'ultimo nato, Crono, una falce, con la quale mutilò Urano dei genitali,» racconta.
Osservo la raffigurazione di Crono. Non somiglia all'uomo che ho davanti, ma sembra molto più buono. «Anche Crono aveva paura dei suoi figli, però,» commento.
«È vero,» aggiunge Liam, che sta leggendo qualcosa dal telefono. «Wikipedia dice che se li mangiò. Un tipo strano, eh?» Quando solleva il capo e incontra la figura di Zeus, che svetta su di lui, deglutisce a vista e blocca lo schermo del cellulare. Lo ripone in tasca e guarda dritto davanti a sé.
«Dopo aver detronizzato il padre, Crono prese per sposa Rea. Veniva chiamata "Grande Madre" ed ebbe molti figli,» prosegue Rea.
Crono tamburella le dita sullo schienale della sua sedia molto modesta e fissa i suoi occhi ambrati nei miei. Anche distanza di svariati metri, il suo sguardo è così intenso che non riesco a evitarlo. «Un oracolo aveva predetto che Crono stesso sarebbe stato spodestato da uno dei suoi figli, per questo motivo decise di ingoiarli appena nati. Chronos, con l'accezione di "tempo", assume il significato metaforico che il tempo divora tutte le cose che egli stesso ha creato. Non è un concetto meraviglioso, Artemis?»
Sto per correggerlo e dirgli che non è il mio nome, quando Zeus si fa avanti e mi precede. «Zeus, però, riuscì a batterlo. E divenne il re degli Dèi.»
Questa precisazione non sembra piacere a Crono, che si acciglia e fa strisciare la sedia all'indietro, pronto a prendere posto. «Perché non ci sediamo e mangiamo? Ci attende un'ottima cena.»
Nessuno fiata. Hera, Poseidon e Zeus si dirigono verso il lato sinistro del tavolo, mentre l'altra parte della famiglia va dritta in direzione del destro. Mi fermo davanti al primo posto che trovo, e la sedia al mio fianco si muove quasi in contemporanea alla mia.
Ares mi sta guardando dall'alto, con un sorrisetto malizioso. «Ti dispiace se mi metto accanto a te?»
«Sì.»
«Bugiarda,» mi ammonisce.
Hades incombe alle sue spalle, e Ares lo sente subito, però non si gira. Anzi, ghigna più forte, come se stesse solo aspettando il suo arrivo. «Vai insieme ai tuoi fratelli, prima che ti appenda al lampadario,» gli intima a bassa voce.
Ares non si muove di un centimetro. Con la coda dell'occhio, però, guarda suo fratello Zeus, che lo sta sgridando silenziosamente. Poi tende la mano, con il dorso all'insù e l'indice fuori. Indica la sedia accanto alla sua.
Liam, che sta passando lì dietro, si blocca e la fissa. Non faccio in tempo a fermarlo; si protende verso di essa e vi posa un bacio sul dorso.
Zeus si ritrae con uno scatto. «Che cosa stai facendo?»
Liam impallidisce e si allontana. «Credevo che mi stesse chiedendo di baciarla. Tipo, non so, un gesto di rispetto. Come quando baci l'anello del Papa.»
Tutti i presenti stanno assistendo alla scena in silenzio. Persino Crono guarda Liam con un'aria buffa, ben diversa dalle solite espressioni intimidatorie che si stampa in viso. «Forse una barchetta a remi riusciamo a trovarla, per rispedirlo negli Stati Uniti,» borbotta tra sé e sé.
Apollo e Hermes circondano Ares, insieme a Hades. «Vai dall'altra parte,» gli ripete Apollo.
«Sennò che fai? Mi frusti con la tua chioma selvaggia, Jared Leto?»
Sono stanca di questo spettacolino. Ancora di più di Ares e delle sue provocazioni. E, a dir la verità, sono pure molto affamata. «Ares,» lo richiamo. «Vattene.»
Non so perché, ma mi ascolta. Gli bastano due parole pronunciate da me per sollevare le mani in aria, in segno di resa, e fare il giro del tavolo. Si siede accanto a Zeus, senza aggiungere nulla, ma pur sempre con l'aria strafottente.
Io mi ritrovo tra Hades e Apollo.
Una volta riuniti, mi rendo conto di un dettaglio che mi era sfuggito fino ad ora. Sono divisi in due colori. I Lively che stanno con me prediligono il bordeaux. Sia Athena che Aphrodite indossano due vestiti di quel colore. Hermes, Apollo e Hades portano dei completi eleganti. Hades è l'unico ad avere solo il blazer, senza nulla sotto, lasciando l'addome in bella vista. Ma nel taschino della giacca nera c'è un fazzoletto bordeaux. Anche Crono e Rea riportano solo e unicamente quella tonalità.
I Lively davanti a me, invece, sono tutti sul blu notte. Partendo dalla camicia sbottonata di Ares, passando per il fiore nella tasca di Zeus e la giacca di Poseidon, concludendo con il tubino aderente di Hera.
Due mesi fa, nel fare un'osservazione del genere, mi sarei sentita pazza. Ora sono sicura che non sia casuale. Soprattutto il fatto che io non abbia nessuno dei due, bensì un semplice vestito bianco.
«E comunque ti sei dimenticato la camicia,» irrompe Ares, rivolto a Hades. «Fossi in te, controllerei due volte prima di uscire dalla tua stanza.»
Hades non si scompone e neanche lo degna di uno sguardo. Si è già versato del vino rosso nel calice e ne prende un sorso. «Se io fossi in te, mi alzerei da tavola e andrei a sbattermi la testa contro il muro con tutta la forza che ho.»
«Preferirei sbattermi la tua...»
Accade tutto in fretta. Con un movimento fulmineo, che riesco a cogliere solo perché i miei occhi sono fissi su Hades. La sua mano destra prende un coltello e lo lancia in direzione di Ares. Non credo che il suo scopo fosse ferirlo, perché mi accorgo subito che non prende la mira verso di lui. Infatti, la lama sfreccia al lato sinistro del capo di Ares e va a sbattere contro il muro più indietro.
«Ádis,» tuona Crono.
Ares si passa la lingua sul labbro e raddrizza la schiena. «Pessima mira. Riprovaci. E vedi di centrarmi. Altrimenti lo prendo io il coltello.»
Hades scatta in piedi. Apollo lo afferra per l'avambraccio e lo rimette al suo posto.
Non siamo affatto vicini alla fine di questo scontro infantile, ma un altro coltello volta fino allo spazio del tavolo che separa Hades e Ares, con una forza tale da conficcarsi nel legno. Athena ha ancora la mano in aria, segno che è stata lei a lanciarlo. «Se non la smettete, il prossimo ve lo lancio in fronte. Tutte queste storie per una stupida ragazza. Siete patetici e fastidiosi.»
Crono fa schioccare la lingua contro il palato. Alle sue spalle, dalla seconda entrata, compaiono tre camerieri con dei vassoi in mano. «Athena, non si parla così della propria sorella.»
«Sorella?» esclamo, incapace di mantenere un minimo di contegno. «Non sono tua figlia. E non mi chiamo Artemis. Sei inquietante. Un pazzo inquietante con manie di protagonismo e pure megalomane, tu e le tue statue di merda.» Prendo fiato. «E perché c'è una mia foto in casa vostra?»
Poseidon grugnisce, nel tentativo di soffocare una risata. Ares gli dà subito corda. «Non male, Haven. Avrei aggiunto un "vecchio sarcofago", ma per il resto mi sembrava abbastanza a effetto.»
«Stai zitto, tu!» gli urlo contro. Ci manca solo lui.
«Mi eccitano sempre le ragazze che mi ordinano di stare zitto,» commenta in un sussurro.
Con uno scatto, Apollo si protende verso Hades e gli porta vita tutte le posate che ha davanti.
La situazione è così strana che non sappiamo chi debba essere il prossimo a parlare. Il cibo è sul tavolo e nessuno lo tocca. Fatta eccezione per Hermes, Liam e Poseidon, che si passano un vassoio con costolette di maiale e un'insalata coloratissima.
Crono poggia i gomiti sul tavolo e congiunge le mani, per usarle come appoggio per la testa. Non mi stacca gli occhi di dosso e mi sorride. «Vuoi fare un gioco, Haven? Uno velocissimo. Ti mostro una foto e tu mi dici chi sono le persone immortalate. Ti va?»
«Crono.» La voce di Rea arriva come un avvertimento. E, se possibile, mi mette ancora più curiosità.
Crono infila una mano sotto il tavolo per qualche istante. Ricompare con un pezzo di carta. Comincio a chiedermi se non sia lo stesso che stringeva ieri, sul ring, durante l'incontro. «Allora? Vuoi giocare?»
«Cosa vinco?» indago. Una mano si ferma sulla mia coscia, sotto la tovaglia, e riconosco il tocco familiare di Hades.
Crono Lively sventola la fotografia in aria, e ne colgo solo qualche colore e forma confusi. Uno stralcio insignificante, dal quale non capisco nulla, ma che mi fa venire voglia di alzarmi in piedi e andare a strappargliela di mano. «Purtroppo, Haven, in questo gioco perdi a prescindere. Anche quando vincerai. Soprattutto quando vincerai. Sei pronta a correre il rischio?»
«Sii più preciso,» gli ordino.
Lui inarca entrambe le sopracciglia. Non so se il mio tono lo abbia innervosito o divertito. «Mettiamola così: la tua vittoria sarà anche una vittoria mia. Perché se indovinerai, cambierà tutto per te. L'amore puro e cristallino che credevi di provare verrà macchiato a vita.»
Dio, perché in questa famiglia devono sempre essere così critici? Ogni cosa diventa un mistero, un gioco di parole con miliardi di possibili significati. Parlano per indovinelli.
«Haven, se vinci, io credo che vorrai accettare la mia proposta. Ecco perché perderai.» Crono sembra avermi letto nel pensiero. E le sue parole mi rimbombano in testa, creando un fenomeno contrario a quello dell'eco. A ogni ripetizione, si fanno più rumorose.
«Non è possibile. Non ci credo,» decreto alla fine.
Crono allarga le braccia. La foto è poggiata sul tavolo. «Tira i dadi e scopriamolo.»
Mi mordo il labbro. La mano di Hades rafforza la presa sulla mia gamba. Due iridi verdi, alla mia destra, sono puntate su di me. Forse Apollo pronuncia pure il mio nome, non lo so, la mia attenzione è focalizzata su Crono.
«Ora basta,» sbotta Ares, in piedi. Il movimento è così brusco da far rovesciare la sedia a terra. «Lei non diventerà tua "figlia", pazzo di merda.»
«Questo lo deciderà Haven. Siediti, Ares, e tappati la bocca,» dice Rea, senza alcuna espressione in viso. Anche lei sta mangiando. Con movimenti eleganti, mette in bocca minuscole porzioni di cibo e mastica lentamente.
I miei occhi saettano da Crono alla fotografia. E gli occhi di tutti i presenti saettano da me alla fotografia, forse curiosi di scoprire cosa sceglierò. Una parte di me è sicura che anche loro vorrebbero vederla per capire di cosa parla Crono. Per la prima volta nella mia vita, sono spaventata da un gioco. Perché, in fondo, credo alle parole di Crono. Ho paura di scoprire qualcosa di davvero terribile.
«Scusate?» domanda Liam con una vocina timorosa. «Posso esporre un dubbio che mi attanaglia da ieri?»
«No,» esclamano Hades e Ares all'unisono.
Ma Crono agita la mano a vuoto, come a dirgli di procedere. Liam si schiarisce la voce, lo sguardo puntato sul suo piatto già ripulito due volte. «Lei, signor Crono, vuole Haven nella sua famiglia. Giusto? Ecco. Perché deve entrare a farne parte proprio come Artemis, quindi sorella degli altri, e non può come Persephone? Potrebbe sposare Hades. Sarebbe parte della famiglia comunque.»
Aleggia il silenzio. Interrotto solo da Poseidon che si fa scivolare un ossicino di mano. Questo vola fino al piatto di Apollo.
«Be', ha senso,» commenta Hermes, con cautela, forse per testare il terreno e capire cosa ne pensi il padre. «Put a ring on it, lo diceva Beyoncé.»
«Allora?» incalzo Crono. Non che abbia tutta questa voglia di sposarmi, ma forse, in futuro...
Crono si mette in piedi con un sospiro. Prende la foto e la infila dentro la tasca interna della giacca nera. «Hai perso la tua occasione, Haven. Non si gioca più.»
«Non hai risposto alla domanda, Tutankhamon,» lo prende in giro Ares. «Inizi ad avere problemi di memoria?»
Crono comincia a camminare per tutto il perimetro del tavolo. Con il capo chino, come se stesse pensando intensamente a qualcosa che non ci è dato sapere. È come se non ci fossimo. E credo, anche, che solo Rea possa sapere cosa gli stia passando per la testa. Proprio quando mi convinco che sia preoccupato, solleva il viso, mostrando l'emozione opposta. Divertimento? Non lo capisco. Ma è qualcosa di così positivo che mi preoccupa.
Si avvia alla porta e afferra la maniglia. «Haven non può essere Persephone. Lei è Artemis. Complementare ad Apollo. Il sole e la luna. E non una Divinità di classe inferiore, che regna solo perché ha ereditato il potere da un matrimonio.»
Apro bocca per ribattere, e lui mi precede. «E poi, Persephone c'è già.»
Il mio cuore smette di battere. Sono pronta a riversargli addosso un miliardo di domande, ma il rumore della porta che si spalanca mi fa desistere. Crono fa un passo verso l'esterno, con la mano tesa a palmo in su. Viene riempita da un'altra, dal colorito candido come la neve e le dita affusolate. Nella sala fa il suo ingresso una ragazza che non ho mai visto. Ha lunghi capelli neri, che le accarezzano la vita stretta, acconciati in morbide onde lucenti. Il viso è macchiato da lentiggini leggere e due occhi color cioccolato si guardano attorno, un po' intimoriti. Il suo corpo è fasciato da un vestitino nero in pelle, aderente, che le mette in risalto il seno. Ha tatuaggi ovunque, dalle braccia, alle gambe e persino nello spazio fra i seni.
«Lei è la tua Persephone. Lei dirigerà la sala gioco insieme a te,» annuncia Crono.
Hades è sconvolto. Al punto che, dalla sua bocca aperta in una "o", non esce alcun suono. Io, d'altro canto, ho tantissime cose da dire. La prima tra queste: «No.» E la seconda: «Col cazzo.»
La mano di Hades scivola via dalla mia gamba. Lo prendo come un campanello d'allarme. Infatti, si alza in piedi. Il petto gli si muove a una frequenza sempre maggiore. Ha il viso distorto dallo stupore. Ma non è uno stupore negativo. È positivo.
«Tu,» dice rivolto alla nuova Persephone. «Tu.»
«Lei cosa?» sbotto. C'è uno scambio di occhiate, tra Crono, Hades e Persephone, che non so se mi irriti a morte o mi incuriosisca altrettanto. «Hades? Cosa sta succedendo?»
Crono sorride e, con una spinta leggera d'accompagnamento, sprona Persephone ad avvicinarsi a Hades, che è ormai fuori dal tavolo. Dopodiché infila la mano nella tasca interna della giacca ed estrae due foto. Ne gira solo una, rivolta verso di noi.
Mi chino in avanti strizzando gli occhi. Ci sono due bambini, seduti in un giardino, credo. Uno di questi ha i capelli corvini, sono una macchia nera informe e le iridi grigie. L'altra è una bambina con i capelli neri e le lentiggini. «Persephone e Hades, a sei anni, in orfanotrofio, insieme,» spiega in poche parole.
Persephone abbozza un timido sorriso verso Hades. «Ti ricordi di me, Kai?»
Hades sembra in preda a un dolore atroce. Si regge la nuca con le mani e ha la mascella serrata. Espira con forza e scuote il capo. «Io... ho pochi ricordi di quando ero in orfanotrofio. Ma ricordo una bambina, è una visione confusa e sbiadita, ma c'è. Ricordo anche che non andassimo molto d'accordo.»
Persephone ride. Una risata ammaliante. «No, non ci sopportavamo. Dicevi che ero una grande rompiscatole.»
Qualcosa, nel mio petto, si rompe. Mi sento sprofondare. E vorrei che non fosse solo una sensazione, ma la realtà. Vorrei che il pavimento si aprisse e mi inghiottisse. Dicevi che ero una grande rompiscatole.
Hermes, nel frattempo, ha scalato di posto per mettersi vicino a me. Mi poggia la mano sulla spalla, in una presa affettuosa. Ha la fronte corrugata e l'aria di uno che, come me e gli altri, non ci sta capendo nulla.
«Sei sparita...» mormora Hades, e si avvicina a lei di pochi passi. «Ricordo benissimo che, da un giorno all'altro, te ne sei andata.»
Crono finge una smorfia commossa. «Sai cosa diceva la rettrice dell'orfanotrofio? Che per giorni, la mattina, andavi ad arrampicarti su un albero e aspettavi il suo ritorno.» Fa una pausa per indicare Persephone. «Eccola qui. È tornata, finalmente. Non sei felice?»
Persephone annulla le distanze. Con fare delicato e gentile, allunga le braccia e cinge il collo di Hades. Si stringe contro di lui. Trattengo il fiato. Conto i secondi che passano, con gli occhi incollati alle mani di Hades, ferme lungo i suoi fianchi. Conto fino a quindici, prima che anche lui le muova e ricambi l'abbraccio.
«E l'altra foto, allora, cosa diamine è?» esclama Ares, che non sembra impressionato da questa scenetta.
Estraneo ogni rumore. Lo mando via, concentrata su Hades e Persephone che si stringono. Due amici ritrovati. Cresciuti insieme in orfanotrofio. Persephone. E Hades. Lui la aspettava. L'ha sempre aspettata? O ha smesso, a un certo punto?
«...Haven.» Il mio nome mi risveglia. Non so chi l'abbia pronunciato.
La prima cosa che metto a fuoco è il viso di Apollo, vicinissimo al mio, che cerca di catturare la mia attenzione. È sconvolto. La sua espressione è come una secchiata d'acqua gelida e il cuore prende a martellarmi nel petto. Le mani mi sudano.
Crono ci ha già dato la foto. È poggiata sul tavolo, sotto il naso di Apollo. E vicinissima a me.
Due bambini, di nuovo. Seduti a un tavolo da gioco. Uno con i capelli lunghi e castani, gli occhi verde foglia. E l'altra... con due occhi eterocromi e i capelli rossi. Sono io.
«Siamo noi due, Haven,» sussurra Apollo. «In orfanotrofio. A cinque anni.»
«Eravate inseparabili,» racconta Crono con tono sognante. «Le maestre che insegnavano a voi sostenevano che foste l'uno complementare all'altra. Due modi di ragionare opposti, ma incapaci di coesistere da soli. Due cervelli diversi, che insieme creavano cose strepitose.»
Ho nausea. Ringrazio di non aver toccato cibo. E non credo che lo farò. Non riesco nemmeno a guardare la foto che ho davanti. Non ci riesco. Non solo significa che io e Apollo ci conosciamo da sempre e che Crono mi aveva già designata come la sua Artemis, ma... io sono stata adottata. Mio padre non è il mio vero padre, dunque? Newt non è mio fratello di sangue? O anche lui era lì? Lo ha sempre saputo che non sono sua sorella?
Più di tutto, mi spaventa il fatto che io non ricordi niente di tutto ciò. Non ricordo di essere mai stata in un orfanotrofio. Eppure, è un'esperienza così particolare che sembra impossibile poterla rimuovere dalla testa. Non posso neanche accusare Crono di star mentendo, perché la foto parla chiaro.
«Sei stata adottata, Haven. Saresti dovuta tornare a casa con me, Rea e Apollo. E non con tuo padre e Newt,» conclude Crono, come se non bastasse già quello che ho visto nella fotografia.
Questa frase attira l'attenzione di Hades, che sposta gli occhi da Persephone e guarda me. «Che cosa?»
Non ho il tempo di cercare conforto in lui, perché Persephone gli sfiora la mano e Hades si gira nella sua direzione. E se la scoperta che ho appena fatto è stata dura, questo è il colpo di grazia. Perché il modo in cui la guarda... Il modo in cui la guarda è insostenibile. Mi fa sentire di troppo.
D'improvviso, l'aria è soffocante. Faccio fatica a compiere dei respiri profondi. Non mi accorgo di essermi alzata fino a quando non mi rendo conto dello sforzo che devo fare per spingere la grande porta dalla quale sono entrata. Questa si apre a fatica, il che mi dà ancora di più sui nervi, perché non sono così debole. Sono solo sconvolta.
Percorro il corridoio, con le colonne greche ai lati, a passo svelto. Quasi di corsa, come se Crono potesse raggiungermi e riportarmi di peso in quella sala da pranzo, solo per torturarmi ancora con la vista di Hades e Persephone e di me e Apollo da piccoli.
Una voce, alle mie spalle, mi chiama per cognome. Una, due, tre volte. «Cohen, porca la miseria...»
Mi butto fuori dalla villa, dritta nel giardino d'ingresso, dove due settimane prima ho conosciuto Crono e Rea. Di notte, è illuminato da tante piccole luci dai toni caldi. Anche gli alberi di mele sono ben visibili, ciascuno con colori diversi.
«Haven, quando la gente ti chiama potresti anche rispondere e rallentare il passo,» mi sgrida una voce maschile, parecchio contrariata e un po' affannata.
Lo ignoro. Procedo verso l'angolo del giardino con gli alberi di mele; la vegetazione, lì, è fitta, e con molte probabilità riuscirò a seminare il mio disturbatore. Ho bisogno di stare sola. Nessuno, in questo momento, potrebbe essermi d'aiuto. Nemmeno Hades.
«E ora dove cazzo va?» borbotta Ares, dietro di me, riprendendo l'inseguimento.
Sono a due metri dal primo albero di mele rosse quando una mano mi avvolge il polso e mi costringe a fermarmi. Me la scrollo via con un gesto secco, ma Ares mi riafferra come se nulla fosse. «Cosa vuoi?»
«Prima di tutto, mi piace essere guardato in faccia quando parlo,» sussurra, arrabbiato. «Perciò, rivolgi il tuo bel faccino nella mia direzione.»
Alzo gli occhi al cielo e obbedisco. Se lo assecondo, me lo leverò di torno in fretta. Almeno, ci spero. «Dunque?» lo incalzo. «Senza offesa, Ares, ma sei l'ultima persona con la quale vorrei parlare.»
Sorride malizioso. «Trovo estremamente eccitante quando le ragazze mi detestano e fingono di non volermi.»
Agito il braccio e mi libero dalla sua mano. La cosa gli fa ampliare ancora di più il sorriso. «Non fingo affatto. Non ti voglio qui. Non voglio parlarti. Vattene via.»
Sgrana gli occhi e si porta due mani al petto, per poi fare un'espressione sofferente. «Questo ha fatto parecchio male, Cohen. Stai attenta alle brutte paroline che escono dalla tua adorabile bocca. Fanno più male dei colpi, sai?»
«Non mi interessa.» Gli volto le spalle e cammino a passo spedito in mezzo agli alberi. Ares mi raggiunge senza sforzo. Devo richiamare a me tutta la poca pazienza che mi è rimasta, per trattenermi dal tirargli un pugno. C'è da dire, però, che l'irritazione che mi causa sta riuscendo a distrarmi da quello che è appena successo dentro la villa dei Lively.
Non sono brava ad affrontare subito le cose che mi feriscono. Ho bisogno di chiuderle dentro un cassetto, appena accadono, e riaprirlo solo quando sono pronta. Devo far finta che non ci siano per un po'. È il mio personale meccanismo di difesa.
«Perché mi hai seguita?» rompo il silenzio. «Perché sei qui?»
Nell'aria si sente il profumo delle mele. E quando Ares mi affianca, fin troppo vicino, è il suo odore a sovrastare su tutto. Al contrario del profumo fresco che ha Hades, il suo è altrettanto buono, ma forte. Quasi sensuale. Può un profumo esserlo?
«Ho pensato che un po' di sesso avrebbe potuto risollevarti il morale,» dice con tranquillità.
Non smetto di camminare ma gli lancio un'occhiata truce. «Non sei divertente.»
La ricambia, confuso. «Non cerco di esserlo. Sono serio. Se vuoi...»
«Smettila,» gli parlo sopra.
«Dimenticare i tuoi dolori con una...»
Muovo la mano alla cieca e, trovato il suo braccio, gli tiro dei colpetti. «Ares!»
Esclama degli "ai" acuti e si ritrae, ma almeno sono riuscita a farlo zittire. E, ancora una volta, mi ritrovo a pensare che almeno il suo essere insopportabile è una distrazione. Perché, nel silenzio creatosi, continuo a rivedere Hades e Persephone e il loro legame che si portano dietro fin da bambini. Rivedo me e Apollo. Com'è possibile che non mi ricordi di lui? Come posso averlo cancellato dalla memoria?
«Avevi solo cinque anni; io non ricordo nulla di quell'età,» mormora Ares. «Tra l'altro, il cervello dei bambini, a volte, tende a dimenticare eventi particolarmente tristi e traumatici. È evidente che, per te, stare in quell'orfanotrofio lo è stato.» Infila le mani nelle tasche e studia gli alberi attorno a noi con occhio critico.
Non mi va di discuterne, ancor meno con lui. C'è un'altra domanda che mi assilla. E quando sento i suoi occhi neri addosso e ricambio, lui ha un'espressione intensa. «So a cosa stai pensando, Cohen,» bisbiglia.
«A cosa sto pensando?»
Mi si avvicina e prende una ciocca dei miei capelli tra le dita. «Ti chiedi come mai ti abbia seguita quel gran figo di Ares e non la tua dolce metà, la Diva di Tumblr.»
Be', non l'avrei messa in questi termini, ma ribattere all'egocentrismo di Ares non porta da nessuna parte. «Puoi biasimarmi? Qualche ora fa facevamo l'amore e ci dicevamo "ti amo" in greco, e ora...»
Fa una smorfia buffa. «Scommetto che è il tipo rispettoso, che si inginocchia e ti fa venire cinque volte, solo per compiacerti.»
Sbuffo e gli do una spallata, accelerando il passo, ma Ares è peggio della peste. «E tu chi sei?» Pessima. Non avrei dovuto porgli questa domanda. Me ne rendo conto a metà frase.
Ares ghigna, come se la stesse aspettando. «Io sono il tipo che si inginocchia per te, ma che ti fa anche inginocchiare. Il tipo che sa darti un bello schiaffo sul culo e farti desiderare che fosse più forte.»
«Wow, sono molto impressionata,» dico atona, spostando il ramo di un albero che rischiava di finirmi in faccia.
Ares mi si para davanti con una strana luce degli occhi, bloccandomi il passaggio. Piega la testa verso di me e ghigna, con i denti in vista e i canini affilati. «Ti hanno mai sculacciata, Cohen?» mi incalza con voce roca. «Sei una cattiva ragazza, tu, stento a credere che nessuno lo abbia mai fatto.» Fa scorrere i polpastrelli delle dita sulla mia guancia e si avvicina di più a me.
Lo guardo per qualche secondo, prima di dare uno schiaffo alla sua mano. «Una ragazza ti ha mai riempito di botte, invece, Ares? Perché vorrei davvero essere la prima.»
Non so se sperasse di ottenere qualcosa dalle sue frasette sussurrate e provocanti, ma se non fossi così di pessimo umore oggi gli avrei anche riso in faccia.
«Dipende. Io posso essere il primo a sculacciarti?»
Non demorde proprio. «Lo sai che sei un cascamorto e pure patetico?»
«Lo sai che il tessuto del tuo vestito è così sottile che vedo la forma del tuo culo?»
«Smettila di guardare,» ordino a denti stretti.
Ares scoppia a ridere, senza alcun freno. Sussulto appena, aspettandomi tutto tranne che una risata così fragorosa. Mi circonda le spalle con il braccio e mi stringe in un abbraccio amichevole. «Lo guardo a tutte, non pensare di essere speciale.»
«Non sembra. Continui a provocarmi.»
Si fa serio. Allenta la presa su di me e si tormenta il labbro inferiore con i denti, come se fosse indeciso sul parlare o meno. Per una volta da quando lo conosco, Ares non sa se buttare fuori ciò che gli passa per la testa.
Alla fine, sospira. Si stacca da me con aria triste. «Haven Cohen,» mi chiama. «Ho visto il tuo viso perdere colore, al punto che temevo saresti svenuta lì, con la faccia spalmata contro il tavolo. Quando te ne sei andata ho pensato che nessuno, a parte me, avrebbe potuto distrarti meglio, facendoti accantonare per un po' le nuove informazioni che hai scoperto oggi.»
Resto senza parole. E, visto che se n'è accorto, do un colpo di tosse e cerco di mostrarmi indifferente. «Bella tattica, complimenti. Distrarmi facendo l'egocentrico narcisista che propone di sculacciarmi.»
Non abbocca. China il viso verso il mio, fino a quando non siamo alla stessa altezza e la punta del suo naso è vicinissima a sfiorare la mia. «Però ha funzionato, vero? Ti ho distratta.»
«Mi hai distratta,» ammetto, «ma ti sei fatto odiare ancora un po' di più stanotte.»
Solo un angolo delle labbra si incurva verso l'alto, in un'espressione rassegnata ma anche soddisfatta. «Pazienza. L'importante è che...»
Ci rendiamo conto in contemporanea di quello che sta implicando, nonostante non abbia terminato la frase. Ares arretra di botto, in difficoltà. Una folata di vento smuove le fronde dell'albero sopra le nostre teste e gli fa finire qualche ciocca di capelli sulla fronte. Non si preoccupa di scostarle via. Assume una faccia concentrata e indica la direzione dalla quale siamo venuti.
«Torniamo in casa. Non ne posso più di tutte queste mele del cazzo,» bofonchia.
Non obbietto. Facciamo la strada al contrario e, in qualche minuto scarso, siamo di nuovo all'ingresso di villa Lively. Le luci sono ancora tutte accese, ma non credo che stiano ancora cenando, come se nulla fosse. Saliamo i gradini dell'entrata e Ares mi indica la direzione in cui girare per arrivare al piano con tutte le camere da letto. Sembra conoscere bene questo posto. Mi chiedo se, un tempo, abbiano provato a viverci anche loro.
Ares non fiata, e gliene sono grata. Anche se è vero: senza le sue distrazioni moleste io continuo a vedere lo sguardo che Hades dedicava a Persephone. E continuo a immaginarmi mentre chiedo a Newt spiegazioni sulla mia adozione.
Soprattutto, giunta davanti alla porta della mia stanza, mi domando se Hades sia lì dentro ad aspettarmi. Se mi chiamerà ancora Persefóni mou. Sono ancora io la sua Persephone? O lo è sempre stata quell'altra ragazza?
E se Newt non sapesse della mia adozione? Sarò ancora sua sorella? Mi vedrà allo stesso modo?
E io, dopo stanotte, riuscirò a vedermi come mi vedevo prima?
«Cohen,» mi chiama Ares mentre sto abbassando la maniglia.
Sono già pronta alla sua ultima stronzata. «Cosa vuoi, adesso?»
Sorride. «Buon Natale.» Indica l'orologio appeso al muro del corridoio. Segna mezzanotte e un minuto.
Gli concedo un cenno di approvazione, perché questa volta se lo merita. «Anche a te.»
Poi i suoi occhi si spostano sul mio corpo e si passa una mano tra i capelli. «La mia stanza è dall'altra parte se ti...»
«No.»
«Okay. Ci ho provato. Buonanotte.»
Non aspetto che se ne vada. Entro in camera e mi sbatto la porta dietro, tirando un sospiro di sollievo. L'interno è completamente al buio, fatta eccezione per la luce della luna che filtra attraverso i vetri della portafinestra, con la sua aura celeste.
Devo percorrere ogni centimetro dell'ambiente almeno cinque volte prima di arrendermi al fatto che Hades non è qui. Non c'è. Non mi aspetta a letto, non mi aspetta in terrazza, non mi aspetta in piedi o in bagno. Non c'è nessuno, se non io.
«Va bene,» sussurro. «Va bene. Non significa che non verrà. Sta arrivando. Arriverà. Tornerà qui, Haven, smettila. Sei ridicola. Ridicola. Smettila,» mi ripeto come una cantilena.
E mentre compio un passo per avvicinarmi al comodino e accendere la luce dell'abat-jour, due mani mi afferrano per i fianchi e mi fanno scontrare contro un addome nudo. Una bocca si insinua tra i miei capelli e si ferma all'altezza dell'orecchio. «Stai aspettando qualcuno?»
Il cuore si fa più leggero. Ma mi viene da piangere comunque. «Sì.»
Hades deve percepire il dolore nella mia voce; mi stringe ancora più forte, e comincia a farmi dondolare sul posto, in una danza che vuole cullarmi e rassicurarmi. Strofina il labbro sul mio lobo. «E chi aspetti? Me?»
Copro le sue mani con le mie e gli faccio delle piccole carezze.
«Certo che aspetti me,» si risponde da solo.
«Hades...»
«Haven...» mormora. Mi fa girare fino a quando non ci fronteggiamo. Ho pochi secondi per assimilare i tratti del suo viso, perché le sue labbra si fiondano sulle mie e mi dà un bacio violento e disperato.
Si stacca appena e parla contro la mia pelle: «Ares deve ringraziare che la voglia di spogliarti e fare l'amore con te tutta la notte è più forte di quella che ho di andare a riempirlo di botte, per esserti corso dietro.»
Riesce a provocarmi l'accenno di un sorriso. Lo bacia una volta.
«Eccolo,» bisbiglia. «Il tuo sorriso.» Questa frase lo fa distendere, e Hades lo prende di nuovo d'assalto, con baci più rumorosi e scemi, togliendomi il fiato e facendomi ridere come una bambina.
Lo imploro di lasciarmi stare, e lui obbedisce, senza permettermi però di allontanarmi da lui. «Cosa c'è che non va?» chiede.
Ho una sola frase che mi ronza per la testa: «È lei la tua Persephone.» La voce mi si incrina a metà nome. «È lei,» ripeto, ora più arrabbiata che triste.
Hades resta a guardarmi e non riesco a decifrare l'espressione che ha in viso. Mi incastra i ciuffi di capelli dietro le orecchie e poi riporta il resto sulla schiena, lasciandomi il petto libero. Osservo le sue mani, seguo ogni movimento che fanno, e quando hanno finito il loro lavoro, mi permetto di guardarlo negli occhi.
Sono accesi di rabbia. E di desiderio.
Hades mi solleva da terra, tenendomi per il fondoschiena. Aggancio le gambe attorno ai suoi fianchi e non perdo tempo nel porgli domande. Le mie labbra volano sulle sue, le nostre lingue si scontrano, ma siamo così eccitati che il bacio risulta scoordinato e buffo.
La portafinestra si spalanca e l'aria fredda mi investe. Hades mi poggia sul muretto, accertandosi che io sia ben stabile. Si mette in ginocchio e solleva la lunga gonna del mio vestito; mi sfila le scarpe col tacco e se le lancia alle spalle. Quando le sue mani si infilano sotto la gonna, risalendo le gambe, le chiudo d'istinto.
«Cosa fai?» Ho già il fiatone.
Lui guarda verso di me con il ghigno di un demone. Afferra i bordi dei miei slip e li tira giù con un unico, fluido, movimento. Mi scappa un'esclamazione sorpresa.
Poi risale. Le sue mani tastano lungo la mia schiena, alla ricerca della zip del vestito. La trovano subito e, in un battito di ciglia, mi ritrovo completamente nuda. Hades lascia il vestito bianco sul muretto, in modo che mi ci possa sedere sopra come se fosse un cuscino.
Con una lieve pressione sulle mie ginocchia, mi chiede di aprire le gambe. «Te la ricordi la mia lezione di greco?» domanda. «Boreís na mou anoíxeis ta pódia sou?»
Annuisco. «Mi stai chiedendo di aprire le gambe per te.»
Inclina il capo di lato e mi squadra, mentre la mano sinistra mi risale fino alla coscia e si incastra sulla mia vita. «Puoi farlo?» mormora, seducente. «Puoi aprirle?»
«Perché?» rispondo, invece. «Siamo in terrazzo. Ci sono le camere di tutti, qui. Sentiranno ogni cosa.»
Si stringe nelle spalle. Affonda il viso nell'incavo del mio collo e lascia una scia umida di baci. E, lentamente, le mie gambe si aprono, vittime di Hades Malakai Lively. «C'è anche la stanza di "Persephone",» sussurra. «Che non è la mia Persephone. Come non lo è e non lo sarà mai nessun'altra. Perciò, voglio che sentano tutti. Lei, i miei fratelli, i miei cugini, persino mio padre e mia madre. Voglio che sentano che tu appartieni a me. Che io appartengo a te. Voglio che sentano come gemi il mio nome e come io gemo il tuo. Tutti.»
«Ma lei...» balbetto. Hades attende, paziente, che gli esponga i miei timori. Prendo un respiro profondo e riordino i pensieri. «La guardavi in un modo che mi ha fatto male.»
Lui mi accarezza il viso e chiudo gli occhi, beandomi del contatto. «La guardavo come guarderesti un'amica che hai conosciuto in un periodo brutto, e che è sparita nel nulla. Niente di più, Haven, te lo giuro.»
Abbozzo un sorriso, e mi accorgo da sola che non è convincente. Non sfugge nemmeno a Hades. «Un giorno potresti svegliarti e capire che lei sarebbe la scelta più semplice e migliore. La conosci da quando eri piccolo, l'hai aspettata in cima a un albero, e l'hai ritrovata. Ed è una ragazza bellissima, approvata dai tuoi genitori. Perché tormentarti con me?» butto fuori.
Fissa le iridi grigie nelle mie, con un'intensità da farmi venire i capogiri. Mi prende il viso tra le mani e lo avvicina a sé. Sta facendo il possibile per trattenere un sorriso che preme per uscire. «Haven, tu sei sempre stata un tormento, per me, dal primo istante in cui ci siamo conosciuti. E hai continuato a tormentarmi: quando mi hai mollato quel lecca-lecca nella mano, quando mi sbeffeggiavi chiamandomi Signore delle Mele, quando facevi domande su domande, quando ci imploravi di invitarti ai nostri giochi, quando riuscivi letteralmente a umiliarmi con le tue risposte ironiche e intelligenti, quando ti sei iscritta al mio club di teatro...» Sospira. «E, più di tutto, mi tormentavi quando non mi parlavi. Quando ti vedevo in caffetteria e aspettavo che mi raggiungessi, ma non lo facevi, così dovevo mandare mio fratello a chiederti di portarmi una mela. Mi tormentavi quando mi stavi lontana. Mi tormentavi quando mi camminavi davanti, senza vedermi, con i tuoi capelli mossi che ondeggiavano sotto il sole e il suono della tua voce che mi echeggiava attorno. Sei il mio più grande tormento, è vero.»
«Io...»
Il suo pollice mi sfiora la bocca, zittendomi. «Stai sbagliando.»
Aggrotto la fronte, confusa dall'apparente cambio di argomento. «Cosa sto sbagliando, adesso?»
«Stai sbagliando a pensare che io possa anche solo considerare un'altra ragazza. Questo, fra tutti, è il tuo errore più grande,» mi ammonisce.
La sua mano scivola dalla mia guancia e si ferma alla base del mio collo. Accosta le labbra al mio orecchio, provocandomi una scossa di brividi. «Fai la brava, piccola peste. E lascia che ti veneri per tutta la notte.»
Ho lo stomaco aggrovigliato perché sto già fremendo all'idea di riaverlo dentro di me. E il cuore ebbro delle parole che mi ha detto con così tanto amore.
Capisce che sto per ribattere. «Min me amfisviteís alliós tha prépei na se timoríso. Non contestarmi o dovrò punirti. È quello che vuoi?»
Scuoto il capo.
Sorride, compiaciuto, e inizia a sbottonare i jeans. «Kaló korítsi.»
(Nda: "Brava ragazza.")
«Cosa significa?» chiedo, più per occupare l'estenuante attesa di Hades che si sfila i pantaloni e apre il preservativo.
Mi avvolge i polpacci e mi tira verso di lui, lasciandomi in bilico sul ripiano, ancora contro il tessuto fresco del vestito che un tempo mi copriva. Mi inclina verso l'alto e sfrega la sua erezione contro di me. «Significa che sei proprio una brava ragazza, Persefóni mou. La mia brava ragazza...»
Deglutisco a fatica. Accompagno i suoi movimenti, ogni terminazione nervosa del mio corpo che chiede di più. Quando provo a premere ulteriormente, Hades si scansa, solo per farmi soffrire.
Ma io posso ricambiare con la stessa moneta. Libero una sola mano e me la porto tra le gambe, aprendole meglio in modo che possa vedere cosa sto facendo. Infilo due dita dentro di me, facendo seguire un gemito appena udibile. Quando sono certa di averle lubrificate, le tiro fuori e le porto contro le sue labbra. Hades non se lo fa ripetere e, tenendomi per il polso, se le mette in bocca, leccando e succhiando fino a farmi sentire il cuore esplodermi nel petto.
Gli rubo il preservativo, lasciandolo di stucco, e prendo la sua erezione nella mano destra. Glielo infilo con un movimento lento, senza staccargli gli occhi di dosso, e lui ricambia, ancora stralunato da tutta la mia intraprendenza. Sono io a guidarlo, con le dita strette attorno alla sua lunghezza. Sono io a farlo entrare, con una spinta decisa.
Hades si china su di me, liberando un gemito roco. Colgo l'occasione per baciargli le labbra e risalire fino all'orecchio. Lo stringo a me, facendo aderire i nostri corpi, e mi strofino contro di lui. «Ti sbagli,» lo ammonisco. «Non sono per niente una brava ragazza.»
"Persephone" - Halsey
Non é né domenica né giovedì/mercoledì sono proprio falsa ma vi ho avvertit* che ho ritmi sbalzati dall'uni😂 sto avvisando su tiktok quando aggiorno, ma penso inizierò a mettere anche il countdown su instagram così risolviamo e pace all'anima mia
Comunque Kaló korítsi >>>> good girl
Riassunto di questo capitolo: coltelli che volano, drammi, fotografie, sculacciate, un po' di romanticismo e pulizie d'inverno in terrazzo
BUON NATALE DAI LIVELY UN BACI8
Vabbè io mi dileguo mi trovate qui:
Tiktok: cucchiaiaa
Instagram: cucchiaia
Have a nice life.❤️🩹🍏🍎
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