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2 - Mésa mou




"Per i Greci, Ares era un Dio dal quale diffidare sempre."



— It's you, it's you,
it's all for y o u
Everything I do
I tell you all the time
Heaven is a place on earth with you
Tell me all the things you wanna do



«Sul letto?» ripeto come una completa idiota.

Hades inclina il capo di lato e mi scruta con disapprovazione. «C'è qualcosa che non va?»

D'improvviso è difficile compiere una banale azione come respirare. «No. Però non mi sembra il luogo adatto a una lezione di greco, o sbaglio?»

Le labbra si incurvano in un sorrisetto. La sua mano, dalla nuca, scivola davanti fino alla base del mio collo. «Una scrivania sarebbe più adatta a una lezione di greco, certo, ma abbastanza scomoda per le altre cose che voglio fare. Il letto, al contrario, va bene per entrambe, Persefóni mou

Devo avere un'espressione molto divertente, perché mi guarda e riesce a stento a trattenersi dal ridere. Nonostante questo, i rimasugli della rabbia che prova per la situazione in cui siamo, continuano a adombrargli il viso.

Incapace di proferire parola, Hades prende le redini e infila la mano sotto la felpa, dove non indosso nulla. Avvicina il viso al mio e scende, sfiorandomi la gola con la punta del naso. «È un cliché patetico, ma mi piacciono da impazzire i miei vestiti su di te.»

Trattengo il fiato quando sento la sua lingua scivolarmi dalla mandibola alla base del collo. La presa della sua mano si rafforza appena e mi scappa un gemito.

«Ares, ieri notte, mi ha detto che ero vestita male,» mormoro.

Hades si ferma. Quando temo di averlo infastidito e, di conseguenza, di aver rovinato tutto, mi mostra i suoi occhi grigi che brillano d'eccitazione. «Ti ha vista con i miei vestiti addosso, quello stronzo?» sussurra con voce roca. Si morde il labbro e mi perlustra da capo a piedi. «Magnifico.»

Non ho il tempo di ridere e prenderlo un po' in giro per la sua gelosia, che Hades aggancia le mani sotto il mio fondoschiena e mi solleva da terra. Mi carica in spalla come un sacco e si sbatte la portafinestra dietro. Avanza fino al letto matrimoniale e mi ci adagia di slancio, stando però attento a non farmi male.

Rimango a pancia in su, con Hades in piedi che svetta su di me. Posa entrambe le mani sulle mie ginocchia, ma non applica alcuna pressione. Nel momento in cui provo ad aprire le gambe, ghigna e me lo impedisce. «Piano,» mi sgrida in tono severo. «Te lo dico io quando aprirle.»

Di norma mi piace essere quella in controllo. Mi piace tirare i dadi per prima, mi piace quando il turno inizia con me. Ma ora il potere è interamente nelle mani di Hades. E se a volte la cosa può darmi fastidio, in questa situazione mi fa formicolare ogni muscolo che ho in corpo. Per una volta non voglio giocare per prima, per una volta voglio lasciare i dadi a un'altra persona.

«La prima cosa che devi imparare a dire in greco, Haven, è il mio nome,» rompe il silenzio. «Ádis

Lo fisso senza aprire bocca. Reggendosi alle mie ginocchia, si china appena in avanti. Entrambe le mani mi risalgono le cosce e scendono di nuovo, fermandosi.

«E Malakai come si dice in greco?»

La mia domanda lo lascia spiazzato. Anche io sono stupita da quello che gli ho chiesto. Si fa guardingo. «Perché vuoi saperlo?»

Allungo la mano per accarezzargli il viso. «È il tuo secondo nome. Non ti chiami solo Hades. Non sei solo il bambino che è stato adottato e buttato dentro un labirinto.»

Abbassa lo sguardo. «Il problema è che l'alternativa è essere il bambino abbandonato, a cui un orfanotrofio ha scelto un nome casuale perché la sua madre biologica non ha voluto dargli manco quello.»

Gli afferro il viso con entrambe le mani e mi mantengo in equilibrio, il più vicino che mi riesce a lui. «Lascia che ti chiami Hades Malakai Lively, e che per me non sia né il bambino adottato a cui è stata fatta questa cicatrice, né il bambino abbandonato senza nome. Lascia che ti chiami Hades Malakai e che, per me, sia solo il ragazzo di cui mi sono innamorata, contro ogni previsione.»

Mi fissa a lungo. Non mi stacca gli occhi di dosso. Vorrei potergli leggere nella mente e sapere a cosa sta pensando, quali pensieri lo stiano portando a rafforzare la presa sulle mie ginocchia e tormentarsi il labbro inferiore con i denti. «Haven.»

Il modo in cui pronuncia il mio nome mi fa chiudere gli occhi e sorridere. Lo pronuncia con un'intonazione carica di sentimento, di venerazione e gratitudine. Una melodia così bella che lo implorerei per sentirla di nuovo. Non c'è bisogno che aggiunga altro. Ha già detto tutto. Lo so. L'ho capito. Mi ha detto tutto e, al tempo stesso, mi ha mostrato ogni suo singolo pensiero. Come avevo desiderato.

Posiziona la bocca contro il mio orecchio: «Malakái

Be', non cambia molto. Meglio non dirlo a voce alta, però.

«Qual è la seconda cosa che devo sapere, in greco?»

Un lampo di malizia gli attraversa il viso. Si libera dalla mia presa e torna in piedi, mentre io mi lascio ricadere di schiena contro il materasso. «Dipende da te. Cosa vorresti che facessi, ora?»

Non esito un secondo. «Vorrei che mi baciassi.»

«Fila me,» mormora. «Baciami. Dimmelo in greco, e lo farò. Dimmi tutto quello che desideri in greco, e io ti accontenterò.»

Mi poggio sui gomiti, con la gola secca e il desiderio che cresce di secondo in secondo. «Fila me, Ádis

Un'emozione fugace gli attraversa il viso. Emette un ringhio soffocato e stringe la mano in un pugno, lungo il fianco. «Dove vuoi che ti baci, Persefóni mou

«Non so come si dicano le parti del corpo in greco. Insegnamelo.»

Scatta in avanti, probabilmente incapace di controllarsi un secondo in più. Il suo corpo preme contro il mio, ma si regge con il braccio, di lato, per non pesare troppo su di me. La mano libera mi raggiunge il viso e con i polpastrelli ne accarezza i contorni. «Prósopo. Faccia.» Mi sfiora il naso. «Mýti.» Quando mi accorgo che punta agli occhi, li chiudo, e accarezza le palpebre. «Mátia.» Scende lungo la guancia, compiendo dei cerchi immaginari. «Mágoulo

Rimango in attesa che proceda, ma non accade nulla. Sbatto le palpebre, trovandomi Hades con un sorrisetto malizioso e l'aria di chi sa di starmi torturando.

«C'è qualche altra parte che ti interessa, Persefóni mou?» soffia contro le mie labbra.
«La bocca,» dico a fatica.

«Stóma.» Fa scorrere il dito lungo il mio labbro inferiore e ne approfitto per acchiapparne la punta tra i denti. «Fílisé me sto stóma. Baciami sulla bocca.»

Lo ripeto con voce tremante. Ho appena pronunciato l'ultima parola quando le sue labbra si congiungono alle mie, in un bacio così casto che ne rimarrei delusa se solo non fosse anche così dolce. Mi mordicchia il labbro inferiore e lo tira verso di sé, provocandomi un piccolo gemito. È il segnale che aspettava per farsi spazio con la lingua; incontra subito la mia, pronta a rincorrerlo per tutto il tempo che vuole, pronta a baciarlo fino a non avere più fiato.

Ma si stacca. Si stacca, e mi lascia con il broncio. La facciata dura e seria si infrange per un istante. Poi eccola, di nuovo lì. E gli basta un'occhiata per farmi passare la voglia di scherzare.

«Dove altro vuoi che ti baci, adesso?»
Indico il mio corpo con un gesto confuso. «Ovunque.»

«E i vestiti?» domanda, con finta curiosità. «Li dobbiamo lasciare o li togliamo?»
«Li togliamo,» rispondo, sicura.

Hades afferra i bordi della sua felpa che ora indosso io. Allungo le braccia per aiutarlo, ma lui non si muove. «Gdýse me,» mi insegna. «Spogliami. Ripetilo. E dillo bene, altrimenti non ti tolgo nulla.»

Penso che abbia sentito il rumore che ho fatto deglutendo la saliva. Se fossi la Haven di tre mesi fa, mi sentirei patetica per il modo in cui sono in balia di questo ragazzo. Alla me di ora, invece, non interessa. Pendo dalle sue labbra, sì. E non è una sconfitta. Perché quello che mi dà Hades è meglio di qualsiasi partita vinta. «Gdýse me, Ádis

Serra la mascella. Stringe il tessuto della felpa con più forza. «Lo fai apposta, vero? Di aggiungere il mio nome, ogni volta, per farmi impazzire.»

Abbozzo un sorriso. «Ti piace quando pronuncio il tuo nome?»

Fa cenno di sì. Non si spreca in altre parole. Mi strappa la felpa di dosso, con un'irruenza che mi lascia incapace di muovere un singolo muscolo. Non ho nemmeno l'istinto di coprirmi. Per metà nuda, davanti ai suoi occhi famelici.

Hades ghigna. «Ho fatto bene a non metterti l'intimo. Sì. Ho fatto proprio bene.»

Aggancia le dita all'elastico dei pantaloni e mi sfila anche quelli, una gamba alla volta. Poi fa passare l'indice sul bordo degli slip neri e lo tira in avanti, facendolo schioccare contro il mio inguine.

«Gdýse me,» ripeto, con i battiti accelerati e il respiro che si fa più pesante. Potrei morire qui, da un momento all'altro.

Hades mi guarda e si inumidisce le labbra. Con un gesto secco mi toglie anche l'ultimo indumento che mi copriva. Getta il piccolo pezzo di tessuto nero per terra, senza degnarlo di ulteriori attenzioni.

«Come si dice "spogliati anche tu" in greco?» sussurro.

Scuote la testa. Le sue mani mi stringono le cosce nude e risalgono, fermandosi troppo presto. «Non adesso.»
«Cosa...»

Nonostante abbia le gambe chiuse, Hades si china su di me e lascia una scia di baci sul mio inguine. Mi guarda dal basso, sotto le folte ciglia nere. «Boreís na mou anoíxeis ta pódia sou, Persefóni mou? Potresti aprire le gambe per me, mia Persephone?»

Obbedisco senza fiatare, mantenendo il contatto visivo. Hades asseconda il mio movimento e, quando i suoi occhi scendono in basso, la sua espressione cambia. Non è più quello in controllo. Ha appena fatto cadere i dadi sulla tabella di gioco, si è arreso. Il suo pomo d'Adamo si abbassa a vista.

«Gdýsou ki esý,» bisbiglia. «Chiedimelo.»

So già cosa significa. Pronuncio le tre parole al meglio che mi riesce, e ancora prima che possa aggiungere il suo nome, Hades è in piedi e si sta togliendo la maglietta. Nel giro di pochi secondi è nudo, completamente, in piedi. Il suo corpo marmoreo, con i muscoli tonici e ben definiti, e la V dell'inguine che mi dà il colpo di grazia.

Mi metto seduta e scivolo sul bordo del letto. Hades aggrotta la fronte. Non gli do il tempo di obbiettare. Poggio le mani sui suoi fianchi e inizio a baciargli la cicatrice. Si irrigidisce, ma è questione di un battito di ciglia, perché riconosce il mio tocco, l'amore delle mie labbra. E va tutto bene. «È tutto okay,» lo rassicuro, parlando contro la sua pelle calda. «Va bene. Sono io.»

Mi prende il viso tra le mani e me lo solleva, in modo tale che i nostri occhi siano alla stessa altezza. «Va bene. Sei tu. Sei tu,» calca su ogni parola. Ci guardiamo, e io continuo a far scorrere la mano lungo il suo addome, contro quella porzione verticale di pelle che al tatto è rugosa.

Quando fa per inginocchiarsi, lo blocco. «È tuo il controllo. Non inginocchiarti. Fai quello che vuoi.»

Inarca un sopracciglio, dapprima confuso. Pian piano, si fa spazio il compiacimento. Si sposta per andare a prendere un preservativo da dentro il cassetto del comodino e ritorna subito da me. Mi avvolge i polpacci e mi tira verso di lui; soffoco un urletto, e Hades mi solleva dal materasso. La sua bocca ritrova la mia, e perdo l'occasione di chiedergli che cosa stia facendo. Non ne avrei comunque avuto le forze, in realtà.

Hades compie un giro su se stesso e avanza. La mia schiena nuda sbatte contro la superficie fredda del muro, in pieno contrasto con il petto caldo di Hades che preme contro il mio.

«Non posso più aspettare,» sussurro nel bacio. Hades ne approfitta per mordermi il labbro inferiore e succhiarlo con veemenza. Scende in direzione del collo, ma il suo obbiettivo finale è il mio seno. Lo tempesta di baci, baci così lenti che piego la testa all'indietro con una forza tale da farmi male. L'urto con il muro lo fa ridacchiare, ma quando gli stringo le ciocche corvine tra le dita e tiro un po', Hades ritorna all'assalto.

«Hades,» lo richiamo, e la voce mi si spezza.

Sento la sua erezione premere, segno che non c'è tempo per fare altro. Riprende a baciarmi, in modo scoordinato; una mano ancora sul mio seno destro e l'altra pronta a reggermi e tenermi ben salda contro la parete.

«Cosa vuoi che faccia, Persefóni mou?» mi provoca. Mi afferra il capezzolo tra l'indice e il pollice, facendomi venire la pelle d'oca. Mugugno, incapace di proferire parola. «Cosa vuoi? Dimmelo. Ad alta voce.»

Tengo gli occhi chiusi. La sua mano scivola in mezzo ai nostri corpi e, con fatica, si strofina per tutta la lunghezza della mia intimità. Il gesto è irruento, al punto che per un secondo perdo l'equilibrio e deve raddrizzarmi.

«Se thélo. Mésa mou.» L'indice compie piccoli movimenti concentrici sul mio clitoride. «Voglio te. Dentro me. Ripetilo. Se thélo. Mésa mou. Dimmi che mi vuoi dentro di te. Adesso. Domani. E il giorno dopo ancora. Dimmi che mi hai voluto dentro di te da più tempo di quanto tu voglia ammettere.»

La sua voce è come una carezza spietata. Gelida e carica di sensualità. Apro gli occhi, solo per bearmi dell'espressione che ha in viso. Muovo il bacino contro la sua mano e lui preme di più, per darmi il sollievo di cui ho bisogno. «Se thélo. Mésa mou,» mormoro.

«Non basta. Ripetilo,» ordina, e infila un solo dito dentro.
Mi mordo il labbro per non urlare. «Se thélo. Mésa mou.»

«Ancora.» Dev'essere al limite anche lui, perché non me lo dice come un ordine, ma come una supplica. Aggiunge un secondo dito e muove entrambi dentro e fuori, in gesti che mi fanno rovesciare gli occhi all'indietro. «Dimmelo ancora, ti prego.»

Annaspo alla ricerca di aria, i battiti del cuore mi rimbombano nelle orecchie. «Se thélo. Mésa mou. Oggi. Domani. E il giorno dopo ancora. E sì, sono troppo orgogliosa per ammettere da quanto tempo lo volessi. Ma non lo sono per dirti che voglio che sia così per un tempo lungo, tanto lungo, forse vicino all'eternità.»

Hades impreca. Una, due, tre volte. Mormora oscenità mentre sfila le dita e si spinge dentro di me con un solo movimento. Affonda interamente, in un colpo solo, e non mi trattengo dal liberare un gemito prolungato e forte. Mi aggrappo alle sue spalle e conficco le unghie nella sua pelle, mentre Hades esce di nuovo e rientra. Ogni spinta sembra essere più profonda delle altre, la sento nelle viscere, mi fa girare la testa per il piacere. Mi chiedo come sia possibile provare tutto questo. Come sia possibile sentire le punte dei piedi formicolarmi e il cuore premermi contro la gabbia toracica.

«Grigorótera. Pio dynata,» sussurra contro il mio orecchio. Il suo corpo perfetto preme contro il mio, in una spinta dopo l'altra, lente e profonde. «Più veloce. Più forte,» traduce. «Se è quello che vuoi, ora sai come chiedermelo.»

I nostri addomi sono così attaccati che mi sta schiacciando il seno fino ad appiattirmelo, e la vicinanza ci ha già resi scivolosi e sudati. I gemiti di Hades si aggiungono ai miei, e tra un verso e l'altro, continua a ripetermi in greco: "Grigorótera. Pio dynata", come un promemoria da tenermi in testa per quando sarà giunto il momento di usarlo.

«Grigorótera. Pio dynata,» gli chiedo, stremata. Tanto che non sono nemmeno sicura che sia uscito qualche suono dalla mia bocca.

A quanto pare, è così. Perché Hades si stacca appena da me e, con il ghigno di un demone tentatore, mi sposta i capelli dal viso, lasciandoli aggrovigliati tra le sue dita. L'altra mano vola sul mio fianco, e io mi inclino con il bacino in avanti per accoglierlo meglio.

Si perde per qualche istante, le iridi grigie che vagano alla scoperta di ogni dettaglio del mio viso. Sorride. Un sorriso angelico e dolce, in netto contrasto con quello che stiamo facendo. «Sei una peste rompicoglioni, Haven Cohen. Ma sei anche perfetta per me. E te lo puoi scordare di accettare la proposta di mio padre, perché voglio sentirti chiedermi di entrare dentro di te tante altre volte. Chiaro?»

Non aspetta una risposta. Comincia a muoversi dentro di me, sempre più veloce. La mia schiena sbatte di continuo contro il muro, ma non mi importa. Non sento dolore. Sento solo Hades che penetra in me in un modo che va oltre il semplice atto sessuale. Ogni parte di lui è seppellita dentro di me. Non solo Hades, ma anche Kai, Malakai. E dal puro piacere carnale, sento solo il profondo amore che provo verso questo ragazzo.

Così connessi, legati, intrecciati e spezzati, che veniamo in contemporanea. Le nostre voci che si fondono e aleggiano per la stanza. Lui che dice il mio nome. Io che dico il suo. E i respiri che si scontrano, affannati, insieme alle nostre pelli.

Restiamo immobili. Hades china il capo in avanti e poggia la fronte contro il mio petto. Lo stringo a me, a mia volta stretta a lui, in quello che è un abbraccio che non ho mai ricevuto da nessuno e che non voglio dare a nessun altro. 

Gli sollevo la testa solo per poterlo baciare di nuovo. Questa volta, è un bacio carico di amore. Lento e passionale. Non sembra voler finire, e se potessi non mi staccherei. Hades sembra pensarla allo stesso modo; mi afferra per i glutei e mi trascina di nuovo a letto. Ci interrompiamo solo per permettergli di adagiarmi contro le lenzuola profumate, ma lui mi è subito sopra, di nuovo, con i suoi denti che mi mordicchiano il labbro e le mani che vagano ovunque. Come se non potessero mai stancarsi del mio corpo.

Quando interrompe il contatto e si solleva appena, reggendosi con il gomito puntato sul materasso, metto il broncio. Lui è serio. «Non potrò mai capire cosa significhi vivere di stenti. Vivere ogni giorno senza sapere se, quello dopo, nel frigo ci sarà cibo a sufficienza. Vivere sperando che le scarpe reggano ancora un mese, perché vuoi lasciarne un paio nuovo a tuo fratello. Vivere indebitati di milioni di dollari, con la consapevolezza che nessuno sforzo sarà mai abbastanza a ripagare tutto. Non lo capirò mai.»

Gli accarezzo il viso. Prima il lato con la cicatrice, poi l'altro. «E io non capirò mai cosa significhi essere stati cresciuti da due genitori come i tuoi. Da un padre come il tuo. Da due persone che ti portano via da un orfanotrofio con la promessa di una famiglia, e che poi permettono ti accada questo dentro un Labirinto strano. Non lo capirò mai.»

Strofina la punta del naso contro la mia, in un gesto che sembra inconscio, perché l'espressione che ha non è serena. «Troveremo un modo. E cercherò di rispettare le tue scelte. Ma, ti prego, pensaci bene prima di farle. D'accordo, Haven?»

Annuisco e basta. In cuor nostro, sappiamo che la scelta è una sola.

Lui si accoccola contro il mio petto, il resto del corpo in mezzo alle mie gambe, siamo ancora nudi e accaldati. Ha l'orecchio premuto contro il mio cuore e spero che senta con chiarezza ogni suo battito, che senta cosa è capace di farmi.

Mi sto appisolando, quando il mio cervello mi obbliga a restare lucida per sapere la risposta a una domanda importante. «Hades?»
«Sì?»

«Qual è l'ultima cosa che devo sapere, in greco?»

Non esita. «Come dire "ti amo". Chiedimelo, Haven.» Si alza il tanto necessario a guardarci negli occhi.

«Come si dice "ti amo" in greco?»
«Se agapó.» Due parole. Che escono come la melodia più dolce, dalla bocca del ragazzo che sosteneva di non saper amare.

Gli sfioro le labbra. Lui mi trattiene la mano e la gira, per posarci un bacio sul dorso.

«Se agapó, Ádis mou
«Se agapó, Persefóni mou.»


🍎


Io e Hades camminiamo mano nella mano, mentre il sole comincia a tramontare sulla spiaggia e dona i suoi stessi colori al mare. Scendiamo le scalette laterali del terrazzo, ma quando provo a svoltare a sinistra, in direzione della spiaggia privata che conosco bene, lui mi tira dalla parte opposta.

«Dove stiamo andando?»
Lui sorride appena. «Ti mostro una cosa.» Lo fa apposta. Sa quanto sono curiosa e incapace di non fare domande. Ed è impossibile che non gli chieda... «Nessuna domanda.»

Sbuffo e lascio ondeggiare le nostre braccia congiunte. Hades ridacchia del mio gesto così da bambina, eppure non oppone resistenza, anzi, mi asseconda cercando di non farmelo notare.

Nelle giornate del ventiquattro e venticinque dicembre, l'Olimpo rimane chiuso ai suoi visitatori. O meglio, giocatori d'azzardo miliardari che spendono soldi come se fossero noccioline. L'idea di essere qui, sola, con tutta la famiglia Lively e i suoi uomini, mi crea un po' di disagio.
Ah, e in più con Liam. Mi chiedo dove sia e cosa stia facendo in questo momento. Non so neanche dove dorma.

Ho chiamato Newt dopo pranzo. La conversazione è durata tre minuti, contati dal telefono. Mi rispondeva a monosillabi, e dal tono che aveva ho dedotto di essere l'ultima persona al mondo con cui avrebbe voluto parlare. Ce l'ha con me. Per essere tornata in Grecia. Non sa ancora nulla di Crono Lively e del suo desiderio malato di adottarmi.

«Non dovremmo avere la cena della Vigilia di Natale con i tuoi genitori, i tuoi fratelli e i tuoi cugini?» chiedo dopo qualche minuto di camminata.

«Sì,» borbotta in tono per niente felice. «Alle nove. Sono solo le sette e mezzo. C'è tempo per fare quello che ho in mente di fare.»

Gli do una spallata giocosa, che comunque non lo smuove. «E cosa vuoi fare, di preciso? Mi stai portando al tuo magazzino segreto pieno di prodotti per capelli?»

Fa schioccare la lingua contro il palato, mentre scuote la testa in un gesto di rassegnazione. Poi mi lascia andare la mano e mi cinge la vita, attirandomi a sé. Mi dà un bacio sulla fronte e lascia risalire il braccio attorno alle mie spalle. Proseguiamo a passo sicuro, stretti l'uno all'altra, con l'odore della salsedine e l'aria fredda di fine dicembre.

Capisco dove siamo diretti ancora prima di trovarmici davanti. Vedo l'insegna luminosa, che sbuca oltre le fronde di un albero, e comincia illuminare la notte che sta calando sull'isola.

È la sua sala giochi. The Underworld. «Non sei stato molto originale con il nome,» commento.

Hades alza gli occhi al cielo e mi dà una spinta delicata, per indicarmi di precederlo, in direzione della porta. «Ce la fai a stare zitta, ogni tanto?»

Eseguo l'ordine, e con la mano sulla maniglia della porta, mi volto di tre quarti verso di lui. Gli scocco un sorriso a trentadue denti. «Poche ore fa mi supplicavi di parlarti in greco, però.»

Annulla le distanze e il suo petto sbatte contro la mia schiena; due braccia mi avvolgono, ma mentre una sta attorno alla pancia, l'altra scende fino al cavallo dei jeans che indosso. Tamburella le dita contro la stoffa dei pantaloni e mi sfiora il lobo con la bocca. «Non fare la peste, piccola rompicoglioni.»

Non so cosa darei per tornare indietro e buttarmi nel letto con lui, di nuovo. Deglutisco a fatica e mi prendo il mio tempo per rispondergli, nel modo più disinvolto che mi riesce. «Hai intenzione di infilare la mano dentro i miei jeans o no? Altrimenti possiamo anche entrare nella tua sala giochi.»

Ridacchia contro la mia pelle e mi fa venire i brividi. Purtroppo, la risposta è no. Sposta la mano dal mio inguine solo per poggiarla sopra la mia, ancora ferma sulla maniglia, e spinge verso il basso. La porta si apre davanti a noi.

La curiosità, ora, ha la meglio su tutto il resto. Avanzo all'interno del The Underworld con gli occhi spalancati. È un ambiente dai toni cupi, con luci a forma di fiamme così realistiche che per un istante mi domando se siano vere. Un lungo bancone nero si stende alla mia destra, con gli sgabelli dello stesso colore e uno scaffale pieno di bicchieri in vetro e bottiglie di ogni colore immaginabile. Lì, c'è anche un uomo.

E dal modo in cui mi guarda, sembra stesse aspettando proprio me. «Tu devi essere la peste rompicoglioni di cui parla sempre Hades. Come va? Io sono Cerbero.»

Trattengo una risata. Cerbero? Come il cane a tre teste? «E Caronte dove lo avete lasciato?» scherzo.

«Eccomi, dolcezza.» Una voce profonda giunge dalle mie spalle.

Su un palchetto con un palo da lap-dance, c'è un altro uomo, della stessa età di Cerbero. Indossa un completo elegante e sta passando la scopa.

«Puoi chiamarlo anche Carotina,» mi suggerisce Cerbero, il barista.

Il ringhio gutturale che aleggia per la stanza sono sicura provenga da Caronte. «No. Non è vero. Smettila. Lo sai che lo odio.»

Cerbero mi fa l'occhiolino, e in contemporanea mostra il dito medio a Caronte. Poi poggia i gomiti sul bancone e si protende verso di me, scrutandomi meglio. «Le descrizioni di Hades non ti rendono giustizia. Sei molto più bella di come ti ha descritta.»

Mi giro verso Hades, che ha il capo abbassato e l'accenno di un rossore sulle gote. «Ah, sì? Ti parla di me?»

«Cerbero...» lo avverte Hades.

Ma a lui non importa. «Oh, sì, Gesù,» esclama con finta disperazione. «Mi fa innervosire, Cerbero, ma mi attrae da matti,» lo scimmiotta, riuscendo perfettamente nel suo intento. «Avresti dovuto vederla con quel vestito. Era la donna più bella del mondo,» prosegue.

Hades fa un passo verso di lui. «La vuoi finire?»
«E cosa fai, mi licenzi?»
«Esattamente.»
Cerbero arretra. «D'accordo. Scusa, Boss.»

Hades incastra le dita della mano con le mie e mi tira appena, per guidarmi nel vivo del locale. Io dedico un'ultima occhiata a Cerbero e agito la mano libera in aria, in segno di saluto. «È stato un piacere conoscerti.»

Cerbero ricambia con un sorriso enorme. «Anche per me, mia Regina.»

Rimango stranita dal modo in cui si è appellato a me, e quando mi volto verso Hades, lui è un misto di imbarazzo e fastidio. Non dice nulla, però. Mi guida attraverso la sala, a passo fin troppo svelto, forse per evitare che Cerbero aggiunga altro. Si ferma davanti a una porta rossa.

«Perché mi ha chiamata Regina?»
Si tormenta il labbro con i denti. Sospira. «Se questi sono gli Inferi, e io sono Hades, il Re, tu sei Persephone. La Regina,» spiega in un sussurro.

«Oh.» Un'emozione travolgente mi fa gonfiare il petto. Orgoglio? Felicità?

Lui lo capisce subito. Mi dà un buffetto sulla guancia. «Levati quell'espressione soddisfatta. Non vedo nessun anello al tuo anulare.» E prima che possa ribattere, spalanca la porta rossa.

Una folata di aria fresca mi investe, facendomi svolazzare qualche ciocca di capelli. Non serve che mi muova. È Hades che mi conduce fuori, richiudendosi la porta alle spalle.

Davanti a noi c'è quella che sembra una pista da corsa. Non capisco se per auto o per moto. È illuminata da fari, e non ci sono spalti in cui sedersi, solo porzioni d'erba abbastanza grandi da poter radunare un buon numero di persone. «Cosa significa?» trovo la forza di domandare.

«Ho pensato a lungo se portarti qui o no, Haven,» mormora. «Temevo – e tutt'ora temo – che potessi giudicarmi male. Come hai giudicato male i miei giochi a Yale. Questi...» Allarga le braccia, indicando ciò che ci circonda. «Sono i miei giochi sull'Olimpo. Gare di corsa in moto.»

Assimilo la nuova informazione per qualche istante. «Sembra troppo semplice. Troppo normale per persone come voi. Cosa non mi stai raccontando?»

Giocherella con la mia mano e, nonostante la situazione, mi fa una grande tenerezza. «Chi corre lo fa senza casco o protezioni. E non ci sono regole. Qualsiasi cosa vale. Puoi anche dare un colpo al tuo opponente e farlo cadere per terra. Puoi vincere come più ti pare.»

Faccio una smorfia. Non riesco proprio a trattenerla. «C'è dell'altro.»

«Gareggiano tutti contro di me,» bisbiglia. «Dodici persone contro me.»

Sgrano gli occhi. Per lo stupore della notizia, mi ritraggo con uno scatto, mettendo della distanza che non vorrei tra me e lui. «Che cosa? Sei fuori di testa?» urlo. «Potresti... morire! O farti male in modo molto serio. Che cazzo ti dice il cervello?»

Si stringe nelle spalle. «A nessuno importa. Mio padre viene sempre ad assistere alle mie gare.»

Certo che non gli importa. Li ha adottati come figli, ma li vede come figurine da collezione. Li ha messi in un Labirinto, dentro il quale solo Dio sa cosa c'è, e ha permesso che Hades si procurasse la cicatrice che gli attraversa il lato sinistro del corpo, dal viso alla punta del piede. Farlo gareggiare in queste condizioni, a confronto, dev'essere nulla.

«C'è davvero gente che sceglie di partecipare a un gioco del genere?»
Annuisce. «Cinquecento dollari per una gara. Se vinci, ne vinci cinquecento mila. Capisci perché lo fanno?»

Cinquecento mila dollari? Cinquecento mil...

«Ehi, raghy, finalmente siete arrivati!» esclama una figura in lontananza, che ci sta venendo incontro con le braccia sollevate per aria. Hermes trotterella nella nostra direzione, seguito da altre persone.

Poseidon, Zeus, Aphrodite, Apollo, Liam... e Ares.

Non sapevo che ci avrebbero raggiunti anche loro. E dall'espressione che ha in viso, neanche Hades. Aggrotta la fronte. «Che diamine ci fate voi qui?»

Hermes si blocca, confuso. «Mi hai detto che volevi portarla alla sala. Ho pensato che me lo stessi raccontando per invitare, indirettamente, anche noi.» Indica se stesso e gli altri.

Liam mi fa un cenno di saluto con la mano. Indossa un maglione natalizio con una renna che sventola la bandiera della Grecia.

«Non era un invito,» sibila Hades a denti stretti.

Herme si passa una mano tra i riccioli biondi. Fa un sorrisetto triste. «Già, avevo il dubbio, se devo essere onesto. Così ho chiesto un parere ad Ares. E lui mi ha detto che sicuramente volevi invitarci a passare del tempo con te e Haven.»

Tutti gli occhi si puntano su Ares. Lui, però, guarda Hades e gli fa un sorriso sghembo. «Spero di aver interpretato bene.»

«Spero di...»
Gli metto una mano sul braccio e Hades ammutolisce. Gli basta guardarmi un attimo negli occhi per prendere un respiro profondo e calmarsi. I lineamenti del viso si distendono e torna a rivolgersi alla sua famiglia come se non fosse successo nulla.

«Be', ora che siete qui, cosa volete?» indaga.

Hermes fa per parlare. Ares lo precede e fa due passi avanti, fino a fronteggiare Hades. I suoi occhi neri come la pece scivolano su di me e mi fa l'occhiolino. «Ehilà.»

«L'altro occhio te lo chiudo io con un pugno, se non la smetti,» lo minaccio.

Sono stanca del suo voler provocare Hades. Capisco che sia nella sua natura creare scompiglio e bearsene, ma potrebbe anche rivolgere le sue attenzioni altrove.

Hades mi circonda le spalle con il braccio. «Hai sentito la signorina? Posso garantirti che sa tirare dei pugni niente male.»

Ares non si scompone, anzi, sembra divertirsi ancora di più. «Chi vi ha detto che non mi piacerebbe ricevere un bel pugno da Haven?» Mi sbeffeggia con un ghigno. «Avanti, Cohen, fammi vedere come usi bene quelle mani.»

So che Hades sta per urlargli contro. Perciò mi metto in mezzo ai due, e in mio aiuto vengono anche Apollo e Zeus. Quest'ultimo afferra Ares per l'orecchio e lo fa retrocedere di qualche metro. Si mette alla sua sinistra, mentre Poseidon è alla destra.

«Scusatelo,» aggiunge, con il suo cappotto elegante, lungo fino alle ginocchia. «È difficile sopportarlo anche per noi.»

Hermes fa una risatina, come a voler alleggerire la tensione. «Non preoccuparti. Anche per noi è difficile sopportare Hades. Ogni famiglia ha la sua Diva, no?»

«Io non sono una Diva,» esclamano all'unisono Ares e Hades.

Io e Hermes ci scambiamo un'occhiata, entrambi in difficoltà nel tentativo di non scoppiare a ridere. Ares e Hades stanno facendo una gara di sguardi, e sono certa che se nessuno di noi interverrà, durerà molto a lungo.

«Allora,» esclama Liam, «Athena deve venire? Perché Poseidon me lo ha assicurato che ci sarebbe stata, ma io mica la vedo.»

Nella sua inappropriatezza, riesce a distrarre le due Dive della famiglia Lively. E sembra riportare in sé Ares, come se si fosse ricordato solo ora una cosa importantissima. I suoi occhi corrono di nuovo a me, per un fugace istante, e poi si fermano su Hades. «Perché non facciamo una gara di moto, io e te?»

«Non mi sembra il caso,» ribatto.

«Ci sto,» risponde Hades di getto, neanche stesse aspettando la proposta. Lascia ricadere giù il braccio che mi cingeva le spalle e mi dà un bacio sulla tempia, per poi fare un cenno ad Ares di seguirlo, forse per prendere le moto. Lo richiamo. Si volta solo per rassicurarmi con un'occhiata che non mi rassicura affatto.

Faccio per seguirlo. Apollo si para davanti a me, con la sua solita aria calma e pacata, e scuote la testa. «Lasciali fare. Hades vincerà e Ares avrà una bella botta di umiltà.»

Ares e Hades, alle sue spalle, spariscono dentro un magazzino. Intravedo il muso di alcune moto. Il cuore comincia ad accelerarmi nel petto. «Ares è un pazzo. Gli piace il pericolo. Gli piace causare danni... Come puoi lasciare che tuo fratello corra questi rischi?»

Ad Apollo non piacciono le mie accuse. Serra la mascella e mi guarda con una serietà tale da farmi sentire una bambina che sta per venire sgridata. «Conosco mio fratello. Non gli accadrà nulla. E, nell'irrealistica ipotesi in cui dovesse succedere, farò pentire ad Ares di non essere rimasto uno schizzo dentro un preservativo. Va bene, Haven?»

Nel suo tono c'è sia rabbia che voglia di rassicurarmi. Il lato di Apollo che mostra di rado. Ben diverso dal ragazzo timido che evita il contatto visivo e parla piano e poco. Mi limito a fargli un cenno di assenso e le sue labbra color amarena si distendono in un sorriso. Uno di quelli ampi, che mostrano le due fossette ai lati della bocca.

Gli altri hanno preso posto sull'erba, chi seduto e chi in piedi. Liam è stravaccato per terra come se fosse al mare, e Zeus sta eretto come un palo della luce, l'aria seria e forse anche preoccupata.

Hades e Ares sono in posizione, prima della linea di partenza. Hermes è lì, al lato, con una bandiera in mano. Chiede qualcosa ai due partecipanti e mostra loro il pollice. Sventola il tessuto in aria e con uno slancio violento lo abbassa. Il rombo delle moto – nera, di Hades, e rossa di Ares – riempie l'aria. Un rumore fastidioso, che all'inizio mi fa tappare le orecchie e strizzare appena gli occhi.

Hermes mi corre incontro, e quando si accorge del mio disagio mi accarezza la nuca. «Ti ci abituerai, Piccolo Paradiso, tieni duro.» Poi prende posto al mio fianco e mi stringe in un abbraccio.

Dopo qualche secondo, lo sento annusarmi. Così lo precedo. «Sì. Abbiamo fatto sesso.»
«Ci avrei giurato,» commenta e mi provoca una risatina.

Le due moto sfrecciano per la pista. Il cuore, a momenti, mi si tuffa fuori dal petto quando le vedo piegarsi pericolosamente alle curve più acute. Entrambi sembrano sapere cosa stanno facendo. Ares è bravo. Ma Hades è tutta un'altra cosa. Pur non capendo nulla di moto, mi accorgo di come i suoi movimenti siano più armoniosi, di come guidi senza sforzo. Ogni tanto, Ares, tentenna. E le curve non gli riescono bene come a Hades, motivo per cui è proprio quest'ultimo in netto vantaggio. Ora capisco di cosa parlasse Apollo.

Sul ring, Hades è aggraziato e spietato. Sulla pista, pure. Riesce a rendere cose, di cui non mi è mai interessato nulla, così affascinanti da farmi desiderare di imparare anche ad andare in moto. «Toglimi un dubbio: Hades è bravo in ogni sport?»

Il corpo di Hermes viene scosso da un tremito, segno che sta ridendo. «Non ne pratica molti. Ma diventa bravo in ogni sport che inizia, se ci si mette.» Fa una pausa. «Tranne a ping-pong, però. A quello lo batto sempre.»

Alla mia sinistra, Poseidon prova a intraprendere un discorso con Apollo. Peccato che siano caratterialmente troppo distanti. Liam interviene di tanto in tanto, ma noto la sua agitazione. Non riesce a non controllare Zeus in modo periodico, come se ne avesse paura.

«Si può sapere che hai da guardare?» sbotta Zeus, seccato.
Liam indietreggia fino a raggiungere me e Hermes. «Niente, Signor Zeus, mi scusi.» Si siede a terra, dietro Hermes, usandolo come scudo.

Un rombo anomalo mi fa voltare la testa in direzione della pista, con uno scatto che mi fa schioccare il collo. Ares sta guadagnando velocità. Anche troppa. La moto si oppone al suo controllo, e ogni tanto sbanda verso sinistra. A malincuore, comprendo cosa gli passi per la testa. È sempre più vicino a Hades, e per quanto sia pericoloso, non credo proprio che rallenterà.

Il problema sorge quando allunga la gamba destra, pronto a dare un calcio alla moto di Hades. Mi metto in piedi; Apollo imita il mio movimento e mi blocca la strada. «Aspetta.»

«Apollo, mi hai insegnato anche tu a dare pugni. Vuoi provare sul tuo corpo quanto sono diventata brava?»

Con gli occhi fissi sulla pista, le sue labbra si incurvano verso l'alto. «Magari un altro giorno, Haven.» E prima che possa controbattere, indica qualcosa davanti a sé.

Seguo la traiettoria. Ares ha affiancato Hades, sta cercando di avvicinarsi il tanto giusto da spingerlo con il piede. Hades attende, provocandolo. Ares ci casca, è nella sua natura. E proprio mentre lo raggiunge e io sto per avere un crollo nervoso, Hades frena.

Una frenata brusca e pericolosa, ma frena. La moto si ferma e Hades salta giù prima di crollare insieme ad essa. Ares procede dritto, distratto dall'azione improvvisa del suo opponente, e finisce fuori strada. Frena anche lui, in mezzo all'erba, e si getta di lato per non schiantarsi. Rotola per terra, con le braccia strette al petto, e rimane lì. Ha il viso rivolto nella nostra direzione e guarda Hades.

Hades risale sulla sua moto e riparte. Sfila accanto ad Ares, ancora sdraiato, a una velocità ridicola, solo per infierire.
Arriva al traguardo.
Ha vinto.
Così. Semplicemente con la frenata giusta al momento giusto.

I suoi occhi cercano i miei, lo so perché quando li trovano mi sorride, raggiante, e anche con una nota di strafottenza. Con l'indice mi chiede di raggiungerlo e Hermes mi lascia subito andare, euforico come gli altri per la vittoria del fratello.

Corro verso Hades e gli getto le braccia al collo. «Sono quasi morta d'infarto. Non voglio vederti mai più gareggiare. Mai più.»

Mi accarezza la schiena con movimenti veloci. «Un giro con me, invece, vuoi farlo?»

Sciolgo l'abbraccio e lo fisso interrogativa. «Davvero mi faresti...»

Si rabbuia. «Con il casco e le protezioni, ovviamente,» precisa. «Non ti metterei mai in pericolo.»

Sto per dirgli che lo stesso ragionamento dovrebbe applicarlo a se stesso. Come quando mi fasciava con le bende, prima di fare boxe, ma lui colpiva il sacco a mani nude. Vorrei sgridarlo. Perché non fa niente per difendersi e proteggersi da ciò che potrebbe ferirlo. Gli hanno insegnato a non avere rispetto per la propria incolumità ed è disgustoso.

Una voce maschile riecheggia nell'aria. Purtroppo, familiare. «Bambini,» ci richiama all'attenzione Crono Lively, con fare canzonatorio. Se ne sta davanti alla porta rossa, in smoking, con una rosa appassita dentro il taschino. «È ora di cena. Che i festeggiamenti abbiano inizio.»


Holaaaaaa
oggi capitolo erudito e colto alla scoperta del corpo umano e del greco 😏👌🏼

Non ho molto da dire se non che i protagonisti che fanno boxe e vanno in moto sono il mio guilty pleasure 😩 perciò dovevo per forza dare tutto a Hades e renderlo il mio prodotto di finzione perfetto

Ci tengo solo a precisare una cosa: Ares non è innamorato di Haven. Sarebbe un po' irrealistico; certo, si conoscono da mesi, ma Percy e Haven non hanno mai avuto chissà quale rapporto. Per lui è solo attrazione fisica e soprattutto tanta voglia di provocare. Come farebbe Ares, il Dio. 😈🤚🏻

E nada. Ribadisco che terrò fisso un aggiornamento a settimana, almeno. Quando riuscirò, saranno due. Ma ho tanti esami da dare e la patente da prendere, perciò potranno esserci piccoli ritardi. O scelte dettate dalla mia impulsività tipo io che aggiorno oggi invece che domani, domenica 💀👊🏻

Grazie per leggere GoT e per tutto l'amore; è sempre ricambiato 🫶🏻❤️‍🩹

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Have a nice life.🍎❤️‍🩹

Ps. Sto ancora ridendo per questo scambio di commenti nello scorso capitolo

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