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VII. Prometto un bacio alla mia guardia del corpo

Kaelan

Mi massaggiai le tempie, mentre continuavo a fissare il monitor olografico. L'emicrania era atroce. Avevo la sensazione che mi stessero conficcando dei chiodi nel cranio a colpi di martello.

Avevo trascorso le ultime ore a guardare le registrazioni relative alla notte dell'incursione nella biblioteca. Solo che non c'era nulla. Le videocamere erano state manomesse, impostate su un inutile loop.

Tutti coloro su cui erano ricaduti i miei sospetti sembravano avere degli alibi di ferro. Quentin era appostato fuori dalla camera di Carmen, quindi non poteva essere stato mandato a provare a infiltrarsi negli archivi da mia cugina. Le Sentinelle erano tutte alle loro postazioni, o nelle camerate. Tranne Rakshas, che risultava essere nell'infermeria in quell'orario.

Ma i filmati non erano affidabili. Gli impostori dovevano essere almeno in due, e uno di questi aveva i mezzi per accedere al mio sistema di sicurezza. Un esecutore e un mandante, forse. O dei semplici complici.

E se Rakshas fosse coinvolto?

Ne avevo quasi la certezza, eppure non capivo. Aveva avuto l'occasione di aggredirmi nel mausoleo, ignaro della presenza di Shani, e non l'aveva fatto. Forse mi sbagliavo. O magari chiunque manovrasse i suoi fili voleva aspettare per eliminarmi.

Ma perché? In quanti stavano tramando contro di me?

Cacciai un urlo di frustrazione e sferrai un calcio alla scrivania. Il gesto brusco mi provocò una fitta, accecandomi per un istante. Non potevo fidarmi di nessuno. Sebbene non fosse una novità, essere assediato da nemici a ogni angolo era estenuante.

«Mio signore?» chiese Shani cauto, aprendo la porta dell'ufficio. «Posso?»

Sbuffai e disattivai subito il proiettore. L'immagine sbiadita di Rakshas sul lettino, dopo essere stato medicato alla caviglia, svanì con uno sfavillio. «Che vuoi?»

Lo sguardo di Shani percorse la mia figura. «Non hai riposato per niente».

Mi stropicciai gli occhi arrossati. Avendo passato tanto tempo davanti a uno schermo, mi bruciavano. «Riposare non è la mia priorità. Qualcuno mi vuole uccidere».

«Non vorrei ricordartelo, ma quel qualcuno è l'intero continente. La tua famiglia compresa».

Feci un verso sarcastico. «Bel discorso d'incoraggiamento». Sfilai la mia fiaschetta e mi scolai una dose generosa di Speed. «Non hai risposto. Perché sei qui?»

«Petyr Eryndor è arrivato come previsto. Vorrai accoglierlo, suppongo».

Annuii. «In tempo per il pranzo. Perfetto». Mi sistemai i capelli biondi davanti alla specchiera. Li avevo scompigliati tutti per la frustrazione. «Che ne pensi del mercenario? Ti avevo ordinato di tenerlo d'occhio più degli altri».

Shani si strinse nelle spalle. «È il migliore negli addestramenti, ma incapace di tenere a freno la lingua». Lo scorsi lanciarmi un'occhiata dal suo riflesso. «Ma immagino che la sua impertinenza sia la ragione per cui ti piace».

«Non mi piace. Mi intriga» lo corressi.

«Kaelan, ti ho visto crescere. Perciò mi sento in obbligo di essere sincero con te». Appena mi girai, Shani mi si piazzò davanti. «Non dormi. Mangi a malapena. Ti alleni poco. E sei più paranoico che mai. Come pensi di vincere le Elezioni in questo stato?»

Un'ondata di fastidio mi assalì. Odiavo che venissero messe in discussione le mie capacità. «Come faccio qualsiasi cosa da quando avevo dodici anni: da solo». Lo scansai bruscamente. «Carino da parte tua preoccuparti, ma smetti di farlo. È un inutile spreco di energie».

«Davvero? Credevo che avessi detto che ti vogliono uccidere».

«Beh, dovranno aspettare. Ho un obiettivo da portare a termine e non ho intenzione di crepare fino a che non ci sarò riuscito».

Tallonato da Shani, mi incamminai verso la sala di ricevimento. «Chi è di turno con te?»

«Rakshas. Lo hai richiesto tu... di nuovo».

Sorrisi. «Perfetto».

"Tieniti vicini gli amici e i nemici ancora di più" recitava un vecchio proverbio.

Non sapevo ancora che cosa fosse Rakshas, ma di sicuro l'avrei tenuto nel mio raggio visivo. O anche nel mio letto, non mi sarebbe dispiaciuto.

Rakshas ci stava aspettando nel corridoio, tenendo le braccia incrociate al petto. Si scostò dalla parete. «Ce ne avete messo di tempo. Pensavo di poter morire dalla noia. Dovevate cercare la camicia giusta?»

«Sì. È stata un'ardua impresa, ma ce l'ho fatta». Indicai la camicia nera che indossavo sotto la giacca, con la cravatta sciolta. «Ispirata ai tuoi occhi. Ti piace?»

«Oh, così mi fate arrossire.»

«Cercate di essere seri» borbottò Shani.

Sogghignai. «E quale divertimento ci sarebbe?»

Entrammo nell'ampio salone. Al centro c'era una lunga tavolata imbandita. I presenti però erano tutti radunati nell'open space, costellato di divanetti di velluto davanti a un gigantesco camino. Petyr stava baciando il dorso della mano di mia sorella, mentre mia cugina li osservava e Paul ordinava una bibita al sintetizzatore di bevande nell'angolo.

«Avete l'anello di fidanzamento? Uno vero, non una ciambella.» Rakshas ridacchiò, ma si lasciò scappare un ahi, quando Shani gli assestò una gomitata al fianco.

Assunsi un'espressione di finto stupore. «Perché? Non posso fare la proposta con una ciambella? Sono scioccato».

«Tesoruccio, sei arrivato». Grace mi corse incontro, barcollando sui tacchi vertiginosi, e si aggrappò al mio braccio. Iniziavo a pensare che avesse bisogno di un controllo ai centri dell'equilibrio. «Hai un'aria stanca».

«È l'effetto che mi fai, amore mio. I miei pensieri per te mi tengono sveglio notti intere».

Notai Rakshas roteare gli occhi al cielo, mentre era al mio fianco.

«Princeps». Petyr si voltò verso di me. Aveva le stesse iridi grigie di Grace, simili alle nubi durante un temporale, ma i suoi capelli erano castani e aveva dei lineamenti più marcati. «È un piacere rincontrarvi».

Ero talmente abituato a vivere in mezzo alle serpi che ormai ero diventato immune al loro veleno. Dalla mia nascita ero stato circondato da falsità, violenza e ipocrisia. Erano state il mio nettare, il nutrimento che aveva sostituito il latte materno. A corte non esistevano né amicizie, né affetti.

Ero il princeps. Tutto ciò che agli altri interessava di me era il potere che possedevo e i profitti che potevano trarne. Perciò mi adulavano, mi ricoprivano di attenzioni per guadagnarsi la mia simpatia. Alla prima occasione, mi avrebbero pugnalato alla schiena senza battere ciglio.

Eppure, il cattivo della storia rimanevo sempre io. Era l'etichetta che mi era stata attaccata addosso, e avevo scoperto che a staccarla non avevo molto da guadagnare.

Se volevano considerarmi un mostro, sarei diventato l'abominio che mi accusavano di essere. Almeno non avrei deluso le aspettative.

Strinsi la mano che mi stava porgendo. «Sì, comprensibile. Chi non ne sarebbe onorato? Sono fantastico».

Grace fece una risatina. «Non è simpatico?»

«E anche umile. Non gli manca nessun pregio». Petyr salutò Shani con un cenno, poi si rivolse a Rakshas. «Wright, vero? Hai una certa fama persino a Eryndor, mercenario».

Rakshas sorrise sornione. «Mi state chiedendo un autografo?»

«Comincio a capire perché ti sei messo al servizio del princeps».

Scrollai le spalle. «Non potendo replicare me stesso, mi sforzo di cercare persone con un minimo di senso dell'umorismo per non annoiarmi».

Carmen ci raggiunse, accompagnata da Quentin. «Vogliamo mangiare?» Sfiorò il gomito di lord Eryndor. «Sarai affamato dopo il tuo lungo viaggio».

«Ehilà! Scusate il ritardo. Petyr, come va?» Neil gli prese una mano e gliela strinse con vigore.

Un sorriso si dipinse sul volto dell'uomo. «Non mi lamento. Tu? Ho saputo che sei stato nominato Sentinella».

«Già... almeno la divisa sta bene col mio incarnato!»

Rakshas ci scortò fino al centro della sala, insieme a Shani. Presi posto a capotavola, tra Paul e Grace. Quest'ultima sembrava decisa a tenere le dita intrecciate alle mie durante tutto il pranzo. Per fortuna ero ambidestro.

Mentre i servi iniziavano a portare gli antipasti, mi accorsi che Kaya si era seduta proprio accanto a Petyr. E chiacchieravano. Aggrottai la fronte. Non mi piaceva.

Mi girai verso Rakshas e lo invitai ad avvicinarsi con un gesto. Lui obbedì e si chinò quanto bastava per accostare il volto al mio.

«Se quell'idiota petulante si azzarda a toccare mia sorella, prendi una caraffa di vino e rovesciagliela addosso» sussurrai al suo orecchio.

«Non sono il cameriere. Perché dovrei farlo?»

Assottigliai le palpebre. «Perché te lo ordino. Non è una ragione sufficiente?»

«Non risulterebbe affatto casuale se lo facessi io. Ma come preferite.»

Il pranzo fu ovviamente noioso. La conversazione virò presto su argomenti di politica, in particolare su alcune leggi di cui avevo bloccato l'approvazione. Tra i privilegi del mio titolo, vi era quello di limitare i poteri delle altre Nazioni. L'unico organo in grado di sovrastare la mia autorità era il Ministero. Per adesso.

Ogni dieci anni, si tenevano le Elezioni. Una serie di giochi e prove a cui partecipava il o la reggente di ciascuno Stato. Il vincitore, stabilito sulla base dei punteggi di una giuria, avrebbe ricoperto la carica di princeps per il successivo decennio.

E io avrei fatto di tutto per mantenerla.

Giunto il momento dell'ultima portata, mi tirai in piedi. Picchiettai il cucchiaino contro il mio calice e il tintinnio attirò l'attenzione generale. «Dato che siamo riuniti come una grande famiglia felice, senza rancori né dissapori, voglio approfittarne per fare un annuncio importante».

Gli sguardi si puntarono su di me. Rakshas mi fissava, mentre si spostava in direzione di Petyr per tenerlo sotto controllo. Paul si agitava irrequieto, pallido. Doveva temere di essere stato smascherato.

«Quale? Donerai il tuo corpo alla scienza per scoprire come sei sopravvissuto così a lungo con quella pietra nel petto?» commentò Kaya sarcastica.

Le ammiccai. «O per scoprire come posso essere tanto magnifico».

Sollevai il coperchio d'argento sul dolce di Grace, che lanciò un urletto. Dei bignè ricoperti di crema al cioccolato erano disposti a forma di cuore sul piatto e un anello scintillava su un letto di panna montata. Era formato da una corona di piccole pietre in oro bianco, incastonate attorno a un grosso rubino.

Era quello che mio padre aveva regalato a mia madre per il loro matrimonio. Non aveva nessun valore affettivo, per quanto mi riguardava. Disprezzavo i miei genitori, anche prima che condannassero a morte Kaesar. Meditavo di ucciderli fin da ragazzino e pianificare il loro omicidio era stata una delle poche cose che mi avevano aiutato a superare il lutto per mio fratello.

Ma la mia sposina ne sarebbe stata lusingata.

Mi misi in ginocchio. Era una posizione che non sopportavo. «Lady Eryndor». Avvolsi la mano di Grace. «Vuoi rendermi l'uomo più fortunato al mondo e darmi l'immensa felicità di diventare mia moglie?»

Petyr sbiancò. «Non credo proprio-»

«Sì, sì, mille volte sì». Grace scoppiò in lacrime e mi stampò un bacio sulle labbra, prima di infilarsi l'anello. Lo mostrò a Neil, che era accanto a lei. «Non è bellissimo?»

Neil si allungò a guardarlo. «Meraviglioso, sì.»

«Questo è un oltraggio». Petyr si alzò di scatto, facendo stridere la sedia sul pavimento. «Avresti dovuto chiedere la mia approvazione».

Sono il princeps. Posso fare ciò che voglio.

Rakshas gli si avvicinò. Lo vidi portarsi una mano al cinturone. Shani si rizzò alle mie spalle.

Sfoderai un sorriso mortificato, costruito su misura. «Al cuore non si comanda, purtroppo. Annulla pure il fidanzamento. Non mi opporrò».

Grace cominciò a piagnucolare. «No, fratellone. Per favore. Io lo amo».

Provai un senso di trionfo. Era difficile togliere a una bimbetta viziata il suo giocattolo preferito, dopo averglielo dato. Petyr pareva giunto alla medesima conclusione, a giudicare dal suo sospiro carico di frustrazione.

Neil batté le mani. «Possiamo quindi applaudire a questa unione?»

Carmen fece una smorfia. «Ma certo» replicò in tono velenoso.

Neil ghignò nella mia direzione, cominciando a battere le mani per primo da sotto il tavolo. A lui si unirono tutti quanti. Kaya aveva ancora la bocca spalancata dalla sorpresa.

«Mangiamo il dolce?» Neil si sporse dal tavolo. Rakshas indietreggiò, allontanandosi da Petyr.

«Voi fate pure». Mi sporsi per posare un bacio sulla guancia di Grace. «Torno subito, mia cara».

Mi incamminai fuori dalla sala e mi appoggiai a una colonna, massaggiandomi il torace con una mano tremante. Il cuore mi tuonava in gola.

Non ora. Non ora.

Sentii lo stomaco che si contorceva. Afferrai un vaso e rigettai dentro. Rilasciai un respiro profondo, asciugandomi con un fazzoletto da taschino. Avevo l'impressione che un macigno mi stesse schiacciando il petto fino a soffocarmi. Rovistai nei pantaloni attillati, invano. I miei ansiolitici erano nel bagno della mia camera, al sicuro nello scomparto nascosto in cui custodivo farmaci e antidoti per ogni evenienza.

«Devo cambiare cuochi» bofonchiai, accorgendomi che Shani mi stava osservando.

Lui si corrucciò. «Non credo che sia il cibo il problema».

Rakshas ci raggiunse poco dopo. Storse il naso. «Mi ero dimenticato di suggerirvi di pensare a me anche durante la proposta, forse.»

Arcuai un sopracciglio. «E tu pensi a me sotto le lenzuola, mentre ti masturbi?»

«Non il mio tipo, ricordate?» Ghignò.

Simulai uno sbadiglio. «Questa bugia sta diventando monotona».

Shani tossicchiò, in imbarazzo.

Mi rivolsi a lui. «Torna dagli altri». Accennai a Rakshas. «Devo parlare con il soldatino in privato».

«Sicuro, mio signore?»

«Obbedisci e basta». Attesi che se ne fosse andato, poi scoccai un'occhiata a Rakshas. «Colpiscimi. Non sulla mia splendida faccia però».

«Questa sì che è una proposta eccitante.» Rakshas inclinò il capo. «Perché?»

«Lo vedrai, tesoro». Mi piazzai davanti a lui e allargai le braccia. «Deve essere un punto non visibile. Prego. So che muori dalla voglia di farlo».

Rakshas indugiò un momento. «State cercando di incastrarmi? Pensavo aspettaste di portarmi a letto, prima di farmi uccidere.»

Sghignazzai. Agganciai un dito al bordo dei suoi pantaloni e lo trascinai verso di me. «Colpire un princeps è contro la legge, soltanto se non è il princeps a comandarlo» sussurrai a un soffio dal suo viso.

«Non c'è nessuno che testimonierebbe la vostra richiesta. Mi state chiedendo un atto di fiducia.» Rakshas abbassò lo sguardo sulle mie labbra, prima di fare un sorrisetto antipatico.

«Ti affido ogni giorno la mia vita». Percorsi la linea della sua mascella con l'indice. «Direi che me lo devi un atto di fiducia, no?»

Lui rilasciò un fiotto d'aria. Si avvicinò al mio orecchio. «Farà male.» Prima che potessi rispondere, mi assestò un pugno allo stomaco.

Il fiato mi venne strappato dai polmoni. Mi piegai in due e arretrai, boccheggiando. Tuttavia, non mi lasciai sfuggire nemmeno un rantolo. Conoscevo bene il dolore. In un certo senso, avevo imparato ad apprezzarlo.

Mi raddrizzai. «Quasi meglio di una scopata».

«Allora è stato un piacere dare un po' di brio alla vostra giornata.»

Ridacchiai. Trasalii appena e mi sfiorai la pancia. Cazzo, faceva male. «Ora capisco l'utilità di tutti quei muscoli». Gli pizzicai un bicipite. «Comunque, ho un altro incarico per te. Adorerai anche questo. Devi litigare con Quentin, lo scimpanzé di Carmen. Ma non batterlo, mi raccomando».

Rakshas fissò le mie dita. «Devo provocarlo, senza picchiarlo?»

«Senza vincere» precisai.

«Detesto perdere, sua maestà.»

«Oh, tranquillo». Gli sfiorai il collo con le labbra e risalii fino al lobo. «Vinceremo insieme».

Lo sentii trattenere il respiro. Poi annuì. «Bene.»

Mi ritrassi e lo precedetti nella sala, dove aleggiava ancora una tensione palpabile. Ebbi a malapena il tempo di crollare sulla sedia che Grace mi fu addosso per sbaciucchiarmi e sussurrare frasette leziose. Che agonia.

Un pugno di Rakshas mi aveva eccitato più di tutte le notti di sesso con lei. O con qualsiasi donna.

Vidi Rakshas avvicinarsi a Quentin. Si chinò per afferrare un bicchiere di champagne da uno dei piatti dei camerieri e per sbaglio, voltandosi, gliene versò un po' sulla divisa. Si avvicinò, passandogli un tovagliolo.

Quentin lo spintonò all'indietro. «Ti spacco la faccia.» Afferrò Rakshas per il colletto della divisa. Lui non fece nulla. Alzò solo le mani.
«Ti consiglio di lasciare la presa.»

Quentin lo colpì con una testata sul naso. Rakshas reagì con un calcio al ginocchio e lo spinse contro la parete. Si portò una mano in volto e fissò il sangue. «Lo hai voluto tu.»

Si scatenò una rissa tra i due, intenti a tempestarsi di pugni. Shani si mosse verso di loro, ma lo fermai con un movimento a stento percettibile del mento.

Paul rise. «Punto mille zenit su Quentin».

Petyr scosse la testa. «Io scommetto sul mercenario».

«Kaelan, tieni bada il tuo cane rognoso» sbottò Carmen indignata.

«È il tuo cane rognoso che ha cominciato, ma come desideri». Diedi una pacchetta rassicurante a Grace, che aveva un'espressione terrorizzata. «D'accordo, lo spettacolo è finito».

Nell'istante in cui Quentin sbattè Rakshas contro il muro, pronto a sferrargli un gancio destro, lo agguantai per il polso e glielo torsi. Lui reagì d'istinto e mi mollò una gomitata.

Non fu forte neanche la metà rispetto al pugno di Rakshas. Ma dovevo recitare la mia parte, così gemetti e indietreggiai di qualche passo. «Arrestatelo. Immediatamente».

Neil fece per avvicinarsi, restando accanto a Shani. Sfilò delle manette dalla divisa. Gli caddero a terra e il clangore metallico risuonò nel salone. «Ops.» Le raccolse, facendo un saltello poi e agitandole in alto nella mia direzione.

Carmen balzò in piedi. «Vorrai scherzare, spero! Non ti ha fatto nulla!»

Sollevai i lembi della camicia. Sulla mia pancia, in corrispondenza dello stomaco, si stava formando un livido gonfio e rossastro. «Nulla, cuginetta cara?»

Kaya si accigliò, pur non proferendo parola.

«È un trucco. È uno dei tuoi imbrogli» strillò Carmen paonazza, guardando lungo la tavolata in cerca di supporto. «Ti ha a malapena toccato. È ovvio che non può essere opera di Quentin. Il tuo è abuso di potere. Il Ministero...»

«Il Ministero non può fare niente. Quentin ha aggredito il princeps ed è un reato per cui è prevista la pena capitale». Mi sistemai i vestiti. «Ti darò un posto in prima fila per l'esecuzione, d'accordo?»

«Andiamo, Kaelan. Potresti essere più indulgente» intervenne Paul.

«Sono famoso per il mio fascino, non per la mia indulgenza».

Rakshas si sfiorò la mascella.

Quentin ruggì e tentò di assalirmi. Rimasi immobile, mentre Shani lo atterrava con uno sgambetto. Gli tirò le braccia dietro la schiena per legarlo, facendosi aiutare da Neil. Lui gli passò le manette goffamente e lo bloccarono insieme.

Nello scompiglio che seguì, mi affiancai a Rakshas e sibilai: «Siamo un'ottima squadra, non pensi, soldatino?»

Lui fece un ghigno. «Direi proprio di sì, sua maestà.» Salutò Quentin, che veniva trasportato fuori dalla sala.

Incrociai lo sguardo truce di Carmen e le sorrisi. Greg era proprio un bravo pasticcere.

***

Shani non aveva completamente torto: in effetti, dovevo allenarmi di più.

Avevo un punteggio eccezionale in gran parte delle discipline che potevano uscire nelle prove delle Elezioni, ma non era abbastanza. Non quando in gioco c'era il mio titolo di princeps.

Di morire non mi importava. Tuttavia, era un lusso che non mi sarei concesso finché non fossi riuscito a vendicare Kaesar.

Di conseguenza, trascorsi il pomeriggio nella palestra. Dopo un rapido riscaldamento, iniziai a fare qualche trazione per risvegliare i muscoli.

«Avete deciso di mettere su massa?» Rakshas afferrò da terra un bilanciere e si avvicinò a una panca.

Mi diedi lo slancio e mi sollevai sopra la sbarra per l'ennesima volta. Goccioline di sudore mi imperlavano la fronte e colavano lungo il mio torso nudo. «Mi serve un fisico scolpito in vista delle mie imminenti nozze». Mi buttai a terra, ansimante. «Vuoi fingere che non ti stai godendo il panorama?»

Rakshas impiegò qualche secondo prima di rispondere. «Ho detto che non siete il mio tipo. Non che sono cieco.»

Afferrai un asciugamano e mi asciugai il viso, per poi metterlo attorno al collo. «È difficile prenderti sul serio al momento. Ripetilo senza la bava alla bocca».

Il suo sguardo si inchiodò su di me. Si liberò della giacca della divisa, restando in canotta. Indossava delle bende dai polsi fino ai gomiti. Si distese sulla panca e cominciò ad alzare i pesi, sbuffando l'aria per liberare i polmoni dallo sforzo. «Vi manderei a cagare, se potessi.»

Mi incantai ad ammirare i suoi movimenti con una stretta allo stomaco. I bicipiti si tendevano, guizzando sotto la pelle olivastra. Inghiottii a vuoto. «Ne avrei bisogno. Ho problemi di stitichezza ultimamente».

Rakshas ridacchiò, dopo aver concluso la serie. «Credo che adesso dovreste asciugare la vostra, di bava.»

«Non esagerare. Il princeps non sbava per nessuno». Gettai l'asciugamano e scoccai un'occhiata a Shani, che sonnecchiava in disparte. Malgrado la sua apparente distrazione, sapevo che sarebbe scattato alle prime avvisaglie di pericolo. «Ma a differenza tua, soldatino, non ho mai negato che scoperei volentieri con te. Se la tua carriera di mercenario dovesse fallire, hai un futuro come clown. Te la cavi anche con i giochetti di prestigio?»

Rakshas si tirò in piedi, sgranchendosi i muscoli. «So fare qualche trucco di magia...» Mi si avvicinò. Afferrò una lancia e mi girò intorno, prima di scagliarla contro un bersaglio, facendo centro. «Sarei molto poco professionale se venissi a letto con voi... e poi non sono uno sfascia famiglie.»

«Non male». Impugnai un coltello e ne sfiorai la lama con l'indice. Sfoderai un sorrisino. «Rendiamo le cose più eccitanti, ti va?»

Nel suo sguardo ci fu uno scintillio interessato. «Come?»

«Mettiti davanti al bersaglio».

«Non mi sembra un'ottima idea...» Rakshas sogghignò, ma obbedì. «Mi state chiedendo l'ennesimo atto di fiducia. Cosa ci guadagno?»

Feci spallucce. «Ti offrirei un bacio, ma non sono il tuo tipo».

«Ho baciato e scopato tante persone che non erano il mio tipo.» Allargò le braccia, invitandomi a lanciare.

Che bugiardo. Ormai era diventata una questione di orgoglio.

Strinsi l'arma, con il lato non affilato incastrato nell'incavo tra il pollice e il resto del palmo. Mi concessi un istante per prendere la mira e la scagliai. Roteò nell'aria con un sibilo e infine si piantò nel legno, sotto all'orecchio di Rakshas.

«Neanche un sussulto. Complimenti» commentai, passandomi la lingua sul labbro.

«Assurdo che ci fossero dubbi.» Rakshas sorrise. «Non ho paura di morire, sua maestà.»

Il mio cuore accelerò. Lo avvertivo pompare l'adrenalina come fuoco liquido nelle mie vene. «Proviamo senza guardare ora. Se ne hai il coraggio, certo».

«Se voi avete il coraggio.»

Risi. «Confido molto in me stesso».

«Avete detto di aver affidato la vostra vita nelle mie mani. Ora avete la mia.» Ciondolò il capo. «È abbastanza come atto di coraggio?»

Impugnai un altro coltello e socchiusi le palpebre. Trassi un respiro per concentrarmi, poi lo rilasciai mentre lasciavo andare la lama. Riaprii gli occhi. Il manico vibrava ancora, piantato appena sopra alla spalla di Rakshas. Gli avevo fatto un piccolo strappo alla canotta, nient'altro.

Mi avvicinai fino a schiacciare il mio corpo contro il suo. Staccai il coltello e gli accarezzai la guancia con la parte tagliente, senza spingere. Ridussi la voce a un bisbiglio roco. «Non azzardarti mai più a dubitare delle mie abilità. Nel caso in cui dovessi ucciderti, non sarà per sbaglio».

Mi sfiorò il labbro, strusciandoci il pollice. «Volete provare a posizioni invertite?»

Esitai. Era un azzardo, ma non ero in grado di resistere all'impulso di giocare. Il rischio mi eccitava. Gli porsi l'arma dall'impugnatura. «Perché no?»

Lui prese il pugnale e si allontanò da me. Mi osservò. «Quindi se vi tenessi in vita, vincerei un bacio?»

Assunsi un'espressione tronfia. Shani si destò all'istante, ma lo ignorai. «Ne hai già vinto uno. Mi sembri avido, considerato che non sono il tuo tipo».

«Non l'avete presa affatto bene questa storia.» Lanciò l'arma nella mia direzione. La lama si conficcò accanto alla mia testa, potevo sentirne ancora il fischio.

Gli angoli della mia bocca si piegarono all'insù. Non mi ero neanche mosso. «Soddisfatto?»

Rakshas scosse il capo. I miei sensi si misero in allerta, quando acciuffò una lancia dalla punta elettrificata e la scagliò. Sibilò, fendendo l'aria. Si incastrò nel muro, proprio in prossimità del mio orecchio. «E voi?»

«No». Recuperai delle fasce e le arrotolai attorno alle nocche di entrambe le mani. Balzai sulla piattaforma rialzata che fungeva da ring. «Combattiamo».

«Vi farete male, sua maestà.»

«Il dolore è la mia linfa vitale, soldatino».

Rakshas sorrise e si piazzò di fronte a me. Mi fece cenno di cominciare. Camminai a passi lenti e cauti, tracciando un cerchio di cui era il centro. Fisicamente era grosso il doppio di me. Il solo vantaggio che avevo era la velocità. Non sarei stato così stupido da fare la prima mossa.

Lui mi fissò. «Siete noioso.»

«Si chiama strategia».

Mi assestò un pugno allo stomaco. Lo schivai e sgusciai sotto il suo braccio, mollandogli una gomitata sulla schiena. Mi afferrò per un polso e mi strattonò. Evitò un gancio e mi investì con un calcio violento sul ginocchio.

Digrignai i denti, reprimendo un rantolo. Persi l'equilibrio e caddi, non prima di essermi aggrappato alla sua casacca per trascinarlo a terra con me. Saltai a cavalcioni sul suo torace e mi accanii sul suo viso. Parò i miei colpi, portando un braccio avanti. Posò una mano sul mio petto e mi spinse sul pavimento dall'altro lato, scrollandomi da dosso. Scattante, si tirò in piedi e mi venne incontro. Premette un piede sul mio addome e ghignò. «La prossima volta sarete più fortunato.»

Ansimante, mi contorsi e riuscii a dargli un calcio all'altra gamba in modo da sbilanciarlo. Rakshas scivolò all'indietro, sbattendo sul pavimento. In un lampo gli fui di nuovo sopra e gli bloccai le braccia con il mio peso.

Gli spedii un bacio volante. «Anche tu».

«Era questo il mio premio?» Si liberò appena, per assestarmi un pugno alla pancia, nello stesso punto di prima. Rovesciò le nostre posizioni e mi sovrastò in pochi passaggi. Strinse la presa delle ginocchia contro i miei fianchi.

Deglutii, sentendo un sapore ferroso impastarmi la bocca. Una vampata di calore mi investì e percepii i miei battiti farsi sempre più frenetici. Era meglio cambiare tattica.

Insinuai una mano sotto alla sua canotta e le mie dita sfiorarono le incanalature dei suoi addominali. «Vuoi il tuo premio? Vieni a prenderlo».

Rakshas abbassò lo sguardo sul mio braccio. Il suo pomo d'Adamo si mosse su e giù. Si chinò verso di me. Mi protesi verso il suo volto e gli leccai un rivolo di sangue da un taglietto sullo zigomo. Poi scesi e gli sfiorai le labbra con le mie in un contatto fugace, intanto che sfilavo il pugnale che tenevo nascosto in una tasca interna dei pantaloni.

Glielo premetti sulla gola, ritraendomi quanto bastava a incatenare i nostri sguardi. «Sei morto».

Inspirò un fiotto d'aria. Scostò la lama dal collo. «Pensi che quel coso riesca a uccidermi?»

«A meno che tu non sia invulnerabile al dissanguamento da carotide squarciata, sì. Lo penso». Aggrottai la fronte. «Quando ti ho dato il permesso di usare il tu

Rakshas si mise a sedere sulle mie gambe e tirò fuori dalle sue bende un pugnale, come fosse un coniglio da un cilindro. «Mi hai permesso un bacio. È una specie di ammissione, no? E il patto era quello.»

«No, il patto era che avresti dovuto riconoscere che sono il tuo tipo». Mi puntellai sui gomiti. «Non ricordo di aver sentito ancora quelle paroline uscire dalla tua boccaccia».

Mi sfiorò la guancia con la punta del suo pugnale. Mi irrigidii. «Baceresti questa boccaccia.»

Dei passi frettolosi attirarono la mia attenzione. Mi accigliai e feci un gesto sbrigativo verso Rakshas. Non ero a mio agio con il pensiero di mostrarmi sotto a un uomo a qualcuno della mia corte. Shani era l'eccezione. «Levati».

Si tirò subito in piedi e mi tese la mano per aiutarmi a tirarmi su.

La afferrai e gli feci un occhiolino. «Che dolce che sei».

Lui roteò gli occhi. Ci voltammo entrambi, quando Declan, uno dei massimi rappresentanti del mio Consiglio, piombò nella palestra. Si appoggiò a una parete, per riprendere fiato. «Princeps! Un-un minuto-» quasi collassava sul pavimento, esausto.

Scrollai le spalle. «D'accordo. Capitano, dimmi tu quando sono passati sessanta secondi».

«Che succede?» chiese Shani in tono preoccupato, unendosi a noi.

Declan prese un grosso respiro. «Credo che il nostro princeps abbia bisogno di sedersi... ho brutte notizie.»

Adesso sì che ero incuriosito. Una cosa che capitava di rado. Di solito rimanevo intrappolato nell'oblio di una vuota apatia. Avevo smesso di provare emozioni da tanto. Si erano spente con la perdita di Kaesar, fulminate come una lampadina.

«Hai stuzzicato il mio interesse». Infilai il maglione a collo alto. «Ebbene?»

«Ho scoperto che uno dei mercenari che inviammo alla famiglia Abernathy ha mentito.»

Rakshas mi sbirciò e aggrottò la fronte.

Declas si asciugò il sudore sulla fronte e mi fissò dispiaciuto. «Risparmiò il ragazzo. Jude Abernathy è vivo.»

Mi congelai sul posto. Le sue parole riecheggiarono nella mia mente annebbiata. Il tempo stesso parve dilatarsi, trasformando ogni attimo in piccoli frammenti di eternità.

Jude è vivo.

Il mio Jude è vivo.

No. A essere sopravvissuto non era il mio migliore amico. Era colui che mi aveva tradito, che aveva consegnato mio fratello al Ministero. Per soldi. Aveva preferito il denaro a me.

Gli avrei dato il mondo intero, e lui aveva bruciato il mio.

Shani increspò le sopracciglia. Era cereo. «Com'è possibile? Ne sei certo?»

Non udii la risposta. I suoni mi giungevano ovattati e distorti. Mi resi conto che stavo tremando. Avevo il fiato corto. Respiravo a fatica, quasi i miei polmoni fossero stati sostituiti da sacche bucate.

Mi tappai la bocca, assalito da un senso di nausea. Sordo a qualsiasi richiamo, uscii dalla palestra a passi barcollanti. Incespicando di continuo, mi fiondai in giardino e raggiunsi il mausoleo. Ero scosso da tremori incontrollabili.

Mi raggomitolai accanto allo scranno di Kaesar, rannicchiato contro la salma fredda e rigida. Avrei voluto un suo abbraccio, una sua carezza. Invece, affondai il volto nella sua giacca e feci una cosa che non facevo dal giorno del suo funerale.

Piansi.

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