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4 - Pioggia e Sole

"L'aurora polare, detta boreale o australe a seconda dell'emisfero in cui si verifica, è un fenomeno ottico dell'atmosfera terrestre, caratterizzato principalmente da bande luminose di un'ampia gamma di forme e colori rapidamente mutevoli nel tempo e nello spazio, tipicamente di colore rosso-verde-azzurro, detti archi aurorali.
Il fenomeno è causato dall'interazione di particelle cariche (protoni ed elettroni) di origine solare con la ionosfera terrestre: tali particelle eccitano gli atomi dell'atmosfera che emettono luce di varie lunghezze d'onda. A causa della geometria del campo magnetico terrestre, le aurore sono visibili in due ristrette fasce attorno ai poli magnetici della Terra, dette ovali aurorali."

— We were too close to the stars
I never knew somebody like you, somebody
Falling just as hard
I'd rather lose somebody than use somebody
Maybe it's a blessing in disguise
(I sold my soul for you)
I see my reflection in your eyes


Quando scendo in cucina, già pronta con il bikini addosso e un prendisole sopra, mi si presenta davanti una scena parecchio buffa. Tutti i miei fratelli sono seduti in terrazzo, dove mi metto di solito da sola. Hanno unito due tavolini e se ne stanno lì, immobili, con gli sguardi persi nel vuoto. 

Thymós, invece, è poggiato contro la ringhiera, a due metri di distanza, e ha una mela in mano. Nell'esatto momento in cui i suoi denti affondano nella polpa del frutto, i suoi occhi saettano nei miei. Mi fa un cenno col capo e capisco che quello è il mio "buongiorno".

«Cosa succede qui?» domando rivolta ai miei fratelli e mia sorella.

Quattro paia di occhi mi si puntano addosso. Hermes scatta in piedi e mi raggiunge con due falcate. Mi afferra per le spalle, il viso distorto dalla preoccupazione. «Eccoti, ti aspettavamo per iniziare la riunione di famiglia. Siediti, coraggio.»

Mentre mi spinge verso il tavolino, la vestaglia gialla gli si apre sul davanti, rivelando il corpo nudo. Thymós, quando incontra le parti intime di mio fratello, alza gli occhi al cielo e dà un secondo morso violento alla mela.

Mi metto tra Hades e Apollo. Quest'ultimo mi fa una carezza sull'avambraccio. «Stai bene? Non hai rimuginato troppo sulla predizione delle Moire, vero?»

Hades gli dà uno schiaffetto alla mano. «Forse se evitassi di nominare di nuovo il fatto che le Moire le hanno detto che morirà, potrebbe stare bene.»

Apollo assottiglia gli occhi. «Hai appena nominato anche tu la predizione di morte delle Moire.»

«E tu stai continuando a nominarla, idiota.»

Athena sbatte i denti della forchetta sul tavolo, facendo tremare ogni cosa poggiata su di esso. «Siete due idioti. Se non la smettete, la prossima forchetta la scaravento contro di voi.»

Hades recupera un coltellino per spalmare la marmellata e lo fa oscillare tra le dita, giocandoci con agilità. «Non se ti lancio prima io questo coltellino e te lo pianto dritto in fronte.»

In mezzo ai battibecchi generali, un altro oggetto vola nell'aria e va a schiantarsi sul petto di Hades, per poi rimbalzare e finire a terra. Un cucchiaino di caffè. Hermes ha ancora il braccio sollevato, segno che è stata opera sua.

Thymós emette uno sbuffo sonoro. «Qualcuno mi spiega questa passione per il lanciare le posate?» Non aspetta nemmeno una risposta e aggiunge in un borbottio: «Siete davvero una famiglia strana.»

Hermes si siede davanti a me, alla destra di Athena, e prende un sorso di caffè direttamente dalla caffettiera. Thymós osserva la scena a occhi spalancati e lo indica, pronto a dire altro. Scuoto il capo per indicargli di lasciar stare. Tentare di capire il perché dietro le azioni di Hermes è tempo perso.

«Dunque, possiamo evitare di nominare di nuovo l'incontro spiacevole con quelle tre stronze,» riprende Hermes. «E discutere, invece, delle nuove evoluzioni sugli omicidi.»

Inarco un sopracciglio. «Quali nuove evoluzioni? C'è stato un altro omicidio?»

«No,» risponde Athena. «Ma se procediamo con l'ipotesi che il killer mira a te, dobbiamo assolutamente tenere conto della frase di Atropos. Aphrodite morirà per mano di una delle persone che più ama al mondo.»

La gravità della frase sembra colpire tutti i presenti solo in questo momento. Hades si sistema sulla sedia, a disagio.

«Se è così, le persone che più amo al mondo sono tutte qui,» mormoro, prendendo la parola per la prima volta. «I miei fratelli e mia sorella. Nessun altro.»

Apollo mugugna, sovrappensiero. «Ciò significa che uno di noi ti tradirà.»

Hermes fa un verso di scherno. «Sì, e uno di noi la rinnegherà prima che il gallo canti tre volte. Solo perché hai il look di Gesù non significa che debba parlare come lui.»

«Be', ha ragione,» interviene Athena. Anche lei è visibilmente tesa come una corda di violino. «Uno di noi la ucciderà. Ma ciò significherebbe che uno di noi è il killer che sta facendo strage ogni venerdì. E non ha senso. Immagino.»

Hermes si protende in avanti, avvicinandosi ad Apollo. «Non so, Apollo è sempre troppo calmo e rilassato. Può benissimo nascondere tendenze da assassino sociopatico.»

Posso già prevedere la reazione di mio fratello, perciò allontano subito tutte le posate più vicine a lui. Hades mi assiste togliendomele di mano e lanciandole a terra, a metà strada verso Thymós. La mia guardia del corpo continua ad avere un'espressione strana, ma credo anche che si stia abituando a questo contesto familiare un po' ambiguo.

«E perché dovrei essere io e non tu, Herm?» replica Apollo.

«Perché io non sono una delle persone che Aphrodite ama di più. Io sono la persona che ama di più e basta.»

Hermes mi guarda, alla ricerca di una conferma. Io agito la mano per aria e me ne tiro fuori. «Non ho intenzione di partecipare a queste conversazioni stupide.»

«Ho davvero l'aspetto di uno che potrebbe nascondere un lato omicida?» esclama Apollo, indicandosi.

Athena, Hermes e Hades lo studiano con attenzione.

«Sì.»
«Decisamente.»
«Ora che ti guardo bene, mi metti un po' i brividi, Pollo.»

Apollo resta a bocca spalancata, incerto su come rispondere a delle accuse del genere. Dal mio canto, ho capito che stanno solo scherzando e puntano sul pessimo senso dell'umorismo di Apollo.

A intervenire è l'ultima persona che mi sarei aspettata lo facesse. Una voce profonda che vorrei non avesse l'effetto che ha su di me. «Io trovo assurdo che prendiate per vere le farneticazioni senza senso di tre tipe vestite con delle tende addosso, e che tengono un filo da cucito in mano fingendo che sia il filo della vita. Siete più rincoglioniti di loro,» sputa fuori, arrabbiato. Impiega pochi secondi a riprendere un po' di calma. «Senza offesa, ovviamente.»

Nel silenzio, sento montare dentro di me la voglia di scoppiare a ridere. In fondo, Thymós potrebbe non avere tutti i torti. Perché farci condizionare dalle frasi ambigue delle gemelle?

«Tu non capisci,» ribatte Athena, stizzita. «Tutte le previsioni di morte che hanno fatto da quando sono su quest'isola si sono avverate.»

Thymós non sembra impressionato. «E non vi è saltato per la testa che magari architettano tutto loro? Non ci vuole molto a pagare un sicario e far fuori le persone su cui fanno le loro previsioni magiche.»

«Ha senso, sì,» conviene Hermes. Si rivolge ad Apollo. «Quindi le Moire ti stanno pagando? Non ti bastano i soldi di papà e mamma Titani?»

Apollo sbuffa e, d'istinto, tasta sul tavolo per cercare qualcosa da lanciargli contro.

«Scusate...» Athena ha gli occhi persi in un punto lontano, oltre di me. Si tortura le mani, poggiate in grembo, la sua colazione è ancora intatta. «Se la frase delle Moire non è collegata agli omicidi, ciò significa che questo presunto killer non arriverà ad Aphrodite. Però, potrebbe voler dire che lei morirà più avanti.»

D'improvviso, ho lo stomaco chiuso. Proprio quando mi ero decisa a prendere le mie fette biscottate con burro d'arachidi e marmellata di mirtilli, tutto l'appetito e la fame sono spariti. Athena ha ragione.

«Io credo che...» comincia Hermes.

Thymós si ferma davanti ai due tavoli uniti, e senza proferire parola prende la mia tazza di cappuccino e il piattino con le fette biscottate. Li sistema in un altro tavolino, poco lontano da quello in cui siamo seduti. Dopodiché sposta una sedia, in un invito a prendere posto.

«Cosa fai?» gli chiedo, confusa.

«Ti piace fare colazione seduta qui fuori, da sola, con il tuo cappuccino e le fette, e un libro in mano,» elenca, come se non conoscessi le mie abitudini. «La parte meno stancante del mio lavoro con te è stare qui, la mattina, a guardarti leggere, con le porte finestre chiuse che bloccano il rumore delle voci di questi pazzi dei tuoi fratelli. Quindi, ti prego, non roviniamo la tradizione. Siediti e ignorali.»

Athena si alza in piedi. «Ma chi ti credi di essere? Stiamo cercando una soluzione per aiutare nostra sorella, perché al contrario tuo che la proteggi solo per prenderti i soldi di Crono, la vogliamo proteggere perché la amiamo!»

Thymós non batte ciglio. Resta in piedi, e si mette a braccia conserte. «La sto proteggendo, infatti. Da tutte le paranoie che le state ficcando in testa, senza tregua.»

Athena fa un passo in avanti, pronta a ribattere. Farla innervosire è la cosa più semplice del mondo. Hades interviene, alzandosi dalla sua sedia per lasciarmi la via d'uscita. «Ha ragione. Non la stiamo aiutando. Vai pure, Aphry.»

Athena libera una risatina sprezzante e non aggiunge altro, mentre io mi avvio al mio nuovo tavolino privato e isolato da tutti i problemi.

Quando mi accomodo sulla sedia, Thymós la spinge in avanti per aiutarmi e io mormoro un ringraziamento. Senza che io gli dia istruzioni, si avvicina a una pila di cinque libri lì accanto e tira fuori quello che stavo leggendo in questi giorni. Non pensavo che se lo potesse ricordare.

Me lo posiziona davanti e prende posto insieme a me, con la sua mela mangiata a metà. Si è creato un momento particolare in cui i miei fratelli guardano me, io guardo Thymós e Thymós fissa la mela che si rigira in mano.

«Immagino di non dover fare domande nemmeno sulla vostra passione per le mele.»

Sorrido e apro il libro, con la tazza di cappuccino in mano. Man mano che i secondi passano e i paragrafi scorrono, mi accorgo che i miei fratelli si accingono a finire la loro colazione e spariscono senza più emettere un fiato.

Hermes è l'unico che indugia, le mani sui fianchi, la vestaglia aperta a rivelare le sue nudità, e la fronte corrugata. «Be', è giunto anche il mio momento di andare, temo, e quindi le nostre strade...»

«Ciao,» lo interrompe Thymós, disinteressato, e con lo sguardo fisso su di me. Tiene la mela mangiucchiata per il picciolo, tra l'indice e il pollice, e la fa roteare piano con un movimento di polpastrelli.

Mi sono dimenticata tutto quello che ho appena letto, in un istante. Faccio finta di nulla e chiudo il libro, ripromettendomi che la prossima volta che lo riprenderò, tornerò cinque pagine indietro.

Hermes bofonchia qualcosa che sono sicura comprenda la parola "sesso" e sparisce dentro casa.

Thymós continua a giocherellare con la mela. Oggi sembra più propenso al dialogo del solito. «Era molto buona, comunque. Non dolciastra come lo sono tipicamente le mele rosse.»

Do un morso generoso alla fetta biscottata e, dopo aver mandato giù il boccone, lo correggo. «Quella non è una mela rossa, infatti.»

Thymós mi guarda come se gli avessi appena detto che la terra è piatta. Indica la buccia rimasta sopra la polpa vicina al picciolo. «A me sembra rosso, quello.»

Infilo metà fetta biscottata in bocca, per finirla prima, e Thymós si morde il labbro inferiore come per trattenere una risata davanti alla mia poca eleganza.

Mi alzo e gli faccio cenno di aspettarmi. Entrata in cucina, adocchio il cesto di mele sull'isola. Prendo una di quelle che ha mangiato Thymós e ritorno da lui, fermandomi alle sue spalle. Noto subito il modo in cui il suo corpo si accorge della mia presenza e si irrigidisce.

«Eppure sono stata silenziosa,» mi difendo, stupita da quanto i suoi sensi siano attenti a ogni stimolo che ha attorno.

«Quando sei un militare, impari a stare attento anche al più piccolo spostamento d'aria,» mormora. «E, in ogni caso, ho sentito pure il tuo profumo. Cocco e vaniglia.»

Rimango a bocca aperta e ringrazio che non possa vedermi, perché sono quasi certa di essere arrossita. Mando via l'imbarazzo e mi chino su di lui, mettendogli davanti la mela. «Questa è una mela Kanzi, tipica di una regione italiana chiamata Alto Adige. Se noti, non è rossa. Ha delle striature gialle e verdognole, nonostante la predominanza della buccia sia di colore rosso. Le kanzi hanno un elevato contenuto acido e una dolcezza relativamente bassa, capisco perché a uno come te piacciano.»

Thymós afferra la mela, mettendo la mano sopra la mia, con una disinvoltura tale da farmi mancare un battito per lo spavento. Spinge in avanti, avvicinando il frutto al naso. Prende un respiro profondo e la allontana di qualche centimetro. «Però è molto aromatica, o sbaglio?»

Devo aspettare qualche secondo per accertarmi che la voce non mi uscirà tremolante. «Giusto. La loro polpa è soda e croccante, e oltre a essere aromatica è molto succosa.»

Thymós riavvicina le nostre mani con la mela, fino a portarsela alla bocca. Senza mollare mai la presa dalla mia mano, dà un morso al centro. Si volta di profilo, il tanto giusto per guardarmi negli occhi mentre mastica con minuzia il boccone. Il suo pomo d'Adamo si abbassa.

«Decisamente croccante e soda...» Si pulisce l'angolo sinistro della bocca, raccogliendo un po' del succo della mela e lo risucchia velocemente. «E succosa.»

I suoi occhi marroni brillano di divertimento, nonostante la sua espressione non tradisca alcuna emozione, se non la tipica serietà di Thymós.

Il rumore di un gabbiano che vola sopra di noi mi riporta alla realtà. Thymós sposta la mano, lasciando la mela solo a me. «Bene,» dico, alla fine, ancora confusa da ciò che è appena successo.

«Programmi per oggi?» chiede. Sfila gli occhiali da sole, appesi al colletto della t-shirt nera, e li indossa.

«Passerò qualche oretta in spiaggia,» lo informo. Finisco i rimasugli di cappuccino e raccatto tutti i libri, compreso quello che stavo tentando di leggere fino a pochi minuti fa. «Ho bisogno di leggere, prendere il sole e fare qualche bagno.»

Thymós sta fissando con fin troppo interesse i libri che ho in mano. «Perché così tanti?»

«Perché ho intenzione di leggerli tutti.» Non è ovvio?

Sgrana gli occhi. «Come fai a leggere cinque libri in una mattina?»

Mi stringo nelle spalle. «Mi sembra una cosa normale, in realtà.»

«Non proprio...» Potrei sbagliarmi, ma sembra incredibilmente affascinato da questa scoperta che ha fatto su di me. «Sai, anche le bionde leggono.»

Comincio a indietreggiare e lui segue ogni mio movimento, l'espressione sul suo viso si fa sempre più corrucciata. «Dunque, ci vediamo più tardi. Puoi passare il tempo nella sala pesi, oppure puoi farti un tuffo in piscina. È lì dietr...»

Thymós fa una smorfia e si mette in piedi. «Io non voglio andare in sala pesi. O farmi un tuffo in piscina.»

«Allora potresti...»

«Io voglio stare con te, Aphrodite.»

Questo potrebbe essere un grosso problema. No, questo sarà un enorme problema. Che posso aggirare se cammino veloce e provo a seminarlo. Ma non appena muovo qualche passo lungo le scalette laterali, che conducono alla stradina prima della spiaggia, Thymós mi è subito dietro come un cagnolino fedele.

«Aphrodite, spero che tu non stia cercando di seminarmi o scappare in qualche modo. Lo sai che sarebbe stupido anche solo pensare di poterlo fare.»

Gli faccio il verso nella mia testa. «Non puoi stare con me in spiaggia. Devi andartene, Thymós.»

«Non sono un amico che mandi via quando vuoi del tempo per te stessa. Sono la tua guardia del corpo, e non posso lasciarti sola.» Allunga il braccio per spostare la fronda di un albero che pende verso di me. «E stai attenta a dove vai, per l'amor del cielo.»

Chissà perché ho pensato che oggi fosse un Thymós più sereno e cordiale. Inizia a darmi più noia dei giorni scorsi. Resta il fatto che non può farmi da babysitter, questa mattina. Io ho un rituale tutto mio, quando decido di passare la mattinata in spiaggia, da sola.

Prendo tempo andando a sistemarmi su una delle sdraio bianche vicine alla riva. Poggio i libri e, con gli occhi di Thymós addosso, mi sfilo dall'alto il prendisole che copriva il bikini. Lo piego con cura e lo metto sulla sdraio accanto alla mia. Thymós prende posto proprio lì, stando attento a non sedersi sopra il mio vestitino.

«Thymós, dico sul serio, devi lasciarmi sola.»
«Anche io ero serio quando ti ho risposto che non lo avrei fatto.»

D'accordo. Devo dirglielo. «Io faccio il bagno senza costume.»

Lo vedo irrigidirsi sul posto. «Non ti azzarderesti mai con me davanti.»

Inclino la testa di lato e gli scocco un sorrisetto angelico, il migliore che mi riesce. «Con te presente, posso tenere almeno gli slip. Quindi, se non vai via, temo che vedrai le mie tette.»

Le sue labbra si dischiudono appena, tradendo il suo stupore. Di certo non si aspettava una motivazione simile. Con lentezza, solleva il braccio fino a levarsi gli occhiali da sole, per incastrare i suoi occhi nei miei. «Aphrodite, non è divertente.»

Per provocarlo, avvicino le mani ai lacci della parte di sopra del bikini, legati in un fiocchetto dietro il collo. «Occhi su di me, Thymós,» lo prendo in giro usando la sua frase preferita.

«Aphrodite,» mi richiama, severo, senza staccarmi gli occhi di dosso.

«Per essere uno contrario alla cosa, continui a guardarmi.» Prenderlo in giro è diventato il mio nuovo passatempo preferito. Devo averlo mandato nel panico totale, perché il suo sguardo cade proprio sul mio corpo e si ferma qualche istante di troppo sul mio seno ancora coperto. «E adesso mi hai guardato il petto. L'ho visto, Thymós.»

Lui emette un grugnito animalesco e, mentre volta il capo di lato in direzione del mare, la sua bocca si muove. Immagino che stia sibilando una serie infinita di imprecazioni.

«Sia maledetto il giorno in cui ho accettato questo lavoro,» sento, tra una frase incomprensibile e l'altra. «Mi porterai all'esaurimento, sacca di soldi.»

D'un tratto, un'idea mi balena in testa. E il fatto che sia assolutamente irrealizzabile, mi fa desiderare ancora di più di provarci. «Vuoi restare qui?»

«Io resto qui. Punto.»

«Vuoi che non mi spogli?»

Al sentire la domanda, i suoi occhi saettano nei miei. «Sì.»

«Allora facciamo un gioco e io questa volta terrò il costume per il bagno,» propongo.

«Non se ne parla nemmeno. Non gioco a nulla.»

Sospiro in modo teatrale e afferro il laccio del reggiseno. «Okay, allora...»

«D'accordo, ferma, ferma!» urla. Si passa le mani tra i capelli, buttando fuori un fiotto d'aria. Mi sento quasi in colpa ad averlo ridotto in questo stato. «Dio, Aphrodite, sarebbe più facile fare la guardia del corpo del presidente degli Stati Uniti.»

Trattengo un sorrisetto e mi siedo sulla sdraio a gambe incrociate, protesa verso di lui. Thymós resta in attesa che parli, e io scelgo con cura le parole. «Il gioco è semplicissimo, non preoccuparti. Devi solo rispondere a una domanda personale.»

A confronto dei giochi che facciamo io e i miei fratelli, questo che sto proponendo a Thymós non è nulla. Eppure, lui si irrigidisce, come se gli avessi detto l'ultima cosa al mondo che avrebbe voluto sentire. Serra la mascella. «Che tipo di domanda personale?»

È da quando lo conosco che mi faccio domande su di lui, sulla sua vita privata e su aspetti che sono pure insignificanti e banali. È più forte di me voler conoscere le persone e tutta la storia che si portano dietro.

Allungo la mano, con l'indice teso a indicare un punto del suo viso. Thymós non si muove, forse pensa che non lo sfiorerò mai. E ha ragione. «Cosa significa quella x che hai tatuata sullo zigomo?»

Le sue sopracciglia si aggrottano. Gli occhi di Thymós inquadrano il mio dito, poi mi accarezzano il braccio e risalgono fino al mio viso, fermandosi lì. Potrebbe rifare tutto con la mano, e io comunque mi sentirei più toccata dal suo sguardo.

«Cosa te ne frega, Aphrodite? Non dobbiamo conoscerci e diventare amici.»

Non mi aspettavo una risposta gentile. «Mi importa. Vorrei saperlo. È un problema?»
«Sì.»

«Non vuoi dirmelo, dunque.»
«Perspicace.»

«Il gioco parla chiaro. Tu non rispondi...» lascio la frase in sospeso e riporto le mani sui lacci del costume. Thymós mantiene gli occhi sul mio viso, e io noto il modo in cui le sue mani sono serrate ai lati della sdraio e il pomo d'Adamo si abbassa.

Le sue labbra si dischiudono, ma ci impiega qualche secondo a far uscire la voce. «Non è un gioco corretto. Perché io non ci guadagno nulla.»

Rimango con la mano a mezz'aria e il laccio stretto tra il pollice e l'indice, pronta a tirarlo. Potrebbe non avere tutti i torti, ma a un Lively non interessa che l'opponente non ci guadagni nulla. «Sentiamo, cosa proponi?»

Thymós imita la mia posizione e si china in avanti. Ora i nostri visi sono a pochi centimetri di distanza, solo che la sfrontatezza del suo sguardo mi mette in allarme. «Tu vuoi che io resti vestito, Aphrodite?» soffia.

Il suo fiato caldo mi colpisce la bocca. Sbatto le palpebre più volte. «Ovviamente.»

«Allora, se ti spogli tu, lo faccio anche io, che dici?»

Mantengo un'espressione neutra, ma nella mia testa i miei pensieri si rincorrono e non mi danno il tempo di afferrarne uno logico. «Cosa ne è stato dei tuoi timori verso mio padre?»

Se possibile, Thymós si fa più vicino. Non c'è traccia di dolcezza o gentilezza. Dietro la sua rabbia, però, c'è qualcosa di più profondo. E una parte di me spera che sia la stessa emozione che sto provando io. Eccitazione. Ogni terminazione nervosa del mio corpo si sta incendiando, e l'adrenalina potrebbe pure spingermi a toccare l'uomo che ho davanti.

«Tuo padre ha detto che non devo toccarti,» ricorda. «Se vogliamo giocare come dite di fare voi, in questa famiglia, allora ci sono diverse scappatoie. Per esempio, guardare non è incluso nel toccare. Potrei guadarti mentre ti spogli, e guardare il tuo seno senza nessuna ripercussione. E, di conseguenza, potrei spogliarmi anche io. O sbaglio?»

È una scappatoia piuttosto tirata, sappiamo entrambi che con Crono Lively non esistono questi ragionamenti e non esiste la probabilità di poterlo imbrogliare.

«Non ti sembra una mancanza di professionalità, Thymós?» sussurro.

Si lecca il labbro inferiore. «Sì, ma è da quando sono arrivato che continui a provocarmi e a mettere alla prova la mia pazienza. Vediamo fino a dove ti spingi, Aphrodite. Magari ti servirà da lezione capire che, se tu superi il confine, io posso andare anche più in là.»

«D'accordo.»

Porto le mani ai laccetti del costume azzurro e disfo il nodo. Lentamente, li lascio andare, e il reggiseno a triangolo ricade in avanti, esponendomi alla mia guardia del corpo.

Thymós non ha alcuna reazione. Per quanto possa studiarlo con minuzia, non lascia trapelare nulla.

Il suo sguardo resta bloccato sul mio viso, impassibile. So di averlo fatto arrabbiare, però. Non serve che me la mostri, la sua rabbia, per sapere che è ben presente.

«Non guardi?» lo provoco. «Andiamo, Thymós, è solo un corpo femminile come tutti gli altri. Immagino che tu ne abbia visti parecchi. O sbaglio?»

Inarca un sopracciglio.

Faccio scorrere le mani lungo il mio addome, e il movimento quasi gli fa spostare lo sguardo in basso. Continuo a giocare con le dita, e le mani cominciano a tremarmi. Non perché abbia paura che possa abbassare lo sguardo e vedere metà del mio corpo nudo, ma perché in fondo spero che lo faccia e che gli piaccia.

«Tu sei fuori di testa, Aphrodite,» sibila.

«Spogliati,» ordino. «Non si infrangono le regole del gioco.»

Thymós posiziona le mani ai bordi della t-shirt, e si allontana da me solo per sfilarsela con un gesto secco. La lancia alle sue spalle come se fosse qualcosa di schifoso, di cui deve liberarsi il prima possibile. Mi concedo una lunga occhiata ai muscoli ben definiti del suo petto, alla pelle ambrata e dall'aspetto setoso. Di nuovo, ho un fremito perché vorrei toccarla.

«Sappi una cosa, Aphrodite,» si interrompe con le mani sul bordo dei pantaloni. «D'ora in poi, quando tenterai di rendermi le cose difficili, ti ripagherò con la stessa moneta. Chiaro? Ciò significa che se mi fai scherzetti, come fingere di esserti buttata in mare...»

Aggrotto la fronte con finta espressione dubbiosa. «Cosa fai? Mi sculacci?» Forse sto tirando troppo la corda. Credo che mio padre se la prenderebbe tanto con Thymós quanto con me.

Espira forte e quasi gli scoppio a ridere in faccia. «No. Ti carico in spalla e ti ci butto davvero in mare. Qualsiasi cosa tu stia facendo. Ti ci butto dentro anche con il vestito più costoso che hai o con uno dei tuoi libri in mano.»

«Tu prova a rovinarmi un libro e io ti rovino la faccia,» replico di getto.

Thymós abbozza un sorrisetto velenoso, per niente felice, e fa per abbassare i pantaloni.

Mi alzo di scatto. Thymós sposta il capo di lato per non guardarmi il corpo. «Cosa stai facendo, ora?» ringhia.

«Non sono interessata a vederti nudo,» ribadisco. «Non mi interessa che tu renda onore al gioco e rispetti le regole. Se tu non avessi voluto farmi spogliare, avresti inventato una cazzata qualsiasi per spiegarmi il tuo tatuaggio. Perciò, ho già vinto, Thymós, e mi basta così.»

I suoi occhi tornano nei miei. Questa volta è furente. Ma non gli do occasione di aprire bocca e provare a giustificarsi.

Mi slaccio anche il nodo del reggiseno, sulla schiena, e tolgo definitivamente la parte di sopra del costume. Glielo lancio addosso. D'istinto, Thymós lo afferra e lo stringe contro il petto nudo, a bocca aperta.

«Vado a farmi il bagno,» lo avviso, e mi incammino in riva al mare, consapevole di avere tutte le sue attenzioni.

🌸🌸🌸

Sono passati due giorni dal giochino fatto in spiaggia, e i rapporti tra me e Thymós sono più tesi di come lo sono mai stati. Considerando che mi sono buttata dal balcone, direi che la situazione è abbastanza grave, se adesso ce l'ha ancora di più con me di quella notte.

Ogni mattina lo trovo già seduto al tavolino in terrazza, con la solita mela kanzi in mano e i soliti vestiti neri semplici. Mi fa un cenno di saluto, io lo ricambio con un «Buongiorno», e prendo posto davanti a lui. In genere gli concedo del tempo, girando il cappuccino, e quando mi accorgo che Thymós non ha intenzione di parlare, apro il mio libro. Della pila dei cinque, ne ho letti quattro.

Mi accompagna ovunque io debba andare. Gli unici momenti in cui sono sola, sono quelli che passo in camera mia. La sera andiamo al locale e lui presidia ai miei giochi, senza mai guardarmi, come aveva promesso la prima volta.

Parla più con Eros che con me. Anche se immagino che «Eolo, ti serve aiuto per salire sullo sgabello del bancone bar?» non sia poi una conversazione da invidiare.

Fatico a comprendere se tra di noi ci sia imbarazzo per il mio gesto o per quello che gli ho detto dopo, poco prima di tuffarmi in mare. Oppure non c'è alcun imbarazzo e, più semplicemente, Thymós ha raggiunto il limite di sopportazione. Credevo di essere una persona più piacevole, e quanto pare non è così.

Sono le otto di sera quando io e miei fratelli entriamo in sala da pranzo per cenare con i nostri genitori. Mi volto in direzione di Thymós e, avuta la conferma di ciò che pensavo avrei trovato, mi affretto a spostare lo sguardo. Ogni volta che entriamo in questa sala, per il pranzo o la cena, Thymós ha la stessa reazione: inclina il capo verso l'alto e fissa il soffitto , interamente dipinto con la storia della genesi del mondo secondo la mitologia greca, con stupore. Azzarderei a dire che gli piaccia parecchio.

Hermes è il primo a entrare, ma si blocca subito e quasi gli sbatto contro. «Bene, cena con delitto anche questa settimana?» Il suo tono è ironico, con una punta di disgusto.

A qualche metro dal tavolo, così com'era successo una settimana fa, c'è un cadavere. «Capelli biondi, occhi azzurri scommetto... ed è venerdì,» elenca Athena, l'unica abbastanza intrepida da avvicinarsi al corpo privo di vita. «Buco nel petto, niente cuore. Il suo nome?»

Stanno tutti aspettando che la identifichi, perché indossa un completino ricoperto di lustrini tipico del mio locale. Mi muovo il tanto che mi permetta di vederla meglio. Distolgo subito lo sguardo. «Hanna.»

«Quindi, i nomi delle vittime fin ora hanno formato le prime tre lettere del nome Aphrodite,» conclude mio padre.

Crono è già seduto a capotavola, e Rea dalla parte opposta. Mia madre regge un calice di vino e lo sorseggia mentre studia il cadavere riverso sul pavimento, come se nulla fosse.

Lentamente ci accomodiamo anche noi. Mio padre ha deciso di riservare un posto a tavola anche a Thymós. È sempre alla mia sinistra.

I camerieri mettono in tavola la prima portata, e per qualche minuto nessuno proferisce parola. Crono rimane fermo, non ha nemmeno afferrato le posate per iniziare a mangiare il cibo che ha nel piatto. «I miei collaboratori stanno investigando per trovare il killer,» dice, alla fine. «Risolveremo la situazione prima che arrivino a mia figlia.»

«Digli di risolvere la situazione prima che venga uccisa un'altra persona innocente,» correggo.

Non posso dire di essere amica di ogni singolo dipendente che lavora all'Heavenly, ma non sono nemmeno un mostro senza cuore a cui non interessa degli altri. Ho almeno trenta dipendenti, fra ragazzi e ragazze, ma Hanna la ricordo bene. Aveva una cotta per Eros, e al contrario del modo disinibito in cui si comportava sulla pista da ballo, quando interagiva con lui era timidissima e perdeva ogni briciolo di sicurezza in se stessa.

«La priorità sei tu,» commenta mio padre, impugnando la forchetta. «Vero, Thymós?»

Thymós si irrigidisce. «Sì, signore.»

«C'è stato qualche problema durante questa prima settimana di lavoro?» continua Crono.

Thymós mi lancia una rapida occhiata. Stiamo pensando entrambi a quando mi sono lanciata dal balcone. E forse alla scenetta in spiaggia di due giorni fa. Thymós si schiarisce la gola. «Un ragazzo, al locale, ha provato a toccarla. Gli ho spezzato il polso.»

Tutti i miei fratelli si voltano verso Thymós, in contemporanea. Apollo ha la forchetta a mezz'aria, e gli spaghetti avvolti attorno ad essa si srotolano, rituffandosi nel piatto.

Crono scoppia in una risata fragorosa e batte le mani. «Queste sono le cose che mi piace sentire. Ottimo lavoro. Il mio fiorellino delicato non deve essere sfiorato da nessuno.» Mi fa l'occhiolino. «A meno che non sia approvato da me.»

Thymós fa un cenno col capo come se gli avessero rivolto un complimento. Io, invece, guardo mio padre con un nuovo timore addosso. Lo conosco fin troppo bene per non pensare che la sua frase non abbia qualche significato nascosto. Sta tramando qualcosa, di sicuro.

«A tal proposito...» interviene Rea, parlando per la prima volta da quando siamo arrivati. «È ora di iniziare a discutere del ballo.»

Oh, no. Il ballo.

Una cosa per cui vanno matti Crono e Rea Lively è organizzare balli, qui sull'isola. Gli invitati sono quasi sempre e unicamente famiglie ricche, provenienti dalla Grecia, ma anche dagli Stati Uniti, Russia, Cina, Giappone e qualsiasi posto nel mondo in cui abbiano conoscenze. Gli eventi più grandi sono quattro: il ballo d'inverno, il ballo di primavera, il ballo d'estate e il ballo d'autunno. Sono anche le uniche occasioni in cui mio padre propone quattro giochi suoi, con cui divertirsi. Ogni anno sono diversi. Al ballo di primavera di qualche mese fa, due uomini e una donna sono quasi morti. In compenso, hanno vinto milioni di dollari.

Hanno luogo nella grande sala da ballo situata nella parte più esterna dell'isola, collegata al resto della villa. Buffet, champagne e vini di qualità, vestiti sfarzosi e un'orchestra ad accompagnare le danze sono solo una piccola parte dei balli dei Lively.

«Quale ballo?» sussurra Thymós al mio orecchio. Non mi ero accorta che si fosse avvicinato così tanto a me.

«Il ballo d'estate,» rispondo, piano. «Ne organizziamo diversi. Quelli più importanti sono i balli a cadenza stagionale.»

«Quest'anno non lo faremo a giugno,» riprende Crono. Si pulisce la bocca con il tovagliolo e beve un sorso di vino rosso. «Il quindici agosto mi sembra una data molto più bella, uno strappo alla regola giustificato. E a proposito di regole...»

Ogni parte del mio corpo si pietrifica, in attesa di ricevere una conferma ai timori che mi assillano da diversi minuti.

«Ogni persona deve avere un accompagnatore o accompagnatrice,» ci informa. «Potete scegliere voi chi portare, a patto che non arriviate da soli. Non mi sembra una richiesta difficile da assecondare, o sbaglio, oi gioí mou?» ("Figli miei")

«I tuoi figli bisessuali possono portare entrambi?» chiede Hermes a bocca piena. «Mi sembra eticamente più corretto.» Trasuda sarcasmo e voglia di mettere alla prova nostro padre, come solo lui sa fare.

Crono alza gli occhi al cielo. «Porta chi ti pare, Ermís, basta che non crei problemi come tuo solito. È già molto se ti sto permettendo di partecipare a questo ballo.»

La tradizione dentro la tradizione dei balli dei Lively, è che Hermes si ubriachi e combini qualche guaio. Due anni fa fece andare a fuoco le tovaglie dei tavoli col cibo; al ballo precedente, di primavera, lo hanno scoperto nel terrazzo a scopare con una donna sposata. Il marito non l'ha presa bene, e nemmeno i nostri genitori. Ricordo ogni casino che ha fatto, da quando partecipiamo ai balli, ma ci vorrebbe almeno un'ora di tempo per raccontarli tutti.

Tengo lo sguardo fisso sul mio grembo, consapevole che mio padre mi sta fissando. «Siete tutti liberi di scegliere tranne... Aphrodite.»

Non sbaglio mai quando ho dei timori nei suoi confronti. «Perché possono scegliere tutti tranne me, patèras?»

«Perché non mi hai mai dimostrato di saper scegliere bene chi tenere al tuo fianco, negli ultimi anni. I ragazzi che hai frequentato, e che per fortuna non ti sei mai permessa di presentarmi, erano la feccia peggiore che potessi trovare,» dice, senza pietà. «Non voglio vederti al ballo con l'ennesimo idiota che sta con te solo perché sei bella e ricca.»

Questo mi fa sollevare il capo, la rabbia monta dentro di me con una violenza tale che per i primi secondi non riesco ad aprire bocca. «I ragazzi che sono stati con me non mi volevano solo per l'aspetto e per i soldi!»

Crono sventola la mano in aria come a cacciare via una mosca che gli ronza attorno. È questo il peso che dà alle mie parole, alle mie opinioni e ai miei sentimenti. «Il ragazzo che ho scelto per te è il partito perfetto. Figlio di una famiglia già ricca, educato e bello. Credimi, quando lo conoscerai ne sarai felice pure tu.»

«Io non voglio conosc...»

«Secondo me, potreste anche finire per sposarvi. Sarebbe bello includerlo nella famiglia. I suoi genitori sono entrambi due giudici per la corte suprema degli Stati Uniti. Mi hanno aiutato svariate volte con dei casi un po'... ostici.»

Serro entrambe le mani in due pugni, sotto il tavolo, fino a quando non sento le unghie conficcarsi nella pelle e farmi male. Preferisco piangere per questo dolore, però, che per l'ennesima delusione inflittami da mio padre.

Nel mio campo visivo compare un'altra mano. Maschile. Non appartiene al mio gemello, ma alla mia guardia del corpo. Con il polpastrello dell'indice, mi sfiora il dorso della mano, dandomi un colpo appena percepibile. Un invito silenzioso a distenderle e non torturarmi. «Aphrodite,» sussurra piano, quando nota che non voglio dargli retta.

«Anzi, sai che ti dico? Perché non ci togliamo il dente e lo conosciamo subito? La sua famiglia stasera farà qualche giro per l'isola e giocherà nei nostri locali.»

Mi viene da vomitare. Se poco fa pensavo che la situazione facesse schifo, adesso è ancora peggio. È tipico di mio padre fare così. Non riesce a lasciare tempo alle persone per assimilare le sue idee di merda.

«Hephaestus, prego, accomodati,» urla in direzione della porta più vicina a sé.

Hephaestus? Come Efesto? Il dio che nella mitologia era sposato con Afrodite?

«Stai scherzando?» esclamo.

Crono ghigna, mentre la porta si apre. «È il soprannome che gli ho dato io, sai come sono fatto. Quando diventerà ufficialmente parte della famiglia, allora verrà registrato anche all'anagrafe. Com'è successo per voi.»

Dalla porta compare un ragazzo alto, con i capelli nerissimi e gli occhi a mandorla. La pelle è così pallida che, se lo incontrassi per strada, gli metterei due dita sul polso per accertarmi che sia vivo. Il suo fisico è slanciato e magro, coperto da un completo elegante rosso scuro. La camicia bianca, invece, è sbottonata quasi fino a metà addome.

Quando i suoi occhi si fermano su di me, le labbra si distendono in un sorriso gentile. «Buonasera a tutti, è un piacere conoscervi.» Non ha l'accento americano. E non è nemmeno greco.

Crono gli va incontro e gli stringe la mano. Poche volte l'ho visto così entusiasta. «Mia figlia mi diceva che non vede l'ora di portarti al ballo d'estate con lei. Ci sarete, tu e i tuoi genitori, vero?»

Hephaestus annuisce. «Certo, se la nostra presenza è gradita, non possiamo assolutamente mancare.» Continua a guardarmi. «A maggior ragione se mi è concesso stare al fianco di una donna come sua figlia.»

Thymós borbotta qualcosa di incomprensibile, eppure sono quasi certa che sia un'imprecazione volgare.

Crono ora sta indicando qualcosa oltre la mia figura. «È la sua guardia del corpo. I tuoi genitori ti avranno parlato dei piccoli incidenti che si stanno verificando, qui. Risolveremo il prima possibile, ma nel frattempo ho preferito affiancarle una figura che la protegga. Quando passerete del tempo insieme, Thymós sarà con voi ma vi lascerà un po' di privacy.»

«Se tuo padre crede che me ne starò lontano solo per permettere a quello lì di corteggiarti, se lo scorda,» bisbiglia Thymós. D'improvviso sembra essere più incazzato dei suoi standard, di base già alti.

Hephaestus fa un saluto a Thymós, ma si rivolge a Crono. «Anche noi abbiamo degli addetti alla sicurezza. Potrei chiamare la mia guardia del corpo e condividerla con Aphrodite. Lavora in questo campo da anni ed è un esperto...»

«Te lo puoi scordare,» lo interrompe Thymós. Adesso è lui ad avere le mani strette in due pugni, visibili solo a me. «Aphrodite è sotto la mia protezione e non la do a nessun altro.» Si rende conto solo qualche istante dopo di essere stato avventato. «Sono certo che il signor Lively sia d'accordo con me, o sbaglio, signore?»

L'espressione di Crono è indecifrabile, e per un attimo temo che non gli darà ragione e mi lascerà nelle mani di Hephaestus. Per quanto conosca lui e la famiglia, però, Crono non è stupido e non regala così facilmente la sua totale fiducia. «Mi trovo d'accordo con Thymós. Grazie comunque per l'offerta, Hephaestus.»

E, mentre Hephaestus e mio padre iniziano a conversare tra di loro, mantenendo dei toni abbastanza bassi da non permetterci di sentire ogni parola, il mio corpo si muove in automatico, incapace di resistere un secondo di più.

«Aphrodite...» mi richiama mia madre. Mi conosce bene.

«No,» esclamo a gran voce. Ho gli occhi di tutti puntati addosso. «Io non voglio conoscere Hephaestus. Non voglio andare al ballo con lui. Non voglio proprio andare al ballo, sinceramente. Non me ne frega un cazzo dei tuoi progetti.»

«Se non lo vuole lei, me lo prendo io. Molto volentieri,» dice Hermes con il braccio sollevato.

Il nuovo arrivato fa un passo indietro, il tipico imbarazzo di chi si ritrova in mezzo a un dramma famigliare. E credo anche un po' spaventato dalle occhiate sfrontate di Herm.

Mio padre, invece, assottiglia gli occhi ambrati e poggia le mani sul tavolo, inchiodandomi sul posto. «Aphrodite, sto cercando di costruire un futuro che da sola non riusciresti a mettere in piedi. Un buon marito, per una buona famiglia. Dovresti inginocchiarti e ringraziarmi, invece che rivolgerti a me con quel tono.»

«E se io non volessi sposarmi? Se non fosse la famiglia il mio primo obbiettivo per il futuro?» lo incalzo. Scatto in piedi, facendo strisciare la sedia alle mie spalle. Hermes prova ad afferrarmi il polso per farmi riaccomodare, ma lo scanso.

«E quali altri obbiettivi dovresti avere, Aphrodite? Sentiamo!» Il suo tono divertito mi fa attorcigliare lo stomaco.

«La carriera lavorativa,» ma le parole non mi escono con la determinazione che ho avuto fino a pochi secondi fa. Colpa dell'espressione divertita di mio padre. «Io voglio studiare e lavorare, prima. Voglio raggiungere dei traguardi importanti, per me e per gli sforzi che faccio.»

«Stronzate,» mi liquida Crono. «Perché dovresti perdere tempo così? Sai che, qualsiasi traguardo raggiungerai nel mondo del lavoro, sarà dovuto solo al tuo aspetto? Sei una bambolina, Aphrodite. Nessuno guarderà mai la tua laurea a Yale, o se hai il massimo dei voti. A nessuno importerà del tuo cervello.» Allarga le braccia, e le sue labbra si aprono in un sorriso tanto radioso quanto inquietante. «Qui, però, sei una divinità. Ti muovi e la gente ti muore dietro. Il tuo lavoro lo fai bene, e nessuno ti darà mai fastidio. Il tuo destino è questo. Sposata e con dei figli. Perché non lo accetti?»

«Padre, ora basta...» tenta di difendermi Hades.

«Nessuno ti ha interpellato, Ádis,» lo interrompe Crono.

Io comincio a indietreggiare. Non posso stare qui dentro un solo secondo in più. Prima di tutto, perché la rabbia mi fa piangere. E il mio pianto verrà interpretato da mio padre come un'altra prova della mia debolezza, del mio essere un fiorellino delicato. E, secondo, perché la discussione è conclusa e non reggo più la compagnia di altre persone. Anche se ci sono i miei fratelli pronti a sostenermi.

«Andiamo, Aphrodite,» Crono tenta di sdrammatizzare e prova a venirmi incontro. Metto un'ulteriore distanza e lui si blocca. «Non puoi aspettarti un trattamento diverso. Non sei Athena, tesoro mio. Lei ha una mente brillante e farà carriera. Lei non avrà mai una famiglia, ed è giusto così.»

Peccato che uno dei sogni più grandi di mia sorella sia avere dei bambini. A volte penso che i nostri nomi dovrebbero essere invertiti.

«E se io volessi dei figli, padre?» Athena lo chiede piano ma con risolutezza.

Crono la guarda come se lo avesse appena insultato. «Ti costringerei ad abortire.»

«Aphrodite, siediti.» Mia madre non lo pone come un ordine, ma più come una supplica.

Scuoto il capo velocemente e mi affretto a varcare l'uscita della sala, opposta a quella in cui si trova Hephaestus. Non sento i passi di Thymós, ma sono sicura che mi stia seguendo. A meno che mio padre non gli abbia ordinato di lasciarmi stare, cosa che spero con tutto il cuore. Sarebbe l'unica nota positiva della serata.

Attraverso il corridoio luminoso e supero le due guardie in piedi, alla fine di esso, giungendo nel salotto della casa. Esco dalla porta principale, portando le chiavi con me, e mi addentro nel giardino, l'unico posto in cui ho più tempo prima che qualcuno possa trovarmi.

È quando le mie suole calpestano l'erba e i rametti sul terreno, che ho la conferma di avere qualcuno alle mie spalle. Per quanto Thymós sia silenzioso, qui è impossibile non sentirlo.

«Non mi allontanerò,» gli grido, senza voltarmi. «Vattene, per favore. Possibile che non mi lasci sola nemmeno quando sto male?»

Thymós non risponde. Per una frazione di secondo temo di aver sbagliato persona e che mi abbia seguita uno dei miei fratelli, se non Athena o mia madre.

La figura di Thymós mi compare davanti all'improvviso, bloccandomi la strada. Il mio cuore perde un battito. Non riesco a fermarmi in tempo e gli sbatto contro, ma le sue mani mi afferrano per le spalle e mi allontanano il tanto giusto da poterci guardare negli occhi.

«Non sono venuto qui per controllarti,» mormora. «Sono qui per sapere come stai. Parlami, Aphrodite.»

Hephaestus (Min Joon)



Vi dirò......... ammazz u fregn Hephy 😩🫵🏼
Però noi continueremo a tifare per daddy Thymós 🤚🏻

Ho fatto l'impossibile per pubblicare questo capitolo oggi, datemi un po' di amore per piacere e soprattutto spero che vi sia piaciuto 🥹🥹🥹

Non manca molto alla prima scena spicy di Aphrodite e Thymós, e sinceramente sarà......... vabbè io già mi vergogno solo a pensarla ☠️☠️ non so con quale coraggio la scriverò e pubblicherò, contando pure che questa storia la legge la madre di un mio amico
Rip maria forchetto

Spero di aggiornare Game of Chaos domenica. Per ogni update e spoiler sui capitoli mi trovate su instagram e tiktok (@cucchiaia)
Have a nice life🌸🌸🩷🩷

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