12 - Opposti
"Vega e Altair sono due stelle molto luminose e ben conosciute nel cielo notturno. Fanno parte delle costellazioni della Lira e dell'Aquila, rispettivamente, e sono tra le stelle più brillanti visibili dall'emisfero boreale."
— Once upon a time,
the planets and the fates
and all the stars aligned.
You and I ended up in
the same room
at the same time
T H Y M Ó S
Vedo l'esatto istante in cui preme il grilletto. Ma non provo a schivarlo. Non mi muovo, rimango fermo come una statua, bloccato nel tempo. Perché se posso dire di conoscere qualcosa di Crono Lively, è la sua imprevedibilità.
Infatti, non sta mirando a me. Il proiettile mi sfreccia a sinistra, all'altezza del braccio, e mi sfiora di striscio. Lacera la maglia come il taglio di una lama. Sento la scarica di dolore, ma è quasi come un pizzico intenso. Sono stato colpito in passato da proiettili, so bene cosa si prova. Questo, a confronto, è una carezza.
Il gesto mi lascia spiazzato, a prescindere. Ho sempre creduto alle minacce di quest'uomo, ma una parte di me sperava che fossero solo parole buttate al vento.
La prima persona a venirmi incontro è Daisy.
Mi afferra per le braccia, scandagliando la mia figura alla ricerca del punto in cui sono ferito. Quando vede la lacerazione sul bicipite e il rivolo di sangue, aggrotta la fronte e dischiude le labbra. «Stai...»
La allontano con un gesto secco, stando attento comunque a non essere troppo brusco. Se mostra questa eccessiva preoccupazione nei miei confronti, non farà altro che accrescere i sospetti di suo padre.
Crono ci studia con un sorrisetto che non contagia gli occhi. L'espressione è ostile, di chi sa di aver ragione e sta aspettando una conferma definitiva. «Allora, hai messo le tue mani da poveraccio addosso a mia figlia?»
«No, Signore,» rispondo, e porto la mano sulla ferita. Il sangue è poco, ma mi macchia i polpastrelli.
«Thymós, mentirmi aggraverà la tua situazione,» mi ricorda. Fa un cenno a uno dei suoi uomini, che estrae una mannaia dalla lama affilata. «Non scherzavo quando ci siamo conosciuti. Ti taglierò le mani. E farò di peggio, prima ti amputerò ogni dito, uno alla volta, e solo alla fine procederò con la mano intera. Mi godrò ogni istante.»
Tenero da parte sua pensare che, in quel caso, gli mostrerei un minimo di sofferenza. Non gli darei alcuna soddisfazione.
«Papà, non c'è stato nulla fra me e Thymós,» interviene Daisy.
Lui la congeda con un gesto secco della mano. «Non mi importa della tua parola. Le donne mentono di continuo, siete esseri manipolatori e scaltri. Quindi, risparmia il fiato e vai a sederti.»
Stringo la mano del braccio ferito in un pugno. Crono segue il movimento. Pessima scelta. Devo contenermi. Ma come faccio? Vorrei prenderlo a pugni anche solo quando la guarda con quell'aria seccata. Nemmeno si rende conto della figlia che ha.
«Invece io parl...» continua Aphrodite.
Hermes scatta in piedi e tenta di afferrarla. «Aphry, per favore, fatti da parte.» So che lo dice solo per proteggerla, ma adesso vorrei picchiare anche lui. Nessuno deve dirle di farsi da parte, sedersi e stare zitta.
Crono sbuffa e comincia a camminare, percorrendo tutto il perimetro della sala da pranzo. «Credete che non ci siano telecamere nel mio studio?» Non appena pronuncia la frase, capisco dove mette le radici il suo sospetto. «E le videocamere, oltre ad aver ripreso l'intruso che si è intrufolato qui poche settimane fa, hanno colto anche un momento tra Aphrodite e Thymós che non mi è piaciuto. Eravate troppo vicini, e i vostri corpi tradivano una complicità certamente non professionale.»
Merda. Come immaginavo. In genere sono una persona attenta, ma quella mattina ho trovato Daisy in pericolo, con quello scemo che le teneva le mani addosso, e non ho più ragionato. Da quando mi sono avvicinato a lei, abbattendo il muro della professionalità, mi sono lasciato andare. Troppo.
«Hai interpretato male,» continua Daisy. Il suo tono è così risoluto, che ci credo anche io. Io, che ho leccato dalle mie stesse dita i suoi umori, dopo averla masturbata senza pietà e vergogna. «Thymós è sempre stato al suo posto, così come io sono sempre stata al mio. Solo perché siamo un uomo e una donna non significa che dobbiamo saltarci addosso come animali.»
Hermes trattiene a stento una risata. Per fortuna, suo padre non ci fa caso. Rea, invece, sì. Lei sa. Qualcosa mi suggerisce che lei sappia tutto, ma allora perché non interviene e ci sbugiarda una volta per tutte?
«Supponiamo che io voglia crederti,» mormora Crono. «Sei disposta a dimostrarmelo con un piccolo gioco?»
Dio, ancora questi giochi di merda. Ma non sanno risolvere le cose come le persone normali?
«Sì.»
Crono allarga le braccia in modo plateale, e basta solo questo a far scattare in piedi la moglie. È preoccupata. E questo fa preoccupare anche me. Cosa ci aspetta?
«Due possibilità.» Richiama uno dei suoi scagnozzi, quello con la mannaia stretta al petto. «Io faccio venire qui Hephaestus, e gli dico di mettere le mani addosso ad Aphrodite, toccandola come più gli pare. E se Thymós non reagisce e non batte ciglio, è tutto okay. Torneremo alla nostra cena e poi potrete congedarvi, come vostro solito. Oppure...»
Col cazzo. Non se ne parla. Ho già il cervello in tilt solo a pensare che qualcuno possa toccarla. Non perché ne sia geloso, ma perché non può trattare sua figlia come un oggetto. Che razza di padre farebbe una cosa simile? Solo per dimostrare di avere ragione?
«Oppure io non faccio venire qui Hephaestus, ma taglio la mano di Thymós, lo spedisco all'ospedale e noi riprendiamo con la cena. Ammesso che questa scena macabra non tolga l'appetito alla mia famiglia.» Conclude con un sorriso sornione.
Per un po', aleggia il silenzio. Nemmeno io so cosa dire. Una cosa è certa: le mani le voglio entrambe, ma se scelgo l'opzione numero uno e Hephaestus sfiora Daisy, allora sarò io a tagliarle a lui. Dovranno spararmi sul serio per fermarmi.
«Io scelgo...» rompo il silenzio.
Crono fa schioccare la lingua contro il palato e scuote il capo. «No. Il gioco è per mia figlia. Sarà lei a scegliere.»
Merda. Merda. Merda. Daisy non mi farà mai tagliare la mano. Lei sceglierà Hephaestus. E dovrà farsi umiliare, di nuovo, davanti a tutti. Dovrà sentirsi, ancora una volta, come uno stupido oggetto fatto per gli uomini.
«Cosa cambia tra Hephaestus e Thymós? Perché il primo può toccarmi e il secondo no? Sei incoerente e ipocrita,» lo apostrofa Daisy.
È meno sicura di prima, meno arrabbiata. Sconsolata. Dev'essere un sentimento familiare a questi ragazzi, considerato il padre che si ritrovano.
«Hephaestus viene da una famiglia ricca e perbene. Ha la tua età e un futuro brillante, davanti. Thymós è la tua guardia del corpo, ha dieci anni in più di te, è povero ed è fottuto dalla guerra. Le sue manacce non devono nemmeno sfiorarti.»
Serro i denti così forte che temo di spaccarmeli. Non mi sorprende che mi veda in questo modo. Sono solo una bestia, per lui. Un uomo forte che può proteggere la figlia. Uno scarto che deve stare lontano dai suoi beni preziosi. Se non avessi paura che potrebbe fare del male anche a Daisy, gli racconterei di quanto è dolce la figa della sua amata figlia. Gli descriverei il modo in cui la mia lingua si è insinuata tra le sue labbra e le ha stimolato l'entrata, scopandola con foga. Gli direi, compiaciuto, di come il suo seno sta perfettamente nella mia bocca e di quanto i suoi capezzoli diventano turgidi quando glieli lecco e mordicchio.
Però poi gli racconterei di quanto sua figlia è intelligente, del cervello brillante che nasconde dentro la testolina. Gli spiegherei di quanto è tenace e provocante, impavida e furba. Del suo sarcasmo studiato e della sua infinita dolcezza. Del modo in cui sembra perdersi in altri mondi quando legge, e dell'amore che ha in viso quando guarda i suoi fratelli. Della sua incapacità di mangiare in maniera composta e della grande passione che ha per il cibo. Di quanto non le importi nulla del suo aspetto fisico, e di quanto si impegni per accrescere il suo bagaglio culturale. Di quanto sogna di sentirsi dire che è intelligente e non bellissima. E di quanto arrossisce quando, però, sono io a dirle che è una creatura meravigliosa.
Lui non la merita.
E nemmeno io.
Nessuno merita una donna come lei. Ma qualcuno ha deciso di fare questo dono al mondo; e allora perché nessuno la tratta come dovrebbe essere trattata?
«Fai venire Hephaestus,» sussurra Daisy.
Il "no" mi muore in gola. Perché le iridi azzurre di Daisy mi inchiodano sul posto, avvertendomi di non protestare. Non dobbiamo mostrare alcun coinvolgimento. Lo so, Daisy, lo so, ma come posso restare impassibile?
Mentre Crono è distratto, e parla con i suoi uomini per impartire l'ordine di andare a recuperare quello sfigato allampanato, io mi rivolgo ai suoi fratelli.
«Nessuno di voi ha intenzione di intervenire e aiutare vostra sorella?» sibilo, infuriato.
Daisy mi spinge all'indietro. La sua rabbia è palese, e mi lascia di stucco. «Non ti azzardare a metterli in mezzo. Se provassero a difendermi, andrebbero incontro a un destino molto peggiore del mio.»
Ma loro sono numerosi. Sono cinque, contro Crono. È un uomo forte, lo vedo con i miei occhi. Ha il fisico adatto a pestarti a sangue e romperti qualche osso, ma cosa può fare contro cinque di loro? Ci hanno mai provato a opporsi, tutti insieme?
«Ha ragione Thymós.» Le due parole arrivano dall'ultima persona da cui me le sarei aspettata. Athena. «Dovremmo fare qualcosa.»
«Stai ferma,» le ordina Daisy, con un'autorevolezza che non le ho mai visto. La sorella ammutolisce e si blocca con il corpo metà seduto e metà protesto per stare eretto. «Nessuno farà niente. È un problema mio.»
Hades fa sbattere il pugno sulla tavola, facendo sobbalzare le posate lì accanto.
Nello stesso momento, Hephaestus fa il suo ingresso in sala da pranzo, con l'aria spaesata di chi non sa cosa sta accadendo e teme di aver fatto un torto a Crono per il quale la pagherà cara.
Daisy li raggiunge senza aspettare di essere chiamata. Io devo imporre al mio corpo di non muoversi, perché l'istinto che ho è di scattare in avanti e mettermi davanti a lei. Poi di prendere a pugni qualsiasi persona provi a fermarmi.
La rabbia mi monta dentro a ogni passo che la avvicina a Hephaestus. Le mani mi formicolano, e il respiro comincia ad accelerare. Impazzirò. Se non faccio qualcosa, darò di matto.
Mi guardo attorno, alla ricerca dell'aiuto di qualcuno. Hades. Apollo. Hermes. Athena. Ricambiano la mia occhiata, ma non emettono un fiato. Nei loro visi c'è la stessa emozione: sofferenza. Mi chiedo quante altre volte hanno sopportato una situazione del genere. E quante altre volte dovranno farlo.
Rea, invece, tiene il capo chino, come se non volesse guardare. Forse è quella a cui fa più male di tutti. Perché non difende sua figlia? So che Crono la ama e ha profondo rispetto per lei; una sua parola cambierebbe qualcosa?
«Tocca mia figlia.»
L'ordine fa sussultare Hephaestus. I suoi occhi a mandorla saettano tra Crono, Daisy e me. Crono, perché ha paura che sia un tranello. E me, perché ha paura che gli staccherò la testa dal corpo. Fa bene.
«Toccarla?»
«Toccala. Mettile le mani addosso.» Hephaestus, se possibile, diventa ancora più pallido di quanto non lo sia già. «Fallo, se non vuoi che mi infastidisca ulteriormente. Contesti i miei ordini?»
Lui si affretta a negare e si inumidisce le labbra. Nemmeno lui vuole farlo. Ma tutti, qui, hanno paura di Crono Lively. Così, allunga le braccia e sfiora prima solo i capelli biondi di Daisy. Lei tiene gli occhi chiusi. Il suo torace si alza e abbassa a una frequenza anomala.
Le sfiora il viso, la guancia, e il collo. E quando la sua mano si ferma sulla spalla, mi sento mancare l'aria. Per un attimo, vedo tutto nero, e capisco cosa significhi il modo di dire "rabbia cieca".
Quando scende verso il torace per sfiorarle il seno, sotto l'approvazione di Crono, ho ancora la vista offuscata. Ma le mie gambe si muovono, più forti di tutto il resto.
Saetto in avanti, annullando le distanze con pochissime falcate. In un attimo, sono addosso a Hephaestus. L'ho spinto via, lontano da Daisy, con una violenza tale da farlo sbattere contro il muro. L'impatto della sua nuca contro la parete produce un rumore sordo che fa accapponare la pelle anche a me. Mi dispiace, in realtà. È una vittima anche lui. Ma non avevo scelta. Non potevo stare a guardare l'ennesima umiliazione, non potevo permettere che Daisy affrontasse questo.
«Me lo ha detto lui!» si difende Hephaestus, tenendosi la parte in cui ha sbattuto. Una smorfia di dolore gli deforma il viso perfetto. «Non potevo disobbedire!»
Poi arrivo a un'altra conclusione e lo afferro per il colletto della camicia da damerino. «Ah, no? Quindi, se ti avesse obbligato a violentarla, lo avresti fatto? Eh?» Lo scuoto appena, facendogli sbattere di nuovo la testa. «Pezzo di merda.»
Mi fissa con risentimento. «Lo sai anche tu di cosa è capace!»
«Mi farei tagliare le mani, piuttosto che metterle addosso a una persona che non mi ha dato il suo consenso,» gli grido contro.
Non rifletto. Accade in un lampo. Raschio la gola, accumulo una quantità sufficiente di saliva, e gli sputo in faccia. Il grumo bianco della mia saliva gli macchia una parte dell'occhio e del naso, andando a colare fino alla guancia.
Delle mani mi afferrano per le spalle e mi staccano da Hephaestus. Due uomini di Crono.
Lui, invece, tiene il capo basso, le spalle scosse da quella che credo essere una risatina. «Dunque, avevo ragione.»
«Daisy...»
Solleva entrambe le sopracciglia. «Si chiama Aphrodite, non Daisy!»
Lo ignoro. «L'ho solo difesa. Non significa che la abbia toccata.»
«E cosa significa che tu ci tenga così tanto a difenderla, Thymós?» mi incalza Crono, fingendosi incuriosito.
Deglutisco a fatica. «Che Daisy mi piace. E che, anche se non ricambia e non c'è futuro per noi, nessuno le farà del male sotto la mia supervisione.» Non so con quale coraggio lo dico. Me ne accorgo troppo tardi.
Crono rimane spiazzato, si ricompone quasi subito. «E vorresti farmi credere che non è successo nulla tra di voi?» Ride. «Conosco mia figlia. Non sa resistere a un bel corpo e a una bella occasione per scopare. È un po' una puttanella, se devo essere sincero.»
«Crono!» esclama Rea.
Due siede strisciano con prepotenza, e con la coda dell'occhio mi accorgo essere quelle di Athena e Hades. Hanno entrambi la postura di chi vuole iniziare un combattimento. La riconosco. Di sicuro fanno boxe, come me.
Per fortuna, la presa degli scagnozzi di Crono è più forte di me. Per fortuna, sono in due. Se fosse stato uno solo, adesso sarei riuscito a liberarmi e sarei saltato addosso a quella feccia umana. Lo avrei riempito di pugni fino a lasciarlo senza vita. Lo avrei ucciso. Non lo avrei nemmeno lasciato in fin di vita solo per torturarlo e allungare la sua agonia. Non merita altro in tempo, in questo mondo.
«Che c'è, Thymós, vuoi picchiarmi?» mi sbeffeggia. «E se poi ti ammazzo, come farà la tua famiglia? Lascerai morire tuo padre perché hai voluto difendere l'onore di una ragazzina che non ti amerà mai? Sul serio? La tua mancanza di lealtà verso la famiglia mi provoca disgusto. Vergognati.»
Si avvicina a me e mi tira un pugno in pieno viso.
Daisy grida.
Athena e Hades la bloccano prima che mi raggiunga.
Crono ride a gran voce. Questa volta il suo pugno mi colpisce lo stomaco, facendomi piegare in avanti. Non emetto nemmeno un rantolo. Non voglio dargli alcuna soddisfazione.
«Sei licenziato, Thymós,» dice, prima di darmi un altro pugno sul labbro che aveva già colpito giorni prima, come punizione per non aver tenuto sott'occhio Daisy durante la festa di compleanno.
«No!» strilla proprio lei. «Papà, ti prego, no!»
Mi viene da sorridere e anche da rimproverarla. Più protesta, più suo padre si convincerà di aver preso la decisione giusta.
«Hai tempo fino alle otto di domani mattina per fare i bagagli e sparire,» conclude. Estrae un fazzoletto dalla tasca e si pulisce le mani immacolate, come se colpirmi lo avesse macchiato del mio sudiciume. «Se alle otto e un solo secondo so che sei ancora su quest'isola, ti faccio impiccare nella camera di mia figlia. Chiaro?»
Annuisco e basta.
Daisy sta tentando di attirare la sua attenzione, ma lui non gliela concede. Come al solito. Anzi, la guarda per un istante e le fa intendere che non ha intenzione di discuterne ancora. Va a sedersi al suo posto, a capo tavola, e si versa un po' di vino nel calice.
«Allora, possiamo riprendere con la cena?»
Con un solo cenno, ordina agli uomini di portarmi via. Lo capisco da solo, senza parole.
I due mi trascinano fino alla porta, e la aprono con un calcio. Mi libero della loro presa prima che mi possano buttare fuori come un animale randagio e appestato. Non voglio le loro mani addosso e voglio andarmene da solo.
Quando le porte si chiudono alle mie spalle, comincio a camminare. Piano. Lento, come mai ho fatto nella vita, abituato ad avere un passo rapido e deciso.
E la nuova realtà mi colpisce.
Sono stato licenziato. Devo andarmene.
Mi dico che va bene, perché i soldi che ho guadagnato basteranno per un anno di cure a mio padre, e i restanti stipendi prima di venire congedato non avrebbero fatto molto in più.
Ma non è così. Non va bene. Non vedrò mai più Daisy.
Non vedrai più nemmeno quegli idioti dei suoi fratelli e quella serpe della sorella.
No, non mi mancheranno.
Oppure sì?
Ormai in soggiorno, sento la voce di Crono in lontananza. «Non azzardarti a seguirlo, Aphrodite! Fermatela!»
Poi qualcosa si schianta, producendo un rumore che mi fa quasi correre per assicurarmi che sia tutto okay. «Vado dove voglio! Non osate mettermi le mani addosso!» È sempre lei. Mi viene da sorridere. Ma non posso metterla nei casini con suo padre.
Affretto il passo e salgo le scale tre gradini alla volta, fino ad arrivare al piano con le camere da letto. Mi fiondo nella mia e la chiudo a chiave. Non che possa bastare a placare quella Dea infuriata, ma forse riuscirò a farla desistere. Il problema è che le basterebbe solo chiedermi: «Apri la porta?», e io lo farei.
Per prima cosa vado in bagno. Raccatto il kit di pronto soccorso e disinfetto la ferita al braccio. È superficiale, come immaginavo. Ci applico una garza e mi lavo con cura le mani.
Dopodiché, comincio a togliere tutti i miei vestiti dall'armadio, gettandoli a terra. L'ordine non mi interessa, in questo momento. Il mio cuore è in tumulto e i miei pensieri sono come calzini spaiati in un cassetto enorme.
«Thymós!» mi chiama Daisy, dal corridoio. Dà un pugno alla porta. «Aprimi, per favore.» Pur avendo un tono imperativo, quell'aggiunta cordiale mi fa sciogliere il cuore e sorridere.
Non voglio vederla ancora. Non voglio vedere quello a cui sto dicendo addio. Sarà meglio per entrambi. E, al tempo stesso, vorrei sfondare la porta e trascinarla nel mio letto. Rapirla e portarla via con me. Sarebbe più felice. Le darei un'altra vita. Sarebbe libera. Ma lontana da quello che ama di più al mondo: i suoi fratelli e sua sorella.
«Ti prego, apri.» Dà una manata contro la parete.
Mi immobilizzo. Poi sospiro e la raggiungo, poggiandomi alla porta. Allungo la mano e premo il palmo sul legno, come se sapessi che alla stessa altezza, dall'altra parte, c'è il suo. «Devi andare, Daisy.»
«Non vado da nessuna parte. Fammi entrare.»
Cocciuta. Testarda. Impossibile. Tenace. Rompicoglioni. E magnifica.
«Se pensi di sparire domani mattina, senza avermi salutata o vista un'ultima volta, ti sbagli, Thymós Liákos. Perché ti rincorro anche su una barchetta a remi e ti tiro giù dal motoscafo che ti starà portando via dall'isola. Te lo giuro, cazzo!»
Devo mordermi l'interno guancia per non scoppiare a ridere. Il momento non è dei migliori, ma lei è quel pizzico di sale che dà sapore anche al piatto più insipido.
«Ho bisogno di vedere il tuo viso,» aggiunge in un soffio, più vulnerabile. «Ho bisogno di vederti.»
E mi basta sapere che ha bisogno di me per farmi girare la chiave nella serratura, spalancandola in due movimenti fulminei. Lei non ha il tempo di realizzare, perché la afferro per la vita e la attiro a me, richiudendo tutto.
Spingo il suo corpo contro la parete e la schiaccio con il mio. Poggio la fronte sulla sua e ansimo, nonostante non ne abbia motivo. Se non quello di essere così vicino a lei e sapere che domani non sarà più così. «Daisy...»
Emette un rantolo. «Non chiamarmi così.»
«Perché?»
«Perché mi piace il mio nome sulla tua bocca e non voglio ricordarla per sempre.»
Senza neanche farlo apposta, sussurro: «Daisy.»
La sua mano si insinua alla base del mio collo, e incastra le dita tra le ciocche sull'attaccatura, conficcando le unghie nella mia cute con forza. «Non voglio che tu te ne vada. Parlerò con mio padre. Lo convincerò. Farò il possibile.»
La decisione nella sua voce mi commuove e mi fa incazzare al tempo stesso. Le afferro la mano libera e, tenendole il polso, la blocco contro la parete, costringendola a guardarmi negli occhi. «Non metterti nei casini per me, Daisy. Se proprio devi lottare per qualcosa, lotta per la tua libertà di studiare quello che desideri e di vivere la vita come la vuoi. Non per me.»
Rimane spiazzata dal mio rimprovero. Boccheggia, le labbra rosee e piene, e poi ci passa la lingua sopra. Il gesto mi fa impazzire, ma rimango concentrato. «Non voglio che tu te ne vada,» ribadisce.
Si libera dalla mia presa e infila la mano sotto la mia maglia, andando a graffiare la pelle nuda della mia schiena. Preme in avanti, e capisco subito dove vuole arrivare.
«Scopami.»
Rimango spiazzato. «Non sai cosa mi stai chiedendo.»
«Ti sto chiedendo di scoparmi, Thymós,» ripete. «Voglio che mi spogli e mi scopi tutte le volte che riesci da adesso fino alle otto di domani mattina. Ti è chiaro o devo ripetertelo una terza volta?»
Mi diventa duro ancora prima che concluda la frase, e lo sente. Perché si strofina appena su di me e mi fa grugnire come un animale. Combattuto tra il desiderio di averla e farmi solo più male domani, e mandarla via ma senza portarmi con me il ricordo di com'è seppellirmi tra le sue gambe.
«Renderà tutto più difficile,» mormoro, affaticato. «E tu te ne pentirai, domani.»
«Non mi pentirò di nulla.» Con entrambe le mani mi afferra l'orlo della maglietta nera e me la solleva. La aiuto, come sotto incantesimo, e alzo le braccia per farmela sfilare completamente.
I suoi occhi azzurri perlustrano il mio addome scolpito, frutto di anni e anni di allenamento, e il desiderio nel suo viso mi fa buttare fuori dal naso un fiotto d'aria. Se continua così, la scoperò qui in piedi, contro il muro.
«Daisy,» la richiamo con voce tremante.
Le punte delle sue dita scorrono per i miei pettorali e tracciano le linee dei miei addominali, scavando tra le pieghe fino a conficcarci le unghie. Quando arriva alla zona inguinale e sbottona i pantaloni, sussulto. Resta ferma lì, ma si solleva in punta di piedi e io mi abbasso per assecondarla.
Accosta la bocca al mio orecchio e mi lecca il lobo, succhiando appena prima di bisbigliare: «Voglio che tu mi abbia, Thymós, in ogni modo possibile. E voglio averti in ogni modo possibile. Non me ne pentirò. E non peggiorerà nulla, perché io ti riavrò.»
Mi blocca prima che il suo nome possa uscirmi di bocca per l'ennesima volta.
Infila la mano nello spazio che ha aperto tra i miei pantaloni e i boxer, e la fa scorrere per tutta la lunghezza del mio cazzo, massaggiandolo piano ma con forza. Mi scappa un sibilo.
E decido che basta così.
Le circondo i polsi e li tengo stretti in una sola mano, portandoglieli sopra la testa, contro la porta. Con quella libera le afferro il mento e punto i miei occhi nei suoi, scrutandola con rabbia e desiderio. «Cosa vuoi, Daisy? Cosa vuoi fare?»
Non vacilla nemmeno un istante. È la donna sicura che ho conosciuto. «Voglio inginocchiarmi e succhiartelo,» mormora. «E poi voglio che mi scopi.»
Ogni briciola rimasta della mia razionalità va a fanculo. Una raffica di vento spazza via tutto e lascia solo il mio desiderio di averla, la mia necessità di farla mia come mi ha chiesto, anche se da domani non mi sarà più concesso nemmeno poggiare i piedi sulla stessa terra su cui li poggia lei.
«Allora inginocchiati,» le dico. «E prendilo tutto, se ci riesci.»
Sobbalza. Non per la paura, ma per l'eccitazione, lo so. Con uno strattone si libera le braccia e crolla in ginocchio, ai miei piedi. Inclina il capo e mi fissa con una finta espressione innocente, solo per farmelo venire ancora più duro.
Abbassa la zip dei cargo e, in una mossa sola, fa scendere sia i pantaloni che i miei boxer, liberando la mia intera lunghezza, già rigonfia e pronta per lei.
Prima che cominci, scambio le nostre posizioni, e mi adagio contro il muro, con lei a terra.
Mi sfiora l'inguine languidamente, osservando il mio cazzo come se stesse davvero riflettendo sul modo più adatto di farlo stare nella sua bocca piccolina. E quando si avvicina, a occhi bassi, le agguanto la treccia di capelli e me la rigiro attorno alla mano, tirando all'indietro.
«Occhi su di me, Daisy,» la riprendo. «Hai voluto tutto questo, no? Allora, una sola regola: non devi mai staccarmi gli occhi di dosso.»
Non ribatte e punta lo sguardo sul mio viso. Con la bocca vicina alla mia cappella, la schiude e tira fuori la lingua, dando una prima leccata piena, un primo incontro sfrontato ma timido. Il mio corpo viene attraversato da una scossa e impreco sottovoce.
Daisy procede a percorrere la mia intera lunghezza con la punta della lingua, guardandomi con sfida, e risucchia la carne del mio membro emettendo dei flebili mugolii di piacere. Non ho il tempo di supplicarla, perché mi precede e lo mette in bocca.
Non ci va piano, affatto. Lo prende tutto, fino a dove riesce, fino a quando non sento la punta sbattere sulla sua gola e lei emette un verso strozzato. Sto per ritrarmi, preoccupato di averle fatto male, ma lei indietreggia appena e comincia a succhiarmelo. Ancora con gli occhi lucidi per le lacrime del primo affondo, Daisy muove la bocca avanti e indietro, e io la tengo per i capelli.
L'interno è umido e caldo, e il mio cazzo sembra fatto apposta per stare racchiuso dalle sue labbra candide. Pianto la mano libera sulla sua testa e la guido nei movimenti.
Vorrei lasciarle il controllo, ma quando la sua mano si abbassa la scollatura del vestito per stuzzicarsi il capezzolo, perdo completamente la ragione e mando a quel paese tutti i miei buoni propositi.
Le agguanto la nuca con più forza e la aiuto con le spinte, scopandole la bocca come un animale. Più affondo dentro, spingendo con il bacino, più tira il capezzolo del suo seno destro tra le dita. Un affondo deciso le fa inumidire di nuovo gli occhi, e si stacca per riprendere fiato. La sua saliva cola dal mio cazzo e mi scivola sulle cosce, mentre un rivolo le pende dall'angolo della bocca.
«Stai bene?» le domando. «È troppo?»
Fa un respiro profondo e si pulisce la bocca. Ha un solo seno scoperto, e sebbene la cosa dovrebbe divertirmi, mi eccita parecchio. I suoi occhi si assottigliano, forse l'ho solo irritata con la mia provocazione. Agguanta il mio cazzo per la base e se lo porta alla bocca, strofinando le labbra sulla mia punta. Tira fuori la lingua per un istante e lo lecca con un colpo secco e pieno, facendomi gettare la testa all'indietro. Lo faccio con una rapidità tale da sbatterla violentemente e farmi male, ma la sua bocca che prende di nuovo tutto il mio cazzo mi distrae dal dolore.
Sono un idiota. Ho chiesto a lei se fosse troppo, ma in realtà è troppo per me. Lei è troppo per me. Lo è sempre stata, e mai smetterà di esserlo. Ecco perché non volevo nemmeno aprire la porta.
Una come Aphrodite Daisy Lively non la dimentichi nemmeno se la incontri per cinque secondi e ti rivolge un solo saluto. Figuriamoci quante probabilità ho, adesso, dopo che la avrò avuta in ogni modo possibile. Sono maledetto a ricordarla per sempre.
La stanza si riempie del rumore dei miei gemiti soffocati e del rumore del mio cazzo avvolto dalla sua saliva che sbatte dentro la sua bocca, fino a quando non sento l'orgasmo crescere dentro di me. La sensazione è improvvisa e mi coglie di sorpresa. Ho ricevuto tanti pompini nella mia vita, ma mai nessuna donna è riuscita a farmi venire così in fretta. Dovrei pensare ad altro per distrarmi e protrarre questo momento, eppure non voglio. Perché quando avrò finito, la prossima cosa che scoperò sarà la sua figa.
Cristo, verrò dopo cinque secondi. E allora sì che lei non si scorderà di me. L'uomo di trentun anni, grosso quanto un armadio, che è stato in guerra e sa uccidere in venti modi diversi, che eiacula dopo cinque secondi di sesso.
Notevole.
«Daisy, sto per...»
Si ferma di colpo. La frustrazione arriva in ondate di dolore e mi fa tremare le gambe. La fisso con gli occhi sgranati, mentre lei si rimette in piedi con un sorrisetto sornione e preme i palmi sul mio petto. «Non ancora.»
Non ho la forza di obbiettare. Non ho le energie per protestare. E non ne ho il diritto. Per quanto sia disperato per essere stato interrotto così vicino al culmine, a lei permetterei di fare tutto ciò che vuole.
Se non vuole farmi concludere in questo modo, mi resta una sola cosa fare. Sibilo una serie di volgarità e agguanto la gonnellina del suo vestito bianco. Glielo sfilo di dosso con un colpo deciso, facendolo passare per la testa. Daisy rimane in slip, ma senza reggiseno. E per qualche secondo faccio fatica a deglutire, davanti al suo corpo quasi completamente nudo.
«Hai intenzione di restare a guardarmi senza fare nulla?» domanda, inclinando la testa di lato.
Quest'aria di finta innocenza mi manderà al manicomio.
La sollevo per la vita e lei aggancia subito le gambe attorno ai miei fianchi. Con una mano la tengo ben salda, e con l'altra la afferro per la gola e unisco le nostre bocche. Daisy geme contro la mia lingua, che si è già fatta spazio e rincorre la sua con movimenti scoordinati e frenetici. Quando applico una pressione maggiore attorno al suo collo, emette un rantolo di piacere e dà un colpo di anca, pregandomi in silenzio di concludere da solo quello che ha iniziato lei.
La butto sul letto e non attendo un secondo prima di afferrarle i bordi degli slip e tirare il tessuto così forte da lacerarli al centro, in due pezzi. Daisy rimane a bocca aperta, poi ne sembra compiaciuta. Solleva entrambe le gambe per liberarsi definitivamente dell'indumento, e io ne approfitto per lasciarle una scia di baci umidi lungo i polpacci e le cosce. Affondo le dita nella sua carne morbida, godendomi la setosità della sua pelle.
Quando provo ad andare dietro, lei si paralizza e me lo impedisce. Una ruga di preoccupazione si forma sulla sua fronte, rendendola adorabile ma facendomi anche preoccupare.
«Cosa c'è?»
«Lì dietro no.»
«Perché?»
Si mordicchia il labbro. «Il mio corpo non rientra negli standard estetici comuni. Non sono magra. Ho le cosce grosse e i rotolini sulla pancia. E non mi sono mai fatta influenzare da questi dettagli, perché mi piace mangiare senza controllare eccessivamente le calorie e credo che i corpi femminili siano belli a prescindere. Ma...»
«Ma?» la incalzo.
«Ma dietro le cosce ho la cellulite. È tanta e mi rovina la texture della pelle. Se la vedessi, probabilmente non avresti mai più un'erezione in vita tua.»
Le sue parole mi fanno incazzare ancora di più di quelle che le ha rivolto suo padre. Perché partono da sé stessa. Che gli altri non riescano ad apprezzarla è un conto. Che lei non si ami, stupenda com'è, mi manda in bestia.
Aggancio le braccia attorno alle sue gambe e la faccio voltare con un unico gesto. Per la sorpresa, Daisy emette un verso acuto, che viene subito attutito dal materasso. Solleva il capo, guardandosi indietro, proprio mentre io faccio scorrere le mani sulla sua schiena.
«Thymós.»
La osservo, sotto la flebile luce della stanza. È vero. Appena sotto i glutei, la pelle assume una texture rugosa, simile alla buccia d'arancia. Ci passo le dita sopra, e lei scalcia appena, forse per il fastidio o forse per il piacere.
Non la rovina. Non è brutta. La rende umana. In tutta la perfezione che può sembrare che abbia, questi piccoli dettagli la rendono una comune mortale come noi poveri stronzi. Mi piace ancora di più. Dio, se mi piace.
Strofino le labbra sulla sua pelle, baciandola e succhiandola dove la cellulite si concentra in quantità maggiori. È buona, è bella al tatto, è magnifica.
La sento chiamare di nuovo il mio nome, in tono ancora più preoccupato, e questo riporta il mio stato d'animo alla rabbia di poco fa. A palmo ben aperto, la colpisco sul gluteo sinistro, spingendola di pochi centimetri in avanti.
Poi mi chino su di lei, coprendola con il mio corpo, e mi infilo nell'incavo del suo collo. Daisy volta la testa e mi permette di avvicinare la bocca al suo orecchio. Ansimo per l'eccitazione, per la rabbia e per la sofferenza. «Non c'è una singola parte di te che sia brutta, Daisy, ficcatelo in testa. Non pensarlo mai più. Non dirlo mai più. È chiaro?»
«Ma...»
Mi sollevo appena per darle un altro schiaffo sul culo, più forte del primo. Geme, incapace di nascondermi quanto le piaccia.
«È chiaro? Sei così perfetta che mi dà quasi fastidio.»
Senza aspettare risposta, mi posiziono alla sua entrata, e lei spalanca le gambe per farmi spazio. Faccio passare il mio membro nella piega dei suoi glutei, stuzzicandola fino a farla piagnucolare. Con una mano mi reggo al materasso, con l'altra la afferro per la treccia e le tiro il capo all'indietro, solo per stamparle un bacio famelico sulle labbra. Lei prova a trattenermi mordendomi il labbro inferiore, tirandolo e succhiandolo mentre io spingo fino a trovare la sua entrata. È così scivolosa che mi basterebbe il minimo sforzo.
Ma io voglio vederla in viso.
Se avessimo più tempo, se il destino fosse dalla nostra parte, potrei prenderla in ogni posizione possibile. Potrei inventarne anche di nuove. Ma non è così, e io voglio vedere i suoi occhi annebbiati mentre le regalo l'orgasmo che spero non dimenticherà mai più.
La faccio voltare di nuovo, provocandole un versetto di irritazione. Ghigno, soddisfatto che ora anche lei sappia cosa si prova. E quando me la ritrovo a pancia in su, con le gambe spalancate e le mani premute sui miei addominali, capisco che è il momento.
Mi sposto solo per aprire il cassetto del comodino. Il mio ordine maniacale è utile, perché trovo i preservativi senza perdere secondi preziosi. Lo strappo con i denti e me lo infilo con altrettanta facilità. Sono troppo concentrato su quello che voglio per cadere in errori di goffaggine.
Lei dischiude le labbra, e capisco che sta per pronunciare il mio nome.
La penetro prima che possa anche solo iniziare.
Affondo dentro di lei con una sola spinta, profonda al punto da farle roteare gli occhi all'indietro, diventando bianchi. L'urlo che le scappa di bocca mi fa rizzare i peli delle braccia e mi costringe a fermarmi, seppellito dentro di lei.
Se continua così, farò davvero una pessima figura.
«Non ti bloccare,» mi supplica. Le sue unghie scorrono sulla mia pelle, un riflesso del piacere che sta provando. Aumenta la pressione, e temo che finirà sul serio per graffiarmi e farmi uscire del sangue.
Puoi farmi sanguinare quanto vuoi, Daisy. Puoi farmi quello che vuoi.
Comincio a muovermi piano, tra le sue gambe. È stretta e calda, e avvolge il mio cazzo così perfettamente che mi chiedo con quale coraggio io farò mai più sesso nella mia vita, se non sarà con lei.
Daisy mi circonda il collo e mi attira a sé per baciarmi, ma i suoi movimenti sono caotici, scoordinati, e i nostri denti entrano in collisione. Non ci importa, però, perché spingo dentro di lei con forza crescente. Esco completamente e poi riaffondo, fino a dove mi è concesso. Daisy geme forte, dentro la mia bocca e io le afferro la lingua, succhiandogliela come una belva.
Inizia anche lei a muovere i fianchi per venirmi incontro. Ansima così forte che temo stia per avere un infarto. Io mi sento già morto, invece, dal primo momento in cui è entrata qui e mi ha chiesto di scoparla.
Vorrei andarci piano, vorrei essere più dolce e gentile, ma non posso. Voglio prenderla con forza e voglio farla gridare come una disperata. Pazienza se qualcuno dovesse sentirci. 'Fanculo il resto del mondo e quest'isola di merda, abitata da pazzi.
Se domani devo andarmene, oggi voglio riempirmi le orecchie delle urla di Daisy che geme perché la sto scopando da Dio.
Se lei è Afrodite, la Dea della passione e della bellezza, allora voglio essere anche io il suo Dio.
Con il bacino, comincio a compiere delle circonferenze, e le sue pareti si stringono attorno a me. Spingo così forte che il suo corpo scivola all'indietro e devo afferrarla per un fianco, riavvicinandola. Il suo seno oscilla a ogni mio movimento.
Quando prova a chiudere gli occhi, con la bocca aperta in una piccola "o", la riprendo. «Occhi su di me, Daisy.»
Non serve ripeterglielo, li spalanca, puntando il suo azzurro mare nei miei banalissimi occhi scuri. Per un secondo, mi distraggo.
L'angolo delle sue labbra si incurva in un sorriso e me ne accorgo tardi. Mi afferra e ribalta le posizioni, facendomi sdraiare di schiena. Si sistema a cavalcioni ed è lei ora a scopare me. Se possibile, con una foga anche maggiore della mia.
Io non faccio nulla. Così sconvolto dalla rapidità con la quale è successo tutto. Rimango in balìa dell'incredibile donna che, finalmente, dimostra di sapersi prendere ciò che vuole. E spero che continui a farlo, per sempre, senza farsi mai fermare da nessuno.
Sono al limite. Mi manca poco. E dal modo in cui sobbalza sopra di me e geme, anche lei dev'essere vicina.
Ne ho la conferma quando la sua mano va a stringermi la gola, quasi soffocandomi, e affonda così forte sul mio cazzo che lancia un grido disperato. Si chiude attorno a me e trema come una foglia, muovendosi a scatti.
La aiuto agguantandola per i fianchi, e allo stesso tempo muovo il mio bacino per venire anche io. L'orgasmo colpisce prima lei, ma il mio è altrettanto intenso. Mi mordo la lingua per non gemere e non fare ulteriore casino. Daisy si china su di me e mi bacia per soffocare i mugolii.
Una volta terminato, non ci spostiamo. Resto dentro di lei, e la avvolgo con le braccia, stringendomela al petto. Un gesto dolce, in netto contrasto col modo in cui abbiamo appena fatto sesso.
Il cuore mi batte all'impazzata, lo sento rimbombarmi nelle orecchie. Vorrei spostare Daisy solo per poggiare un orecchio sul suo petto e accertarmi che anche il suo sia andato in tilt. Ho bisogno di sapere che proviamo le stesse cose.
Come se potesse leggermi nel pensiero, si sposta. Scivola via dalla mia presa, ma evita il mio sguardo. Sto per chiederle se va tutto bene, quando lei prova a scendere dal letto.
La afferro per il polso. «Dove credi di andare, Sirio?»
Tiene il capo chino, ma non mi perdo l'espressione di stupore che campeggia sul suo volto. «Via,» mormora, incerta.
«Perché? Il tuo piano era scopare e poi lasciarmi qui?» Non volevo che suonasse così, ma non riesco a trattenere l'indignazione e la delusione. Non sono passati nemmeno cinque minuti e lei se la dà a gambe.
Volta il capo con uno scatto. Ha gli occhi tristi, velati da uno specchio d'acqua che temo possano essere lacrime. Sono già pronto e teso, perché se dovessi vedere anche una sola goccia rigarle la guancia, gliela spazzerei via con un bacio.
«No. Pensavo che tu volessi solo concludere e... che poi me ne andassi. Ti ho preceduto perché non volevo sentirtelo dire.»
Mi viene da ridere. Sia per la frustrazione, visto che questa donna non sembra proprio capire il valore che ha. Sia per la rabbia, perché se ha così poca autostima significa che la hanno trattata così in passato. E io vorrei ammazzarli tutti.
La attiro a me senza parlare, e la sistemo in modo che stia sdraiata sul fianco, con la testa poggiata sul mio petto. Le tolgo l'elastico, che tiene i capelli legati in una treccia bellissima, e glieli sciolgo. Districo l'intreccio con le dita, fino a quando i filamenti dorati dei suoi lunghissimi capelli non si spargono ovunque. Rilasciano il suo tipico profumo di vaniglia e cocco. Per qualche secondo, lo respiro a pieni polmoni.
«Daisy, quello che c'è tra di noi non si può di certo chiamare amore,» mormoro, piano. «Ma non è nemmeno un effimero rapporto carnale, basato solo sull'attrazione fisica. Non sei solo un corpo magnifico e un viso perfetto. Sei anche una mente brillante, un intero mondo di cose che purtroppo nessuno ha mai voluto ascoltare. Devi iniziare a comprenderlo. Voglio che tu ti dia il valore che hai.»
La sua mano traccia disegni immaginari sul mio petto. Mi coglie di sorpresa quando si allunga per darmi un bacio sulla guancia. «Posso raccontarti una cosa di astronomia?»
Il cuore quasi mi scoppia nel petto. Era come lo avevo immaginato. Noi due, a letto, dopo aver fatto sesso, e lei che mi racconta nozioni di astrofisica di cui mi sforzerò di comprendere anche solo cinque parole per non deluderla. «Certo. Ti ascolto.»
«Hai mai sentito nominare le stelle Vega e Altair?»
«Sì, mi pare di sì.»
«C'è una leggenda che le vede protagoniste, e che ad oggi viene festeggiata in Giappone con la festa di Tanabata, il 7 luglio. La storia narra che Orihime, una giovane e abile tessitrice, viveva sulla sponda della Via Lattea, rappresentata come un fiume celeste che separa la costellazione di Altair da quella di Vega. Essendo così diligente nel suo lavoro, Orihime trascurava la sua vita sociale e non aveva tempo per innamorarsi. I suoi genitori, preoccupati per la solitudine della figlia, decisero di organizzare un incontro con un giovane pastore di nome Hikoboshi, che viveva sulla riva opposta della Via Lattea. Quando i due si incontrarono, si innamorarono perdutamente l'uno dell'altra. La loro passione era così forte che passavano quasi tutto il loro tempo insieme. Ciò li portò a trascurare i loro doveri celesti: Orihime smise di tessere stelle e Hikoboshi lasciò che le sue mucche pascolassero senza controllo. Gli dei, osservando questa situazione, furono infastiditi dal comportamento di Orihime e Hikoboshi. Decisero, quindi, di punirli separandoli e facendoli vivere su lati opposti della Via Lattea.»
Sospira. «Gli dei, però, sanno anche essere buoni e umani. Si commossero per la tristezza dei due innamorati e concessero loro una grazia. Decisero che se il cielo fosse stato sereno e senza pioggia durante la notte del 7 luglio, Orihime e Hikoboshi sarebbero stati autorizzati a incontrarsi attraverso un ponte di uccelli magici chiamati "magpies". Questo evento magico sarebbe avvenuto solo una volta l'anno, permettendo loro di stare insieme per un breve periodo.»
Assimilo ogni sua parola, ed è così brava a raccontare la storia, che appare nella mia testa come un film vero e proprio. «Continua.»
«In Giappone, la festa di Tanabata è celebrata con molta allegria e colori. Le persone scrivono desideri su pezzi di carta chiamati "tanzaku" e li appendono a rami di bambù decorati, sperando che si avverino. Le strade si riempiono di spettacoli, danze, canti e prelibatezze. È un momento in cui la gente si unisce per esprimere amore e speranza.»
Fisso l'armadio davanti a me, e con la mano accarezzo la schiena nuda di Daisy, sovrappensiero. «Stai cercando di dirmi qualcosa, Sirio? Vuoi che ci incontriamo clandestinamente ogni sette luglio?»
Ride.
«Perché io sono certo che non potrebbe mai bastarmi un solo giorno all'anno.»
«Gli Dei antichi sono più misericordiosi di Crono Lively. Lui non ce lo permetterebbe,» sussurra.
Ha ragione. Una profonda tristezza mi avvolge il cuore come una gabbia di rovi, e ogni respiro che faccio mi graffia la carne con le sue spine. «Avrei voluto continuare a conoscerti, Daisy,» ammetto. «Anche una volta congedato dal mio compito, sarei tornato qui e ti avrei chiesto di parlarmi di qualsiasi cosa ti passasse per la testa. Volevo conoscere ogni lato di te, ogni pensiero di cui sei fatta. Volevo innamorarmi di te. E volevo che tu ti innamorassi di me.»
«Thymós, ti prego, non dirmi queste cose poche ore prima di andartene.»
«Siamo un ossimoro, noi due. Coppie di opposti che sembrano non poter andare d'accordo insieme,» riprendo, ignorandola. «Sei l'amore che placa la mia ira, così come l'acqua che spegne il mio fuoco di rabbia e sofferenza. Sei la luce che illumina il mio buio. Il sole che asciuga la mia pioggia. Il rumore che riempie i miei silenzi tristi. Il dolce che dà piacere alla mia lingua amara. Sei il bianco, l'unione di tutti i colori dello spettro, che compensa il mio nero, la loro totale assenza. Sei l'eterno, in una vita che ho sempre pensato limitata. Sei il movimento eccitante che smuove la mia quiete. Sei il conforto al mio dolore. E sei la benedizione che il destino ha voluto darmi, in una vita di maledizioni costanti,» scandisco ogni parola contro il suo orecchio, per accertarmi che non si perda nemmeno una sillaba. «Sei il saluto che vorrei non si tramutasse mai un addio.»
(Nda. I titoli dei capitoli 👀)
Daisy non fiata, e per svariato tempo temo di avere esagerato e che scapperà via, spaventata dalle mie parole. Invece, solleva il capo e fa scontrare i nostri occhi. Non serve altro, perché una lacrima salata le bagna la pelle e finisce nella sua bocca. La catturo con un bacio. Persino le sue lacrime hanno un buon sapore. Tutto, di lei, è buono.
«Non voglio che tu te ne vada,» bisbiglia.
La stringo più forte, come se potessi inglobarla a me e renderla una parte del mio corpo. «Non voglio andarmene.»
«Restiamo svegli fino all'alba,» propone. «Non perdiamo un singolo minuto.»
Mi viene da ridere. «Sei sicura di riuscire a fare le ore piccole, Sirio?»
Annuisce, speranzosa e io la accontento.
«Allora, perché non mi racconti altre leggende legate alle stelle? O non mi parli di astrofisica?»
Se possibile, il suo volto si illumina. Nonostante la tristezza per la nostra separazione, la mia richiesta le porta tutta la gioia che le avevo anche, indirettamente, strappato via. Il petto mi si gonfia di orgoglio.
Così, Daisy riprende a parlarmi di ciò che la appassiona più di ogni altra cosa. L'universo, le stelle, i pianeti e i fenomeni celesti. Quando mi racconta i miti e le leggende, capisco ogni parola. Quando passa a fatti più scientifici e specifici, faccio del mio meglio. Ma lei capisce che sono in difficoltà e mi rispiega le cose fino alla nausea, cambiando anche i termini per trovarne di più semplici e immediati. Non perde mai la pazienza, e io non perdo mai la voglia di ascoltarla. Se il tempo si bloccasse così, sarei felice.
Non c'è nulla di più attraente di una persona che ti parla di ciò che la appassiona.
E Daisy è la donna più meravigliosa che abbia mai avuto l'onore di anche solo sfiorare con gli occhi. Non oso immaginare come sarei ridotto, adesso, se avessi avuto l'opportunità di conoscerla ancora meglio. Sarei andato. Completamente innamorato. Pazzo di lei. Com'è giusto che sia.
Daisy racconta, fino a quando la sua parlantina non si fa più lenta e incerta, intervallata da sbadigli sempre più frequenti. Sta per addormentarsi. Sono le cinque del mattino e le sue palpebre premono per abbassarsi.
Se ne accorge e lotta per restare con me. Io le sussurro che va bene, che deve dormire e lei protesta. Protesta fino a quando non mi chiede di fare l'amore, ma non come prima. In modo dolce. Così, la sistemo a pancia in su e mi posiziono fra le sue gambe. Lo facciamo di nuovo, ma è dolce e delicato, e affondo dentro di lei con spinte profonde e calme. Le faccio sentire ogni centimetro, e io scivolo tra i suoi liquidi. È ancora più bello di prima. Impossibile, avrebbe risposto il me di qualche ora fa. Ma è così.
I suoi gemiti sono fievoli, ma intensi, e riempiono la stanza, le mie orecchie e il mio cuore. Daisy ha gli occhi su di me, come da tradizione, e sono offuscati dal secondo orgasmo che le sto dando.
Viene per prima, di nuovo. Non mi interessa concludere. Esco da lei e mi impegno a baciarle ogni centimetro di pelle. La bacio per quella che sembra un'eternità. E quando mi accorgo che ormai è troppo stanca, ritorno al suo fianco e la cullo contro di me.
«Non andartene...» biascica. Morfeo non vuole regalarci altro tempo, ha le sue grinfie su quella che avrebbe dovuto essere la mia donna, e non la lascia andare. Lo capisco. Chi lo farebbe?
«Buonanotte, Sirio.» Le bacio le labbra.
Aggrotta la fronte. «Svegliami prima di lasciare la stanza, ti prego.»
No, farebbe male.
«Thymós...» riprova. Se mi implorasse di nuovo di svegliarla, potrei anche cedere. «Saremo pure opposti...» Si ferma. «Ma nel mondo non esiste il bene senza il male, e ogni opposto necessita l'altro per esistere. Sei fondamentale anche tu, sei bello quanto me.»
Sorrido, intenerito, e Daisy si addormenta tra le mie braccia. Non so per quanto rimanga fermo a osservarla dormire, ma la sveglia sul comodino cattura la mia attenzione quando manca mezz'ora alle otto del mattino. Devo andarmene.
Scendo dal letto e mi rivesto. Infilo tutti i miei vestiti nel bagaglio con il quale sono arrivato qui, e me lo metto in spalla. Ho quindici minuti per salire su uno dei motoscafi in spiaggia e andarmene.
Rubo cinque secondi al mio destino e mi inginocchio al lato del letto. Daisy dorme, russando appena.
Le bacio la fronte.
«Magari un giorno ci incontreremo di nuovo anche noi. Gli dei avranno pietà e ci concederanno un giorno, come a Vega e Altair,» bisbiglio. Le sue palpebre hanno uno scatto impercettibile.
Mi sollevo e arretro. Decido di uscire dalla porta finestra, per non fare rumore in corridoio. Abbasso la maniglia, piano, e la apro. Non c'è ancora caldo fuori, e l'aria fresca del mattino mi colpisce in viso come mille spilli. O è il dolore che provo nel salutarla?
«Tha se agapoúsa me tis ínes tou sómatós mou,» mormoro. ("Ti avrei amata con ogni fibra del mio corpo".)
Richiudo la porta finestra alle mie spalle, con gli occhi serrati. Faccio due respiri profondi e allungo la gamba, pronto a prendere le scalette laterali per passare dalla scorciatoia che mi ha mostrato Daisy tempo fa.
Ancora prima di muovermi so di non essere solo. E so per certo chi è la presenza, su questo terrazzo, che mi fissa e mi attende.
«Hey,» saluto per primo. «Posso voltarmi o sei nudo?»
Hermes non risponde. Così, mi giro. Ha una t-shirt e dei pantaloncini da basket addosso. Incredibile. Allora possiede dei vestiti.
La sua espressione è dura, e a primo impatto mi lascia perplesso. Sembra arrabbiato con me. Che motivo avrebbe, però? Cosa ho fatto di male?
«Qualcosa non va?» chiedo.
Hermes continua a non rispondere. Comincio a pensare che sia sonnambulo.
Poi, però, mi viene incontro. A passo lento e meccanico. Ha le mani serrate in due pugni, lungo i fianchi. Vuole colpirmi? Be', credo che lo lascerò fare e per dargli un po' di soddisfazione fingerò anche che mi abbia fatto male.
A pochi centimetri di distanza, solleva le braccia e mi circonda il collo. Hermes Lively mi sta abbracciando. Non voleva riempirmi di botte. Voleva solo... stringermi in una presa affettuosa.
Gli do qualche pacca sulla schiena, sconcertato da quello che sta accadendo. Perché lo fa? Non mi merito la sua rabbia, ma nemmeno il suo affetto.
«So che ci rivedremo, Termos,» dice, ancora incollato al mio corpo. «Non è finita qui.»
«Lo spero,» borbotto. «Anche se le probabilità sono basse.»
«Avete scopato, vero?»
«Non rovinare il momento.»
«Hai ragione.»
Rafforza la stretta. Manca poco e mi commuoverò per colpa di questo idiota nudista.
«Grazie per aver...»
«Protetto tua sorella? È stato un dovere, ma anche un piacere.»
Ridacchia, il suono esce sconsolato. «Grazie per aver reso felice mia sorella, seppur per un breve periodo di tempo.»
🌸🌸🌸
Penso che su ig o tiktok vedrete presto il video del mio amico che racconta questo pompino ☠️🤚🏻 ciao andrea, so che stai leggendo
Cooooomunque, questo capitolo è stato proprio bello da scrivere. Spero che a voi sia piaciuto leggerlo🩷
Aggiorno GoC e torno qui! Mancano 3 capitoli alla fine 🫶🏻
Grazie per leggermi🥹
Have a nice life🌸
Tiktok: cucchiaia
Ig: cucchiaia
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