Chào các bạn! Vì nhiều lý do từ nay Truyen2U chính thức đổi tên là Truyen247.Pro. Mong các bạn tiếp tục ủng hộ truy cập tên miền mới này nhé! Mãi yêu... ♥

11 - Maledizione e Benedizione


"Ogni stella ha una vita, che può durare da milioni a miliardi di anni, a seconda delle sue dimensioni. Le stelle più piccole possono bruciare lentamente per miliardi di anni, mentre le stelle più grandi possono esaurire il loro combustibile in pochi milioni."





— I'm an angel with a shotgun
Fighting til' the wars won
I don't care if heaven won't take me back
I'll throw away my faith,
just to keep you safe





Da quando mi hanno attirata dentro il labirinto e drogata per quel gioco, i miei fratelli sono diventati le mie guardie del corpo. Cercano di tenermi sott'occhio in qualsiasi situazione e per tre sere consecutive hanno rinunciato a lavorare nei loro locali per stare nel mio.

Thymós non ha preso bene questa nuova situazione. Non ha mai fatto commenti espliciti, ma io credo che si senta offeso, se non in colpa. È lui la mia guardia del corpo, d'altronde, e vedere che i miei fratelli si sentano in dovere di fargli da "vice", forse gli fa credere che lo ritengano incapace.

Persino la mattina, ormai, hanno preso l'abitudine di unire tre tavolini e fare colazione con me. Vorrei dire loro che preferirei mantenere le vecchie tradizioni: io fuori con il mio libro e loro in cucina che schiamazzano e parlano senza sosta. Ma non voglio offenderli. Lo fanno per me, perché mi vogliono bene e io non ho intenzione di ferire i loro sentimenti.

Il labirinto è bruciato per metà, ma fin dalla mattina dopo è iniziato un viavai incessante di persone, per ricostruire le parti distrutte e riportarlo alla sua forma originaria.

Speravamo che l'incidente potesse farlo scomparire per sempre, e invece Crono Lively ha altri progetti che riguardano quel maledetto gioco. Che lui abbia sempre voluto completare la famiglia, con gli altri figli a cui dare i nomi dei restanti dèi greci, lo sapevamo già. Ma in cuor mio ero convinta che si fosse arreso. D'altronde, ormai abbiamo tutti vent'anni. Che senso ha monitorare ancora gli orfanotrofi per continuare con le adozioni? Saremmo due generazioni diverse di fratelli e sorelle.

«Ho chiesto a nostro padre di farmi avere una pistola,» esordisce Hermes, con una vestaglietta in raso gialla, aperta sul corpo nudo. Si siede accanto a Thymós, davanti a me.

La mia guardia del corpo lancia un'occhiata schifata ai suoi genitali maschili, ma poi assottiglia gli occhi. «Una pistola? Perché mai?»

«Così, se Aphry è in pericolo, posso sparare a chiunque stia provando a darle fastidio.» Prende la pila di pancakes in mano, come se fossero un panino, e dà un morso generoso. «Devo folo imparare a prendere la mira! Mi infegni, Tramontino?»

Thymós resta a bocca aperta. «Hermes, le armi non sono giocattoli. E, da quello che ho visto, se ti mettessi in mano uno spray al peperoncino saresti capace di spruzzarlo in faccia a tua sorella, invece che su un potenziale aggressore.»

Hermes manda giù il boccone a fatica. «Una volta ne ho comprato uno e me lo sono spruzzato in bocca per capire che sapore avesse.»

«E cos'è successo?»

«È finito al Pronto Soccorso,» interviene Athena, con la sua tazza di caffè amaro.

Ricordo quel giorno. Ci siamo precipitati all'ospedale, e nel momento esatto in cui abbiamo varcato le porte del Pronto Soccorso, le urla disperate di Hermes erano il rumore che sovrastava su tutto il resto. Mio fratello non sopporta il minimo dolore fisico.

«Comunque, se mi darai lezioni tu, imparerò tutto ciò che c'è da sapere. Quando iniziamo?» riprende Herm.

«Mai,» risponde Thymós senza battere ciglio. Prende un morso dalla sua mela e mastica con l'aria incazzata. «E sinceramente non c'è nemmeno bisogno che tentiate di farle da guardie del corpo. Ci sono io. Vengo pagato.»

So già che uno dei miei fratelli se ne uscirà con qualcosa di indelicato. E so pure chi, tra loro. «Se non ce n'è bisogno, perché sono riusciti a drogarla e farla perdere nel labirinto?» lo incalza Athena.

Gli occhi di Thymós saettano nella sua direzione. «Perché volevo darle un momento di libertà il giorno del suo compleanno.»

«Darle un momento di libertà non significa perderla di vista,» continua lei.

«Disse quella che stava per lanciarle dei coltelli contro per uno dei vostri giochi del cazzo tra psicopatici.»

Hermes, che mastica a bocca piena, interviene: «Suvvia, mi pare esagerato. Giochi del cazzo. Sono bei giochi, Thym.»

«Avevo la situazione sotto controllo,» Athena scatta in piedi. Apollo le afferra il polso, già pronto a contenere la sua furia e qualsiasi gesto avventato. «Cosa che non si può dire di te. Dovremmo dire a nostro padre di licenziarti.»

Solo l'idea di sentire quella parola associata a Thymós, mi fa sussultare sulla sedia e irrigidire. Quando sollevo lo sguardo, incrocio gli occhi grigi di Hades. Deve aver notato la mia reazione, ma non dice nulla e gliene sono grata.

«Diglielo, coraggio. Se vuoi ti accompagno,» la provoca Thymós. Ma, se ho imparato a conoscerlo un minimo, non mi sfugge la tensione nella sua voce.

Prima che Athena possa aprire bocca, Hades emette uno sbuffo rumoroso che attira l'attenzione di tutti. «Thena, smettila di fare sempre la testarda invincibile. Il giorno in cui arriverà quello più forte di te...»

«Il giorno in cui arriverà uno più forte di me, significherà che io sono morta,» lo interrompe. Apollo la tira per il polso e lei si arrende, rimettendosi seduta, senza mai staccare lo sguardo da Thymós.

«Non è colpa di Thymós,» intervengo, alla fine, prima di girare la pagina del libro. «Ha sempre fatto il possibile. Quindi, smettiamola con questi discorsi, per favore. Nessuno verrà licenziato.»

«E ricordiamoci un'altra cosa,» mi segue a ruota Herm. Ha già finito il suo panino di pancakes, e sta rubando una fetta di melone dal piatto di Apollo, che glielo lascia fare, inerme. «Solo un Lively può uccidere un altro Lively. Chiunque sia il killer, e non è uno di famiglia, non farà mai nulla ad Aphrodite.»

Non so da dove ha tirato fuori questa frase fatta. Nessuno lo ha mai detto prima d'ora e deve averla inventata sul momento. Tanto che Apollo, alla sua sinistra, aggrotta la fronte. «Che diamine stai dicendo?»

«Non lo so. Suonava solenne.»

Questo è il momento in cui iniziano a discutere di idiozie e io mi estraneo, tornando alla mia lettura. Sono contenta, però, che si siano distratti. Forse era tutto un piano di Hermes per far calmare gli animi. Be', l'animo di Athena.

Almeno non sono volate forchette e coltelli.

Quando mi concedo una breve pausa dal libro, lascio scivolare lo sguardo su Thymós, davanti a me, e scopro che mi sta già fissando. Gli occhi sono ridotti a due fessure, e si rigira la mela in mano mentre continua a mangiarla.

Il fatto di avere i miei fratelli alle calcagna ogni sera, al locale, ci ha impedito di fare i nostri giochi nel privé, come da accordi. Mentirei se dicessi che non sto morendo all'idea di riavere le sue mani addosso e di mettergliele io a mia volta. Se solo fosse possibile, lo farei inginocchiare sotto il tavolo per...

Mi riscuoto dai miei pensieri, prima di impazzire, e riprendo a leggere. Ho concluso un paragrafo di poche righe quando il mio cellulare vibra sul ripiano del tavolo. Nessuno se ne accorge, sono tutti impegnati a discutere animatamente.

È un messaggio di Thymós. Il vestito che indossi mi sta facendo diventare matto. Liberati dei tuoi fratelli, stanotte, ho bisogno dei venticinque minuti nel privé.

La scelta del vestitino non è stata casuale. È corto appena sotto il sedere e ha le maniche lunghe e larghe, ma è fatto di una stoffa leggerissima e trasparente. Nonostante abbia dei disegni floreali, credo che il mio seno senza intimo sopra attiri comunque l'attenzione.

Dovrei lasciar stare e far finta di nulla, ma provo un'improvvisa scarica di adrenalina nel leggere di quanto mi desidera. E, soprattutto, di parlare di queste cose mentre ci sono i miei fratelli a tavola, ignari di cosa accade tra me e lui.

E cosa vuoi fare in quei venticinque minuti?

Appena legge la domanda, inarca entrambe le sopracciglia e scrive velocemente. Leccartela fino a consumarla.

Per poco la saliva non mi va di traverso. Nonostante siamo all'ombra e la temperatura non sia ancora altissima, comincio a sentire vampate di calore crescenti. Mantengo un'espressione impassibile fuori, mentre dentro di me sono andata in corto circuito. Non devo dargliela vinta. Non posso permettergli di mettermi in difficoltà.

E se volessi inginocchiarmi io, per te?

Thymós sobbalza e si sistema meglio sulla sedia. Abbandona la mela, nonostante manchi ancora qualche morso. Aphrodite. Bada a quello che dici.

Solo a te è concesso provocare?

Tu non hai un cazzo in mezzo alle gambe e un'erezione che potrebbe destare molti sospetti tra i presenti.

Mi mordo il labbro per non ridere. Ti basta così poco, Thymós?

Tu non sei così poco, Daisy.

Il cuore mi si sgretola nel petto, solo per ricomporsi in pochi istanti e iniziare a battere con più intensità di prima. Come se fosse rinato, più forte che mai. Solo per lui.

Ti ho lasciata senza parole, sacca di soldi ambulante? Ti arrendi?

La breve parentesi di dolcezza viene chiusa bruscamente. Un'idea balena nella mia testa, e non riesco ad accantonarla. In pochi istanti, mi ritrovo a metterla in pratica. Fingendo di leggere, giocherello con l'orecchino che ho al lobo. Gli do un colpo distratto, consapevole che non ha la chiusura e scivolerà facilmente.

Come previsto, cade a terra e io gli do un calcio veloce per spingerlo sotto il tavolo. «Merda,» esclamo, in modo che mi sentano anche gli altri. «Mi è caduto l'orecchino sotto il tavolo. State fermi con i piedi, per favore.»

Apollo si sta già chinando per aiutarmi. «Ti serve aiuto?»

Dio, Apollo, ti voglio bene, ma per una volta non essere così gentile.

Per fortuna, ho Hades. Lo blocca dandogli una pacca leggera sul petto. «Lascia stare, siamo troppo lontani. E poi volevo chiederti una cosa...» Prima di riprendere a parlare, mi fa l'occhiolino e cattura la totale attenzione di Apollo.

A buon rendere, fratellone.

Thymós osserva ogni mia mossa come se fossi un fenomeno mai visto e lui uno scienziato che ha l'onore di studiarlo per primo.

Calcio via la ciabattina e allungo la gamba sotto il tavolo, fino a incontrare con le punte delle dita lo stinco di Thymós, coperto dai pantaloni lunghi. Salgo fino al ginocchio, e poi riscendo, sfregando contro il tessuto rigido.

Gli rivolgo un'occhiata innocente. «Ti dispiace cercarmelo, Thymós?»

Il suo pomo d'Adamo si abbassa. «No. Provvedo subito.» Il tono è così formale e serio che, se possibile, mi eccita il doppio.

Quando Thymós sparisce sotto il tavolo, la sua stazza è così imponente che fin da subito sento le ciocche morbide dei suoi capelli sfiorami le ginocchia nude. Tenendo gli occhi incollati ai miei fratelli, per assicurarmi che non notino nulla, infilo la mano sotto la gonna, nascondendomi con il tavolo, dal lato in cui non c'è seduto nessuno al mio fianco.

Stando attenta a non scoprirmi, aggancio il dito all'elastico degli slip e, sollevandomi appena dalla sedia, le faccio scivolare giù, fino a bloccarle a metà ginocchia. Con un movimento veloce di gambe, le porto fino alle caviglie. Vorrei chinarmi per vedere l'espressione di Thymós.

Hermes scoppia a ridere e sussulto per lo spavento. Non ho problemi a parlare con i miei fratelli di quello che accade tra me e la mia guardia del corpo, so che non direbbero nulla ai miei genitori. Ho paura che Crono li costringa e, in qualche modo, venga a saperlo. O, ancora peggio, che faccia loro del male perché, al contrario, non vogliono aprire bocca. È già successo.

Tra di noi, abbiamo una regola: se nostro padre minaccia di farci del male per farci confessare cose riguardanti altri fratelli, siamo autorizzati a parlare. Se non costretti, proprio. Non vogliamo che si faccia male nessuno.

All'improvviso, una mano calda mi afferra la caviglia e mi fa sollevare il piede da terra. Thymós finisce di sfilarmi le mutandine e me le ruba, senza che io possa aprire bocca. Serro le labbra in una linea retta.

Thymós riemerge da sotto il tavolo con l'orecchino stretto fra i polpastrelli dell'indice e del pollice. Un sorrisetto strafottente gli incurva le labbra carnose. «Trovato.»

«Grazie.»

Prende il telefono e scrive qualcosa, presumo un messaggio per me.

Le tue mutandine me le tengo io. Se le rivuoi, vieni in camera mia. Non è detto, però, che te le farò rimettere addosso.

Merda. Accavallo le gambe, sfregandole fra loro per placare l'irrefrenabile voglia di toccarmi, solo pensando a quello che potremmo fare da soli se lo raggiungessi.

Ora mi ritrovo con un vestitino quasi trasparente e nemmeno un pezzo dell'intimo sotto. Ottimo.

Thymós mi guarda con aria di sfida, mentre dà un altro morso alla sua mela e fa tamburellare sul ripiano del tavolo solo il medio e l'indice. «Non sei curiosa di continuare a leggere, Aphrodite? Forse le chiacchiere continue dei tuoi fratelli ti danno fastidio?»

Mi schiarisco la voce e gli rispondo nel tono più professionale e distaccato che mi riesce. «Continuerò a leggere quando ne avrò voglia io, fatti gli affari tuoi, Thymós.»

Lui ghigna, ma viene interrotto da una nuova figura che fa irruzione nel terrazzo. Mia madre. Bella come sempre, con i lunghi capelli biondi legati in una treccia a spina di pesce, una camicia bianca e un paio di pantaloni a vita alta, bordeaux. Il viso, privo di trucco, è radioso ma dai tratti affilati. E i suoi occhi azzurri sono puntati su di me.

«Aphrodite, tesoro, ti dispiace seguirmi un attimo? Devo parlarti.»

Di certo non posso risponderle: "No, mamma, perché sono senza mutande. Thymós me le ha rubate".

Spero che non si accorga di nulla. O che la veda come una scelta di moda... moderna. Libera dalle convenzioni e gli standard della società.

Raggiungo mia madre, in imbarazzo, ma nessuno fiata. Thymós si alza dalla sedia, e lei scuote il capo. «Da sole. Non c'è bisogno del tuo controllo, Thymós, resta pure qui.»

Thymós non si muove, come se fosse combattuto fra il dovere di obbedire a mia madre e il desiderio di seguirmi comunque. Gli faccio un cenno veloce, per non rivelare troppo. Ho una paura folle che qualcuno scopra qualcosa e che mio padre gli faccia del male.

Non ho paura solo perché è Thymós, è una brava persona e, in qualche modo che ancora non comprendo, mi piace. Ne ho paura perché lui è l'unica entrata, nella sua famiglia, che permette al padre di avere le cure e le medicine di cui ha bisogno. Non posso permettere che quell'uomo non le riceva per un mio gesto disattento.

«Thymós, c'è qualche problema?» lo incalza mia madre, ora guardinga.

Lui raddrizza la schiena. «No, signora Lively. Semplicemente, vengo pagato trecento mila dollari a settimana per tenere d'occhio sua figlia. Ci tengo a non essere licenziato.» Abbassa il capo. «Suo marito è stato anche fin troppo gentile con me, dopo l'incidente nel labirinto.»

Rea sembra cascarci. D'altronde, Thymós è bravo nel non mostrare alcuna emozione che possa tradirlo. «Stai tranquillo. Siediti.» Incastra il suo braccio con il mio. «Andiamo, coraggio.»

Rientriamo in casa, e mia madre mi tiene a braccetto mentre usciamo dalla cucina e avanziamo in salotto. Quando penso che la destinazione sia il suo studio, lei svolta per le scale. «Dove andiamo?»

«In camera tua.» Mi guarda con la coda dell'occhio. «Perché sembri tesa? Non sono tuo padre, lo sai.»

Avrei da ridire, visto il modo in cui lei asseconda il marito in tutto e per tutto, ma solo ora mi rendo conto che forse, nella maggior parte dei casi, lo fa per paura. Noi non sappiamo nulla della loro storia: di come si sono conosciuti, innamorati e di come sia nata questa tradizione dei giochi mista alla passione per la mitologia. Non abbiamo mai visto i nostri nonni, o i nostri cugini con relativi genitori, che sarebbero i nostri zii.

Mia madre apre la porta della mia camera e mi fa entrare per prima, seguendomi. Sembra tutto come l'ho lasciato un'ora fa, prima di scendere per la colazione. Ma quando sposto lo sguardo per ogni angolo della stanza, lo vedo. Li vedo. Due oggetti in più.

Davanti alla porta finestra, c'è un telescopio fissato su un treppiede. E sul mobiletto lì vicino un libro enorme, dalla copertina blu notte. Il mio cuore smette di battere e riprende a velocità disumana. Le mani mi tremano per l'emozione, e se potessi osservarmi da fuori, sono sicura che vedrei i miei occhi brillare.

Sfioro il telescopio come se fosse un pezzo di cristallo. «Mamma...»

Rea mi affianca, le mani congiunte dietro la schiena e il mento all'insù. «La pietra preziosa che ti abbiamo regalato al compleanno era un'idea di tuo padre. Non ho potuto mettere bocca sulla scelta e, in fin dei conti, il collegamento che ha fatto con la tua passione per l'astrofisica mi sembrava carina.»

«Ma?» la sprono a proseguire. Faccio scorrere il dito lungo il tubo ottico in metallo.

«Volevo che ricevessi qualcosa che ti piacesse sul serio,» mormora, e la sua voce assume una sfumatura dolce. «So che vorresti studiare astrofisica a Yale, e so che tuo padre non te lo permetterà mai. Questo telescopio, però, ti permetterà di osservare tutti gli astri nel cielo che ami tanto, Aphrodite. Quel libro...» Lo indica. «È una guida dettagliata a come usarlo al meglio e individuare le costellazioni e i pianeti.»

Do una sbirciata alla copertina. È vero. È un manuale. Uno dei tanti che ho nella mia lista desideri e che evito di comprare, perché mi fanno solo stare peggio.

«So che sei intelligente e, di sicuro, conosci già tante cose. Ho immaginato, però, che potesse tornarti utile,» conclude.

So che sei intelligente e di sicuro conosci già tante cose. La sua frase mi riecheggia nella testa fino a farmi diventare gli occhi lucidi. Vorrei piangere, stretta al suo petto, come una bambina con la sua mamma. Cosa che è mancata a tutti noi, dal primo giorno in cui ci hanno adottati.

«Ti piace?»

«Tantissimo,» bisbiglio, senza smettere di toccare il mio telescopio. Se non fossi così sconvolta dal regalo, farei i salti di gioia. Mi sento tornata una bambina di cinque anni che esulta se le danno una pallina di gelato. «Grazie mille.»

Non vedo l'ora che sia notte per mettermi lì fuori e guardare la luna. Vorrei chiudermi in camera e restare tutta la notte sveglia a osservare il cielo. Dio, ogni terminazione nervosa del mio corpo è su di giri.

Anche se di giorno non si può osservare nulla e sono pure in camera, sistemo il cavalletto e mi avvicino all'oculare. Non riesco a smettere di sorridere, sorrido così forte che i muscoli facciali cominciano a farmi male.

«Ti chiedo solo una cosa, Aphrodite: non riferirlo a tuo padre. Non so quanto gli farebbe piacere saperlo.»

Mia madre, in tutta la sua compostezza ed eleganza, mi volta le spalle e si avvia in direzione della porta. Si gira di un quarto, con la mano che avvolge la maniglia.

«Ah, Aphrodite? Capisco che ognuno debba sentirsi libero di vestirsi come vuole, ma forse sarebbe meglio mettere almeno delle mutande sotto i vestiti. Almeno, per una questione igienica.»

🌸🌸🌸

Ho passato tutta la giornata a leggere il manuale regalatomi da mia madre. Sono rimasta incollata alle sue pagine, sdraiata sul mio letto, e ho fatto solo una pausa per mangiare il pranzo che Herm mi ha portato in camera.

Thymós è comparso sul terrazzo, oltre i vetri della porta finestra, e io gli ho fatto vedere i miei due nuovi regali. La sua espressione, quando gli ho raccontato della scena con mia madre, era piena di gioia. Pur sempre contenuta, perché è Thymós, ma comunque la più felice che gli abbia mai visto da quando ci conosciamo. Ha deciso di lasciarmi sola, con la promessa di restare nella stanza accanto, per qualsiasi evenienza.

Non appena il sole è tramontato e il cielo è diventato una volta cupa, illuminata dalle stelle e dalla luna, ho inaugurato il mio telescopio. Neanche cinque minuti di osservazione, che sono stata interrotta da un messaggio di Apollo, nel gruppo che abbiamo tutti insieme.

Hermes lo ha creato dopo l'incidente nel labirinto, e Hades è già uscito cinque volte, stanco dei suoi continui selfie e dei miliardi di messaggi che invia. Durerà poco, me lo sento.

Nostro padre ci vuole in sala da pranzo fra mezz'ora. Ha delle cose importanti da riferirci.

La risposta di Athena è un semplice "okay". Hermes, invece, scrive: Devo scopare. Potete dirgli che farò ritardo? 🙄

Come a voler fornire una prova, allega la foto di un ragazzo dai capelli ricci e castani, sdraiato sul suo letto, ma ancora vestito. Alzo gli occhi al cielo e blocco il telefono.

Afferro il primo vestito che mi capita davanti, nell'armadio. Uno semplice, satinato, del mio colore preferito: il celeste. Quando provo a indossarlo, però, non riesco a farlo salire oltre i fianchi. Per quanto mi sforzi e saltelli, l'indumento sembra essere diventato più piccolo di tre taglie. Dannazione, mi piaceva tanto.

Lo calcio via e ne scelgo uno che cada più largo, con le maniche a sbuffo e dei piccoli boccioli di rose rosse cuciti sopra. Lego i capelli in una coda alta ed esco in terrazzo, intenzionata ad avvertire Thymós.

Busso contro il vetro della porta finestra e attendo. Dopo pochi secondi, mi giunge la sua voce che urla: «Aphrodite?»

«Sì!»
«Entra, è aperto!»

Qualcosa mi dice che il motivo per il quale non è venuto lui di persona, mi piacerà parecchio. Come volevasi dimostrare, la luce del bagno è accesa. E la porta è aperta.

Vedo con chiarezza la sua sagoma dentro il box doccia, sulla quale si abbatte l'acqua del soffione. I vetri non sono appannati, e mi permettono di distinguere senza problemi le sue gambe muscolose e la forma dei suoi glutei sodi. L'ampia schiena è contratta, e le braccia piegate verso l'alto per massaggiare la cute con lo shampoo.

«Ti piace quello che vedi, Sirio?» mi coglie di sorpresa.

«Mi piacerebbe di più se ti girassi.»

Il movimento delle sue mani si blocca. Lascia ricadere le braccia lungo i fianchi, e si volta lentamente. I suoi occhi mi catturano subito, in una sfida silenziosa a far scivolare lo sguardo più in basso. Deglutisco a fatica.

«Vieni qui,» mi ordina.

«Mio padre ci vuole tutti in sala da pranzo fra meno di mezz'ora.»

«Allora, resta lì. Mi serve più tempo per fare quello che ho in mente.»

Sono io a dargli le spalle e allontanarmi, per non cedere alla tentazione. Magari per lui mezz'ora non è sufficiente, ma io sono sicura che mi basterebbero pochi minuti.

Vago con lo sguardo per tutta la sua stanza. È in perfetto ordine, come sempre. Non c'è una cosa fuori posto e so per certo che è opera sua, e non delle persone che lavorano per noi. La mia attenzione viene catturata dal pc aperto sulla scrivania. Non è di Thymós; è uno che Crono gli ha fornito in caso dovesse servirgli.

Non voglio farmi gli affari suoi, ma l'immagine nello schermo mi fa subito sospettare che c'entri io. Ho un'ottima vista, e quando sono abbastanza vicina, ne ho la conferma.

È sulla pagina del corso di Astrofisica, a Yale.

Non basta, però. Il quaderno aperto, lì accanto, è riempito di scritte in una grafia disordinata ma leggibile. Nero su carta, c'è una serie di informazioni su come iscriversi al corso, i requisiti curriculari, tutti gli esami in programma e le tempistiche. Su quella accanto, invece, le informazioni per fare la rinuncia agli studi o il passaggio di corso.

Si è studiato e appuntato come farmi passare da Psicologia ad Astrofisica?

«Cosa fai?»

Thymós è alle mie spalle, così vicino che quando sobbalzo la mia schiena si scontra con il suo petto nudo e ancora umido. Lui mi sposta con delicatezza. «Non rovinarti il vestitino con l'acqua,» mormora.

Con le mani ancora piantate sui miei fianchi, mi fa voltare. Non sembra arrabbiato, anzi, sembra... speranzoso e imbarazzato. «Che hai fatto tu, Thymós, semmai.» La voce mi trema, non so se per la gratitudine o la paura.

Aggrotta la fronte. «Potrebbero tornarti utili quelle informazioni, non credi?»

Rido, senza alcuna traccia di felicità. «Mio padre non me lo permetterebbe mai. Non deve nemmeno sapere che mia madre mi ha regalato il telescopio.»

La sua presa si fa più forte, forse per la rabbia. «Perché non ti imponi, Aphrodite? Fagli capire che...»

Lo interrompo, già irritata dalla piega che sta prendendo la conversazione. «Credi che non lo abbia mai fatto? Sarò pure indifesa fisicamente, ma so lottare per le cose che voglio, a parole! Ci ho provato in ogni modo, Thymós, ogni maledettissimo modo. In cambio ho ottenuto solo un'umiliazione dopo l'altra. Astrofisica? Perché non prendi la mia carta di credito e vai a fare un po' di shopping per distrarti? Ancora questa storia, Aphrodite? Sei noiosa. Astrofisica non si addice a una ragazza come te. Devi restare nel tuo ruolo. Ah, sì? Ti interessa l'astrofisica? Ma sai almeno cos'è? O l'hai confusa con l'astrologia, quella marea di cazzate che piace a voi femmine? Se ti piace l'astrofisica, vai in un planetario e non perdere il mio tempo con le tue puttanate.»

Mi fermo, ansimante. Se dovessi continuare a ripetere tutte le cose che mi sono sentita dire, arriveremmo in ritardo per la cena e mio padre ne aggiungerebbe altre da elencare.

«Non posso fare nulla, nulla,» calco sulla parola. «Non ho il controllo della mia vita, Thymós, ancora non ti è chiaro?»

La sua espressione è indecifrabile. Così intensa, che sono costretta ad abbassare il volto.

«Occhi su di me, Aphrodite.»

E, come da prassi, io eseguo.

Con la mano mi fa una carezza impercettibile sul viso. «Lo faremo di nascosto. Tuo padre paga personalmente le tasse? Non credo. Ti chiede degli esami che hai dato? Non credo. Potrebbe comunque scoprirlo? Sì, è probabile. Ma gli importa così poco di voi, in fin dei conti, che magari quando ne verrà a conoscenza sarà troppo tardi. Vedrà i tuoi voti ottimi e, forse, se ne farà una ragione.»

Scuoto il capo, sconsolata. Una parte di me sa che ha ragione, l'altra ha troppa paura delle conseguenze. «Non posso...»

«Tua madre è dalla tua parte, mi pare di aver capito,» prosegue. «Lei può aiutarti. Lo so, lo farebbe.»

«E tu non sai cosa mi farebbe mio padre se lo scoprisse.»

Il suo viso si rabbuia, e fa un passo avanti, fino a spingermi contro la scrivania. Mi blocca tra il suo petto e il ripiano in legno. Lui indossa solo un asciugamano legato in vita, e se ci ritrovassimo impegnati in una conversazione più leggera, mi perderei ad ammirare la V del suo inguine e l'accenno di peluria che sbuca dall'inguine mezzo scoperto.

«Tieni a mente una cosa, Daisy, e non dimenticarla mai,» mormora, scandendo ogni parola. «Tuo padre mi paga per proteggerti. Ciò vuol dire che se lui prova a farti del male, io faccio del male a lui. Chiaro? E voglio vedere come farà a licenziarmi se lo uccido.»

«Non puoi fare così,» tronco subito ogni suo tentativo. «Non voglio. Non puoi rischiare così tanto solo per me. Cosa ne sarà di tuo padre e della tua famiglia, se Crono ti farà del male? Pensi che io, poi, potrei vivere serena sapendo di avervi distrutti? Mi fa male dirtelo, ma devi farti gli affari tuoi, Thymós. Sul serio.»

Scivolo via dalla sua presa. Lui dev'essere così sconvolto dalle mie parole, che non fa nulla per impedirmelo. Sembra bloccato nel tempo, pietrificato in questo istante. Si ridesta dopo qualche secondo e mi insegue, fermandomi mentre sto aprendo la porta. La richiude dandole un colpo con la mano.

Osservo il suo braccio teso, sopra la mia testa, e il palmo che aderisce all'anta in legno.

«Nella vita, non si lotta mai per un'unica battaglia, Aphrodite,» sibila. «Se lottassimo solo per noi stessi, sai quante persone al mondo resterebbero indifese? Perché i soldati vanno in guerra? Perché i medici curano le persone? Perché gli scienziati passano anni della loro vita a cercare cure per malattie che non hanno? Perché se ci facessimo tutti i cazzi nostri, restando nella nostra bolla, non esisterebbe alcuna umanità.»

«Tu non puoi lottare per me, Thymós. Hai cose più importanti, in ballo.»

«Mio padre è malato. Tu sei schiava di un uomo violento e dispotico. Entrambi soffrite, ma il dolore non si quantifica e non si mette a paragone. Ognuno ha il proprio, e non va invalidato.»

Se continua così, finirò per piangere. Come una stupida. Detesto piangere.

«Io non voglio lottare per te, Daisy,» aggiunge. Sento il suo alito contro il collo scoperto. Mi sposta la coda di cavallo, poggiandola sulla mia spalla, e avvicina le labbra al mio orecchio. «Io voglio lottare con te. Perché sei in grado di combattere le tue battaglie, lo sai, vero? Lasciati aiutare. Non arrenderti. Mai. Mai, Aphrodite. La vita è una sola, ed è tua. Vai a prenderti tutto quello che ti spetta, cazzo.»

Appoggio la fronte contro la porta, dando un piccolo colpo. Le sue parole si incastrano tra i miei pensieri, e diventano anche miei. Nessuno dei miei fratelli mi ha mai detto di lottare contro nostro padre. Abbiamo sempre vissuto seguendo l'idea di: sopporta e cerca di vivere il meglio che ti è concesso. Abbiamo tutti troppa paura di lui.

«Io non voglio che ti faccia male anche tu,» rispondo, dopo qualche minuto di estenuante silenzio. «Perché vuoi aiutarmi? Mi conosci da poco più di un mese.»

«Perché mi stai a cuore, Aphrodite. Perché mi fa male vedere come vivi. Sia tu, che i tuoi fratelli. La differenza è che vostro padre sembra concedere più libertà e dignità a loro, che a te.»

È vero, in fin dei conti. Ma è anche vero che quando colpisce loro, lo fa con tutta la forza che ha. Questa è l'unica consolazione. La peggiore di tutte. Perché se i suoi colpi mi hanno provocato dolore, in passato, niente batte quello mentale che ho subito nel vedere Apollo, Hades e Hermes sanguinare.

Non l'ho mai pensato fino ad adesso, ma mi viene naturale, ora, desiderare la morte di mio padre.

«Ti fai in mille per gli altri e nessuno si fa in due per te,» termina. «Riprenditi uno di quei mille pezzettini in cui sei scomposta, e usalo per te stessa. D'accordo?»

Vorrei restare qui, ad ascoltare le sue parole, per sempre.

«Ci proverò,» gli prometto, alla fine. «Ci proverò.» La sola idea di studiare, di nascosto, astrofisica mi emoziona e terrorizza allo stesso tempo. Soprattutto perché sarà un segreto solo mio, di Thymós e mia madre. Non potrò dirlo nemmeno a Hermes.

«Girati, Aphrodite. Guardami, per favore.»

Obbedisco. Le sue iridi marroni sono dolci, e la sua bocca si distende in un sorriso abbozzato. «Andrà bene. Andrai sulla luna. Vedrai le stelle. Diventerai un'astrofisica incredibile. Sarai tutto ciò che vuoi.»

Mi mordicchio il labbro. Non sono abituata a sentire così tante parole dolci in una sola giornata. Prima mia madre, poi lui. Annuisco e basta, perché se provassi a replicare, non riuscirei a contenere la commozione.

Lui risponde con un cenno, simile al mio, e si allontana. Sul letto ci sono i suoi soliti vestiti, più un paio di boxer. Non gli stacco gli occhi di dosso nemmeno quando fa cadere l'asciugamano e comincia a vestirsi.

«E, comunque, dovremmo parlare seriamente con i tuoi fratelli. Questa situazione delle guardie del corpo è ridicola.»

«Sei offeso perché pensi che non ti ritengano abbastanza bravo da potermi proteggere da solo?»

«Sono incazzato perché ci ronzano sempre attorno, e con loro presenti io non posso strapparti i vestiti di dosso e affondare la faccia tra le tue gambe, Daisy,» mi corregge, lanciandomi un'occhiata furente. Sembra quasi un bambino e mi fa ridere.

Si infila le scarpe e le allaccia in tempo record, per poi controllare velocemente che in camera sia tutto a posto. Raccoglie l'asciugamano da terra e lo piega, solo per metterlo dentro la cesta dei panni sporchi. Il gesto mi fa sorridere. Io li butto dentro alla rinfusa, lui sembra cercare con disperazione l'ordine.

«Prima di andare...» Si avvicina a me come un felino che studia la sua preda, e i suoi occhi percorrono la mia intera figura, da capo a piedi. Con la mano destra mi afferra la coda e se la rigira attorno alle dita, per poi tirare e farmi inclinare il capo.

L'altra mano vola in basso, e mi sfiora la coscia. Si insinua sotto la gonna e tasta, piano, fino ad agguantare il mio intimo. Sorride. «Anche queste spariranno. Diamo il tempo a tuo padre di romperci i coglioni con le sue scenette da megalomane, e te le tolgo in un secondo.»

Una scarica di adrenalina mi fa venire la pelle d'oca. Inarco la schiena, alla ricerca di un contatto maggiore con lui, e sporgo il bacino in avanti, trovando la patta dei suoi pantaloni. «Abbiamo ancora dieci minuti,» sussurro, a stento, già annebbiata dal piacere che so che potrebbe darmi.

La sua mano si sposta, andando sul mio fondoschiena. Il palmo si scontra con il mio gluteo, facendomi sobbalzare in avanti, contro la sua erezione. Muove le dita sulla mia pelle e afferra la stringa sottile del perizoma, sembra quasi che voglia applicare pressione per strapparla. La lascia andare e ritorna davanti. Cogliendomi di sorpresa, sposta il tessuto degli slip e sfrega il dito sulla mia entrata.

«Come ti ho già detto...» mormora, il pomo d'Adamo si abbassa. È in difficoltà quanto me. «Non sei una che merita una botta veloce. Devi prenderti tutto il tempo degli altri. E, di sicuro, avrai il mio.»

Quando allontana la mano e mi risistema la gonna, mi scappa un sospiro di frustrazione. Thymós reagisce con una risatina flebile e mette una distanza più consona tra noi due, per poi darmi un buffetto sulla guancia. «Andiamo, sacca di soldi ambulante.»

Attraversiamo il corridoio in silenzio, e ai piedi delle scale sento una porta aprirsi. Il mio gemello, con un completo viola ma senza camicia sotto, cammina a passo svelto e il respiro accelerato. Non indossa nemmeno i calzini, è a piedi nudi.

«Eccomi, ci sono, eccomi!»

«Che fortuna,» risponde Thymós. L'ironia nel suo tono di voce è palese, così come la punta di affetto che ci ha messo.

Si sta abituando a noi. Si sta affezionando.

Herm gli porge il pugno e la mia guardia del corpo lo accontenta, facendoci scontrare il suo. «Sei umido, Termos. Lottavi con l'acqua del mare per avvertirla di non agitarsi troppo? Non sia mai che arrivi uno tsunami e faccia del male ad Aphrodite.»

Thymós gli afferra la nuca e lo spinge in avanti. «Smettila una buona volta e andiamo a vedere cosa vuole tuo padre. Gli altri saranno già tutti lì.»

Le porte della sala da pranzo sono spalancate, e Thymós aveva ragione: mancavamo solo noi. Crono se ne sta in piedi, al lato del tavolo, con un completo semplice e una cravatta cremisi. I suoi occhi si illuminano quando mi vede. «La mia bellissima figlia.»

«Grazie, papino,» risponde Hermes.

Apollo abbassa il capo e ride in silenzio.

«Accomodatevi. Thymós, chiudi le porte per favore,» interviene mia madre.

Mentre lui fa come gli è stato chiesto, io e Hermes ci sediamo. Lui, alla sinistra di Hades, davanti a me. E io alla destra di mia madre, a capotavola. La sedia libera al mio fianco striscia sul pavimento, e il profumo di fresco di Thymós mi stuzzica le narici. Ogni spostamento d'aria che provoca, fa reagire il mio corpo di conseguenza.

«Ieri notte sono partito per consultarmi con degli amici che fanno dei lavori... particolari, visto che la polizia non ci sarebbe utile,» comincia mio padre.

"Non ci sarebbe utile" è un modo alternativo per dire che non può far entrare la polizia in quest'isola.

«Volevo un consulto per capire come fermare questi omicidi, prima che arrivino ad Aphrodite. Non siamo sicuri al cento per cento che lo scopo sia ucciderla, ma anche un dieci per cento basterebbe a mobilitarmi.»

Si avvicina al suo posto, dove solo ora noto esserci un fascicolo accanto al piatto. Lo apre e gli dà un'occhiata disinteressata, per poi sbatterlo di nuovo sul ripiano.

«Stando alle analisi dei nostri medici, l'allucinogeno somministrato ad Aphrodite la sera del suo compleanno, è la stessa tossina rilevata nei corpi delle vittime precedentemente uccise.»

Gli unici ad avere una reazione immediata sono Apollo e Athena. Mia sorella prende la parola. «Quindi... sono davvero omicidi o dei finiti omicidi?»

«Diciamo che è molto probabile che i drink delle ragazze vengano drogati con potenti allucinogeni, in quantità così elevate da portarle al delirio. L'assassino si avvicinerebbe a loro, mentre sono in preda alla follia, spingendole a suicidarsi. Per avere la coscienza pulita. Almeno, questa è un'ipotesi,» spiega Crono. «I medici stanno cercando negli altri cadaveri dei segni che indichino che sono morte per mano loro. È difficile da stabilire. La ragazza impiccata nei bagni dell'Heavenly potrebbe confermare la prima teoria: l'assassino l'ha convinta a impiccarsi o l'ha ingannata, giocando sulle sue allucinazioni visive.»

D'improvviso, mi passa qualsiasi voglia di mangiare. Sento lo stomaco attorcigliarsi in una stretta dolorosa. Essere a digiuno dall'ora di pranzo è l'unica nota positiva. A meno che non rigetti i succhi gastrici, direttamente.

«C'è un dettaglio in più, che ho deciso di condividere solo ora con voi per spiegarvi il perché della decisione che è stata presa questa mattina.» Mio padre punta gli occhi ambrati su di me.

«Quale dettaglio?» chiedo, impaziente. «E perché solo ora?»

Il mio tono arrabbiato non gli piace. «Aphrodite, non sono tenuto a condividere con una ragazzina i dettagli di questi omicidi. Non ti riguardavano.»

«Stanno uccidendo le mie dipendenti! E probabilmente vogliono arrivare a me! Come può non riguardarmi?»

Crono non batte ciglio, mantiene un'espressione calma. «Cosa sarebbe cambiato se te lo avessi detto tempo fa? Nulla. Sono state informate solo le persone di competenza, e tu non sei fra quelle Aphrodite. Smettila di sopravvalutarti!»

Mi mordo l'interno guancia per non urlare. Vorrei corrergli incontro e strangolarlo. O rubare una delle pistole di Thymós e sparargli.

«Dunque, possiamo procedere o no?» chiede Apollo.

A rispondere è mia madre, alla mia sinistra. Ha un tubino nero e i capelli legati in uno chignon stretto, che rendono il suo viso più austero. «Dopo il ritrovamento di ogni vittima, questa veniva lasciata nella sala operatoria del nostro medico, Cuspiael, a seguito della visita. In attesa che il loro corpo venisse restituito. Quello che è sempre accaduto... è che qualcuno, di notte, si infiltrava lì dentro e deturpava i volti delle ragazze.»

«Staccava loro la faccia,» mormoro. Tutti gli occhi si puntano su di me. Ma io penso solo a quei visi umani appesi alla siepe del labirinto, a fare da sfondo al campo da gioco.

Crono riporta l'attenzione su di sé stappando la bottiglia di vino e versandosene un bicchiere abbondante. «Esatto. I visi delle ragazze venivano... asportarti, se così vogliamo chiamarlo, lasciando tutto il resto intatto. L'assassino si prende il cuore subito, ma il viso dopo.»

Perché?

«Affascinante,» commenta Apollo a bassa voce. Il silenzio, però, rende la parola ben udibile.

Athena lo fissa con la fronte corrugata. «Sei matto?»

«Sempre detto che c'è qualcosa di inquietante in lui,» borbotta Thymós.

Prima che possa nascere una discussione idiota, alzo la mano. «Dunque, di cosa sono morte le ragazze? A parte Rodie, impiccata al soffitto e Rochelle, a cui hanno sparato perché ha rovinato il gioco.»

Crono si avvicina alle seconde porte della sala, e temo che debba ancora avvenire l'evento più importante. «Alcune avevano il collo rotto, altre la giugulare recisa.»

«Una persona non può rompersi il collo da sola,» interviene Athena. «La giugulare, con un po' di coraggio, se la può tagliare. Ma il collo...»

«A meno che non abbia saltato da qualche altezza,» la interrompe Crono. «Sempre sotto suggerimento di qualcuno. O magari erano così drogate che lo hanno fatto di loro spontanea volontà. L'unico fatto certo è che sono tutte state drogate. Pensavamo che fossero solo le solite pasticchette che i clienti dell'Olimpo prendono, tra un gioco e l'altro, tanto per divertirsi. Ma il fatto che fosse la stessa sostanza nel corpo di Aphrodite, cambia le carte in tavola.»

C'è un particolare in più. Il bicchiere da cui ho bevuto io era un bicchiere da martini, a forma conica rovesciata, con un liquido rosato dentro. È... «Stanno drogando i drink del mio stesso locale. Per la precisione, il drink che porta il mio nome. Aphrodite,» dico a voce alta.

«L'assassino gira per il suo locale, indisturbato?» sibila Thymós, la mano sulla sua coscia si serra in un pugno. Le nocche diventano così bianche che vorrei dirgli di calmarsi.

«Un'altra mancanza nel tuo lavoro da guardia del corpo,» lo provoca Athena, a braccia conserte.

Thymós si sporge oltre il tavolo, già furente. È la vittima perfetta di mia sorella. Ha trovato qualcuno più irascibile di lei. «Come faccio a scovarlo se non so che cazzo di faccia ha?»

«Thymós, sei pregato di rivolgerti in modo più educato a mia figlia,» lo riprende Crono. «Capisco che Athena possa essere snervante e a tratti insopportabile, ma non mancarle di rispetto.»

«A tratti...» scimmiotta Hermes. «Sarà un palo nel culo anche da dentro la bara.»

Athena alza gli occhi al cielo, ma il suo scontro con Thymós è stato placato sul nascere.

«È difficile trovare qualcuno di cui non sappiamo nulla,» riprende Crono. Le porte alle sue spalle scricchiolano, iniziando ad aprirsi, piano. «Motivo per il quale ho deciso di anticipare il Ballo D'Estate. Da agosto, passerà a luglio. Massimo nove giorni per avvisare gli invitati e assicurarci che venga curato nei minimi dettagli.»

Mia madre risponde alle nostre domande silenziose. «L'assassino non può mancare a un evento del genere. Con la confusione che si creerà, attaccare sarà un gioco da ragazzi. Noi chiuderemo ogni entrata dell'isola e organizzeremo un gioco, a cui verrà invitato l'assassino stesso. Si farà vivo.»

La loro totale fiducia in questo piano mi preoccupa, perché ogni cosa potrebbe andare storta. E se non si presentasse? Se fosse uno dei collaboratori di Crono e avesse tutte le informazioni? Mio padre lo avrebbe scoperto, probabilmente. O lui, uomo che non si fida di nessuno, o uno dei suoi investigatori privati.

«Nel frattempo... Anche il corpo di Rochelle ha subito un tentativo di deturpazione, nella sala di Cuspiael.» Crono ghigna, nonostante ci stia parlando di cose macabre. «In realtà, non lo abbiamo trovato, una volta spento l'incendio. Le fiamme devono averlo divorato. Ma noi abbiamo finto di averlo recuperato intatto, e lo abbiamo portato fuori dentro una barella coperta, in modo da imbrogliare l'assassino. Di sicuro stava osservando il suo operato.»

Dalla porta ormai spalancata, due uomini grossi, addetti alla sicurezza, stanno trascinando dentro una persona incappucciata. Indossa degli abiti semplici e stropicciati, e oppone resistenza. Mugola delle lamentele, ma deve avere qualcosa a tappargli la bocca.

«Qualcuno, l'altra notte, è stato beccato nella sala di Cuspiael, dove abbiamo messo l'esca.»

Il fatto che tutta la nostra famiglia sia qui è un grande sollievo. Chiunque ci sia sotto quel cappuccio, non è una persona che amo.

Crono gli scopre il capo, afferrando il cappuccio nero come se fosse qualcosa di disgustoso.

«Eros?» esclama Hermes.

Il viso di Eros è tumefatto, peggio delle condizioni in cui ho trovato Thymós dopo il labirinto. È deforme, pieno di lividi e con entrambi gli occhi mezzo chiusi. Ma è lui. Come potrei non riconoscere il mio migliore amico, colui che ho sempre reputato al pari di un fratello?

Nella sala, il silenzio fa rabbrividire più del suono di unghie che grattano contro una lavagna.

«Abbiamo trovato questo idiota, esatto,» ci informa Crono. Il suo volto è distorto dalla delusione. Mio padre ha sempre ammirato Eros, e lo ha sempre trattato meglio di tanti altri dipendenti. «Non aveva lame addosso. Però, qual era il motivo di andare a sbirciare il corpo di Rochelle, se non perché legato al killer?»

Eros non fiata.

«Aspetta,» Athena scatta in piedi, «legato al killer? Non è lui il killer?»

«Affatto. Abbiamo esaminato i filmati delle varie telecamere che ci sono in giro per l'isola. Purtroppo, ci sono punti ciechi e al sicuro dal nostro controllo. È lì che avrà agito l'assassino. E stando alla ricostruzione degli eventi, nelle fasce orarie in cui sono avvenuti gli omicidi abbiamo filmati di Eros in cui sta facendo altro. Ha un alibi di ferro.»

«Allora perché lo hai ridotto così? È innocente!» lo difendo. La sola visione del mio amico in queste condizioni mi fa mancare il fiato. Non prova a difendersi, nemmeno quando gli levano la benda dalla bocca.

«Non è innocente. Lui sa qualcosa, ma non vuole dircelo.» Crono accompagna la frase dandogli un calcio sulla testa. Eros crolla di lato, senza potersi poggiare sulle mani, legate dietro la schiena. Sbatte il viso con violenza sul pavimento. Credo che stia provando così tanto dolore da non riuscire nemmeno a lamentarsi.

Mi metto in piedi ancora prima di poterci ragionare. Thymós prova a bloccarmi, ma io lo scanso con un'agilità che non ho mai avuto nella mia vita. Corro incontro a Eros, e Hermes mi è a fianco in un istante. Lui non si inginocchia, però, anzi, sembra credere alla versione di mio padre.

«Eros...» sussurro. Non capisco se ricambi il mio sguardo o se sia perso nella sua testa. «Ti prego, dimmi che sei innocente.»

Non può c'entrare lui con gli omicidi. Non può essere il collaboratore.

«Non c'entro... nulla...» biascica a fatica. Una lacrima gli scorre in viso. «Sono andato a controllare Rochelle quando ci hai raccontato dei visi. Volevo avere una... conferma.» Le parole escono lente, forse per farcele capire bene senza doversi ripetere.

«Conferma di cosa?»

Non risponde. Dubito per il dolore. Sta omettendo qualcosa. Il suo sguardo si posa oltre la mia figura, e solo ora mi accorgo che Thymós mi ha seguito. Qualcosa cambia nell'espressione di Eros, sbatte le palpebre con forza e ricomincia a piagnucolare.

Mi volto verso la mia guardia del corpo. Sembra incazzato. Incazzato come qualcuno che è stato appena accusato? O scoperto?

No, non è Thymós. Non è lui. Ho avuto un'allucinazione mentre ero drogata, ma le allucinazioni non sono premonizioni.

Forse, però, rappresentano le paure più recondite della nostra mente...

No.

«Portatelo via. Lo tortureremo fino a quando non dirà qualcosa di utile.» Crono sventola la mano per aria come a volersi liberare di un moscerino.

I due uomini afferrano Eros come se fosse un sacco della spazzatura e lo trascinano via, fuori dalla sala da pranzo. Devo combattere con il desiderio di rincorrerli e aiutarlo. Non riesco a credere che sappia qualcosa.

Hermes è così scioccato da essere immobile, nella stessa posizione, da minuti. Sbatte appena le palpebre e sembra in trance. Intreccio le mie dita alle sue, nel tentativo di risvegliarlo e dargli conforto. Lui non reagisce.

«Come fa a essere certo che non sia proprio Eros l'assassino?» domanda Thymós.

  Crono fa spallucce. «Non ne sono certo, ma la probabilità è bassa. Eros non mi mentirebbe. Una volta ridotto in questo stato, avrebbe confessato.»

«Lo scopriremo durante il Ballo D'Estate. E, ancora prima, il prossimo venerdì. Se morirà un'altra ragazza, sapremo già che Eros è innocente come sospettiamo,» conclude Rea. Lei non si è mossa, e regge il suo calice di vino, impassibile a tutto.

Finalmente, Hermes si riprende. Non dice nulla, e io lo guido fino al tavolo per aiutarlo. Anche Hades, Apollo e Athena sembrano sconvolti dalla situazione con Eros. Eros era amico di tutti noi. Non può averci traditi in questo modo.

Prima che possa ritornare al mio posto, Herm mi afferra il polso e si avvicina per sussurrarmi all'orecchio: «Hai visto come Eros ha guardato Thymós?»

Sì, l'ho visto. Ma non posso credere a questa ipotesi. «No.» Mi allontano con le gambe molli e quasi crollo sulla sedia, tanto che mia madre mi rivolge un'occhiata preoccupata.

Thymós mi sta venendo incontro, ma Crono lo blocca. «Ultima questione della serata. Thymós?»

La guardia del corpo si ferma, ma non si gira a guardarlo. Incontra i miei occhi. «Sì, Signore?»

«Hai toccato mia figlia?»

La domanda suona come uno schiaffo in pieno viso. Emetto un verso strozzato, e ad Apollo cade il bicchiere di mano, andando a frantumarsi a terra.

Nella tensione creatasi, Hermes interviene a bassa voce, solo per farlo sentire a noi. «Sarebbe meglio specificare con cosa, perché secondo me lo ha fatto con le mani, la lingua, il caz...»

«Smettila,» lo sgrida Rea. E capisco subito che lei vuole difendere me e Thymós.

«Voltati, Thymós, e dimmi la verità. Ora,» grida Crono, il viso paonazzo per l'ira.

Thymós obbedisce. «Signore.»
«Hai toccato mia figlia?»

Thymós annuisce. «Sì, Signore. Per proteggerla è inevitabile che, a volte, i nostri corpi entrino in contatto.»

Crono sghignazza, in uno dei suoi soliti sbalzi d'umore. Ridacchia in modo inquietante, scuotendo la testa. La risata scema in un sospiro stanco. Dalla tasca interna della giacca estrae una pistola.

Thymós alza le mani in aria.

Crono gliela punta contro, prende la mira e spara.

🌸

In Game of Gods e Game of Titans la mela aveva un significato. In Game of Chaos le ciliegie un altro (sto cercando di non fare spoiler okk). In Game of Desire, il bicchiere in copertina... questo 🤚🏻

Letteralmente la mia cronologia google: "droghe pesanti" "allucinogeni potenti" "parti del telescopio" "tempo morte per impiccagione" "tempo morte per annegamento"
Mi arriverà la polizia a casa

Manca poco a svelare il killer e tutta la storia che c'è dietro 💃🏻
Avete sempre sospettato di Eros, ma posso garantirvi che lui è innocente 🧑🏻‍🦲

È da due capitoli che voglio far scopare sti poveracci ma non mi sembra mai il momento giusto
Vabbè, il prossimo sarà la volta buona

La prossima settimana salto l'aggiornamento e pubblico solo il 18 di game of chaos perché non ho tempo🙏🏻 (tanto so che vi piace di più goc quindi no big deal)

Grazie per leggere GoD💘
Have a nice life🌸

Instagram: cucchiaia
Tiktok: cucchiaiaa

Bạn đang đọc truyện trên: Truyen247.Pro