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10 - Dolore e Conforto


"La credenza che le comete potessero preannunciare eventi catastrofici nacque nel 44 a. C. quando fu assassinato Giulio Cesare. In quell'occasione venne invocata la manifestazione dell'anima di Giulio Cesare che, secondo le credenze dell'epoca, si realizzò nel mese di Luglio con l'apparizione di una cometa. Gli inglesi, invece, subirono una rovinosa sconfitta ad opera di Guglielmo il Conquistatore e considerarono fatale l'apparizione della cometa di Halley nel 1066."

— It's a need, It's a need
I would go anywhere that you lead
I am hopeless,
breathless,
burning slow
Touch me, hold me,
tell me, "I won't let you go"
I won't leave, it's a need





Osservo i due bicchieri davanti a me. Il liquido all'interno è identico. Non c'è nulla che possa far capire quale dei due sia drogato.
Come dovrei fare per vincere il gioco?

Prendo in mano quello a sinistra, scrutandolo con attenzione. «Cosa stai facendo? Scegline uno e andiamo!» mi aggredisce Rochelle, in evidente stato di psicosi.

La ignoro e continuo a studiarlo. Percorro lo stelo e mi fermo al piedino, il fondo che gli permette di poggiarsi. C'è un quadratino bianco, così piccolo da poter essere visto solo da vicino. È incollato al vetro, ma lo stacco con facilità.

Non è un semplice pezzo di carta minuscolo, ma un foglietto più grande, che dispiego con le dita tremanti. C'è una scritta: bicchiere non drogato.

Che cosa?

Lo riattacco alla coppa, per non confonderli e vado a controllare anche l'altro. C'è lo stesso identico pezzo di carta, ma la scritta è: bicchiere drogato.

Rochelle osserva le due etichette sui bicchieri. «È una presa per il culo, vero? Non è possibile che ci abbiano dato una soluzione così facile. Forse non si aspettavano che avremmo guardato, ma mi sembra strano.»

«Pure a me.»

Non può essere finita così. Mi sposto dalla sedia e mi inginocchio a terra, fra l'erba, andando sotto il tavolino. Rochelle lancia un'esclamazione sorpresa, mentre tasto con le mani sotto il ripiano del tavolo. Non c'è nulla. Maledizione.

Ma... Ci sono ancora le nostre sedie. Sotto la mia, infatti, trovo una busta nera. «Rochelle, controlla la tua sedia. Guarda se anche tu hai una busta.»

Lei obbedisce, seppur confusa, e io comincio a scartare la mia. Un altro foglio, in cartoncino spesso, e del medesimo colore della busta. Il contenuto mi lascia ancora più stupita di prima.

«Anche io ne ho una! Però, bianca.» Rochelle si rimette seduta. Ha aperto la sua e sta leggendo, senza aspettare un secondo in più. Vedo la speranza nel suo viso affievolirsi, mentre gli occhi scorrono sul foglio. «Non c'è nulla. Non c'è scritto niente!»

Aggrotto la fronte e le faccio cenno di voltare il foglietto. Quando lo fa, ne ho la conferma. Bianco. Immacolato. Nessuna traccia, nemmeno una lettera o un segno. Un marchio qualsiasi.

«E la tua?»

Nella mia c'è scritto tutto quello che non c'è scritto nella sua. Con un avvertimento iniziale: Questa busta è pensata solo per chi avrà la fortuna di sedersi sulla sedia giusta. Puoi scegliere di condividere il contenuto con l'altra persona, oppure puoi essere una persona egoista e salvarti.

Di seguito: Regole del gioco. Uno, le etichette sotto i bicchieri dicono la verità. Due, l'allucinogeno impiegherà due minuti a dare i primi segni, e l'effetto sarà intenso ma durerà mezz'ora. Tre, il bicchiere non drogato, però, porta inevitabilmente alla morte. 

Non ho idea di cosa significhi, ma decido comunque di condividerlo con Rochelle. Lo sbatto sul tavolo e lo spingo fino a lei, che legge avidamente senza emettere un fiato. Terminata la lettura, mi punta i suoi occhi addosso.

«È uno scherzo?» domanda, come se fossi io l'ideatrice del gioco. «Vogliono farci credere che il bicchiere non drogato sia più pericoloso di quello drogato?»

«Avrebbe senso,» le dico. «Perché quello drogato provoca allucinazioni. Un effetto... "da niente". Sappiamo cosa c'è dentro. Nel bicchiere non drogato, però, sappiamo solo che non c'è l'allucinogeno. Ma non sappiamo cos'altro contenga. Non è detto che sia un drink totalmente normale.»

Per qualche istante, lei sembra riflettere sul mio ragionamento. Non ho nemmeno il tempo di pensare di averla convinta, che Rochelle emette un verso disperato. «No, è impossibile. Non ha senso. Non ha...»

Accade in fretta. Rochelle comincia a delirare, vedo l'ansia del momento farle aumentare il respiro e gli occhi spalancarsi sempre di più. Scatta in piedi, guardandosi attorno, come se l'ideatore del gioco fosse qui vicino e ci stesse osservando. Cosa che non escluderei, in effetti.

«Rochelle, per favore, calmati. Siediti e discutiamone...»

«Non c'è tempo! Voi Lively avete sempre una scappatoia, vero? Trovala!» mi grida contro. «Trovala! Me lo devi! Devo uscire salva da qui, io volevo solo un lavoro e mettere da parte i soldi e...»

La sua mano scatta verso i bicchieri. Le urlo di fermarsi, ma lei strappa via le etichette e le butta a terra. Afferra entrambi i bicchieri, e io la blocco per il polso. Ma poi ragiono sul fatto che se facessimo rovesciare il contenuto anche di uno solo, probabilmente il gioco salterebbe e moriremmo entrambe. La lascio fare, contando sulla speranza di farla ragionare.

Rochelle comincia a camminare, con i calici in mano. Ride. Come una pazza. «Ehi, stronzo. Ci vedi? Il gioco non vale più! Ho tolto le etichette. È finita!»

Non arriva alcuna risposta. Non c'è nessun movimento, attorno a noi, se non quello di una folata di vento che scuote l'erba della siepe più vicina. Nel mentre, il tempo scorre. E il labirinto rischia di bruciare, uccidendo tutti.

«Rochelle, metti il culo sulla sedia e poggia quei cazzo di bicchieri,» le ordino.

«Va bene,» esclama lei, ancora in preda al delirio. La paura ha preso il sopravvento. «E se rovesciassi il contenuto?» continua, a voce più alta. «Mi senti? Se lo rovescio sull'erba, cosa fai? Annulli il gioco?»

Ci farà ammazzare. Questa idiota ci farà crepare entrambe. «Rochelle, siediti e troviamo una soluzione. Stiamo perdendo tempo!»

Lei, finalmente, si degna di guardarmi. Un sorrisetto cattivo le incurva le labbra e si avvicina a me, poggiandosi contro il ripiano del tavolino. «Aphrodite, perdonami, ma non mi fido di te.»

«Non ti fidi di me?»

«Se ci fosse Athena, al tuo posto, potrei anche affidarmi a lei e alla sua intelligenza. Ma... tu?» Mi sbeffeggia, gli occhi illuminati dalla follia. «Sei brava solo a scoparti ragazzini ricchi per soldi e ballare nel tuo locale, ubriaca marcia ogni notte. Come diavolo speri di trovare una soluzione a questo gioco?»

Ogni parola è un pugno in faccia. Sono così sconvolta da non riuscire ad aprire bocca.

«Sei stupida, sei stupida! Solo bella! Non puoi risolvere...»

Invece che terminare la frase, capovolge il bicchiere nella mano sinistra e ne rovescia il liquido rosa sull'erba.

Spalanco la bocca. Il mio cuore perde un battito. Vorrei metterle le mani al collo e ucciderla io stessa, se solo non avesse ancora l'altro nella destra. «Rochelle!»

Non accade nulla. Possibile che il gioco continui lo stesso, senza le condizioni iniziali di partenza?

Approfitto del momento in cui Rochelle si sta guardando attorno, in attesa che il killer intervenga, e le strappo di mano l'altro bicchiere. Un po' del liquido cola fuori e mi bagna la pelle, ma riesco a salvarlo.

Lei si volta con uno scatto, inferocita. «Ridammelo, oppure...»

Un proiettile le trafigge il petto.
Veloce.
Rumoroso.
E improvviso.

Una chiazza di sangue comincia ad allargarsi sul tessuto del vestito che indossa, talmente rapida che capisco all'istante di non poter fare nulla. Rochelle ansima, emette dei versi strozzati, e mi fissa con gli occhi che stanno per uscirle dalle orbite.

Crolla di lato sull'erba.
Lo spavento è così intenso che per il mio cuore si ferma. Mi inginocchio a terra, tentando di spostarla a pancia in su. Ha ancora gli occhi aperti, rivolti al cielo. Una lacrima le scivola da quello sinistro.

Premo due dita sul suo polso. Non c'è battito. Mi è morta davanti, e sebbene sia tutta colpa sua, la realtà dei fatti è che è anche mia.

«Hai dieci minuti per completare il gioco.» È una voce robotica, forte, ma in qualche modo lontana. Non perdo nemmeno tempo a tentare di individuarne la provenienza.

Fisso il bicchiere rimasto. Non ricordo quale sia dei due, se quello drogato o quello "salvo". Ma non ho scelta, giusto? Devo berne il contenuto e basta. Scoprirò solo dopo cosa significa che quello non drogato porta alla morte.

Lo prendo in mano e mi alzo. Se è quello drogato, ho due minuti per trovare la strada nel pieno delle mie facoltà. E devo sfruttarlo. Bevo in due sorsi e lo lancio a terra, do una spinta in avanti e inizio a correre.

Le luci che erano state messe per potersi addentrare senza perdersi sono sparite. Se avessi tempo, mi fermerei a tastare fra le siepi per vedere se sono state solo spente o tolte direttamente. Ma è troppo buio, e le pareti del labirinto sono masse rettangolari e oscure.

Continuo a correre, e davanti a un bivio scelgo di girare a sinistra. Finisco in un vicolo cieco. Torno indietro, vado a destra. Ma ho fatto pochi metri, e mi trovo tre strade diverse da cui procedere. Se esco da qui, insieme agli invitati, faccio bruciare io stessa questo labirinto di merda. Ha solo creato problemi e continua a farlo.

Non ho nemmeno il telefono. Non ho un orologio al polso. Non posso tracciare il tempo che scorre.

E non sono una persona atletica. Bastano altri passi per farmi risalire il cuore in gola e costringermi a rallentare, complice anche lo spavento. La musica, al centro del labirinto, è forte. Mi arriva chiaramente. Se provassi a urlare, sprecherei fiato. Nessuno mi sentirebbe. A meno che Thymós non si sia già addentrato qui e mi stia cercando.

Provo a riprendere la corsa. La gola mi brucia come se andasse a fuoco. Sbaglio di nuovo strada e mi ritrovo un vicolo cieco. Ritorno indietro, ormai sudata da far schifo, e opto per un'altra via. Dopo pochi secondi, mi sento mancare la terra da sotto i piedi.

Sono di nuovo al punto di partenza del gioco. Davanti al tavolo con le due sedie e con il corpo di Rochelle a terra.

Scatto come un fulmine, nonostante mi senta quasi svenire per lo sforzo. E mentre percorro quella che mi sembra una nuova strada, due mani mi afferrano per i fianchi.

«Aphrodite!»
È la voce di Thymós.

La mia schiena si scontra con il suo addome duro. Potrei scoppiare a piangere dalla gioia. Mi volto all'istante, e non appena vede la mia espressione sconvolta, si preoccupa. «Cos'è successo? Dove sei finita? Perché sei entrata qui da sola?»

«Il killer! Mi ha attirata qui per un gioco. Dobbiamo tornare alla festa e far evacuare tutti, prima che il labirinto prenda fuoco!»

Thymós mi guarda come se fossi matta. «Aphrodite...»

«Andiamo! Forse mi hanno drogata, tra poco cominceranno le allucinazioni.» Mi libero dalla sua presa ma lo afferro per il polso, tirando per farlo muovere.

Thymós non si sposta di un centimetro. Continuo a forzare, ma lui sbuffa e mi aggancia l'avambraccio, riattirandomi a sé. Con il braccio libero, mi avvolge la vita. «Ferma.»

D'un tratto, il suo tono è freddo e distante. Ben diverso dal modo in cui si è sempre rivolto a me. «Thymós?»

«Purtroppo, Rochelle non ti ha detto una cosa... Che al gioco partecipa anche il killer, e che può intralciarti il percorso,» sussurra contro il mio orecchio.

Mi pietrifico. Prima reazione istintiva.

Poi faccio un balzo in avanti, per coglierlo di sorpresa e liberarmi. Non serve a nulla. Mi prende senza sforzo e mi fa sbattere con irruenza contro di sé. «Dove credi di andare, Aphrodite?» cantilena.

«No, no, no, no...» comincio a ripetere, come una cantilena. «Non è possibile. Non sei tu il killer. Non sei tu...»

Lui mi scoppia a ridere in faccia. «Perché, no? Perché sono la tua guardia del corpo e ti ho leccato la figa fino a farti venire un orgasmo? Forse ha ragione tuo padre e sei davvero una stupida cretina.»

La violenza delle sue parole fa più male della sua stretta attorno al mio corpo. La sua mano si insinua sotto l'orlo del mio vestitino, sfiorandomi la coscia e risalendo fino all'inguine.

«Non pensavo che sarebbe stato così semplice ucciderti,» mormora. «Temevo di dover completare tutte le lettere del tuo nome, con le tue ballerine del cazzo. E invece, eccoti qui...»

Quando mi sfiora l'elastico delle mutandine, mi risveglio e mi ricordo di cosa sta accadendo. Gli schiaffeggio la mano e lui non riprova a sfiorarmi. «Non mi toccare! Levami le mani di dosso!»

Ma, in cuor mio, continuo a non crederci. Non è possibile.

«Peccato che debba ucciderti prima di essere riuscito a scoparti,» riprende, in tono dispiaciuto. «Mi sarebbe piaciuto vederti a gambe spalancate, Aphrodite.»

«Thymós, non... Non...»

«L'unico modo per uccidere un Lively è ottenere la sua fiducia. E quale fiducia più grande si può riporre se non in una guardia del corpo?»

Scuoto la testa con forza e tento, di nuovo, di liberarmi. Thymós sbuffa e avvolge il braccio attorno al mio collo, tenendo l'altro in vita. Stringe per qualche secondo, facendomi mancare il respiro.

«Proteggerti mi dava un bel guadagno... Ma ucciderti me ne darà uno maggiore.» Allora è per questo. Sempre e solo soldi. Ma chi è che gli ha commissionato di uccidere uno di noi? Chi ce l'ha con mio padre, se la prende sempre e solo con lui. «Niente di personale, Aphrodite. Ho un padre malato che necessita cure costose.»

«No!» grido con tutto il fiato che mi è rimasto in corpo. Scalcio e mi dimeno, invano, perché ogni parte del mio corpo sembra diventare malleabile come plastilina. Non ho più energie.

«Cosa farai, adesso? Piangerai? Mi supplicherai di risparmiarti la vita? Ti concedo un minuto. Un ultimo minuto di vita. Scegli cosa vuoi farne.»

È inutile contestare. È inutile ribattere o appellarmi a una morale che, evidentemente, non ha. Non gli importa di me e non gli è mai importato. Non posso cambiare l'ultima pagina della storia, ma posso decidere come arrivarci.

Tiro il mento in su, calmandomi. Devo recuperare le forze. «No, non piangerò. E non ti supplicherò. Io non supplico. Io non piango. E, soprattutto, non sono la stupida che voi coglioni mi reputate!»

Io lotto.

Mi affido al mio braccio buono, il destro, e scarico in lui le ultime briciole di forza che mi sono rimaste. Carico il colpo e gli do una gomitata sull'inguine, prendendolo in pieno.

Thymós geme e si piega all'indietro, allentando la presa. Un solo sforzo... e riesco a liberarmi.

Cado in avanti, però. Le gambe non mi reggono. E le mani sembrano affondare nell'erba, come se fossero sabbie mobili. «Che cazzo...» impreco.

«Questo non avresti dovuto farlo,» ringhia Thymós, alle mie spalle.

È a terra pure lui, le mani sul basso ventre e i suoi occhi azzurri sono iniettati di rabbia.

Sbatto le palpebre.

Azzurri?
Thymós ha gli occhi castani.

Sbatto le palpebre di nuovo. Ora sono bianchi. Ripeto l'azione. Cambiano colore una terza volta, diventando neri.

E il suo viso comincia a sdoppiarsi, rendendone ogni dettaglio sfuocato. Più lo guardo, più non sembra lui.

Attorno a me, le pareti del labirinto si muovono. Le siepi si allungano verso l'alto, così in alto che sembrano sfiorare la luna. Ma non è possibile. Non è realistico.

«Aphrodite...» cantilena Thymós. O chiunque sia.

Ora che lo guardo, sembra lui e al tempo stesso non è lui.

Sto avendo le allucinazioni. Ho preso il bicchiere drogato. Non so se esserne felice o se disperarmi. Quanto tempo mi manca? E chi è la persona che ho davanti?

Scivolo all'indietro e mi alzo in piedi, rea della scoperta che Thymós non è un traditore. Comincio a correre senza voltarmi indietro, sperando che lo sconosciuto non mi segua.

L'erba, sotto le mie scarpe, trema, dandomi un segno di vertigine da farmi quasi vomitare. Sbatto contro una siepe, e i rami mi graffiano un lato del viso, impigliandosi poi nei miei capelli. Il pavimento si ferma, ma sembra inclinarsi verso il basso.

È solo un'allucinazione. Non è reale. Devo proseguire. Niente di tutto questo è vero.

Mi libero dai rami e riprendo la corsa.

«Aphrodite,» mi chiama qualcuno alle mie spalle. «Vieni qui, Aphrodite, e fatti togliere quel bel faccino. Così la gente smetterà di dirti che sei solo bella!»

Strizzo gli occhi per non piangere. Svolto a sinistra e slitto contro un'altra siepe, graffiandomi il braccio. L'adrenalina mi scorre in corpo con un'irruenza tale che non sento più l'affaticamento per la corsa. Voglio andarmene da qui. Voglio uscire. Voglio salvare le persone dentro il labirinto.

«Aphry!»

Mi blocco. Alla fine della stradina, prima di una curva a destra, c'è la figura di mio fratello. Hermes. I riccioli biondi sono una massa scura ma ben visibile. L'unica cosa che identifico.

Mi getto a capofitto tra le sue braccia. «Herm! Dio, mi hai trovata!» Quasi piango come una bambina.

«Ti ho trovata, sì, dove diamine eri finita? Perché sei entrata nel labirinto da sola?»

«Mi hanno ingannata,» butto fuori velocemente, le parole che si sovrappongono e spero che le comprenda comunque. «Dobbiamo raggiungere gli altri...»

«Prima che appicchino l'incendio, sì,» conclude, risoluto. Mi prende per mano. «Andiamo, so la strada.»

Lo sto per seguire, quando ripenso alla sua frase. Prima che appicchino l'incendio. Oppongo resistenza e mio fratello si gira, confuso. «Come fai a sapere dell'incendio?»

Dapprima confuso, rinuncia alla farsa e ghigna. «Questa volta te l'ho resa più semplice. Forse non sei così stupida.»

Anche il suo viso si sdoppia, diventando un'accozzaglia di forme scure che non riesco a rimettere al loro posto.

Quando prova ad afferrarmi per bloccarmi, ormai esausta, mi rendo conto che non posso più appellarmi alla forza fisica. Non me ne resta alcuna. E nel mio momento peggiore, nonostante il caldo asfissiante, la paura e gli oggetti attorno a me che sembrano perdere corporeità, rievoco un ricordo.

Tutte le volte in cui ho spiato gli allenamenti in palestra di Hades, Athena e Apollo con i loro istruttori. Quelli a cui volevo partecipare pure io, quelli in cui dovevo nascondermi fino a quando qualcuno non veniva a cercarmi, sotto l'ordine di mio padre.

Mira alla gola. Un colpo netto con la mano.

Allungo la mano e colpisco mio fratello all'altezza del pomo d'Adamo. Lui emette un verso strozzato e arretra, il momento perfetto per permettermi di svignarmela.

Ormai sono lenta, i piedi mi pesano come se avessi dei pesi da cento chili legati alle caviglie. Ogni passo è una sofferenza, ogni respiro sembra raschiarmi la gola e darmi più dolore che ossigeno per andare avanti.

«Aphrodite! Aiutami!»
La voce di Athena. Straziata dal dolore.

Mi volto. Mia sorella è legata a una siepe, che sembra la stia risucchiando. Piange come non l'ho mai vista fare in vita mia. «Aiutami, Aphrodite! Ti prego, non lasciarmi qui! Sono reale!»

«Non sei reale!» strillo, tappandomi le orecchie. Perché, per quanto lo sappia, i miei occhi mi ingannano. Tutto ciò che vedo non sembra frutto di un'allucinazione spaventosa. È così reale che, mentre continuo a correre, vengo assalita dai dubbi. Tento di convincermi da sola. Athena non può essere lì. Athena non mi direbbe mai "sono reale", perché Athena non può sapere che sono stata drogata e vedo cose che non esistono.

La musica è sempre più forte.

Che sia un segno che sono vicina al traguardo o un'allucinazione sonora? Non so che tipo di droga ci fosse, lì dentro. Non so che tipo di allucinazioni dovrebbe scatenare. Non mi fido più di nulla. Nemmeno di me stessa.

Mi sento incorporea. Mi sento fluttuare. E poi mi sento sprofondare. Non so più di cosa sono fatta, non so più se il rumore dei miei passi sia vero o no. Non sono nemmeno sicura di starmi muovendo. Forse sono ferma. No. Cammino. Corro. Sfreccio più veloce di prima. La ferita sul braccio, causata dalla siepe, sanguina. La pulisco sul vestito. Ma non lo macchio. Il mio sangue è reale? Mi sono davvero ferita, prima? E se fossi ancora ferma al tavolo? Se non mi fossi mai spostata? E se non fossi dentro il labirinto? E se io non esistessi? Io esisto? Magari non sono mai nata. Magari non sono nemmeno Aphrodite Lively. Chi è Aphrodite Lively? Niente è reale. Nemmeno l'Olimpo. La mia vita è un'allucinazione. Nemmeno respirare è vero. Mi sento soffocare. Sto respirando? E se fossi morta? Non posso. O sì? Come faccio a sapere come ci si senta a non essere vivi? Sono mai stata viva? Non respiro. Non respiro. No, respiro. Sto respirando. Ho freddo. Adesso ho caldo. Soffoco di nuovo e mi sento morire. Spalanco la bocca. Cosa è reale? Di cosa posso fidarmi? Nulla è...

Una svolta a destra.
Davanti a me c'è la pista da ballo. Carica di persone. La musica mi perfora i timpani, non la sopporto, forse per colpa delle droghe. Non mi sembra vero.

È vero? O è un'allucinazione?
Mi manca il respiro. Sto per svenire.

«Aiuto,» sussurro. La voce mi esce gracida.

Un ragazzo incontra il mio sguardo, si muove a tempo e regge un bicchiere di birra. Sorride, incuriosito, ma qualcosa cambia all'istante. Devo avere l'aspetto di una matta.

Anche il suo viso si sdoppia. Come quello di Thymós. E di Hermes.
Oh, no. No. No. Non sono arrivata...

«È qui! Eccola!»

Tra la calca di corpi danzanti, cinque figure si fanno largo, sgomitando. A capo fila c'è Hades, seguito da Athena, Apollo, un Hermes ancora brillo ed Eros.

«Dove sei...» comincia Athena.

«Che cazzo ti è successo?» la interrompe Hades. Arriva per primo, prendendomi fra le sue braccia e stringendomi. Non riesco a reagire.

«Sta sanguinando in viso e sul braccio», sento dire da Apollo. Almeno, credo che sia la sua voce. 

«Aphrodite?» mi chiama qualcuno. Ma chi?

Un viso poco chiaro compare davanti a me e mi scruta. Qualcosa mi tira la palpebra dell'occhio destro. «Non vorrei sbagliarmi ma sembra sotto effetto di qualche sostanza strana...» Eros?

«Portiamola via,» conviene Hades, ancora attaccato a me.

Io gli afferro la camicia, tirandola verso il basso. «Sei reale? Sei vero? Siete veri? Io sono vera? Ti prego, dimmi che sei reale. Ti prego, ti prego, ti prego...»

I suoi occhi grigi, del colore giusto, mi fissano stralunati. Poi la sua mascella ha un guizzo. Lui è nitido. Ancora per poco, temo. «Andiamo via. Poi ci occuperemo dello stronzo che ti ha fatto questo.»

Abbiamo fatto pochi passi, prima che mi ricordi. «Dovete far uscire tutti!» grido. È così improvviso che Hades trasalisce e tutti i miei fratelli, Eros compreso, si voltano con uno scatto, spaventati. «Il labirinto... Fuoco... Fate uscire tutti!»

La lingua mi si arrotola da sola dentro la bocca. Provo a spiegarlo meglio, ma escono solo suoni confusi. Scoppio a piangere per la disperazione. Non voglio che nessuno muoia.

E voglio sapere dov'è Thymós.

«Va bene,» mi rassicura Hades. Si rivolge a qualcun altro. «Thena, Apollo, fate evacuare il labirinto per precauzione...»

Non serve.
Giunge anche a me il rumore di uno scoppio.

Una fiammata improvvisa si innalza dalla parte opposta in cui ci troviamo noi, vicina ai banchi con i drink e il cibo. È questione di secondi prima che comincino tutti a gridare e correre. In pochi attimi, si è creato il delirio totale. Le pareti del labirinto cominciano a incendiarsi, lentamente, ma con una spinta esponenziale.

Hades mi solleva da terra e mi prende in braccio. Si muove anche lui verso l'uscita. La gente si spintona, si insulta, qualcuno cade a terra e viene calpestato senza pietà. Ci sono così tanti corpi che si muovono, che il mio cervello non riesce a elaborarli tutti, mischiandoli in masse di colore informi. È il delirio.

«Thymós,» biascico.

E se fosse ancora dentro il labirinto, alla mia ricerca? Si sarà accorto della mia sparizione. E se non avesse trovato la strada? Se fosse bloccato lì?

Ripeto il suo nome con forza. Spalanco gli occhi e mi guardo attorno, nel tentativo inutile di individuarlo. Non riconosco nessuno. Non riconosco nemmeno i tratti del volto di mio fratello. Mi guardo il corpo, stretto fra le sue braccia. Non mi sembra il mio.

Mi viene da vomitare. Non sono mai stata così male in vita mia.

Urlo il suo nome, ancora. Possibile che Hades non mi senta?

Continuo a ripeterlo anche quando varchiamo l'uscita del labirinto. Una sirena familiare mi fa capire che ci sono i pompieri. Forse anche l'ambulanza.

«Thymós,» sputo fuori.

Hades abbassa il capo, guardandomi. «Lo troveremo. Sarà qui fuori...»

«No!» Non riesco a parlare.
Dev'essere ancora lì dentro.

Tento di scendere dalle sue braccia, e mio fratello mi asseconda, pur tenendomi per paura che possa perdere l'equilibrio. Attorno a me, la gente si sparpaglia e lascia spazio ai pompieri.

Il labirinto è in fiamme.
Thymós dov'è?
Dov'è Thymós?

Scatto in avanti, con l'idea più stupida del mondo: entrare per cercarlo. Non serve che qualcuno mi blocchi. Il mio cervello si spegne, come la luce di una stanza dopo aver premuto l'interruttore.

Crollo a terra.
L'ultima cosa a cui penso è il suo nome.

🌸

La prima cosa a cui penso quando riprendo i sensi è il suo nome.
Thymós.

Mi alzo, trovandomi seduta su un letto. È il mio. Metto a fuoco l'ambiente attorno a me. Mi correggo. Non è il mio letto. E non è la mia camera. È quella di Thymós.

La portafinestra è spalancata, e mi permette di vedere che è notte fonda. Di nuovo? Non era notte anche durante la festa? O sono passate ventiquattro ore? Non è possibile.

Aguzzo la vista. Lì, sul terrazzo, poggiato al muretto con le braccia conserte, c'è Thymós. Un brivido di terrore mi fa accelerare i battiti; e se non fosse lui? E se non fossi davvero in camera? Se fosse tutto un'altra allucinazione?

Deve essersi accorto di me. Si muove in fretta e rientra, chiudendosi la porta alle spalle per poi girare la chiave nella serratura.

«Ehi,» saluta in un sussurro. La fronte è corrugata.

Nonostante lo scatto iniziale per raggiungermi, non si avvicina eccessivamente. Resta ai piedi del letto, nell'angolo destro. Non c'è nemmeno una luce accesa, e la luna stanotte è alla sua prima fase, incapace di gettare abbastanza luce su di noi.

«Cosa è...» Finalmente riconosco la mia voce. E mi sento di nuovo le gambe. Sembra reale.

«Aphrodite,» mi chiama in un sussurro. «Stai tranquilla. È finito tutto.»

«Ma...»
«Sei fuori dal labirinto. L'incendio è stato spento.»
«E...»
«Nessuno si è fatto male. Nessuno è morto.» Sospira. «A parte la tua dipendente. Rochelle?»

Rochelle. Provo un dolore nuovo. Nonostante le parole poco gentili che mi ha rivolto, mi dispiace per lei. Era solo in preda al panico, in balìa dell'impulsività. Sono sicura che non le pensasse. Almeno, spero. O, comunque, a questo punto non mi importa più. «Perché proprio lei? È già morta Rodie, con la R.»

Thymós sposta il peso da una gamba all'altra. Mi domando perché non si sieda sul letto. Non per forza vicino a me, ma almeno non stare in piedi. «Le sue amiche la chiamavano con un soprannome: Olly. Un tentativo azzardato, ma a quanto pare conta come "o", per il killer.»

Quattro lettere, ancora. Possibile che dobbiamo arrivare alla fine per incontrare l'assassino? Possibile che debbano morire altre persone?

«Sei reale?» chiedo, alla fine.

Allungo la mano e attendo che mi tocchi. Thymós, seppur dopo un attimo di esitazione, avvicina la sua. Le punte delle nostre dita si scontrano, in un contatto delicato. Una scarica mi attraversa il corpo, facendomi provare il desiderio irrefrenabile di attirarlo a me e abbracciarlo.

«E non mi vuoi uccidere, vero? Non sei tu il killer, Thymós?»

Mi rendo conto di cosa gli ho chiesto con troppi secondi di ritardo. Lui ha la bocca spalancata. Qualcosa non va nel suo viso. «Cosa stai dicendo? Perché mi fai delle domande simili, Aphrodite?»

Afferro la stoffa delle lenzuola bianche e ci giocherello, mentre comincio a raccontargli cosa è successo dentro il labirinto. Sono ancora sconvolta, ma ho bisogno di parlarne, ho bisogno di dirlo ad alta voce per avere ulteriori rassicurazioni. Gli racconto dell'allucinazione, di lui che voleva strangolarmi e delle sue parole violente. Gli racconto anche di Hermes e Athena, e del delirio in cui sono caduta.

Sembrano passare minuti infiniti prima che mi risponda. «Cristo. Che cazzo ti hanno dato?»

Senza preavviso, Thymós si allontana e vaga per la stanza. Afferra il primo oggetto che trova sottomano, l'abat-jour del comodino, e la scaglia contro il muro. Non batto ciglio. L'impatto non mi spaventa. La sua sagoma, nel buio a cui i miei occhi ormai si sono abituati, trema di rabbia.

«Hai dormito quasi per un giorno intero, Aphrodite,» mi informa, più calmo. «Ti sei svegliata una volta e hai chiesto dell'acqua, ma eri così intontita che nemmeno sembravi cosciente. Forse nemmeno lo ricordi.»

«No, non lo ricordo.» E sentirlo, mi fa bruciare la gola. Mi volto verso il comodino. C'è una bottiglia d'acqua, riempita fino a metà. Ne trangugio qualche sorso, provando un immediato sollievo.

«Thymós, avvicinati.»
Lui non si muove.
«Thymós?»
Scuote la testa. «No, Aphrodite, per favore.»

Qualcosa non va. Anche se la situazione si è risolta, c'è un dettaglio che mi sta nascondendo. Scivolo fuori dal letto e poggio i piedi nudi a terra, cercando la stabilità che non sono sicura di avere. Thymós, catturato dai movimenti, si volta di un quarto. «Cosa fai? Non sforzarti.»

«Ho dormito per quasi un giorno, direi che è pure ora di mettere il culo fuori dal letto,» bofonchio.

Quando provo a raggiungerlo, Thymós fa un passo in avanti per sfuggirmi. Mi dà le spalle, e non accenna a voltarsi. Provo a girargli intorno, ma lui segue i miei movimenti.

Comincio a innervosirmi e, soprattutto, a preoccuparmi.

Gli afferro il polso. «Thymós.» Non reagisce. Non vuole farsi vedere da me.

Lo lascio andare e vado ad accendere la luce. Nel momento in cui premo l'interruttore, Thymós esclama: «No, Aphrodite.»

È troppo tardi. Emette un lungo sospiro e, a due metri di distanza da me, si volta. Il suo viso è tumefatto. Deturpato. L'occhio destro è mezzo chiuso e violaceo, il labbro inferiore è spaccato e altri segni a cui non riesco a dare una provenienza gli marchiano la pelle ambrata.

Lo raggiungo in poche falcate e gli afferro il viso tra le mani, stando attenta a dove tocco. «Cosa ti è successo?»

Thymós evita il mio sguardo. «A tuo padre non è piaciuto che tu sia finita in pericolo e che ti abbiano drogata.»

Giusto. Mio padre. Avrà saputo del casino. E a chi avrà dato la colpa se non alla mia guardia del corpo? Per una volta in cui ha deciso di lasciarmi un po' di spazio per divertirmi, alla mia festa di compleanno, è finita malissimo.

«Mi ha convocato nel suo studio, stamattina.» Deglutisce rumorosamente. «E mi ha proposto... una scelta. Potevo farmi licenziare seduta stante e tornare nella mia città, o farmi picchiare da uno dei suoi uomini e avere una seconda possibilità per continuare a essere la tua guardia del corpo.»

Un moto di rabbia mi monta dentro, lasciandomi senza fiato. Non che mi aspettassi un trattamento più carino da Crono Lively, ma tutto questo non è stata colpa di Thymós. E io non ero lì, per difenderlo. Ero addormentata come un sasso in questo letto. Dubito che mio padre mi avrebbe ascoltata, comunque.

Da vicino, le ferite mi fanno venire il voltastomaco. «Le hai disinfettate, almeno?»

«Non ho avuto tempo.»

Assottiglio gli occhi e lo lascio andare. Se continuo a toccarlo, mi verrà voglia di baciarlo e non so quanto possa essere appropriato in un momento del genere. «Come sarebbe a dire che non hai avuto il tempo? Cosa avevi da fare, tutto il giorno?»

Il suo sguardo mi sfiora il viso, con timidezza. «Dovevo tenerti d'occhio.»

Non capisco subito, perché mi sembra impossibile. «Sei rimasto qui... fermo... ad aspettare che mi svegliassi? Senza fare altro?»

Annuisce. «Ogni tanto sono uscito in terrazzo a prendere aria, niente di più.»

«Hai dormito?»
«No.»
«Hai mangiato?»
«Hermes mi ha portato un panino. Era tremendo, ma l'ho buttato giù.»

Non riesce a farmi sorridere. «Perché? Avresti dovuto prenderti cura di te stesso. Io dormivo, Thymós,» gli dico con dolcezza.

Lui storce il naso, ma il movimento deve fargli male perché sibila. «Potevi svegliarti da un momento all'altro. Non volevo che ti ritrovassi da sola. Insomma, venivano anche i tuoi fratelli a controllare come stessi, ma non rimanevano più di mezz'ora.»

Certo, perché sanno che non aveva senso rimanere al mio capezzale. Ma non glielo dico, perché il suo gesto è stato carino, seppur esagerato. «Mio padre non ti avrebbe preso a colpi di nuovo, lo sai, vero? Potevi allontanarti.»

Un lampo d'ira gli attraversa le iridi castane. «Non l'ho fatto per tuo padre.»

La reazione che scatena in me questa frase è a dir poco imbarazzante, se non quasi preoccupante. È solo attrazione fisica. È solo desiderio. È solo un gioco. Niente di più. E lui ha bisogno di questo lavoro, ha bisogno dei soldi per suo padre.

Finalmente, ho una risposta indiretta a uno dei primi dubbi che mi sono venuti in mente quando ho aperto gli occhi. «È per questo che sono in camera tua e non nella mia?»

«Dovevo averti vicina. Anche tuo padre era d'accordo con la mia decisione.» Abbozza una risatina infelice. «A patto che non ti sfiorassi e dormissi per terra, piuttosto che accanto a te. Altrimenti mi avrebbe tagliato le mani.»

Chiaro. La stessa minaccia che gli ha fatto la prima notte in cui ci ha presentati. A questo punto, Thymós dovrebbe essere senza mani, gambe e forse anche la lingua.

Ci sono cose più importanti a cui pensare, ora, però. Con un cenno del capo indico la porta del bagno. «Andiamo, ti medico io le ferite.»

Fa per obbiettare.
«Non accetto repliche.»

Solleva l'indice, sforzandosi di trattenere un sorriso. «A patto che poi andiamo a mangiare, e di seguito dal dottore dell'isola per fare degli ultimi controlli.»
«Promesso.»

Arriviamo in bagno e con un cenno gli indico di sedersi sopra la tavoletta abbassata del WC. Thymós obbedisce e resta immobile, mentre io apro uno sportello sotto il lavandino e raccatto batuffoli di cotone e disinfettante. Farà male, ma è necessario. Trovo anche una pomata per i lividi.

Parto proprio con quest'ultima. Thymós spalanca le gambe, fasciate dai soliti cargo, e mi fa spazio lì in mezzo, invitandomi con un sorrisetto sghembo che è sia stanco che provocante.
Deglutisco a fatica mentre mi sistemo nel varco che mi ha aperto.

Mentre gli stendo la pomata sui lividi, lui sussulta e impreca piano per il dolore. Quello sull'occhio è conciato davvero male, e non appena lo sfioro, la sua mano mi avvolge la coscia, forse in un gesto involontario, e stringe.

«Scusa,» mormoro io, per il dolore che gli ho provocato.
«Scusa,» mormora lui, forse per aver reagito toccandomi.

«Figurati, quando vuoi,» bofonchio, sperando che sia abbastanza incomprensibile.
A giudicare dalla risatina che gli sfugge dalle labbra, ha capito perfettamente.

Poggio la pomata e stappo la boccetta di disinfettante, versandone la giusta quantità in un batuffolo di cotone. Comincio a tamponarlo dove trovo graffi o ferite aperte. Non sono tante, ne conto tre, bocca inclusa. Un po' mi consola, ma d'altra parte il mio risentimento nei confronti di mio padre cresce a dismisura. Vorrei che qualcuno gli facesse male il doppio di quanto ha fatto male a Thymós. Il triplo di quanto ha fatto male a qualsiasi persona, nella sua vita.

«Perché non volevi farmi vedere le ferite? Te ne vergognavi?» gli domando, dopo un po'.
Thymós emette una risatina sprezzante. «Affatto.»

«E allora, perché? Illuminami.» Rimango ferma, con la mano a mezz'aria che stringe il batuffolo di cotone.

Thymós capisce che non desisterò, motivo per cui finge di sistemarsi meglio e si schiarisce la voce. «Non volevo che scoprissi perché me le sono procurate.»

Attendo ulteriori spiegazioni. Non arrivano. «Non capisco. Non volevi che scoprissi che è stato mio padre? Da lui me le aspetto certe cose, purtroppo. E se ti riferisci, invece, a possibili sensi di colpa, li ho, okay...»

Scuote la testa. Mi lancia una lunga occhiata da sotto le ciglia marroni e folte. In un istante, capisco tutto quello che ha lasciato sottinteso. Come ho fatto a non arrivarci prima?

Thymós ha un addestramento militare. È forte, alto e ha i riflessi pronti. Uno che è riuscito ad afferrarmi mentre mi lanciavo da un balcone, può fare ben altro. «Avresti potuto stendere qualsiasi uomo di mio padre. A maggior ragione, se era solo uno. E tu ne hai nominato uno, vero?»

Dà un colpo di tosse e guarda verso il basso, un punto indefinito del pavimento in marmo.

«Thymós.»
«Avrei potuto stenderlo, sì.»
«Non lo hai fatto.»
«Mi sono lasciato colpire, dal primo pugno fino all'ultimo.»

Il batuffolo di cotone mi scivola dalle dita e atterra sulla coscia di Thymós. «Sei matto? Perché?»

«Perché me lo meritavo,» sbotta, senza lasciarmi nemmeno finire di pronunciare la domanda. Serra le mani, fino a quando le nocche non gli diventano bianche. «Ecco cosa succede quando allento la presa, una sola volta. Rischi la vita. Ti drogano. E...»

Mi afferra il braccio. Solo ora mi ricordo dei cespugli. Ho un graffio, non profondo, ma ancora di un rosso acceso.

«Guarda. Ti sei pure ferita.»

«Non è nulla,» lo rassicuro, sconvolta dal fatto che si stia preoccupando per un graffietto piuttosto che del suo viso tumefatto. «Non mi fa nemmeno male, Thymós. Ti prego.»

Volta il capo di lato, evitandomi, ma la sua mano rimane aggrappata al mio braccio. Con il pollice, mi fa delle carezze distratte. Non sembra se ne renda conto.

«Avrei dovuto proteggerti.» Si alza in piedi all'improvviso, e io arretro perché non mi sbatta contro.

Lo osservo avanzare per tutto il bagno e uscire, tornando nella camera da letto. Si ferma davanti alla porta finestra, con le mani sui fianchi e lo sguardo dritto davanti a sé. Il petto si alza e abbassa con ritmo pesante e irregolare. Di nuovo, la rabbia.

«Non è colpa tua.»
«Sì.»
«No.»
«Sì.»
«Basta!»

Thymós volta il capo, lentamente, e i suoi occhi mi mettono a fuoco. Percorrono la mia figura, dalla testa fino alle punte dei piedi nudi. Non capisco a cosa stia pensando, ma qualcosa cambia. Sento l'elettricità propagarsi nell'aria, e nonostante la distanza che ci separa, ormai sono convinta che l'attrazione che lega i nostri corpi sarebbe percepibile anche se ci fossero chilometri fra di noi.

Mi raggiunge in un battito di ciglia. Si avventa su di me, mi prende il viso tra le mani, e porta le nostre bocche vicinissime. Il suo fiato si scontra col mio. «Posso baciarti anche se ho la ferita sul labbro?»

Respiro a fatica. «Sì, ti prego.»

Fa scontrare le nostre labbra. E nel momento in cui mi accorgo che non ha alcuna intenzione di renderlo un bacio dolce, e la sua lingua preme, facendosi spazio con forza, il mio cervello va in arresto. Forse, da drogata, dentro quel maledetto labirinto ero più lucida che ora.

Gli cingo il collo con le braccia e lo stringo a me, facendo aderire i nostri corpi. Thymós libera una sola mano e la piazza sul mio fondoschiena, per sollevarmi e farmi agganciare le gambe attorno alla sua vita. Gemo nel bacio e il mio verso carico di frustrazione, perché nessun contatto sembra mai essere abbastanza con lui, lo fa rispondere con altrettanta foga. Ansima contro la mia bocca, e incolla i nostri corpi con una spinta della mano.

Si stacca appena, il viso sofferente. «Thymós?»
«'Fanculo, fa troppo male,» sussurra.
Poi capisco. Il labbro.

La spaccatura. Deve fargli male anche tenerlo fermo, figuriamoci baciare qualcuno. «Non preoccupar...»

«'Fanculo, voglio baciarti comunque,» mi interrompe, per posare di nuovo le labbra sulle mie.

Questo bacio è più calmo, meno violento, ma carico di una dolcezza che mi fa sentire di nuovo le gambe come se fossero fatte di gelatina. Io cerco di muovermi con la massima delicatezza, anche se il mio corpo mi richiede ben altro, solo per aiutarlo e non infliggergli altra sofferenza.

Thymós interrompe il secondo bacio, gli occhi chiusi e la fronte aggrottata. «Okay, basta. Fa male in ogni cazzo di modo.»

Gli accarezzo il viso, facendolo sussultare, e poi scendo con i piedi per terra. Thymós accompagna il mio corpo e io gli rivolgo un sorriso di ringraziamento. Quando provo a incastrare le dita della mano con le sue, si acciglia. «Cosa vuoi fare?»

«È notte e tu non hai ancora dormito. Andiamo a letto.»
«D'accordo.»

Si lascia trascinare da me, senza opporsi e senza provare ad andare per primo. Forse si è rasserenato sulle mie condizioni e si è convinto che, adesso, mi sono ripresa.

Il letto è ancora sfatto da quando ci ho dormito io, ma non importa. Almeno, credo che a Thymós non freghi proprio nulla. Quando lo spingo per farlo sedere lì, fa resistenza e diventa una statua di cemento. «Aphrodite, vuoi che tuo padre mi ammazzi, oggi?»

«Non ti lascerò dormire a terra, nella tua stessa camera,» rispondo con una scrolla di spalle. «O dormi nel letto con me, o io torno nella mia. Cosa che, in effetti, potrei fare senza problemi. Non c'è bisogno che tu continui a tenermi d'occhio.»

Thymós si mordicchia il labbro, mentre riflette. Quando si posta nel lato ferito, sobbalza e butta fuori una sequela di volgarità che mi fanno quasi ridere.

«Ho bisogno di tenerti qui con me un'altra notte.» Esce in un sussurro fioco.

«Thymós...»

Lui si siede sul letto, nel posto che prima avevo occupato io, a destra. Sfiora le lenzuola stropicciate. «Ho avuto paura.»

Il cuore mi martella nel petto. Azzardo un passo verso di lui, un passo in meno che ci separi. Vorrei baciarlo di nuovo, ma non voglio che senta altro dolore. «Perché se mi fosse successo qualcosa, mio padre te l'avrebbe fatta pagare?»

«Perché se ti fosse successo qualcosa, non me lo sarei perdonato,» scandisce ogni parola con lentezza e rabbia. «E, in parte, sì. Non voglio farmi mutilare da quel pazzo di Crono Lively.»

Solleva il capo e i nostri sguardi si incastrano in una stretta dalla quale non voglio e non posso sfuggire. Pur ridotto a lividi e ferite, rimane il viso più bello che abbia mai visto. L'uomo più bello che io abbia mai visto.

«Questo mondo di merda ha bisogno di anime belle come la tua a renderlo migliore,» bisbiglia. «Non ti lascerò mai più sola, Aphrodite, te lo giuro. Troverò quel killer e ti ridarò la tua vita.»

«È tutto okay.» Non voglio che continui a colpevolizzarsi. E non voglio che continui con i discorsi, quando dovrebbe dormire e riposarsi un po'. Perciò, appoggio le mani sulle sue spalle larghe e lo spingo all'indietro, con delicatezza, fino a fargli aderire la schiena al materasso e la nuca al cuscino. Thymós mi lascia fare, ma emette un sospiro.

«Solo per questa volta te la do vinta.» Ha già la voce assonnata.

Sto per stendermi accanto a lui, quando qualcuno bussa contro il vetro della portafinestra. Per un attimo, il terrore mi lascia paralizzata. E se fosse mio padre?

Dallo sbuffo che fa Thymós, deduco di no.

Hermes ha le mani poggiate sul vetro e fissa intensamente l'interno della stanza. Quando incrocia i miei occhi, il suo viso si illumina di felicità e mi fa cenni frenetici, chiedendomi di uscire.

«Rimango sveglio fino a quando non hai finito,» avverte Thymós.

Ovviamente. Quindi devo fare in fretta. Non so perché all'improvviso il nostro rapporto è diventato: Thymós mi controlla, e io mi prendo cura di lui evitando che l'eccessivo controllo su di me lo stanchi.

Spalanco la porta finestra, e in un battito di ciglia il mio gemello mi stringe in un abbraccio asfissiante, del quale non ho intenzione di lamentarmi e tanto meno di liberarmi. Dalla gioia iniziale, capisco che ora sta piangendo. Il mio piccolo Eli, che piange tra le mie braccia.

È sempre stato così, tra noi due. Hermes mi abbraccia forte anche se non ci vediamo per un giorno, cosa che è successa davvero raramente e non per motivi brutti o che hanno messo in pericolo uno dei due. Hermes è un concentrato d'amore, così puro e intenso, che non riesce a tenerlo per sé e deve riversarlo sulle persone a cui vuole bene. Io non me ne lamento, ma mi spezza il cuore vedere quanto sia attaccato a me.

«Sono quasi morto dallo spavento,» sussurra contro il mio orecchio. «Meno male che stai bene, Daisy.»

Gli accarezzo la schiena, compiendo movimenti volti a farlo calmare. Sembra ancora scosso. «Sto bene, Hermy, non preoccuparti. Sono qui.»

Lui mi lascia qualche bacio sulla nuca, tra i capelli, e mi stringe ancora di più. Tira su col naso, ma capisco che ha finito di piangere ed erano solo lacrime di sollievo.

Restiamo abbracciati, ancora e ancora, e io spero che Thymós si sia addormentato, perché non so quando avrò la forza di staccarmi dal mio gemello e tornare a letto. Ho bisogno di altri minuti con lui.

E, nel silenzio tombale che si è creato, interrotto solo dai rumori dell'isola, Hermes sospira a gran voce e io so già cosa sta per succedere. «Spero che Thymós ti dia almeno una bella passata di cazzo per consolarti.»

🌸

Sono andata a dormire alle 5:30 per sto capitolo, immaginatemi alle 3 di notte che tento di immedesimarmi in una tipa drogata che ha le allucinazioni
😃✌🏻

Anywayyyy spero che il capitolo vi sia piaciuto! Nella versione iniziale, T e A trombavano allegramente. Ma mi sembrava indelicato farli scopare con Thymós mezzo distrutto da Crono 💀👎🏻 la delicatezza prima di tutto

Mancano 5 capitoli alla fine, ormai.❤️
Aggiorno GoC e poi torno qui!
Grazie per leggere GoD 🫶🏻 have a nice life

Tiktok: cucchiaiaa
Ig: cucchiaia

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