4 (H) - Le virgole
Athazagoraphobia: l'irrazionale paura di essere dimenticati, ignorati o rimpiazzati.
"Secondo una leggenda risalente al medioevo, un cavaliere e la sua dama stavano passeggiando insieme sulla riva di un fiume. Lui si chinò per raccogliere dei fiori, ma a causa del peso della sua armatura cadde in acqua.
Mentre annegava, lanciò il mazzo di fiori alla sua amata e le gridò:
"Non dimenticarmi".
Quei fiori venivano spesso indossati dalle donne, come simbolo di fedeltà
e amore eterno."
— But I can't help myself
When you get close to me
Baby, my tongue goes numb
Sounds like bleh, blah, blee
🔥
H E L L ' S
P O V
«Come sarebbe a dire che non hai passato l'esame, Hazel?» domanda mia madre, dall'altro capo della linea. Posso quasi immaginare la sua espressione. La solita che ha quando la deludo.
Non so cosa risponderle, perciò rimango in silenzio a morire di vergogna.
Cersei Lancaster Fox è un'avvocatessa dagli occhi color del ghiaccio, i capelli biondi come il grano e la sensibilità di una busta di plastica. Andare male a scuola, con lei, è sempre stata una tragedia.
«Mikael, hai sentito? Hazel non ha passato l'esame di matematica. La base di tutto il corso di studio a cui è iscritta!» sbraita mia madre, per poi tornare a me. «Come è successo, Hazel? Non stai studiando? E se non stai studiando, cosa stai facendo? Non vorrai farmi credere che esci ogni sera e hai una vita sociale attiva.»
Mi mordo il labbro così forte che sento il sapore ferroso del sangue. Non risponderle, non risponderle. Aspetta che si sfoghi. Cinque minuti massimo e la telefonata finirà.
«Ci aspettiamo molto di più da te, lo sai, vero?» riprende. La sento muovere dei fogli e sbattere oggetti su un ripiano. «Devi laurearti in tempo. E con dei bei voti. O non ti interessa perché tanto i soldi della retta li paghiamo noi?»
I soldi non sono mai stati un problema in questa famiglia. Se mia madre lavora in tribunale ed è un'avvocatessa rinomata, Mikael Fox è il chirurgo di spicco del Chicago Hospital. I miei genitori sono praticamente due ricconi, laureati con le lodi dei professori e con carriere brillanti. Ogni materia scientifica è come una passeggiata per loro. Sono bravi in qualsiasi ambito: chimica, fisica, matematica, medicina, biologia, ingegneria... Come sia nata io, estremamente negata per qualsiasi disciplina scientifica, non si sa.
«Devi fare di più, mi hai capito? E gli altri esami, invece? O ne hai sostenuto solo uno? Voglio sperare di no, Hazel.»
La verità è che marzo è alle porte e tutti gli esami che ho provato a dare (tre) non li ho passati. Il problema è che io non sono una bugiarda. Non ho mai mentito su un brutto voto o su dove andassi una volta fuori di casa. E non inizierò ora a dire bugie.
«In realtà...»
«Devo scappare, ho un'emergenza,» mi interrompe mia madre. «Ne riparleremo, stanne certa. E se hai problemi con lo studio, ti mandiamo dei soldi per pagare le ripetizioni. A quanto pare il tuo cervellino ha bisogno di una spinta.»
Riattacca senza salutare. Ho ancora la bocca aperta, pronta a pronunciare un "d'accordo, grazie, ciao", quando blocco lo schermo del cellulare e me lo infilo in tasca.
Sospiro ed esco dal nascondiglio in cui mi ero infilata, nel corridoio, per non farmi vedere dagli altri studenti mentre mia madre mi urlava contro. La porta della caffetteria è subito sulla destra, e la spingo con uno sbuffo.
Come previsto, è quasi vuota. Alle due del pomeriggio si aggirano i ritardatari e... me. Fra i ritardatari, ci sono anche Hurricane e il suo gruppo di amici. Non so come faccia quella ragazza, ma già dal primo giorno a Yale ha stretto amicizia con dieci persone diverse. Ora, il suo gruppo di fiducia è composto da dodici ragazzi. Cinque femmine e sette maschi. Hurricane è la persona più socievole ed estroversa che abbia mai conosciuto, e io gliene sono grata, perché altrimenti non sarei riuscita a instaurare un rapporto decente nemmeno con lei, la mia coinquilina.
Nonostante ciò, scivolo in fretta davanti al bancone, tentando di non farmi vedere da loro. Più volte Hurricane ha cercato di includermi nel suo gruppo: pranzi o cene in caffetteria, serate studio in biblioteca, piccole uscite per la città nel fine settimana... Non ha mai funzionato. Siamo persone diverse.
Quando dicevo una cosa, la mia voce era troppo bassa e uno di loro puntualmente copriva le mie parole. Quando rinunciavo a farmi sentire, arrivava qualcuno con la solita battuta: «Hazel, tu non parli? Perché sei in silenzio?»
Apprezzo che Hurricane abbia provato a farmi conoscere nuove persone, e i suoi amici non sono affatto cattivi o antipatici, è solo che mi fanno sentire terribilmente a disagio. Preferisco stare sola. D'altronde, è solo un pranzo. Quindici minuti di solitudine non mi cambieranno la vita.
Come speravo, ogni dolce è già terminato. Succede di rado che sia avanzata qualche fetta di torta; a volte resistere è più difficile, ma non capita quasi mai che io ceda e la compri. Perciò, sorrido alla ragazza alla cassa e le chiedo una Cesar Salad con un panino integrale, più una bottiglietta d'acqua naturale.
Fin da quando ero piccola, non sono mai stata una bambina magra, anzi. Ero rotonda e mangiavo senza contegno, spesso anche solo per noia. Sono sempre stata la più in carne della classe, dalle elementari, passando per le medie e arrivando pure al liceo. I bambini sanno essere cattivi, e con me sono stati perfidi. Per alcuni, gli anni delle medie rappresentano l'inferno. Per me, anche le elementari. Ero costantemente oggetto di prese in giro e di bullismo, tutto perché non ero magra. Venivo chiamata "cicciona", venivo paragonata agli elefanti, venivo derisa dalle stesse bambine che poi fingevano di essermi amiche.
Al terzo anno di liceo, però, le cose sono cambiate. Ho avuto un problema alla tiroide e ho perso tredici chili. Io mi guardo allo specchio e so di essere magra, so di non essere più sovrappeso. Ed è proprio per questo che ho paura del cibo e cerco sempre di regolare la mia alimentazione: non voglio tornare come prima. Non voglio più ricevere le occhiate disgustate, le parole cattive e le risatine. Non voglio più piangere dentro ai camerini dei negozi perché i vestiti mi stanno male. Non voglio nascondermi con felpe più grandi di tre taglie.
Mangio sano. Integro la giusta quantità di proteine, carboidrati, grassi e le porzioni di frutta e verdura. Non salto i pasti. Non digiuno. Ho già imparato anni fa che tutte queste cose peggiorano la situazione e basta, con l'aiuto della nutrizionista e dello psicologo. Seguo una dieta fatta da una professionista dalla quale mi ha portato mia madre stessa, lei che ha il fisico perfetto che non sono riuscita a ereditare. È dura, e quasi mai mi concedo i dolci o le mie amate patatine fritte, che sono la mia debolezza più grande, ma sono felice di riuscire a mantenere il corpo che voglio.
Mentre mi dirigo verso un tavolo vuoto, noto qualcosa di strano con la coda dell'occhio. Aspetto a essere seduta per concedermi un'occhiata più attenta.
Ci sono due ragazzi, uno accanto all'altro, seduti davanti a dei vassoi vuoti. Entrambi nascondono il viso dietro due libri, che sono messi a testa in giù, segno che è una copertura e non stanno davvero leggendo.
Da dietro una delle copertine sbuca metà volto. Liam Baker. E sono quasi certa che l'altro sia Hermes Lively, perché quei riccioli biondi non potrebbero appartenere a nessun altro.
Gli occhi di Liam si fermano su di me e trasalisce. Si affretta a nascondersi di nuovo, aspetta qualche secondo, e sbircia di nuovo. Quando si accorge che lo sto ancora guardando e che mi sono accorta di lui, dà una gomitata a Hermes.
I due parlottano e poi Liam mi indica. Ora ho le attenzioni di entrambi. Sollevo la mano in un cenno di saluto, un po' divertita e un po' imbarazzata. Cosa stanno facendo?
La risposta arriva alla prima forchettata di insalata. Liam raggiunge il mio tavolo per primo. Hermes è indietro, impegnato a raccattare i libri.
«Ciao, Hazel.»
Mi copro la bocca mentre rispondo. «Ciao. Posso esserti utile?»
«Ares mi ha mandato qui a indagare. Voleva scoprire se vai davvero a pranzo alle quattordici. Vado a riferirglielo.»
La mano di Hermes si scontra con la nuca di Liam, in una sberla sonora che lo fa esclamare un verso di dolore piuttosto esagerato. «Ci aveva detto di essere discreti.»
«Colpa sua che va a cercare da noi la discrezione,» ribatte Liam.
Hermes fa una smorfia buffa. «In realtà ha chiesto prima a tutti gli altri. Noi siamo stati l'ultima ruota del carro.» Agita la mano per aria. «Comunque, tu hai rovinato tutto.»
«Non è vero. Perché dev'essere sempre colpa mia?»
Prima che la discussione continui, schiocco le dita e due paia di occhi mi fissano. Sembrano ricordarsi solo ora che ci sono anche io. «Non vorrei mettermi in mezzo, ma nessuno di voi due era esattamente... discreto. Stavate leggendo con i libri capovolti.»
Hermes e Liam si guardano. Il primo con aria colpevole, il secondo come se avesse appena avuto un'illuminazione. «Ecco perché non capivo nulla. Temevo di star avendo un aneurisma.»
«Almeno sai cos'è un aneurisma, Liam?» chiede Hermes.
«No.» Esita. «E tu?»
«Credo di sì.»
Mi scappa una risatina. Poggio la forchetta biodegradabile e bevo un sorso d'acqua abbondante.
Liam mi indica. «A proposito, perché mangi da sola?» Punta lo sguardo sul tavolo più rumoroso della sala. «Quella lì non è la tua bellissima, e spero single, coinquilina?»
«Già. Ma non mi trovo bene con i suoi amici. Preferisco pranzare da sola. Nessun problema.»
È strano come le persone reagiscano alla solitudine. Soprattutto se è quella degli altri. Ti compatiscono. Puoi vedere con chiarezza la pena che provano nei tuoi confronti. Non tutti capiscono che essere soli e stare bene da soli sono due cose diverse.
«Ti faccio compagnia io!» urla Liam mentre prende posto accanto a me e mi costringe quasi a schiacciarmi contro il muro.
Hermes lo imita e si mette davanti a me. «Anche io!» Le sue gambe chilometriche sbattono con le mie, sotto il tavolo, e sono costretta a ripiegarmi su me stessa. Ogni mio spazio vitale e personale è stato invaso da questi due ragazzi che conosco poco e nulla.
E ora mi fissano con insistenza. Due sorrisetti in viso, le braccia conserte e i loro libri interessantissimi accantonati da una parte. Scommetto pure che li dimenticheranno qui.
«Allora, perché Ares voleva assicurarsi che io fossi qui?» domando.
«Nulla in particol...» comincia Hermes.
Liam lo sovrasta. «Vuole placcarti per parlarti. Non sappiamo di cosa, però. Ha fatto bene a non dircelo, in effetti.»
Devo ammettere che questa coppia è davvero piacevole da avere qui. Non dico che vorrei stare ad ascoltarli a ogni pasto della giornata, sette giorni su sette, ma forse ogni tanto non sarebbero poi una compagnia così pessima.
«Dunque, la tua coinquilina è single?» Liam riparte all'attacco.
Non ho ancora conosciuto un ragazzo che non trovi Hurricane bella. Mando giù il boccone di insalata con il pomodorino. «Credo che voglia provarci già Ares, con lei, e per questo vuole raggiungermi. Si è fissato con una specie di accordo, secondo il quale lui mi aiuta in matematica e io gli do consigli per conquistare Hurricane.»
Hermes si mordicchia il labbro, un lampo di malizia gli illumina le iridi celesti. «Scommetto che finirete per scopare voi due, invece. Nei romanzi spicy che leggo, succede sempre.»
Il suo essere così diretto, così all'improvviso, mi fa andare di traverso la saliva. Comincio a tossire, e Liam mi dà qualche pacca sulla schiena per aiutarmi. Lo ringrazio e tento di allontanarlo con gentilezza. Mi sciacquo la bocca con altra acqua.
Hermes mi fissa con insistenza, senza accennare a lasciarmi in pace. Ecco, lui è il tipo di persona così sfrontata che sì, ti mette in imbarazzo, e al tempo stesso ti fa sentire un po' meglio. Per quanto sono introversa e timida, ho bisogno di chi invece è il mio opposto.
«Dunque, deduco che sia single,» rompe il silenzio Liam. «Le piacciono le poesie?»
Gli arriva un calcio da Hermes, sotto il tavolo. «Andiamo, smettila!»
«In realtà, piacciono molto a me le poesie,» gli dico con un sorriso. «Ovviamente sono una bimba di Shakespeare, per quanto possa essere scontato e piuttosto mainstream. Eppure, i suoi sonetti sono così belli che chi può biasimarci se li amiamo così tanto?»
Liam annuisce, ma capisco che non mi sta veramente prestando attenzione. «Capisco. Vuoi leggere qualcuna delle mie?»
A dirla tutta, Poseidon una volta mi ha parlato della passione di Liam per le poesie. Quando gli ho chiesto informazioni in più, guidata da un sincero interesse, Poseidon mi ha risposto che sarebbe più bello leggere un libro di ottocento pagine che parla di tavolini in legno.
E io ci credo, anche perché Liam non si presenta molto bene alle persone, però non voglio nemmeno essere cattiva. Motivo per cui penso gli dirò di sì.
«Cosa sta succedendo qui?» irrompe un'altra voce maschile. Purtroppo, la conosco bene.
Ares è in piedi, accanto al tavolo, con la fronte corrugata. Ha i capelli bagnati, sembra appena uscito dalla doccia. Porta una felpa nera, aperta su una maglietta bianca. Ansima appena.
«Le facciamo compagnia mentre mangia,» spiega Liam, che non ha colto il vero significato della domanda.
«Mi siedo io con lei,» risponde. Afferra Liam per la manica del maglione e lo costringe ad alzarsi. Con un gesto secco, fa cenno anche a Hermes di spostarsi. «Levatevi dalle palle. Il vostro lavoro, qui, è finito. Ed è stato deludente. Grazie comunque.»
Hermes fa il saluto militare. Allunga la mano e mi scompiglia i capelli prima che possa anche solo intuire le sue intenzioni. «Ciao, Haze, ci vediamo presto.»
Non è la prima volta che mi chiama Haze. O non si ricorda che il nome è Hazel, o lo fa apposta.
Ares scivola al mio fianco, e io mi faccio piccola piccola, d'improvviso sopraffatta dalla sua presenza. Il profumo di Ares è intenso, quasi ammaliante. Non è fresco, ma nemmeno dolce. Mi stuzzica le narici e copre qualsiasi altro odore.
Lui non sembra accorgersi della mia rigidità. Inizia a scuotere la testa, e i capelli bagnati lanciano goccioline d'acqua ovunque, finendo pure addosso a me.
Lo spingo con entrambe le mani, facendo pressione sulla sua spalla, invano. Ares continua a schizzare acqua, avvicinandosi sempre di più a me per darmi fastidio.
Una volta finito, allunga le braccia sul tavolo e mi fissa. «Allora, Genietto, ci sono delle cose di cui dobbiamo discutere.»
«Sono quasi saltata in aria per colpa tua. Non c'è nulla di cui dobbiamo parlare,» taglio corto. «A parte che forse la tua famiglia ha bisogno di una terapia di gruppo.»
Solleva l'indice. «Quasi,» calca sulla parola. «È questo ciò che conta, sbaglio?»
«Sì, sbagli. Vattene.» Infilzo delle foglie di lattuga e le metto in bocca con forza. Lui segue ogni mio movimento, il che mi irrita ancora di più. Odio quando la gente mi guarda mentre mangio.
Scrolla le spalle. «Io non me ne vado. Se non vuoi parlarmi, dovrai farlo tu.»
«D'accordo.» Afferro il vassoio con il mio pranzo e mi metto in piedi.
«No, aspetta, non doveva andare così,» protesta Ares. Mi blocca il passaggio, poi mi toglie il vassoio di mano e lo riappoggia sul tavolo. Provo comunque ad andarmene, anche a costo di lasciare il mio cibo qui, ma lui mi afferra la manica della felpa e con un singolo scossone mi tira giù.
Mi lascio andare a un lungo sospiro. «Sul serio, Ares, cosa non ti è chiaro? Non voglio avere nulla a che fare con te.»
«Perché? Sono bello e sono simpatico, anche se socialmente inadatto ad avere relazioni con gli altri. Però posso lavorarci. Con il tuo aiuto. E tu puoi fare meno schifo in matematica e passare gli esami, grazie al mio.»
La conversazione telefonica con mia madre mi ritorna in mente ed è come ricevere un pugno. Questo è il mio primo istante di esitazione, in cui non metto Ares al suo posto e gli mostro che sto tentennando. La necessità di rendere i miei genitori fieri e non subirmi le accuse passivo aggressive di mia madre è più forte del bisogno di tenere Ares fuori dalla mia vita.
«Quindi hai intenzione di far finta che non ci sia un tipo strano, in giro per Yale, che vuole ucciderti?»
Sembra ricordarselo solo ora che l'ho nominato. Si gratta la nuca. «Sì, il piano era quello.»
«Ares...»
Non mi sta più prestando attenzione. Mi chiedo se non soffra di qualche deficit dell'attenzione. Sta studiando il mio vassoio e il cibo che c'è all'interno. «Solo un'insalata e dell'acqua? Che pranzo triste. Vado a prenderti una fetta di torta.»
Fa per alzarsi e io lo blocco afferrandogli il polso. «No,» dico con troppa fretta. Cerco di calmarmi. «Sono già finite tutte.»
I suoi occhi passano velocemente dalla presa ferrea della mia mano al mio viso, socchiudendosi piano. Si rimette seduto, con estrema lentezza, e io lo libero per inforcare di nuovo le posate e finire la mia insalata.
Con la coda dell'occhio noto che sta trafficando nella tasca posteriore dei jeans. Il rumore di plastica mi fa insospettire subito. Ne estrae una busta di caramelle gommose, e a giudicare dagli svariati colori, devono essere ai gusti più disparati. Ares lo apre e lo posiziona in mezzo a noi. Lo indica con aria soddisfatta. «Ora hai anche il dessert. Solo una richiesta: potresti evitare quelle alla ciliegia? Sono le uniche che mangio.»
Storco il naso. «Non mi piacciono le caramelle.» Ed è vero, non mi hanno mai fatto gola o attirata in particolar modo. Soprattutto quelle gommose. Le detesto. Così come detesto i marshmallow. Sono solo zuccheri puri, dolci da diabete, che non danno alcuna soddisfazione e alcun senso di sazietà.
Ares sembra prenderla sul personale, ma non dice nulla. Al contrario, inizia a rovistare nel pacchetto fino a quando non trova un orsetto ricoperto di una polverina rosa scuro. Se lo rigira fra le dita affusolate, studiandolo come se fosse la cosa più affascinante del mondo. Lo mette in bocca con un rapido gesto e lo mastica fino a ingoiarlo. Con gli occhi puntati nei miei, succhia il polpastrello dell'indice, sporco dei rimasugli della polverina. «Buona. Un po' frizzante. Vuoi provarla?»
La sua espansività mi lascia pietrificata, con la forchetta a mezz'aria. «Cosa...» le parole mi muoiono in bocca.
Ares avvicina il pollice, l'altro dito ancora sporco dalla polvere frizzante della caramella, e prima che possa ritrarmi lo strofina sul mio labbro inferiore. Il contatto dura per un secondo, eppure sembra che il tempo si sia fermato per due anni. E non accenna ad andare avanti.
Ares continua a guardarmi la bocca. «Assaggia. Secondo me, queste caramelle potrebbero piacerti.»
Non so perché gli dia retta. Forse perché sono così in imbarazzo che, pur di far terminare questo momento, asseconderei qualsiasi sua idea. Con la punta della lingua raccolgo la polverina della caramella e lo assaggio. Il sapore è di ciliegia, senza dubbio, ma oltre a non essere di un dolce nauseabondo, ha un retrogusto acido che mi stimola le papille gustative e mi fa strizzare gli occhi.
«Allora? Ammetti che sono buone o devo prenderne un'altra e imboccarti direttamente?»
Il sorrisetto da sbruffone mi fa risvegliare dallo stato di trance. Ha già una seconda caramella in mano, che viaggia in direzione del mio viso. Gli do un colpo all'avambraccio e l'orsetto precipita proprio dentro il mio piatto di insalata.
«Ottimo,» borbotto, mentre tento di ripescarlo.
«Colpa tua.»
«Ares,» sibilo il suo nome, lentamente. «Vattene.»
«No, no, scusa, scusami,» si affretta a dire. Poi si blocca e assume un'espressione pensierosa. «Caspita, neanche ricordavo il suono della mia voce che pronuncia delle scuse. Non sono abituato a farlo.»
Alzo gli occhi al cielo. «Hai cinque secondi per andartene. Cinque, quattro...»
Ares agita le mani in aria, alla rinfusa, nel tentativo di interrompere il mio conto alla rovescia. «Hell, d'accordo, stammi a sentire. Dammi solo un'opportunità. Un giorno di prova. Un giorno di ripetizioni e un giorno di aiuto per diventare il ragazzo che riesce a conquistare qualcuno senza farsi rovesciare addosso un cappuccino appena fatto, bollente come Giovanna D'Arco al rogo e con una buona nota di cannella.»
Un po' troppo specifica questa ultima metafora. «È successo davvero?»
«Sì. Mi pare si chiamasse Hayley. Si è offesa perché le ho detto che in mano le sarebbe stato meglio il...»
Lo interrompo prima che possa finire, anche perché ho già capito dove sta andando a parare. E Dio, se lo odio, perché questa cosa mi fa ridere e non dovrebbe. Trattengo a stento una risata. «Ci siamo capiti.»
«Fidati di me...»
«No.»
Sbuffa. «Cerca di fidarti di...»
«Nemmeno.»
«Contempla l'ipotesi che potresti fidarti di me.»
Ci rifletto un attimo. «Okay, è un buon inizio di frase. Prosegui.»
«Due ore di ripetizioni con me, e avrai già capito il cinquanta per cento della matematica,» promette, con una mano sul cuore e l'aria solenne. «Non te ne pentirai, anzi, vorrai non aver opposto tutta questa resistenza.»
Lo guardo. Al posto del suo viso, però, vedo quello di mia madre. La delusione, la rabbia, l'esasperazione di avere una figlia che ama "quelle stronzate umanistiche e non capisce l'importanza dell'ambito scientifico".
«Ares, non sono portata per la matematica. Delle ripetizioni da un ragazzino presuntuoso e arrogante non cambieranno nulla.»
Si acciglia. «Hai scordato l'aggettivo "sexy".» Quando alzo gli occhi al cielo, mi si avvicina. «Va bene. Magari non vai forte con i numeri, ma credo che tu sia abbastanza intelligente per applicarti e averci un rapporto pacifico.»
Giocherello con un pomodorino, spingendolo per tutta la circonferenza del piatto. Ha troppa fiducia in me. Ha tutta la fiducia che mi manca, in realtà.
«Farò di te un Genietto vero, Hazel Fox,» sussurra. «Sarai un piccolo Einstein moderno. Senza baffi. E con le tette. E con un bel cul...»
«Okay, basta.»
«Okay, basta, nel senso che non ti ho convinta o che accetti?»
Ho come l'impressione di aver appena commesso un grave errore. Ma è troppo tardi. Il mio cervello ha già mandato l'input alla mia bocca per dire: «Accetto. Due ore di prova. Valuterò. E, se non dovesse andarmi bene, mi lascerai in pace. Non esistono seconde opportunità, d'accordo?»
Fa una smorfia. «Ci sto. Posso accettarlo.»
«Ottimo. Ora vorrei finire il mio pranzo in pace e in silenzio, soprattutto.» Tradotto: devi andartene.
Ares tiene gli occhi spalancati, mentre interpreta la mia frase e cerca di coglierne il significato nascosto. Quando ci arriva, fa un verso di stupore. «Oh. Chiaro. Posso stare zitto, sì.»
Ne dubito. Resta il fatto che sono troppo stanca per continuare a discutere con lui. Non sono abituata ad avere tante interazioni sociali con le persone, e quelle di oggi con Ares, Liam e Hermes mi hanno consumata dentro.
Prendo forchettate generose di insalata, nel tentativo di finirla il prima possibile e poter tornare ai miei impegni.
«Dimenticavo una cosa: c'è solo una regola per le ripetizioni. Si fanno senza vestiti.»
Per tutta risposta, afferro la bottiglietta d'acqua e gliela lancio contro. La sua risata divertita, un po' infantile e dal timbro acuto, mi fa sospirare. Sembra che questo ragazzo sia stato fatto al contrario.
🍒🔥
È da tre anni e cinquantaquattro giorni che non piango.
Il che è divertente perché sono sempre stata una grande piagnucolona. Quando qualcosa non andava, io facevo in modo di innescare il pianto con una canzone o con un film triste, solo per riuscire a sfogare tutta la mia tristezza. Iniziare a piangere per la storia di un personaggio inventato, e finire con qualcosa di vero, che vivevo io in prima persona. Piangevo fino ad avere il mal di testa.
Col tempo, è diventato estenuante. Ho trovato un meccanismo di difesa per il quale, se mi succede qualcosa di brutto, lo accantono e fingo che non esista. Diventa la scritta microscopica nell'angolo di una grandissima lavagna, invece che il titolo che campeggia al centro, a caratteri maiuscoli. Non riesco ad arrivare lì in alto per cancellarla definitivamente, ma è abbastanza lontana da permettermi di non vederla, di non accorgermi della sua presenza. È più facile far finta che non sia lì.
Non occorre una laurea in psicologia per capire che è un modo di affrontare la vita abbastanza sbagliato e pericoloso, ma è l'unico modo in cui riesco a non crollare e andare avanti.
«Ehi, Sirenetta, ci sei?»
Sbatto le palpebre e metto a fuoco il viso di Poseidon, a pochi centimetri dal mio. I capelli azzurri grondano d'acqua, le goccioline gli scorrono in viso e finiscono anche dentro la bocca, aperta in un sorriso smagliante. Non ho mai conosciuto una persona che sorride quanto lui.
A volte vorrei chiedergli che cazzo abbia da sorridere così tanto. C'è qualche segreto che noi altri umani tristi e disperati non possiamo sapere? Oppure si droga? Non è un'opzione che mi sento di escludere.
«Certo, sì, eccomi, presente,» blatero.
Poseidon non smette di sorridere. Fa qualche bracciata fino a raggiungermi, a bordo piscina, e si ferma accanto a me. Si poggia con il braccio dietro la mia schiena e mi scruta, inclinando la testa di lato. Mi mette subito in soggezione. Poseidon è bello da morire, e ogni centimetro del suo corpo sembra scolpito da Dio.
«So che mio fratello ti dà il tormento,» comincia. «Per esperienza personale, mi sento di dirti che l'unico modo per farlo smettere è... ucciderlo. Cosa non contemplata dalla legge, perciò non hai molte alternative.»
«Stai cercando di consolarmi? Perché, in tal caso, sappi che stai fallendo.»
Mi dà un buffetto sul naso. «Vedila così: avresti potuto rimanere incastrata con Liam. Credimi, molto peggio di Ares.»
Non capisco perché parlino sempre male di Liam. Insomma, ho capito che è un po' inopportuno e mi sono resa conto della sua ossessiva perseveranza nei confronti di Athena, ma... «Io credo che sia molto meglio Liam, di Ares. Ares è maleducato, sfrontato, non dice mai la cosa giusta, la sua ironia è offensiva, non sa rapportarsi alle persone e guarda troppi culi in giro per l'università.»
Poseidon ascolta il mio monologo, e quando ho finito mi punta l'indice contro. «Hai elencato tutto questo con un grande sorriso, lo sai, Sirenetta?»
Avvampo. Mi porto le mani sul viso e tasto la bocca, per averne conferma. Sto ancora sorridendo, è vero. Non riesco a smettere. E Poseidon ride di me, mentre abbasso gli angoli delle labbra con le dita e mi impongo un'espressione indifferente.
«Ares ti sta simpatico, ma lo tieni a distanza. Anche io ti sto simpatico, e nonostante nuotiamo insieme già da un po', me ne accorgo che fai lo stesso. Perché?»
Ogni muscolo che ho in corpo si paralizza. Agito le gambe, sott'acqua, presa in contropiede dalla sua psicanalisi improvvisa. Dalla bocca di Poseidon escono perlopiù cavolate, ma ogni tanto ti sorprende con qualcosa di serio.
Perché mi affeziono subito alle persone. In un modo così intenso che lascio a loro una parte di me. E quando poi vanno via, quella parte resta con loro. E tutto ciò che sono, pian piano, svanisce.
E fino ad ora, nella mia vita, non è rimasto nessuno. Se mantengo le distanze, se non do nulla di me agli altri, rimango una persona intera.
Ma non posso vomitargli addosso tutto questo. Non posso dirgli: "Mi affeziono troppo, ho la sindrome dell'abbandono e cerco l'amore ovunque". O che ho paura che suo fratello finisca per piacermi tantissimo e che otterrò l'ennesimo palo. Per ora, per fortuna, non c'è il rischio che provi un interesse amoroso nei confronti di Ares.
«Sono timida,» opto per una mezza verità.
Poseidon valuta la mia risposta. Con un movimento fulmineo mi schizza dell'acqua in faccia e il sapore del cloro mi arriva sulla punta della lingua.
«Sai che Ares è stato adottato per ultimo, dai nostri genitori? È arrivato in casa nostra a quindici anni, noi eravamo lì già da quando ne avevamo sei e sette. Era scontroso e taciturno, e per quanto sembrasse antipatico, vedevi nei suoi occhi la paura che tutto quello non fosse reale. Il terrore che Teia e Iperione potessero riportarlo in orfanotrofio. Erano solo mie supposizioni, però. Sai come ne ho avuto conferma?»
Scuoto il capo, totalmente assorta dal suo racconto.
«Era arrivato da tre giorni quando, per caso, sono passato davanti alla porta della sua stanza. Ho visto che i suoi bagagli erano ancora intatti. Non aveva tolto nulla dalle valigie.» Fa un sorrisetto pieno di tenerezza. «Così, per curiosità, ho iniziato a sbirciare ogni giorno. Sai quando ha cominciato a sistemare i pochi vestiti che aveva dentro l'armadio?» Non attende che chieda. «Tre mesi. E, nonostante quel piccolo passo, le valigie restavano aperte, in un angolo della camera. Pronte all'evenienza.»
Il cuore mi va a mille, lo sento battere così forte che temo mi risalirà la gola e lo ritroverò a galleggiare in acqua, lontano da me. «Aveva paura di non aver trovato un punto,» sussurro.
Poseidon avvicina l'orecchio. «Come?»
«Aveva paura di non aver trovato un punto, una degna conclusione della frase. Temeva che non fosse un "Alla fine, una coppia adottò il bambino e lo portò a casa.", bensì un "Alla fine, una coppia adottò il bambino e lo portò a casa, ma si rese conto di aver sbagliato e tornò in orfanotrofio". Aveva paura di ricevere un'altra virgola, aveva paura che la frase continuasse.»
Dio, è una cosa così triste e dolce, che non immaginavo avrei mai potuto collegarla a uno come Ares. Il problema è che, fin quando non mi mostrerà anche questo suo lato, la mia opinione nei suoi confronti rimarrà sempre la stessa.
«Siete più simili di quanto tu pensi,» conclude Poseidon. Si scosta di qualche centimetro, poggia entrambi i palmi sul bordo piscina e si solleva fino a uscire dall'acqua. «La differenza è che tu tieni le persone lontane, con gentilezza. Lui le tiene lontane facendo lo stronzo, perché è abituato a essere odiato.»
«Dimentichi che l'altra notte sono finita con una bomba addosso, in mezzo al campo da football, per colpa sua.»
Poseidon è già diretto verso gli spogliatoi maschili, con un asciugamano appeso attorno al collo. «Purtroppo, la nostra famiglia ce l'ha con lui in questo periodo. Posso garantirti che non ti accadrà più nulla. Io per primo me ne assicurerò, e insieme a me i miei fratelli e Ares stesso.»
Non gli rispondo. Fatico a credere alle sue parole. Mi immagino già, tra una settimana, legata come un maiale allo spiedo, con una patata in bocca e un falò sotto il mio corpo.
Non so per quanto tempo io rimanga ferma, immersa nell'acqua, a riflettere e pensare ad Ares. Abbastanza da permettere a Poseidon di farsi una doccia al volo e salutarmi, sbattendo la porta della piscina alle sue spalle. Abbastanza da avere le mani raggrinzite. È in quel momento che trovo la forza per uscire e andarmi a cambiare. Mi lavo con il bagnoschiuma che mi porto sempre dietro dalla mia camera e asciugo i capelli in fretta; la fortuna dell'averli così corti è che non devo perderci troppo tempo. Infilo una maglia e la tuta e, con il borsone in spalla, esco dagli spogliatoi delle donne.
Quando mi avvicino agli interruttori della luce per spegnere tutto, la mia mano si blocca. Aguzzo la vista.
Non posso crederci.
C'è qualcuno sul trampolino più basso. Indossa un completo elegante, viola scuro, con una camicia bianca sotto. Mi bastano pochi secondi per riconoscerlo. Thanatos. Il ragazzo che vuole uccidere Ares e che mi ha trasformata in un involtino di dinamite.
Il primo istinto che ho è di scappare. Svanisce nel momento in cui mi accorgo di cosa sta facendo. Dalla caviglia parte una corda che risale fino al suo busto. Sta tenendo un'ancora stretta al petto e fissa l'acqua, temo con l'intenzione di tuffarsi.
È impazzito? Cosa dovrei fare?
«Ehi!» grido. «Fermati!»
Thanatos mi rivolge un sorrisetto, poi fa un passo nel vuoto e precipita dentro la piscina, con il peso da almeno otto chili. Il suo corpo affonda completamente, senza mai riemergere. Nonostante la scarsa illuminazione, posso vederlo sul fondo della piscina.
Non rifletto troppo sulle mie azioni. Lascio tutto, calcio via le scarpe e gli corro incontro. Il mio corpo scalfisce la superficie dell'acqua con violenza. Nuoto disperatamente fino al fondo di tre metri, gli occhi spalancati e il respiro trattenuto.
La situazione che mi si presenta davanti mi lascia spiazzata. Thanatos sta cercando di sciogliere da solo il nodo alla caviglia. Non sembra nervoso, non sembra preoccupato. I suoi movimenti sono calmi e precisi. Quando provo ad aiutarlo, capisco di aver commesso un grave errore. La sua espressione è furiosa, e con la mano cerca di dirmi di andarmene. Ma come posso lasciarlo qui? Non che mi importi di lui, ma è comunque una vita umana.
Capisco subito che non riesce più a trattenere il respiro. Io stessa mi ritrovo in difficoltà, seppur minore della sua, visto che ci sono abituata.
Thanatos prende d'assalto la corda, questa volta le mani tremano e il corpo è scosso da fremiti incontrollati. L'ansia mi sta divorando, e l'egoismo che caratterizza ogni umano mi urla di nuotare e riemergere per prendere una boccata d'aria.
Gli occhi mi si stanno chiudendo da soli. Non so se riuscirò a fare lo sforzo necessario a risalire.
Un braccio mi avvolge la vita. Mi ritrovo stretta contro il corpo di Thanatos. Le sue gambe lunghe e fasciate dai pantaloni si muovono agilmente e trascinano sia se stesso che me. Mi reggo forte a lui, mi aggrappo alla sua camicia e tento di aiutarlo agitando i piedi.
Manca poco a infrangere la superficie dell'acqua. Thanatos si allontana da me, aggancia entrambe le mani sui miei fianchi e mi dà una spinta decisa verso l'alto. Emergo con la bocca spalancata, già pronta a prendere tutto l'ossigeno di cui ho bisogno. Respiro affannosamente e mi mantengo a galla, incredula di ciò che ho appena vissuto.
Thanatos compare pochi istanti dopo. L'irregolarità del suo respiro mi fa capire che, tra i due, ero comunque io quella meno in difficoltà.
Non perde tempo. Con poche bracciate arriva a bordo piscina e si solleva, uscendone. Lo seguo a ruota, pronta a rivolgergli tutti gli insulti che mi passano per la testa, dai classici ai più fantasiosi.
Lui mi precede. Non nel senso che mi insulta per primo, ma scoppia a ridere. Una risata fragorosa, che riecheggia in ogni angolo della sala e non accenna a diminuire di intensità. Si piega all'indietro e continua a ridere come un pazzo.
Io resto a bocca aperta.
Thanatos si volta nella mia direzione, fa un respiro profondo e scuote il capo, d'improvviso serio. Si sistema la giacca, come se fosse sgualcita e tira su il mento. «Be', è stato piacevole. Dovremmo rifarlo, ogni tanto.»
La mia bocca si apre ancora di più. «Che diamine di problemi hai?»
«Mmh. Un "no, grazie" sarebbe andato bene comunque.»
Esco dalla piscina, così infuriata che i miei movimenti risultano goffi e ridicoli. Thanatos non perde occasione per farmelo pesare ancora di più, seguendomi con lo sguardo e un mezzo sorrisetto.
Gli passo accanto, facendo ben attenzione a dargli una spallata. Non lo smuovo di un millimetro, al contrario lo faccio ridere sotto i baffi. Recupero le mie scarpe e il borsone, ma non muovo un altro passo che qualcosa mi afferra il cappuccio della felpa.
«Dove credi di andare? Ci sono cinque gradi, lì fuori. Vai prima ad asciugarti,» mi rimprovera Thanatos.
«Mi hai legato una bomba addosso ed eri pronto a farmi saltare per aria,» gli ricordo. «Adesso ti importa se mi ammalo?»
Fa una smorfia davanti alla verità delle mie parole. Quando provo a superarlo, lui mi preme il dito sulla fronte e mi spinge all'indietro. «Non era niente di personale, credimi. Volevo vedere se fossi una persona a cui Ares tiene, o se ci fosse qualche legame speciale tra di voi. Sto solo cercando le sue debolezze. Considerando che hai provato a salvarmi poco fa, nonostante il mio giochetto, direi che sei solo una persona buona e stupida.»
Tralascio il suo insulto finale. «Legame speciale tra di noi? Non credo proprio. Se potessi, gli ficcherei la testa dentro il water e tirerei ripetutamente lo sciacquone.»
Thanatos aggrotta la fronte, pare divertito. Poi aggancia il mio cappuccino e inizia a trascinarmi in direzione degli spogliatoi femminili, nonostante le mie proteste e i miei tentativi di allontanarlo. Mi scarica davanti alle postazioni con i phon e i getti d'aria calda. «Asciugati.»
Dopodiché, mi lascia andare e comincia a spogliarsi. Come la prima volta in cui l'ho conosciuto. Si leva ogni vestito di dosso, intimo compreso e aziona il getto d'aria, cercando di eliminare ogni traccia d'acqua dalla sua pelle.
«Tu andresti molto d'accordo con Haven Cohen,» gli dico, ripensando a lei che quasi rimane nuda alla serata d'apertura dei giochi dei Lively e allo scandalo del teatro.
Thanatos ghigna e annuisce. La luce dello spogliatoio femminile colpisce alla perfezione le curve dei suoi muscoli e mi dà una visione più chiara dei tatuaggi che gli decorano l'addome intero.
«Non mi avvicinerei mai a Haven Cohen, so che ha un cane da guardia molto protettivo e amante della cura del suo folto pelo, di nome Hades Malakai Lively.» Aggrotta le sopracciglia. «Tu sai se è vero che ha un blog tumblr?»
Blog tumblr? Che diamine dovrei saperne io?
Dal poco che ho osservato di quello strano gruppo mal assortito di ragazzi, però, ho capito che Hades morirebbe per lei. E che Athena ucciderebbe volentieri Liam Baker. Ma quella è un'altra storia.
«A proposito...» Thanatos si volta e corruccia le labbra. Non capisco cosa non gli vada bene, in questo momento. «Coraggio, asciugati. Come ti chiamavi... Helzel?»
«Hazel,» correggo con uno sbuffo.
«Sono un assassino, ma un gentiluomo. Se ti spogli, non guardo.»
Dato che non ne posso più di stare in sua compagnia, accendo il phon e comincio a passarmelo lungo tutto il corpo, così da chiudere questo spettacolino indecente.
«Dicevo, Hansen, per caso conosci qualche debolezza di Ares che io possa sfruttare contro di lui? Hai detto che non lo sopporti, quindi sono sicuro che vorrai darmi una mano nel rendergli la vita un inferno.»
Mi pietrifico sul posto. In effetti, io conosco un punto debole di Ares. L'acqua. Non sa nuotare. Ho anche intuito che c'è un trauma legato a questa paura, e non sono una persona così cattiva. D'altro canto, se capisce che cerco di proteggerlo, se la prenderà di nuovo con me. La fantasia di me, appesa a uno spiedo, a rotolare come un maiale in cottura non è qualcosa che vorrei vivere nella realtà.
Fingo di pensarci su, e tengo l'attenzione sui tatuaggi di Thanatos. Solo in questo momento noto che ha un piercing in entrambi i capezzoli. Distolgo lo sguardo, sperando di non essere arrossita.
«So per certo che è un abile nuotatore,» la mia voce è ben controllata e non dà segno che sto raccontando una bugia colossale. «Quindi ti direi di evitare giochi simili a quello che hai fatto tu stanotte, qui. Mi pare che le altezze non siano il suo forte, però.»
Almeno, spero che oltre alla fifa dell'acqua non soffra anche di vertigini.
Thanatos resta in silenzio, nudo come un verme, a fissarmi. Sta valutando la mia frase, e io mi passo il phon tra i capelli come se nulla fosse. Non so perché voglia proteggerlo. Forse, sono solo contraria a questo accanimento, forse capisco che per chi non ha familiarità con l'elemento, l'acqua possa essere un vero e proprio incubo.
«Mmh, d'accordo, Hansel,» decide, alla fine, di credermi. «Grazie per il consiglio. Cercherò di sfruttarlo.»
Gli lancio un'occhiata eloquente.
«Senza mettere te in mezzo.»
«Grazie.» Assurdo che debba ringraziarlo. «Né me, né altre persone innocenti.»
Thanatos mi fa un sorriso angelico e chiude il getto d'aria. Raccatta i vestiti e indossa solo la camicia e i pantaloni. Sono ancora fradici, ma non sembra interessargli. Alza un dito. «Aspetta un attimo.»
Resto ferma, in parte incuriosita e in parte ancora traumatizzata da tutto quello che è successo negli ultimi dieci minuti. Tuffi illegali, nudità e discorsi sull'essere un assassino.
Thanatos sparisce dentro la sala principale, tornando solo pochi secondi dopo con un foglio in mano. Lo lascia su una panca dello spogliatoio, e mi sto già avvicinando per studiarlo. «L'ho trovato in un angolino, vicino all'ingresso, quando sono entrato. Credo che sia per te.»
È un foglio appartenente a un album da disegno, la consistenza è più spessa e quasi ruvida. Al centro, c'è un disegno abbozzato a matita, ma ben definito nelle sfumature e nelle linee. È una ragazza, poggiata a bordo piscina, con l'acqua che la copre fino a sotto il seno. Pur essendo di profilo, è impossibile che non riconosca me stessa. È un mio ritratto. Così bello e accurato nei dettagli, che mi chiedo chi possa conoscere così bene i tratti del mio volto o le curve del mio corpo.
Quando sollevo il capo, come se potessi trovare l'autore qui davanti a me, mi rendo conto di essere rimasta sola nello spogliatoio.
Sistemo con cura il disegno dentro il borsone, attenta a non stropicciarlo, e mi avvio verso l'uscita.
Ciao raghy vi sono mancata say yes pls
Sono molto in ritardo con questo aggiornamento, lo so, ma nella mia vita stanno cambiando tante cose e sono in costante mental breakdown 😗✌🏻
Cercherò di essere più veloce, abbiate pazienza con me
Nel frattempo vi ringrazio per leggere GoC ed essere ancora qui a leggere della famiglia mela 🍏 🍎
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Have a nice life.🍒❤️🩹
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