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3 (A) - Un martedí sera esplosivo




"La successione di Fibonacci venne introdotta dal matematico pisano per dare una descrizione regolare e numerica della crescita mensile di una popolazione di conigli, supponendo che essi diventino fertili al compimento del primo mese e ogni coppia di conigli partorisca al compimento del secondo mese. Così, i primi due termini della successione sono entrambi uguali a 1, mentre ciascun termine dal terzo in poi è uguale alla somma dei due che lo precedono. La successione di Fibonacci è da sempre circondata da un'aura di mistero e ha sempre esercitato un grande fascino in ambiti anche distanti dalla matematica poiché si presta a descrivere alcune regolarità osservabili in fenomeni naturali di crescita. Per questo, anche se alcuni riferimenti a essa sono piuttosto forzati, i suoi termini si utilizzano in modellizzazioni matematiche di fenomeni di vario tipo, dalla disposizione delle foglie lungo un ramo di una pianta in crescita ai fenomeni acustici e di riconoscimento di onde sonore."



— If you be the cash
I'll be the rubber band
You be the match
I will be a fuse, b o o m


🍒
A R E S '
P O V


«Ares,» mi richiama Hermes, guardando il mio cellulare che vibra sul tavolino. «È la quarta chiamata che ricevi. Perché non rispondi?»

Infilo un'altra cucchiaiata di gelato in bocca e parlo a bocca piena. «Odio le chiamate. Non mi piace parlare al telefono.»

Hermes, seduto per terra con un pigiama satinato giallo, con la camicia completamente sbottonata (l'unica nudità che gli abbiamo concesso), fa una smorfia e lancia un'altra occhiata allo schermo. «Ah, no? Nemmeno se fosse Hazel?»

Sbuffo. «Certo. E comunque non ho il suo numero.» Ci rifletto un attimo. Almeno, io non ricordo di averlo mai salvato. Magari qualcun altro me lo ha messo in rubrica.

Scatto in avanti e afferro il cellulare, mentre la risata di Hermes mi fa da sottofondo. Non c'è il nome di Hell. E non c'è nemmeno un numero preciso, a dirla tutta. Sconosciuto. Ottimo.

«Dai, rispondi,» continua a prendermi in giro Hermes. «Magari è Hell che ti fa uno scherzo. Tanto vale tentare.»

Ignoro la sua provocazione. Se c'è una cosa che ho capito, in questi due giorni passati a convivere con lui e Liam, è che se non li ignoro, finisco per sgozzarli. E io non sono proprio fatto per il carcere, diciamocela tutta.

Continuo a fissare lo schermo, con la chiamata in arrivo, e attendo che chiunque mi stia disturbando riattacchi.

«Ragazzi!» strilla Liam da qualche parte nella camera. Ha un tono troppo entusiasta, la cosa non promette bene. Quando Liam Baker è entusiasta, di solito pensa di aver fatto qualcosa di intelligente senza rendersi conto che è un'enorme cazzata.

Liam arriva nel piccolo salotto con le mani raccolte a coppa, dentro c'è qualcosa che guarda con gli occhi dell'amore. Poi sposta lo sguardo tra me e Hermes, più volte. «Ho trovato questo geco vicino alla finestra. Penso non si senta bene. Non è scappato e si è fatto prendere in mano!»

Mi ritraggo con uno scatto. «Dio, buttalo fuori,» gli ordino. «Detesto i gechi, sono tra gli animali più orribili al mondo.»

Anche Hermes non sembra tanto felice del nuovo inquilino. Scivola indietro, sul pavimento. «Che schifo, Liam. Rimettilo fuori.»

Liam spalanca la bocca in un'espressione oltraggiata. Fa scivolare l'essere ripugnante in una sola mano, e con l'indice dell'altra lo accarezza. «Non ascoltarli, Michael Geckson. Tu rimani qui con me, sotto la mia protezione.»

Hermes aggrotta la fronte ma gli scappa una risatina. «Michael Geckson?»

Io sono preoccupato da ben altro. «Lui rimane qui con te? Te lo scordi, Liam. Quel mostro non vivrà con noi.»

Non so cosa voglia fare, di preciso, ma mi viene istintivo protendermi verso Liam. Non avrei mai il coraggio di prendere quel geco in mano, mi farebbe rivoltare lo stomaco, ma non ho nemmeno intenzione di condividere i miei spazi con lui.

Liam si ritrae e finisce addosso al muro, sbattendo forte la nuca. «No! Gli faccio una cuccia. Non vi darà fastidio. Lui è mio amico, ora. Si fida di me e non lo lascerò solo.»

Sto per ribattere, quando il mio telefono si illumina e segnala l'arrivo di un nuovo messaggio. Nello stesso istante, anche quello di Hermes prende vita. E sono sicuro che sia successo lo stesso a Liam, perché il suo, dentro la tasca del pigiama bianco, emette il suono di una campana. Lo afferra ancora con Michael Geco nella mano sinistra.

«Ditemi che anche voi avete ricevuto un invito piuttosto inquietante da un numero sconosciuto,» mormora Herm.

Leggo il messaggio. Vieni tra 7 minuti in biblioteca.

Sette. Di nuovo quel numero. Inciso sulla porta e il numero di facce di quel dado ridicolo.

D'accordo. Ora sono curioso. Non perdo tempo ad ascoltare lo scambio di pareri tra Liam e Hermes, prima di tutto perché sono Liam e Hermes, appunto. E poi perché se mi metto in testa una cosa, la faccio.

Perciò mi metto in piedi, ringraziando di non aver ancora indossato il pigiama e infilo le scarpe da ginnastica. Lego i lacci a caso e li infilo dentro, per poi mettermi un giubbotto nero.

«Dove vai?» mi urla dietro Hermes.

«In biblioteca. Avete letto il messaggio, no? Siamo tutti richiesti lì. Muovetevi.»

Li sento protestare, ma ormai sono in corridoio, con il telefono stretto in mano e la mascella serrata. Se non smetto di stringere così, mi spaccherò i denti.

Passano pochi secondi prima che mi giunga il rumore di suole che sbattono sul pavimento. Hermes e Liam mi stanno correndo dietro, entrambi ancora in pigiama. E Liam sempre con quel maledetto geco in mano.

Non faccio domande. Isolo le loro voci che parlano di cazzate e percorro la strada che porta alla biblioteca. Non ci sono stato spesso, motivo per cui a un certo punto esito sulla direzione da seguire. Hermes mi aiuta, facendomi strada. È davvero ridicolo, lui e il suo pigiamino giallo in raso.

A qualche metro dall'ingresso, mi accorgo che sono già tutti lì. Cohen, Hades, Apollo, Athena, Hera, Zeus e Poseidon. Dionysus manca, e non me ne stupisco. Quel ragazzo appare e scompare a piacimento. Non mi stupirei se non fosse nemmeno registrato regolarmente qui, a Yale.

Mi stanno tutti fissando come se avessi fatto qualcosa di male. «Che c'è? Non è colpa mia,» mi difendo subito.

Athena fa un passo in avanti. Le leggo in faccia la voglia di prendermi a schiaffi. «Forse se non avessi dato fuoco alla bara di Crono, ora non saremmo qui, che dici, coglione?»

Le sorrido. «Te l'ho mai detto che la tua aggressività mi eccita?»

Lei apre bocca, pronta a insultarmi di nuovo. A interrompere un potenziale litigio inutile è Hades. Sta fissando qualcosa, accanto a me. Liam. Lo indica. «Perché hai un geco in mano?»

«Si chiama Michael Geckson, l'ho trovato poco fa in stanza. È il mio nuovo animale domestico.»

Posy si abbandona a una risata e gli porge il palmo della mano, per scambiarsi un sonoro cinque. «Geniale. Mi piace tantissimo, Giuse.»

Giuse?

Quando incontro gli occhi di Hades, ho l'impressione che abbiamo entrambi la stessa espressione in viso. Sconsolata ed esasperata.

Zeus picchietta sulla porta della biblioteca con le nocche della mano. Siamo tutti vestiti male o in pigiama, ma lui ha i suoi soliti abiti sobri e l'immancabile cappotto lungo. «Che ne dite di smetterla ed entrare?»

«Come sei perentorio oggi, Signor Zeus,» lo rimbecco.

Lui alza gli occhi al cielo e mi afferra per l'orecchio, trascinandomi davanti all'entrata. Non ho mai incontrato qualcuno con una presa così ferrea delle dita. Mio fratello deve avere il pollice e l'indice muscolosi, altrimenti non mi spiego come possa farmi così male con un pizzicotto.

Mi liscio la maglia, inutilmente, e abbasso la maniglia. Nonostante sia l'una di notte, la biblioteca non è chiusa. Chiunque ci abbia dato appuntamento qui, sa il fatto suo.

Le luci sono spente. Fatta eccezione per una lampada su un tavolo posizionato più o meno al centro della sala. C'è una sola finestra aperta, che permette al vento di fuori di entrare nella biblioteca, ululando e smuovendo le pagine di un libro poggiato sul tavolo.

Le pagine emettono un fruscio fastidioso, quei pezzi di carta sembrano sul punto di cedere e spezzarsi, brutalmente presi d'attacco dal vento.

E, lì davanti, c'è una sagoma. È un ragazzo, suppongo della nostra stessa età, se non appena più grande. Se ne sta con i gomiti poggiati sul banco e le mani congiunte sotto il mento. Ed è fradicio. Abbasso lo sguardo sotto il tavolo; anche i pantaloni sono zuppi e aderiscono alle sue gambe.

«Sbaglio o è bagnato dalla testa ai piedi?» sussurra Cohen, dietro di me.

«Non sbagli. Con il vento che tira nella sua direzione, finirà per ammalarsi,» risponde Liam.

Ma a me non interessa della broncopolmonite che avrà domani questo sconosciuto. Il mio cervello fa un collegamento immediato: fuori non piove. Qui vicino non c'è il mare. L'unico posto in cui può essersi inzuppato a questo punto è la piscina di Yale. Almeno, il più probabile. E Hell va lì ogni sera, da quanto ho capito. Che si siano incontrati?

«Buonasera,» ci saluta lo sconosciuto. Sposta la lampada in modo che lo illumini meglio. I suoi capelli sono una macchia nera, gli occhi a mandorla sono scuri e contornati da folte ciglia. Le labbra sono piegate in un mezzo sorrisetto strafottente. Ho già voglia di insultarlo.

«Chi diamine sei?» sputo fuori.

Alle mie spalle, sia Athena che Cohen provano a farsi avanti e affiancarmi. Allargo entrambe le braccia per spingerle indietro, e iniziano a protestare all'unisono.

Hades e Apollo mi vengono in aiuto, afferrandole entrambe per tenerle ferme.

«È un problema mio,» ricordo a Haven e Athena. «State indietro.»

Il ragazzo si decide a chiudere il libro, mettendo fine allo scorrere violento delle pagine. È un tomo grosso, dalla copertina nera e rilegata. Fa scorrere il dito lungo i bordi, lo accarezza come se fosse qualcosa di prezioso, ma è probabile che stia solo perdendo tempo per farmi incazzare.

«Ares Cayden Lively,» pronuncia, piano. «Narcisista, egoista, impulsivo, maleducato, ipocrita, caotico, sarcastico ai limiti dell'offensivo e sulla buona strada per diventare un piromane.»

Faccio una smorfia. «Aggiungerei anche: incredibilmente bello e tossico.»

Lui solleva la testa con uno scatto e fissa gli occhi nei miei, pietrificandomi con uno sguardo carico d'odio. «Mi chiamo Thanatos. E sono qui per fare un favore a Urano e Gea Lively.»

Nessuno fiata.

Tranne Liam, che dice in un sussurro: «Diamine, ma siete tutti belli in questa famiglia?»

Lo ignoro, così come il resto dei presenti. Thanatos, invece, gli riserva un'occhiata incuriosita. Prima che se la prenda con Liam, riporto l'attenzione su di me. «Sei venuto per porgermi i loro ringraziamenti? Chissà quante volte anche nonno Urano avrà avuto voglia di infilzare Crono con uno spiedo e arrostirlo come un maiale.»

Questa era decisamente una cosa da non dire. L'espressione di Thanatos si indurisce, riesco a percepire la sua voglia di mettermi le mani al collo e farmi male. Be', in realtà la percepisco un po' in qualsiasi persona mi rivolga la parola. Dalle ragazze, non mi dispiace.

«Vuoi saperla una cosa, Ares?» risponde, alla fine.

Scrollo le spalle. «No, sono a posto così, grazie.»

Qualcuno incombe alle mie spalle, un profumo fresco e pulito mi stuzzica le narici, e una voce mi sussurra: «Piantala, testa di cazzo.» Hades.

Questa volta potrebbe avere ragione, perciò faccio un respiro profondo e tento di mostrare un atteggiamento più aperto al dialogo. «Dimmi pure, Thanatos.»

Lui fa il giro del tavolo e si poggia contro il bordo, più vicino a me. Sta sgocciolando ovunque. È ridicolo. Mi viene da ridere. Devo mordermi l'interno della guancia per non scoppiare in una risata.

«Urano e Gea Lively sono spietati. Uccidono persone come se fossero mosche, e la passano sempre franca. Amano la famiglia più di ogni altra cosa, e se fai del male a qualcuno dei loro figli, sarebbero capaci di scuoiarti vivo e mangiare i tuoi organi.»

Questa famiglia ha bisogno di una seduta di gruppo da uno psichiatra.

«Se avessero voluto, ti avrebbero ucciso il giorno stesso in cui hai mancato di rispetto a tuo zio Crono e hai dato fuoco alla sua bara,» continua. «E io sarei stato ben lieto di aiutarli. Il fatto è che hanno pensato che torturarti psicologicamente sarebbe stato più divertente. Farti giocare ed estenuarti è più semplice. Più di intrattenimento per loro.»

Ovvio. I giochi, in qualche modo, devono sempre c'entrare. Comincio a essere irrequieto. Essendo un Lively, ho il mio gioco personale. "Il meglio del peggio". Mi piacciono i giochi; mi piace giocare quando sono io a dettare le regole e fottere la mente degli altri. Non il contrario.

«Ercole aveva dodici fatiche, secondo la mitologia,» Thanatos si stacca dal tavolo e mi viene incontro. È poco più alto di me. «Tu ne avrai solo sette, però. Sette giochi, Ares, e io sarò il tuo giudice. Se perdi, muori. Se rifiuti di giocare, muori all'istante.»

Con un movimento fulmineo estrae una pistola dalla tasca posteriore dei jeans e me la punta al centro della fronte. Qualcuno, alle mie spalle, impreca. Liam lancia un grido, prontamente interrotto.

«Se scappi per evitare i giochi e inizi a nasconderti...» Cerca qualcosa dietro di me. «Come ha già fatto uno dei tuoi fratelli, quel ladruncolo ubriacone, moriranno tutti i presenti in questa biblioteca. Li cercherò, a uno a uno, e li ammazzerò con il sorriso. Chiaro?»

Pensavo di essere fuori di testa, forse Thanatos mi batte. E, a essere onesto, la cosa non mi piace. Sono un po' geloso. Il primato di schizzato della famiglia è mio, e voglio che rimanga tale.

«Sette giochi. Tre di cuore, tre di testa. Più quello finale, che da tradizione si terrà in Grecia, sull'Olimpo,» spiega Thanatos. «Ogni gioco è controllato da una figura mitologica diversa, che ti spiegherà le regole e ti darà un po' di fastidio. Quando saranno il giorno e il momento di giocare, lo saprai. Ti cercheranno loro.»

Annuisco, perché sta aspettando che gli faccia cenno di aver capito. «Bene. Ho solo una domanda: dopo averli vinti tutti, posso avere come premio il tuo culo da prendere a calci?»

Alza gli occhi al cielo ed evita la mia provocazione. «Queste sette fatiche saranno meglio di ucciderti direttamente, perché sono giochi particolari: se li vinci, significa che avrai ferito qualcuno che ami. Se li perdi, nessuno si ferirà ma tu morirai.» Scoppia in una risata. «Oh, cielo, adoro Urano.»

Thanatos allontana la pistola dal mio viso e fa un passo indietro. Rivolge un sorriso ai miei cugini e fratelli, dopodiché finge un'espressione sorpresa. «Ah, dimenticavo. Così come voi avete la vostra serata di apertura dei giochi, anche questi ce l'hanno. Diciamo che è un gioco di riscaldamento.»

Ogni muscolo che ho in corpo si paralizza. Deglutisco a fatica e cerco lo sguardo di Cohen, che al mio contrario non prova a trattenere la preoccupazione. È la prima a distogliere lo sguardo e focalizzarsi di nuovo su Thanatos, e mentre la fisso, qualcosa mi sfiora la mano. Le sue dita si incastrano con le mie, in una presa che vuole infondermi un po' di sicurezza. Mi sta dicendo: sono qui, ti aiuterò. Ma io non voglio. I suoi casini sono appena terminati, non sarò di certo quello a portargliene altri.

Thanatos, nel mentre, sta trafficando con il cellulare. Sghignazza come se nulla fosse, e prima che possa aggredirlo e chiedergli che cazzo abbia da ridere, mi mostra lo schermo.

C'è un video in riproduzione. La prima cosa che riconosco è il campo da football di Yale. La seconda, è Hell. Hazel Fox. La mia vicina di dormitorio. Ferma, in piedi, al centro del campo, con un giubbotto imbottito di esplosivo. Al centro, all'altezza del cuore, uno schermo elettronico con un tastierino.

«Cosa hai fatto?» sibilo, incredulo. «Perché hai messo in mezzo una persona innocente?»

Thanatos inclina il capo a sinistra, in direzione della finestra, fuori verso il campo da football. «L'ho conosciuta un'ora fa, in piscina. Rompeva le scatole dicendo che il bagno non si fa con i vestiti e che non posso buttare il mozzicone della sigaretta nell'acqua. E poi... Quando le ho chiesto se ti conoscesse e dove trovarti, perché volevo ucciderti, non ha voluto dirmi nulla. Mentiva, Ares. "Non lo conosco, non so chi sia e dove sia". Cazzate. Mi sono innervosito, così è diventata il mio gioco di apertura.»

Non ha ancora finito di parlare, che io sciolgo la presa dalla mano di Cohen e mi sto già dirigendo in direzione della porta, pronto a correre da Hell. Come ho già detto, sono io ad aver dato fuoco alla bara. Non voglio che ci passino i miei fratelli o cugini, e ancor meno studenti di questo posto che hanno l'unica colpa di avermi parlato due volte.

«Fermo, non vuoi sapere le regole?»

Mi blocco. Gli do le spalle, perché vederlo in faccia mi fa solo innervosire ancora di più.

«La bomba ha un conto alla rovescia, fissato a sette minuti. Lo farò partire quando tu sarai davanti a Hazel. L'ordigno si disattiverà in automatico se inserirai il codice giusto sul tastierino che ha attaccato al petto. Per scoprirlo, dovrai risolvere un indovinello che ho detto a lei.» Ridacchia. «Oh, cielo, spero che se lo ricordi. Non era semplicissimo da memorizzare. La conosci, Hazel? Sai se ha una buona memoria?»

Zeus e Apollo mi sono subito accanto, seguiti a ruota da Cohen e Hades. Hanno tutti e quattro quella stupida espressione determinata di quando vogliono fare gli eroi e salvare la situazione. «No, voi restate qui. A debita distanza.»

«Ti serve aiuto,» sussurra Haven, attenta a non farsi sentire da Thanatos. «Non ha mai detto che devi vincere da solo, senza l'aiuto di qualcun altro. Perciò sfrutteremo questa scappatoia.»

Quando avanza, sollevo il braccio e premo l'indice sulla sua fronte, spingendola indietro fino a farla piombare tra le braccia di Hades. «No, Cohen. Perché se sbagliamo, l'esplosione ucciderà tutti.»

«Non ti lasceremo lì a morire,» sbotta Zeus, a denti stretti. Il viso è paonazzo dalla rabbia. Mi starà maledicendo in tutte le lingue per il casino che ho combinato.

Gli sorrido in modo ironico. «Oh, grazie, vedo che avete molta fiducia nelle mie capacità.»

Cohen, Hades e Zeus cominciano a parlottare tra loro e discutere. Thanatos, poco più indietro, si sta strizzando i vestiti sul pavimento della biblioteca. Liam lo osserva con sfrontatezza, come se ne fosse affascinato.

Apollo interrompe il dibattito tra parenti. «Ha ragione Ares. Deve andare da solo. Non ha senso rischiare in questo modo. Se ha bisogno di aiuto, può chiamarci.»

Non aspetto che qualcuno controbatta e inizino a litigare. Corro verso l'uscita e mi sbatto la porta alle spalle. Seguo i cartelli per trovare l'uscita esterna più vicina, sfreccio per i corridoi illuminati e deserti di Yale, il cuore a mille e la sensazione che dovrò spiegare tante cose a Hell, se ne usciamo vivi.

Ti prego, cervello, non abbandonarmi. Risolvi l'indovinello, qualsiasi esso sia. Non farci saltare in aria come botti di Capodanno. Ti prego, dimostra che sai pensare a qualcosa che non siano tette, culi e battute maligne (ma sinceramente molto simpatiche).

Mentre corro nel buio della notte, l'aria fredda mi colpisce come una lama affilata. Potrei fermarmi e tirare su la cerniera del giubbotto che indosso sopra la maglietta in cotone, ma sarebbe tempo perso.

Al contrario di quanto si possa pensare, sono un pazzo che ama incasinare la vita delle persone, ma non sono un assassino. Non voglio nessuna vita sulla mia coscienza.

Quando arrivo al campo ho il fiatone e mi sembra di aver corso una maratona, ma i miei occhi mettono subito a fuoco la figura di Hell. Se ne sta al centro, e man mano che mi avvicino rimango stranito dal suo atteggiamento. Ha gli occhi chiusi e le labbra si muovono velocissime, come se stesse sussurrando qualcosa tra sé e sé.

«Hell!»

Le sue palpebre si sollevano con uno scatto. Trema appena, imbottita di dinamite. «Ares... Dio, si può sapere cosa diavolo succede?»

Metto le mani avanti e accorcio le distanze tra di noi. «Andrà tutto bene. Disinnescheremo la bomba. Tranquilla.»

Non sembra mi stia prestando troppa attenzione. «Non ho mai visto Fight Club,» butta fuori.

Rimango spiazzato. «Come, scusa?»

«Non ho mai visto Fight Club. È uno dei film più famosi nel mondo del cinema, e io ho sempre rimandato perché pensavo di avere tutto il tempo del mondo. Tra qualche minuto potrei saltare in aria senza averlo mai guardato. Non posso morire.»

La situazione è tragica e mi scappa da ridere, come al solito. Quando sono sotto pressione, mi viene da ridere. È assurdo. «Guarderai Fight Club, non ti preoccupare. Ora dimmi l'indov...»

«Non ho ancora finito il pokedex nell'ultimo gioco pokemon uscito,» riprende, gli occhi fissi e spalancati su un punto per terra. «Hai presente? Pokemon Legends: Arceus. Solo se completi il pokedex, a fine storia, puoi catturare Arceus. Ho sempre rimandato perché mi secca davvero tanto andare a catturare tutti i pokemon. Non posso morire.»

D'accordo. È entrata nel panico e parla a vanvera. «Hell, abbiamo solo sette minuti. Devi dirmi l'indovinello.»

Sembra risvegliarsi. E, al tempo stesso, da uno degli altoparlanti del campo, giunge una voce. «Il conto alla rovescia inizia ora. Sette minuti. Tic tac, tic tac, tic tac, tic tac...» annuncia Thanatos.

«Merda, l'indovinello, giusto,» borbotta Hell. «Giusto. Sì. Me lo ricordo. Continuavo a ripeterlo per non dimenticarlo. Ecco, ce l'ho. Atos ha detto che non dovrebbe essere difficile, per te, indovinare il codice numerico. Perché fa parte della successione matematica più famosa al mondo. Non mi ha detto quale, e sinceramente faccio schifo in questa materia, perciò...»

«I numeri di Fibonacci,» la risposta mi esce di bocca senza che neanche lo voglia. Non può che riferirsi a quella. Ogni numero della sequenza è la somma dei due precedenti. Uno, uno, due, tre, cinque, otto, tredici, ventuno...

«Tic tac, tic tac, tic tac... Vi piacciono le mie onomatopee? Sono abbastanza realistiche?»

«La serie può andare all'infinito, Hell,» le faccio presente. «Deve averti detto qualcosa in più. Non posso sommare ogni numero e provarli tutti su quel tastierino!»

Lei mi fissa come una che non ha la minima idea di quello che le sto chiedendo. Impreco a gran voce e mi fiondo sul tastierino. Thanatos è fissato col numero sette, la prima idea è inserire il settimo numero della sequenza. Il tredici.

Sbagliato.

Allora il settantasettesimo, forse. Comincio a contare nella mia testa, e quando Hazel prova a rivolgermi la parola, alzo la mano per farle cenno di stare zitta.

Inserisco il settantasettesimo numero della serie di Fibonacci. Sbagliato, ancora.

Un'altra idea che comprenda sempre il sette è il settecento settantasettesimo. Un calcolo del genere non riuscirei mai a farlo, e comunque sarebbe una perdita di tempo. Che c'entri il sette è troppo scontato.

«Mancano sei minuti,» strilla Thanatos con una vocina acuta. «Tic tac tac, tac tac tic, tic tac, tac tic tac, tic tic tic, tac tac tac...»

«Hai pippato cocaina mentre correvo qui?» grido, infuriato. «Tappati quella cazzo di bocca, mi distrai!»

Hell si morde il labbro così forte che temo stia per uscirle del sangue. Non sono bravo a rassicurare le persone, ma in ogni caso provarci non costa nulla. Perciò le prendo entrambe le mani fra le mie e richiamo i suoi occhi su di me. «Hell,» sussurro. «Andrà tutto bene. E se non dovessimo disinnescarla, credo comunque che sia una morte piuttosto veloce e indolore.»

Almeno, spero. Non sembra poi tanto indolore sentire il corpo che esplode in mille pezzi.

Hell si sposta un ciuffetto di capelli da davanti il viso e sospira. «Ares, non voglio morire, io...»

«Sì, nemmeno io voglio morire!» sbraito. «Tu non hai mai visto Fight Club e io non ho ancora finito la serie sulle Kardashian. Ho capito. Adesso potresti aiutarmi, invece che lasciare a me il compito?»

Pessima scelta di parole. Sono uno stronzo. Certo che il compito è mio. Io ho dato fuoco alla bara di Tutankhamon. Io sono quello preso di mira da Urano e Gea. Le sette fatiche sono mie. Lei è stata messa in mezzo perché ha provato a pararmi il culo.

Dio, quanto mi odio. Non ne dico una giusta.

Hell non si offende, però. Annuisce con rapidità e fa dei respiri profondi. Il suo corpo trema più di prima. Thanatos annuncia che mancano cinque minuti.

«Ha detto che solo tu puoi risolverlo,» ripete. «Perché sei tu che studi matematica e sei bravo, no? Io la studio, ma sono impedita con i numeri. Quindi...»

Smetto di ascoltarla. Sei tu che studi matematica. Io la studio, ma sono impedita. Qualcosa non va. «Hazel... Hazel!» la chiamo per interromperla. «Lo ha detto lui o lo hai dedotto tu? A meno che lui non sia qui da tempo e ci spii, cosa che ritengo improbabile visto che non ti conosce, non può sapere che tu studi matematica e fai schifo con i numeri.»

Si blocca. Spalanca la bocca in una piccola "o". È molto carina.

«No, non lo ha detto. L'ho dedotto io.»

Okay, è ufficiale: qualcosa non va. E, ancora peggio, qualcosa mi sfugge. Ma non capisco cosa, cazzo. Il mio cervello non ci arriva. O meglio, la pressione di star per morire insieme a Hell mentre un tipo infradiciato fa l'onomatopea delle lancette di un orologio, non mi aiuta a formulare ragionamenti sensati.

«Ares? Ares!» urla Hell. «Hai una soluzione sì o no? Prova qualcosa. Numeri a caso. Combinazioni stupide e banali, ma fai qualcosa! Mi hai messa tu in questa situazione, porca puttana!»

Il suo tono accusatorio, e del tutto lecito, mi fa innervosire. «Credi che sia semplice? Perché non ci provi tu, Genietto? Oh, non puoi. Perché fai schifo in matematica, Hazel!»

Gli occhi potrebbero uscirle dalle orbite. Vedo la rabbia deformarle l'espressione e le mani chiudersi a pugno, come se volesse picchiarmi. «Be', tu sei un vero genio, ma a quanto pare sto per saltare in aria lo stesso, cazzone!»

«Sai cosa dovrei fare?» le urlo contro. Indico l'uscita alle mie spalle. «Dovrei andarmene. Potrei iniziare a correre, velocissimo, e allontanarmi dal raggio d'azione della bomba. Dovrei proprio farlo.»

Hell muove un passo in avanti e inclina il capo verso l'alto, per fissarmi. «Provaci. Io giuro che ti inseguo e ti faccio esplodere insieme a me.»

Ricambio il suo sguardo e deglutisco a forza. Dio, quest'ultima cosa mi ha un po' eccitato, se devo essere onesto. 

«Strano modo per dirmi che vorresti scoparmi.»

Lei sbuffa. «Non era un modo per dirti che vorrei scoparti.»

Incrocio le braccia al petto. «E invece...»

«Scusate,» irrompe la voce di Thanatos dall'altoparlante. «In caso ve ne foste dimenticati, state per morire. Questa tensione sessuale dovreste rimandarla a dopo.»

Hell abbassa il capo, come in imbarazzo, e io sorrido della sua improvvisa timidezza. Non mi capacito di come possa essere sfrontata e introversa al tempo stesso.

«Risolvi l'indovinello, Ares.»

Ma io non so come. Perciò comincio a digitare numeri a caso sul tastierino. Provo qualsiasi combinazione mi venga in mente, senza alcun senso logico, e si rivelano tutte sbagliate. Non mi arrendo. Le dita mi tremano, a volte premo tasti che non volevo davvero cliccare. Il petto di Hell si muove a ritmo irregolare e non mi facilita il compito. Comincio a sudare freddo. I "tic tac" di Thanatos mi stanno facendo impazzire.

«Ares!»

Non c'è rabbia, non c'è esasperazione, non c'è alcuna intenzione di colpevolizzarmi nella sua voce. C'è solo disperazione. Il puro e semplice desiderio di vivere.

«Hell, mi dispiace, mi dispiace tanto...» mormoro, infilandomi le mani tra i capelli e tirando così forte che riesco a strapparne qualche ciocca.

Continuo a studiare lo schermo con il tastierino.
Mancano due minuti.

I tasti. Uno, due, tre, quattro, cinque, sei, sette, otto, nove, zero, cancella, invio, fine.

Uno, due, tre, quattro, cinque, sei, sette, otto, nove, zero, cancella, invio, fine.

Cancella. Invio. Fine.

Ho sempre premuto "invio" dopo la combinazione randomica.
Ma "fine" non l'ho mai toccato.

Non può essere. Non può essere così semplice.

Eppure, più ci rifletto, più ha senso. È chiaro che una combinazione della sequenza di Fibonacci possa disattivare la bomba. Così come è vero che è quasi impossibile trovarla, in sette minuti. Il motivo per il quale solo io posso disinnescare l'ordigno è che solo io vedo il tastierino. Non Hell. Non c'entra la matematica. C'entra il fatto che è presente il tasto "fine". E Hell non lo sa, perché l'apparecchio è messo in modo che non le sia completamente accessibile.

«Cinquanta secondi,» annuncia Thanatos.
«Ares?»
«Tic tac.»
«Ares, stai bene?»
«Tac tic.»

Le parole di Hell si mischiano ai versi di Thanatos. Devo liberarmene. Urlo un'imprecazione volgare e premo il tasto "fine". Sia Hell che Thanatos si zittiscono.

Lo schermo si illumina. Lampeggia.
Compare una scritta. FINE :-)
E si spegne di nuovo.

Il cuore mi batte così veloce, che temo di star per morire comunque, ma di infarto.

«Oh,» rompe il silenzio Thanatos. «Hai trovato la scappatoia. Peccato. Be', complimenti, credo.»

Non so in quale punto del campo si trovi, e forse è meglio così, perché se lo trovo lo picchio fino a rompergli ogni osso che ha in corpo.

Comincio a guardarmi attorno, a braccia spalancate, sicuro che lui possa vedere me, però. «Che razza di gioco era? Non puoi mettere in mezzo degli sconosciuti e far esplodere una bomba a Yale!»

La risposta tarda ad arrivare. Nel mentre, Hell si leva il giubbottino carico di dinamite e lo lascia a terra, spaventata come se potesse esplodere comunque da un momento all'altro.

«Non era una sconosciuta, a quanto pare. E questo è solo l'inizio. Ci vediamo alla tua prima fatica, Ares Lively. Non vedo l'ora di vederti morire.»

In qualche modo, so che la connessione si è interrotta e Thanatos se n'è andato, lasciandomi da solo con Hell.

Hell, che mi guarda con mille domande stampate in faccia. Sono pronto ad ascoltarle e rispondere. Glielo devo, come minimo, dopo averla messa in questa situazione.

Ma lei fa un passo indietro, poi un altro ancora, e mi aggira compiendo una mezza circonferenza attorno a me. «Non voglio sapere nulla di tutto questo. Non voglio sapere il motivo per il quale sono finita nel campo da football con una bomba addosso e tanto meno perché uno strano tipo voglia ucciderti. Non ho mai voluto sapere niente dei giochi dei Lively in questa scuola, mi sono sempre tenuta a debita distanza. Non mi piace giocare. Non mi piace il pericolo. Non mi piace il rischio. Non mi piace la vostra famiglia. Gli studenti, qui, vi trovano affascinanti. Io penso che siate solo degli esaltati, egocentrici, fuori di testa. E questa ne è l'ennesima prova.»

«Hell...» tento. Non so perché, ma le sue parole mi stanno facendo un po' male. Non sono abituato a essere trattato così dalle ragazze. In genere, vogliono sapere di più su di me. In genere, il pericolo che emano le attrae.

Lei si ritrae prima che possa raggiungerla e provare a sfiorarla. «Lasciami fuori da queste cose, Ares, per favore. Non voglio finirci in mezzo e non voglio...»

La sua voce si affievolisce. Gli occhi le si rovesciano all'indietro e le gambe le cedono, piegandosi come due ramoscelli d'erba. Il suo corpo comincia a precipitare verso il suolo, e io scatto in avanti per afferrarla.

Non faccio in tempo. L'urto con il terreno mi fa gelare il sangue nelle vene. Chiamo il suo nome, pur consapevole che non potrà sentirmi.

💣💣💣

«Quindi, sì,» concludo. «Diciamo che è stata una serata esplosiva.»

Finito il riassunto del gioco di apertura di Thanatos, Hades, Apollo e Zeus mi fissano con la stessa espressione: esasperata.

«Troppo presto per le battute?» aggiungo.

Apollo si sposta la riga dei capelli a sinistra. «Decisamente. Non fai ridere. Nemmeno sorridere per pietà. Sei un idiota.»

«Concordo,» si accoda Hades.

Guardo mio fratello. «Non mi difendi, Zeus?»
«No. Te lo meriti.»

Lascio andare il capo contro il bordo del divano, sopra il quale abbiamo steso il corpo incosciente di Hell. È svenuta da qualche minuto, ormai, e ogni tanto compie piccoli movimenti che mi illudono si stia riprendendo.

Dev'essere stato colpa dello spavento o il forte stress che ha vissuto. O forse un calo di zuccheri. Non saprei. Non sono mai svenuto in vita mia. Il mio corpo è troppo fantastico per sentirsi male.

«Ne riparleremo domani, comunque,» dice Hades, già diretto verso la porta. «Vado a informare il resto della famiglia che, purtroppo, sei ancora vivo e pronto a rompere i coglioni. Ci vediamo.»

Apollo lo segue senza rivolgermi neanche un cenno di saluto. Zeus resta a fissarmi per qualche secondo. Il suo silenzio vale più di mille parole di rimprovero. E, per la prima volta da quando ho dato fuoco a quella bara, mi sento di doverne pronunciare io due.

«Mi dispiace,» sussurro. Dato che non ottengo risposta, cerco di articolare meglio. «Mi dispiace creare sempre casini. Non lo faccio apposta.»

Zeus emette una risatina sprezzante. «Ah, sì? Riprovaci, Ares.»

«A fare cosa?» domando, confuso.

Ora è sulla soglia della porta, la mano sulla maniglia e lo sguardo puntato sul corridoio. «A formulare delle scuse più credibili. Sappiamo benissimo che creare casini è il tuo intento, sempre e comunque. E noi stiamo qui ad aiutarti a rimediare.»

Mi acciglio. Hell, accanto a me, espira forte dal naso. «Questa volta no. Me la caverò da solo. Le fatiche sono mie. Non vi metterete in mezzo. Non ve lo sto chiedendo.»

«È questo che non capisci!» urla d'improvviso, facendomi sussultare con una violenza tale da farmi sbattere la schiena contro il divano. Temo che abbia pure svegliato Hell. «Noi ti aiutiamo perché ti vogliamo bene, e rischieremmo la vita per te mille volte. Tu non pensi prima di fare cazzate, non pensi che potresti mettere in pericolo noi. Ci vuoi bene, almeno un po', Ares?»

Deglutisco a vuoto. Il cuore mi rimbomba nelle orecchie e mi sento umiliato. Apro bocca, non esce alcun suono. Zeus fa un cenno col capo per dire "come immaginavo", e se ne va borbottando una buonanotte poco sincera. Sembra che volesse più augurarmi di avere gli incubi tutta la notte.

Non ha tutti i torti, comunque. Non rifletto sulle mie azioni. E nemmeno su ciò che dico. Quando ho cosparso la bara di Crono di benzina e poi ho acceso quel fiammifero, pensavo solo a una cosa: vendicare tutto il male che ha fatto alla famiglia. A Cohen, ai miei cugini, persino a Rea, in parte. Volevo che acclamassero il mio gesto. Che ne fossero quasi commossi. Lo facevo per loro. Per far passare il messaggio: è stato uno stronzo con voi, diamogli fuoco. A quanto pare devo trovare un modo migliore per dimostrare le mie buone intenzioni.

Sospiro e mi passo una mano sul viso. È notte fonda e sono stanco. Hermes e Liam sono già in camera da letto, forse anche addormentati. E io me ne sto qui, ad aspettare che Hazel si svegli per accompagnarla alla sua camera e accertarmi che stia bene.

Passano secondi interminabili di silenzio. Fino a quando non mi giunge il brontolio di uno stomaco. Mi volto con estrema lentezza verso il corpo di Hell. A questo punto non sono sicuro che sia incosciente. Forse sta solo dormendo. Ma il suo stomaco reclama del cibo.

Che sia svenuta per la fame, invece?

«'Fanculo,» borbotto mentre mi metto in piedi e raggiungo il mini angolo cucina.

Comincio ad aprire i cassetti e frugare ovunque alla ricerca di qualcosa da mangiare. Trovo solo una barretta proteica al cioccolato fondente e un brick di succo alla pera.

Ora non mi interessa più essere gentile e comprensivo. Afferro Hell per le spalle e la scuoto. «Ehi. Svegliati. Hell? Sveglia, coraggio.» Deve avere il sonno pesante, perché le palpebre rimangono abbassate. La scuoto con più forza. «Hell!» le urlo nell'orecchio.

Lei sobbalza e mi allontana con un pugno in pieno viso. Oscillo all'indietro e quasi cado con il culo per terra. «Merda, ma sei impazzita?» Mi massaggio la guancia dolorante. Per essere piccola e mingherlina, ha un bel gancio.

Hell mi mette a fuoco, ancora con la mano serrata in un pugno, e non mi sfugge il mezzo sorriso in cui si incurvano le sue labbra quando capisce cosa ha appena fatto.

«Non si sveglia in questo modo una persona,» mi sgrida.

«A te non sveglierebbe nemmeno una bomba,» mi lamento.

Impiego qualche secondo ad arrivare alla conclusione che la mia scelta di parole è stata davvero pessima. Hell si morde il labbro, non so se per trattenere una risata o una lunga serie di insulti rivolti alla mia persona.

«Perché sono qui? Cos'è successo?» chiede, lasciando stare la mia indelicatezza. Si guarda attorno, facendo scattare la testa da una parte all'altra. Poi si alza, ma un capogiro la coglie impreparata e crolla di nuovo sul divano.

«Sei svenuta sul campo da football,» le ricordo. «Mentre mi dicevi che ero il ragazzo più bello di Yale e che avresti voluto fare del sesso selvaggio con me.»

Alza gli occhi al cielo.

«Stai bene?» azzardo a chiederle. Se ripenso alla situazione in cui ci siamo trovati, non posso che trovare la sua reazione molto più pacata del normale.

Forse ne sta subendo le conseguenze psicologiche ora. Perché si tormenta il labbro, alla ricerca di una risposta.

Approfitto della sua esitazione per lanciarle la barretta proteica. Le piomba addosso, colpendola in pieno petto. «Ehi!» esclama, per lo spavento. Non le do tregua. Le tiro anche il brick di succo, ma sbaglio mira e la colpisco in testa.

Hazel, ora, mi fissa con gli occhi iniettati di sangue. «La vuoi finire?» Recupera i due oggetti e gli dedica attenzione per un secondo scarso. «E poi cosa sono queste cose? Non le voglio.»

Le indico. «Hai fame. Mangia.»
«Non ho fame.»

«Il tuo stomaco ha brontolato. Da quanto non mangi? Sono sicuro che hai perso i sensi per quello.»

Hell rimane a bocca aperta. «No! Sono svenuta perché ho vissuto un'esperienza traumatica, visto che uno sconosciuto mi ha messo della dinamite addosso, e ho rischiato di saltare per aria perché tu non trovavi la combinazione giusta!»

Sbuffo. «Ah, certo, dimenticavo che sei un Genietto e tu avresti salvato la situazione molto prima di me. Forza, mangia. È al cioccolato fondente, è buona.» Almeno credo. Da quanto ho appreso in queste ore di convivenza, è Hermes l'appassionato di queste cose.

«Ho cenato ore fa. Non ho fame.»

«Devo infilartela in bocca con la forza, Genietto

«Smettila di chiamarmi così,» sibila. Mi lancia la barretta addosso e c'entra in pieno la mia fronte.

«Come preferisci essere chiamata? Stupida testarda di merda?» Recupero la barretta da terra e gliela tiro di nuovo, ma la manco.

Lei ne approfitta per rilanciarmela, questa volta insieme al succo di frutta. «E prenditi anche questo. Odio le pere! Bevitelo tu.»

Glielo rendo, e finalmente riesco a fare canestro sul suo grembo. «Anche io odio le pere. Non lo bevo.»

«Dio, sei insopportabile.»
«Specchio riflesso.» Le faccio una linguaccia.
Prende un cuscino in mano, deduco per tirarmelo.

Un colpo di tosse ci interrompe.

Hermes se ne sta poggiato contro il muro, con il pigiama giallo aperto sul torace. I riccioli biondi sono scompigliati, e sebbene si veda che ha sonno, il divertimento che sta provando prevale su tutto il resto. «Sapete in che modo potreste risolvere i vostri problemi?»

«Picchiandolo?» propone Hell.
«Scopando?» tento, io.

Hermes sospira. «No. Andando in corridoio e continuando a litigare lontano da due persone che cercando di dormire!» Il suo tono si inasprisce. Poi si indica il viso.

«Raghy, vi siete accorti di quanto sono bello? Ecco, non è solo merito della natura. Ho bisogno di riposo. Almeno otto ore di sonno a notte. Perciò, per cortesia, o state zitti o andate da un'altra parte a litigare come due mocciosi.»

«Sì, state dando fastidio pure a me!» grida Liam da lontano.

Diamine. Essere sgridati da due casi clinici come Hermes e Liam, è grave. Hell sembra mortificata. Herm se ne accorge, e si affretta a rimediare facendole una carezza tra i capelli corti e spettinati.

«Sei sempre la benvenuta, se vuoi insultare Ares e dargli fastidio, Hazel,» le dice. «Ma non durante il mio sonno di bellezza. Intesi?» Le porge la mano chiusa a pugno.

Hell sorride, rianimandosi all'istante e lo colpisce con il suo.

Hermes mi lancia un'occhiata di ammonimento, dopodiché ci dà le spalle e si allontana. Torna dopo poco. Studia l'ambiente circostante, senza dirci nulla, e si illumina quando trova quello che evidentemente cercava. Prende il brick di succo alla pera e ci gioca lanciandolo per aria.

«Lo vuole Liam. Buonanotte, bimbi.»



Il mio umore è sottoterra in sto periodo quindi di positivo c'è che questo angolo autrice sarà breve e indolore
Da marzo dovrei avere più libertà e potrò iniziare ad aggiornare più spesso 🫶🏻

Chiarisco delle cose che mi chiedete spesso, ormai: qui in GoC ci saranno capitoli extra per tornare un po' da Haven e Hades, ma non durante la storia.
Jack non tornerà come personaggio secondario. Sinceramente ora mi sta sul cazzo e non la voglio vedere 💀 in futuro poi chissà, sarebbe carino farla riappacificare con Haven
Sì, mancano ancora i giochi di Poseidon e Hera da scoprire. Così come mancano i nomi "veri" di Athena e Zeus. Ci arriveremo, no worries 🙌🏻

Per qualsiasi cosa mi trovate su ig col nick cucchiaia. Alla prossima 🍒💖

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