Chào các bạn! Vì nhiều lý do từ nay Truyen2U chính thức đổi tên là Truyen247.Pro. Mong các bạn tiếp tục ủng hộ truy cập tên miền mới này nhé! Mãi yêu... ♥

27 (A&H) - Il mondo visto dall'alto




— Say, "Don't go"
I would stay forever if you say "Don't go".



Acaronar (catalano):
attirare dolcemente qualcuno a sé; stringere, accarezzare,
abbracciare, proteggere qualcuno.



Scusate il ritardo nell'aggiornamento, sono state 2 settimane intense 🥲
E in caso a qualcuno non piacessero: 🌶️🌶️🌶️🌶️🌶️. Così potete saltare 🤚🏻

🍒
A R E S

Mi sono sempre chiesto quand'è che la mia vita ha cominciato ad andare a rotoli. Finalmente, ho trovato una risposta: il giorno in cui sono nato.

Il momento in cui la mia testa da neonato è sbucata fuori dall'utero di quella stronza di mia madre, le cose hanno cominciato a cadere in pezzi.

Credo, comunque, che la cosa importante sia saper ammettere di essere il problema. Insomma, sono io. Io sono il problema. Io sono l'antagonista della mia stessa storia.

Sono un deficiente che fa scelte di merda. Punto.

E questa nuova realtà in cui ho un occhio fuori uso e l'altro che, a passi da lumaca, si riprende, comincia a darmi davvero sui nervi.

Per la frustrazione, premo con troppa forza la matita sul foglio, e la mina si spezza. Sbuffo a gran voce e lancio la matita alla mia destra; resto ad ascoltare il rumore di quell'inutile pezzo di legno che rotola sul pavimento piastrellato della piscina, fino a quando la sua corsa non si interrompe.

Con la coda dell'occhio buono, mi accorgo che qualcuno mi sta venendo incontro. Mia madre, con la matita bloccata sotto la suola dello stivaletto col tacco, esala un sospiro. Nys si inchina a raccoglierla, e poi riprendono la loro avanzata gloriosa, nella mia direzione.

Alzo l'occhio al cielo. «No, vi prego, non sono in vena di una riunione di famiglia. Le nostre sono noiose.»

«Perché dici una cosa simile?» protesta Posy, prendendo posto alla mia sinistra. Hera e Nys si mettono subito dopo di lui, in modo da lasciare che nostra madre occupi la mia destra.

«Noi parliamo a cuore aperto, e ci riempiamo le bocche di sentimentalismi.» Fingo un verso disgustato. «Almeno, i nostri cugini litigano come iene e si lanciano le posate.»

«Vero», concorda Teia, distendendo le lunghe gambe in avanti. «Potevamo almeno portarci dietro Liam. Con le sue frasi inopportune avrebbe reso le cose più divertenti.»

«Ehi, cosa fai qui, a proposito?» domanda Posy, dando un colpetto al mio blocco da disegno, ancora aperto sulle mie gambe.

Lo richiudo con uno scatto troppo nervoso. «Disegnavo.»

«Cosa?» insiste.
«La piscina.»
«Ah, bello.»
«Sta mentendo, Posy. Disegnava Hell», gli viene in aiuto Hera.

Teia mi poggia una mano sulla spalla, e si sporge in avanti. Vuole vedere i miei ritratti, ma sa quanto sia delicato per me e aspetta che riapra il blocco di mia spontanea volontà.

«Almeno, ci provavo», mormoro, lasciando libero sfogo alla mia disperazione. «Non vedo nulla.»

«Forse perché sei a dieci metri di distanza da lei», commenta Nys. «Che diamine ci fai nascosto qui nell'ombra? Se vuoi vedere qualche culo in costume, apri PornHub.»

«Nys!» esclama Teia a voce troppo alta, per poi tapparsi la bocca con la mano.

«Cosa?» si difende lui. «Anche io sono contro i siti porno, in effetti. In genere, preferisco i giochi interattivi dove...»

«Comunque», lo interrompe mia madre. «Dovresti andare da lei e deciderti a scopare.»

«Mamma!» esclamiamo in coro, io, Posy e Hera.

«Concordo», si aggiunge Dionysus.

Hera tenta di porre rimedio, e con mia grande sorpresa apre la zip della borsa che ha in spalla e ne estrae dal suo interno quella che è, inequivocabilmente, la custodia di un paio di occhiali. La apre sotto il mio sguardo circospetto, mostrandomi degli occhiali da vista. La montatura è vintage e nera. «Questi potrebbero aiutarti. Ce li ha consigliati il dottore. Se vuoi usarli...»

Li prendo tra le mani, rigirandomeli come se stessi studiando l'ordigno di una bomba. Mia madre mi dà una spinta amichevole, spronandomi a provarli, e io obbedisco solo perché mi manca vedere bene. Mi manca più di quanto esprimo a parole e più di quanto sarò mai in grado di spiegare.

Non appena li indosso, noto il cambiamento. I contorni sono più marcati, e riesco a mettere a fuoco anche le cose più lontane, che prima erano oggetti vaporosi.

Hera e Posy mi fissano con insistenza, entrambi con un sorriso a trentadue denti stampato in faccia. «Ti stanno bene!» mi dice la prima.

«Sembri un porno attore», commenta Dionysus, subito dopo.

«Nys», lo sgrida mamma, con pazienza. «Hell è speciale», continua, come se non fosse successo nulla. «Ti ho visto portare a casa tante ragazze, e nessuna di loro la guardavi come guardi lei. E non è la solita frase cliché che leggi ovunque. Perché, quando potevi vedere, non guardavi nessuna. E ora che non puoi vedere, strizzi gli occhi per non perdere Hell di vista.»

Mi abbandono contro il muro, ormai arreso alla conversazione a cuore aperto in famiglia. «Cosa stai cercando di dirmi, mamma?»

«Iperione ci ha lasciati da due settimane, ormai. Il dolore non andrà mai via. Quando perdi qualcuno, la sofferenza resta, diventa parte di te. È un semino che si incastra tra le costole e mette radici dentro il tuo corpo. Ma questo non significa che tu non possa respirare. Questo non significa che tu debba soccombere e privarti dell'ossigeno. Se hai la possibilità di spalancare la bocca e prendere una generosa quantità d'aria, fallo.»

«Sì, è come la mia piantina di marijuana», conviene Poseidon, con aria seria.

Dionysus gli dà una gomitata. «Ne hai un po'? La mettiamo nei brownies e li diamo a Liam senza dirglielo.»

«Dovremmo darli a qualcuno in cui si noterebbe il cambiamento», mormora Posy. «Liam senza erba dice le stesse cose di Liam strafatto.»

«Comunque», ripete Teia, riportando l'attenzione sul discorso principale. «Hell è la tua boccata d'aria. Non sentirti in colpa se cerchi di essere felice, Ares. Tuo padre non lo vorrebbe.»

Aggrotto la fronte. «E tu, mamma? Tu stai facendo qualcosa per essere felice? O ci propini discorsi incoraggianti e poi in privato piangi da sola, magari?»

La sua postura si fa più rigida e mi pento subito di quello che le ho detto. «Quello che sto facendo adesso, in questo preciso istante, è il mio tentativo di essere felice. Non lo capisci? Vedere i miei figli felici è ciò che rende felice anche me.»

Sono la solita merda con la bocca larga.

Chino il capo in avanti, puntando lo sguardo sulle vans sporche che ho ai piedi.

Hera mi passa il braccio attorno alle spalle, e mi attira in un abbraccio rapido ma carico d'amore. «Ci stiamo provando tutti, Ares. Non sentirti in colpa. Non continuare a tormentarti. Per favore.»

«Pensa come se la passa Lizzie», ridacchia Nys. «Innamorata di quello scassacazzi di Zeus, che invece preferisce quel rincoglionito di Liam.»

Mi scappa da ridere.

Hera, invece, si volta in direzione di Nys. «La vuoi piantare? Sei insopportabile.»

«Pour faire quoi?» ("Di fare cosa?" in francese)

«Cosa vuol dire quoi?» domanda Poseidon.
«Cosa?» traduce Nys.
«Quoi, cosa vuol dire?» ripete Posy.
«Cosa
«Quoi! Cosa vuol dire?» sbotta mio fratello, esasperato.

Mi passo una mano in viso. A volte, vorrei prenderli tutti a schiaffi, ripetutamente. Se Zeus fosse qui, sarebbe già in piedi, con le dita pronte a prendere per l'orecchio qualcuno.

Mentre la discussione va avanti, con l'aiuto di Hera, Teia mi si avvicina in modo da poter sussurrare e farsi sentire solo da me. «Facciamo tutti il tifo per voi due, sai? Ho dei regali da parte dei tuoi cugini pazzi.»

Ora sono curioso. «Cosa intendi?»

Si alza appena, in modo da poter infilare la mano dentro la tasca posteriore dei jeans. Estrae quattro oggetti. Il primo è un foglio di carta, bianco e sottile, ripiegato in due. Me lo sventola sotto il naso prima che lo afferri. «Apollo ti ha scritto la ricetta per una torta di frutta da fare per Hell. Dice che te la aveva promessa. Niente conservanti, giuste quantità di zucchero, proteica e buona.»

Maledetto bastardo. Se continua così, finirò per cominciare a sopportarlo.

«E poi...» nel dirlo, sospira e mi mostra tre bustine quadrate. «Preservativi da parte di Hermes.»

Li prendo, seccato. Però, non riesco a trattenere un sorrisetto.

Mia madre mi fa una carezza in viso, e senza aggiungere altro, si sporge per lasciarmi un bacio sulla tempia. Si rimette in piedi, e richiama all'attenzione i miei fratelli e mia sorella.

«Che diamine potevo saperne io che mi stavi dando la traduzione e non mi chiedevi...» sta blaterando Posy.

Dionysus agita le mani per aria, in preda alla disperazione più cieca, e mi sfreccia davanti a grandi falcate. «A volte penso che dovrei di nuovo fottervi i soldi e scappare in Europa.» Se ne va senza nemmeno salutare. Non che lo abbia d'abitudine.

A Dionysus non frega un cazzo di niente, ed è per questo che mi piace.

Hera mi scompiglia i capelli, prima di prendere Poseidon a braccetto e incamminarsi verso la porta secondaria che dà accesso alla piscina.

Rimane solo mia madre, in piedi, che svetta su di me con l'aria di chi spera di aver fatto breccia tra i miei pensieri, dissolvendo buona parte delle paranoie.

«Mamma?»
«Dimmi, amore.» Il suo tono è come una carezza.

Ingoio il groppo che ho in gola solo dopo qualche secondo di svariati tentativi. «Grazie», dico con voce tremante. Mi sento così patetico che non so se ho più voglia di piangere o ridere di me stesso.

«Non c'è di che. Ti serviva un discorsetto di incoragg...»

Scuoto il capo in fretta. «No, non per quello. Grazie per essere mia madre.»

Non l'ho vista piangere per papà, neanche una volta. E, nel corso delle ultime due settimane, l'ho vista ogni giorno. Ma ora, dopo la mia frase, i suoi occhi si inumidiscono e una singola goccia salata le solca la guancia destra. La spazza via con un gesto seccato.

«Mi farai sciogliere il fondotinta», borbotta, in finto tono lamentoso. Eppure, un'altra lacrima rincorre le tracce flebili della precedente.

Le sorrido. O almeno, spero che mi esca qualcosa simile a un sorriso. «Ci sentiamo presto, mamma.»

Lei abbozza un sorrisetto di risposta e mi sfila di mano il blocco da disegno. «Lo porto in camera, che dici? Tu, nel frattempo, cerca un po' di felicità, Ares, mi raccomando», sono le ultime parole che mi rivolge prima di darmi le spalle e avviarsi in direzione della porta d'uscita.

La osservo andare via, con un peso nel cuore più leggero, e già con la sensazione di mancanza tipica di quando mia madre si allontana da me. Sì, sono un maledetto mammone. Lei è stata la prima a scoprire il motivo della mia avversione all'acqua, la prima ad abbracciarmi, la prima a farmi passare la paura dei movimenti corporei repentini, la prima a farmi capire che, se alzava una mano per aria, non era per darmi uno schiaffo ma poteva essere un qualsiasi altro movimento che non aveva a che fare col darmi un colpo.

Mi alzo dalla gradinata, i nervi tesi come corde di violino e le mani che sudano. Ogni cellula di cui sono composto brama la vicinanza di Hell e del suo corpo, ma i pochi neuroni che mi sono rimasti in testa mi gridano di scappare.

Man mano che mi avvicino alla piscina, i battiti del mio cuore accelerano. E, quando vedo il corpo di Hell sfrecciare nella vasca, aggraziato ma energico, per poco non mi esce dal petto e si tuffa lì insieme a lei.

Mi fermo a bordo piscina e mi fletto, restando in equilibrio sulle punte dei piedi, le braccia penzolano in mezzo alle gambe aperte. Ora la vedo come riuscivo a vederla un tempo.

Quell'esserino minuscolo, con la cuffia da piscina verde pisello, che si agita nell'acqua e sembra nata per stare in quell'elemento. Leggiadra, veloce come un fulmine, produce schizzi nell'aria. E, per una volta, non ho l'istinto di ritrarmi per evitarli.

Hell completa l'ultima vasca e si ferma, issandosi sul bordo. Si leva gli occhiali e prende un respiro profondo. Deve notarmi con la coda dell'occhio, perché si irrigidisce e gira il capo, piano.

Noto l'esatto momento in cui si accorge del nuovo dettaglio: gli occhiali. Le labbra carnose e screpolate le si incurvano nell'accenno di un sorriso, che si affretta a nascondere.

«Buonasera, Genietto», la saluto, incapace di sopportare questo silenzio un istante di più.

«Ehi. Cosa fai?»

«Aspetto che tu esca dalla piscina per guardarti il culetto.»

Hell alza gli occhi al cielo ed esala una flebile risata. Invece che uscire dall'acqua, nuota nella mia direzione, per fermarsi proprio davanti a me. Le sue mani si aggrappano al bordo, vicinissime alle mie scarpe. Le mie mani, invece, penzolano sopra le sue, smaniose di trovare il contatto fisico.

Hell mi osserva dal basso, con il viso completamente rivolto verso di me. Due occhi color nocciola, da cerbiatta, si fermano nel mio; si inumidisce le labbra con la punta della lingua e inclina appena il capo, squadrandomi con curiosità. Quando si solleva di qualche centimetro, l'acqua le arriva alla vita. Indossa un costume intero, blu scuro, con lo scollo rotondo. Il tessuto aderisce al suo corpo, e all'altezza del petto fascia alla perfezione la forma del suo seno. È così bella che potrebbe farmi dimenticare anche come mi chiamo.

Serro le mani in due pugni, nel tentativo di contenere la voglia irrefrenabile di chinarmi su di lei e baciarla.

«Pensavo che odiassi l'odore del cloro e della salsedine», sussurra.

Una gocciolina d'acqua le scivola lungo il collo e si tuffa dentro il costume, nel torace. «Lo detesto, infatti. E sono convinto che se passerò qui altri minuti, finirò per vomitare. Però...» Faccio un respiro profondo. «Se si tratta di te, bacerei ogni centimetro della tua pelle anche se impregnato dal cloro.»

Hell si solleva un tantino in più. Le braccia le tremano appena, ma ha in viso l'espressione determinata. «Ah, sì?»

Le vado incontro, chinandomi su di lei. Quasi le sfioro il naso con il mio. «Farei scorrere la bocca sul tuo collo, succhiandoti la pelle fino a non lasciare traccia di quel sapore di merda di cloro, pur di assaggiarti sulla mia lingua, Hell. Ti toglierei ogni traccia di dosso», scandisco bene le ultime parole.

«Io...»

La interrompo afferrandole il viso a palmo aperto. Strofino la punta del mio naso contro la sua, e poi scendo in direzione del collo. Le lascio dapprima un bacio innocente, a fior di labbra, e poi isso la bocca sulla sua pelle e la lecco con un colpo deciso di lingua.

Hell sussulta ed emette un mugolio roco.

Il sapore del cloro mi annebbia il cervello per qualche secondo e serro l'occhio.

Sposto la bocca fino a trovare il suo orecchio. «Disgustoso, ma continuerei all'infinito. Ti abbasserei le bretelline di questo costume e leccherei via ogni traccia dal tuo petto, Hell.»

«Ares...»

Ma non deve accadere così. Non qui. Non in questo modo. Voglio un posto comodo, un piccolo angolo di ordine, lontano dal caos, in cui poter sfiorare ogni centimetro di pelle di cui è fatta questa ragazza.

Strofino il polpastrello del pollice contro la sua guancia, e le regalo un sorrisetto. «Ti va di venire con me in un posto? Non faremo tardi.» E invece, spero proprio di fare tardi e passare tutta la notte con lei.

Hazel finge di pensarci su, con un'adorabile smorfia in viso. «D'accordo. Mi lasci il tempo di una doccia qui, negli spogliatoi, o posso venirci con il mio profumo naturale di cloro?»

Sposto la mano, acchiappo il bordo della cuffia da piscina e gliela sfilo piano, per paura che il lattice le tiri i capelli. Me la lancio alle spalle, e incastro le dita tra le sue ciocche color cioccolato.

«Per quanto io possa perdonarti tutto... Una doccia con una spugna abrasiva sarebbe molto gradita, Hazel», ammetto. «Non vorrei vomitare davanti a te.»

Si morde il labbro per trattenere un sorrisetto. Dopodiché, scivola all'indietro, liberandosi della mia presa, e si sposta di lato. Con un gesto fluido, accompagnato dallo scrosciare dell'acqua, si issa sul bordo ed esce dalla vasca.

Il suo corpo bagnato e coperto solo dal costume, è sotto i miei occhi. Sotto il mio occhio, okay, okay.

Accarezzo con lo sguardo le sue braccia toniche e il punto in cui la vita si restringe, per poi riallargarsi sui fianchi. Hell si accorge delle attenzioni che le sto riservando, e dopo un lieve rossore sulle gote, tira il mento in su e rallenta i movimenti. Come se volesse torturarmi. Come se stesse giocando con me.

Mi sfugge un ghigno. Resto sempre affascinato dal modo in cui questa ragazza sa essere timida e introversa, e poi affrontarti con sfacciataggine.

Hell mi dà le spalle, infila le ciabattine e si incammina verso le porte che conducono alle docce. Ha recuperato la cuffietta e l'asciugamano che giaceva a qualche metro di distanza.

Devo impormi di tenere i piedi incollati a terra, per non correrle dietro e caricarmela in spalla.

Okay, è meglio se mi calmo.
E se calmo anche gli ormoni.

Esco in fretta dalla sala, lasciando sbattere la porta alle mie spalle. L'aria fresca della notte mi investe di colpo e mi permette di prendere una boccata d'aria rigenerante.

Devo organizzare questo appuntamento improvvisato. Subito. Curare i dettagli, come non ho mai fatto, è l'unico modo per calmarmi.

Estraggo il telefono e cerco il numero di una delle ultime persone che chiamerei al mondo. Dall'altro capo, conto due squilli prima che mi risponda una voce roca.

«Che diavolo ti è successo, ora?»
«Ciao, Thym, è un piacere sentirti.»

Sospira. «Parla, veloce.»

«Devo distrarmi per farmi passare l'erezione, quindi dammi corda e non obbiettare», butto in un fiato.

Segue un silenzio sinistro. «Se stai per propormi qualche esperienza sessuale con te, devo dirti da subito che non sono interessato. Grazie per il complimento, in ogni caso.»

«Non sei interessato perché pensi ancora ad Aphrodite?» indago. «Prima o poi dovrai ricominciare e innamorarti di nuovo. O anche solo scopare.»

Emette un grugnito. «Non sono interessato perché non mi piaci. Ora, vieni al dunque.»

Mi poggio contro il muro per trovare un punto stabile, e sollevo il capo verso il cielo. È punteggiato da una miriade di stelle; particelle luminose che decorano il blu della notte. Le vedo bene, ora, non sono più punti sfocati come prima di mettere gli occhiali. Vorrei, solo, poterli togliere e vedere bene dall'unico occhio funzionante che mi è rimasto.

«Devi portarmi la tua macchina a Yale. Mi serve per stasera.»
«Scordatelo.»
«Tre orette massimo.»
«No.»
«Due e mezzo.»

«Non te la lascerei per un secondo. Non ti ricordi neanche di inserire il freno a mano prima di scendere.»

Maledizione. Ancora quella storia. «Ti prego, Termosifone. Devo portare Hell in un posto, ho davvero bisogno che tu...»

«Va bene», mi interrompe, il tono d'improvviso diverso. Più accomodante. Come non lo è mai, in genere, con me.

Rimango spiazzato, al punto che boccheggio alla ricerca di qualcosa da dirgli. «Ah.»

«Dammi cinque minuti. Il tempo di uscire di casa e portartela davanti al cancello.»

Chiude la telefonata senza darmi l'occasione di aggiungere altro. Resto a fissare il mio cellulare fino a quando non si blocca da solo; il mio viso si riflette sullo schermo nero, mostrandomi un'espressione confusa ma vittoriosa.

Thymos è antipatico con tutti. Tranne che con Hell. E la cosa non mi piace, ma mi piace pure. La detesto da morire, eppure la amo anche. Vorrei dargli un pugno, ma non... No, okay, vorrei darglielo senza ma. Il problema è che mi romperei io la mano e gli farei il solletico.

Cerco di rilassarmi, ancora adagiato contro la parete. In lontananza sento il vociare di qualche studente che passeggia per il campus, rumore di passi e del vento che smuove appena le fronde dei pochi alberi che ho attorno.

Mi risveglio quando la porta alla mia destra si spalanca. Hell mi trova subito, come se sapesse già che sarei stato alla sua sinistra, poggiato al muro. Ha un borsone in spalla e si è cambiata i vestiti. Una semplice felpa verde scuro e un paio di jeans chiari, larghi, dai quali sbuca a malapena un paio di Jordan.

La sua bocca si muove, e sebbene percepisca il suono della sua voce, non sento bene cosa mi abbia detto.

Mi avvicino, tendendo l'orecchio. «Come?»

Hell arriccia il naso. «Ho detto che sono pronta, possiamo andare.»

Camminiamo in silenzio, lungo il sentiero in marmo che permette di non calpestare l'erba del giardino. Scivoliamo tra gruppi di studenti schiamazzanti e singoli silenziosi, che se ne stanno in giro a fare nulla.

Thymos è appoggiato al bagagliaio del suo mini SUV nero, a braccia conserte, e l'aria di uno che vorrebbe trovarsi da tutt'altra parte. Non mi guarda nemmeno quando lo raggiungo, a palmo proteso verso l'alto in attesa delle chiavi.

Rivolge un saluto a Hell, e poi lascia penzolare le chiavi sopra la mia mano. «Se succede qualcosa alla mia auto, ti spacco la faccia, poppante. Chiaro?»

«Chiarissimo. Grazie.»

Acchiappo le chiavi e mi precipito al posto del guidatore. Hazel è già dentro, con la cintura allacciata. Tamburella le dita sulla coscia e aspetta che io avvii il motore.

«Ricorda il freno a mano.»
«Simpatica», borbotto.

Innesto la prima, lascio andare la frizione con calma, e in contemporanea do gas con l'acceleratore. La macchina scivola senza difficoltà per strada, immettendosi nel poco traffico che c'è a quest'ora.

Ho sempre amato le altezze. Ho sempre amato guardare il mondo dall'alto. Non sono il tipo che sta immerso nella natura, in mezzo a bestie invisibili che ti scivolano attorno senza fare rumore, dove devi spostare i rami degli alberi altrimenti ti entrano nel culo mentre cammini. Sono il tipo che adora i grattacieli e gli edifici illuminati, i tombini puzzolenti delle strade e la caoticità delle metropoli. Ancora di più, se posso vederle da un punto privilegiato.

Al contrario, so che a Hell non piacciono le altezze. L'ho scoperto quando, tempo fa, siamo andati tutti insieme al luna park e lei non è voluta salire sulla ruota panoramica. Ai tempi, sono rimasto giù per farle compagnia, e le ho promesso che un giorno le avrei fatto apprezzare il mondo visto dall'alto.

È ora che mantenga la promessa. Non so quando arriverà il penultimo gioco, la fatica prima di quella finale. Non so nemmeno se ne uscirò vivo. E il dolore per papà è ben radicato in me; uno di quei mal di testa pulsanti, dove passi secondi di pace illusori, intervallati ad altri di dolore intenso.

Per una volta, ascolterò gli stupidi consigli sentimentali della mia famiglia e rincorrerò un po' di quiete invece che stare immerso nel mio caos.

E, onestamente, non c'è altra persona a parte Hazel Fox con la quale condividere la calma. Lei, che è la quiete pura e rassicurante. Lei, che è l'alba dopo la notte. Il profumo dell'erba bagnata di pioggia dopo un temporale violento.
Dove c'è distruzione, lei ripara.

Cristo, perché non mi vengono in mente queste cose poetiche quando devo dirle a voce alta?

«Siamo fuori dalla città. Dove andiamo, Ares?» indaga lei, quando mi fermo a un semaforo.

Attorno a noi c'è solo vegetazione, e siamo su una strada a senso unico. Tengo il piede sul freno, trovandoci in salita. Prego solo di riuscire a far partire l'auto senza che si spenga. Non ne posso più di fare figure di merda.

«Due minuti e lo scoprirai, Genietto.»

Mi aspetto che insista, che provi a estrapolare qualche informazione, ma lei non lo fa. Abbandona la nuca contro il poggiatesta del sedile e fissa la strada davanti a sé, con mezzo sorrisetto.

La macchina riparte a stento, ma ce la faccio. Do un'accelerata finale, prima di svoltare a sinistra e decelerare. Parcheggio in uno spiazzo sterrato, circondato da piccoli cespugli scarni e quasi morti.

Siamo su un'altura che dà direttamente su tutta la città. Uno dei tanti posti in cui puoi ammirare le luci del New Haven e i suoi palazzi. Forse, non al pari dei panorami naturalistici che la gente dice di amare per sentirsi più spirituale, ma io lo adoro. E spero che piaccia anche a Hell.

Lei non fiata. Si slaccia la cintura con gesti meccanici e scende dal SUV di Thymos senza esalare un fiato. Mi affretto a seguirla, non dopo essermi assicurato tre volte di aver inserito il freno di stazionamento.

Hell se ne sta in piedi, davanti al cofano dell'auto, ma a debita distanza dal bordo della collinetta. Il suo corpo sta allerta, eppure i suoi occhi osservano la vista della città come se fosse la cosa più bella del mondo.

Senza riflettere troppo, mi avvicino a lei e la afferro per la vita, sollevandola da terra. Hell emette un verso sorpreso, ma non si dimena. Lascia che io la adagi sul cofano della macchina, in modo che possa sedersi lì e stare comoda. La raggiungo con un piccolo balzo e mi sistemo al suo fianco, con un sorrisetto innocente.

Lei mi fissa come se fossi fuori di testa.

Scrollo le spalle. «Così stiamo comodi.»

Hell volge il capo verso la città. Una schiera di luci scintillanti, ben distanti dal buio in cui siamo immersi noi. Lontani dal caos, e avvolti dalla quiete.

E per quanto io ami la vista, non riesco a staccare lo sguardo da Hazel. È così patetico che mi prenderei per il culo da solo, se ne avessi la forza.

Sono questi gli istanti in cui mi rendo conto del perché io non riesca a starle lontano. Hell è la pace, la tranquillità. È tutte le parole giuste che esistono al mondo, le virgole messe nei punti corretti delle frasi e i punti necessari ad andare a capo.

Esistono persone che ti fanno venire i brividi di adrenalina, quelle la cui presenza non sai mai a cosa porterà. Ti lasciano appeso a un filo, e per un po' è eccitante, emozionante. Ma quando arriva il pericolo, capisci che hai sbagliato tutto. Hazel Fox non è nulla di ciò.

Lei riempie il mio caos, e lo fa con una facilità disarmante.

«Non mi piacciono le altezze», mormora lei, dopo qualche istante. «Ma sono contenta che tu abbia mantenuto fede alla tua promessa. Ti farò vedere il mondo dall'alto, un giorno

Sussulto. Non credevo che se lo ricordasse.

Una folata di vento sospinge verso di me il suo profumo. Sa di vaniglia e qualcos'altro di estremamente dolce che non riesco a identificare. Scivolo un po' più vicino a lei, per assaporare meglio la sua presenza.

Lei se ne accorge e mi fissa con un sopracciglio inarcato.

«Così ti vedo meglio le tette.»

Sbuffa e mi dà uno schiaffetto sul braccio.

«Come stai, Ares?»
«In questo momento? Bene.»

Abbassa il capo per nascondermi un sorriso che, però, non mi sfugge affatto. Un altro soffio di vento freddo le scompiglia i capelli corti e accende un campanello d'allarme nella mia testa.

Questa è l'occasione per compiere un gesto romantico. Uno di quei gesti che farebbe Hades Lively, seguito da qualche frase in greco pronunciata in tono suadente. Ometteremo la parte del greco perché detesto parlarlo, ma sul resto posso adattarmi.

Mi sfilo la giacca in pelle che indosso, restando con solo la t-shirt bianca. Stando attento a non darle gomitate in faccia, gliela adagio sulle spalle, sopra la sua felpa.

Hazel se la stringe addosso. «Grazie.» Non ci prova nemmeno a nascondermelo. China il capo e annusa la mia giacca, chiudendo poi gli occhi. Dalla sua espressione, credo che le piaccia il mio profumo.

Per quanto ami vederla con il mio giubbino addosso, non ho tenuto conto del fatto che, senza, io avrei avuto davvero tanto freddo. L'estate si avvicina, ma è pur sempre sera inoltrata e io ho solo una maglia a maniche corte.

Porca puttana. Non posso mica chiederle di rendermelo perché sono un deficiente.

O posso?
No, Ares, non puoi.

Starai in silenzio a soffrire come un cane. Jack, in Titanic, è morto assiderato per Rose, in mezzo all'oceano. Tuo puoi resistere mezz'oretta senza giacca.

E, poi, l'ipotermia non è il modo peggiore di morire. Decisamente no...

«Ares, stai tremando. Vuoi il tuo giubbino?» rompe il silenzio Hell.

Dille di no.
Sii forte e indipendente.

«Te ne sarei molto grato», le dico.

Lei non ride di me; mi rende la giacca nello stesso modo in cui gliel'ho data io: me la adagia sulle spalle, coprendomi con premura. «Sei un caso perso, Aressino», sussurra, per poi scoccarmi un bacio delicato sulla guancia.

Ogni. Parte. Di. Me. Va. In. Pezzi.

Nel momento in cui le sue labbra si staccano, la mano mi prude per il desiderio di afferrarle il viso e pregarla di toccarmi di nuovo.

Ho due ipotesi: o sono in grave astinenza da sesso e avrei un'erezione anche per un bacio sulla guancia, o mi sto beccando quella terribile malattia che si sono presi Cohen e Makako e li rende imbarazzanti e disgustosi alla vista. L'amore.

Deglutisco a fatica e sbatto velocemente la palpebra. «Grazie.»

«Grazie a te per avermi portata qui. Devo ammettere che, in fondo, il mondo visto dall'alto è molto carino.»

«Sì?»

«Sì. Ma preferisco stare ben piantata per terra, in ogni caso.»

Io vorrei vederla piantata al mio letto e nuda, però non lo dico perché è un momento dolce.

Prima che abbia il tempo di dire qualcosa, Hazel sbadiglia rumorosamente e mi distrae. Poggio una mano sulla sua coscia, richiamandola. «Sei stanca? Vuoi andare a dormire?»

Sembra esitare, indecisa tra il dire la verità e rifilarmi una bugia. La bugia che vorrei sentire. «Se ti dico di sì... avremo comunque un'altra sera da passare così, insieme, e tranquilli?»

Affondo i denti nel labbro inferiore per frenarmi dal riversarle addosso delle cagate sdolcinate. «Non posso assicurartelo, ma posso prometterti che ci proverò. Ti avevo detto che ti avrei fatto vedere il mondo dall'alto, giusto? Ci ho messo un po' a mantenere la parola data, ma l'ho fatto. Mi impegnerò.»

Hell sorride, soddisfatta della mia risposta. Con un gesto agile scivola giù dal cofano del SUV e si volta in direzione del lato del passeggero.

Prima che sia troppo lontana, allungo il braccio e le circondo il polso con la mano. Lei si blocca, ma sono io a doverla far voltare e attirare a me con una spinta secca. La aggancio con entrambe le mani e scivolo in avanti, in modo che il suo corpo stia in mezzo alle mie gambe.

«Voglio un bacio, prima di salire in macchina», mormoro, vicinissimo alle sue labbra.

«Vuoi?»

Estraggo le chiavi dalla tasca del giubbino e le agito per aria, lontane da lei. «Non la apro finché non me ne dai uno.»

Hell rimane a osservarle, con la fronte aggrottata e gli occhi socchiusi. Quando li riporta su di me, capisco all'istante di aver perso. «Sicuro che ti convenga? Stai morendo di freddo, Aressino.»

Maledetta.

Sono un Lively, però. Per certi versi, forse un po' meno degli altri, viste le diverse condizioni di adozione, ma sono uno di loro. E giocare è una malattia famigliare.

Posiziono la mano libera sul bordo della sua felpa, scostandolo appena per infilarla sotto. Incontro il tessuto di una canottiera, che oltrepasso per premere il palmo sulla sua pelle calda. Come immaginavo.

Hell sussulta, non so se per la mia mano congelata o per il contatto improvviso.

Tamburello i polpastrelli alla base della sua schiena, per darle un po' di tregua dallo sbalzo di calore. «Possiamo anche restare qui fuori, allora, ma mi scalderò usando te, Genietto.»

Abbasso la mano, insinuandomi oltre il bordo dei suoi jeans, abbastanza larghi in vita da concedermi l'accesso. Invece che ritrarsi come temevo, Hell si spinge in avanti, chiedendomi in silenzio di non fermarmi. A palmo spalancato, tasto il tessuto setoso dei suoi slip, più piccoli di quanto potessi immaginare.

Le afferro il gluteo sodo e caldo, e lei emette un sibilo che mi riempie le orecchie e mi manda quasi al manicomio. «Dovremmo proprio tornare a Yale», bisbiglio.

Hell si inumidisce le labbra, senza staccarmi gli occhi di dosso, e si avvicina sempre di più. Per un istante, posso sentire il sapore della sua bocca, mentre il suo profumo di bagnoschiuma mi stuzzica le narici.

Siamo quasi lì, la sua bocca sfiora la mia e... le chiavi mi vengono strappate di mano in un lampo.

Non ho il tempo di metabolizzare ciò che è successo, perché Hell si è già allontanata e si sta dirigendo al posto del guidatore. «Allora, chi ha vinto?» mi prende in giro.

Sono quasi sicuro di avere la bocca spalancata.

«Hazel...» Non so come proseguire.

«Guido io», cambia argomento, e le scappa l'accenno di una risata. «Così ti insegno anche come si riparte bene in salita. Coraggio.»

🔥🦊
H E L L

È troppo.
È tutto troppo intenso.

Non riesco a sopportare di avere il suo sguardo addosso.
Non riesco a sopportare il modo in cui quegli occhiali da vista lo rendano ancora più attraente di prima.
Non riesco a sopportare il modo in cui prendere respiri generosi, per sentire il mio profumo.

Non riesco a sopportare i battiti accelerati del mio cuore ogni volta che mi sfiora.
Sono arrivata al punto in cui anche sentirgli pronunciare il mio nome mi fa uscire di testa.

Per fortuna, sono riuscita a mettere tutto in pausa per concentrarmi sulla guida. Ares mi ha messo le indicazioni sul navigatore, per tornare al campus senza problemi. E io sono stata una guidatrice diligente, con gli occhi incollati sulla strada, sempre nei limiti di velocità e attenta a qualsiasi pedone abbiamo incrociato.

Ma quando parcheggio il SUV di Thymos a qualche metro dal cancello, in un posto trovato per miracolo, ogni emozione repressa mi piomba in testa con una violenza che mi mozza il fiato.

La sua mano. Dentro i miei pantaloni. E la voglia malsana di voltarmi per fare in modo che si spostasse davanti, dove più avevo bisogno di sentirlo.

Dio, vorrei sbattermi la testa contro il volante, più e più volte. E lo farei, se solo quel maledetto Ares Lively non fosse con me. Se solo non smettesse di guardarmi.

«Sai, guidi meglio di me», è la prima cosa che mi dice, quando scendiamo dall'auto e io gli lancio le chiavi.

Non riesce a prenderle al volo. Agita le braccia per aria, nel tentativo, e se le fa sfuggire comunque. Le raccoglie dal marciapiede con uno sbuffo.

«Ares, non credo che ci voglia molto a guidare meglio di te.»

Assottiglia l'occhio, d'un tratto offeso. «Ripetilo se hai il coraggio.»

«Non credo che ci voglia molto a...»

«Okay, okay, era un modo di dire. Non devi davvero ripeterlo e umiliarmi una seconda volta, Hazel Fox!» esclama in tono melodrammatico, con un'espressione così esageratamente addolorata da farmi scoppiare a ridere.

Ares Lively è tutto o niente. Bianco o nero. O lo odi, o lo ami. O lo riempiresti di schiaffi fino a fargli perdere conoscenza, o vorresti baciarlo fino a farti mancare il respiro. O le sue battute ti fanno ridere o ti fanno venire voglia di rischiare un processo per omicidio.

È quasi mezzanotte e non c'è più nessuno in giro per Yale, se non qualche sagoma indistinta che si aggira silenziosamente nel buio, incappando tra una luce e l'altra.

L'improvvisa consapevolezza di essere sola con Ares, diretta alla mia stanza, mi colpisce come uno schiaffo. Non voglio salutarlo, ma non so nemmeno come chiedergli di restare con me. Non sono un tipo intraprendente, al contrario suo. E temo che lui non mi chiederà nulla per paura che io gli dica di no.

«Credo che Haven passerà la notte da Hades...» butto lì, casualmente.

«Poco male. Almeno sappiamo che scoperanno su un letto e non sopra un tavolo della caffetteria di Yale.»

Trattengo un sospiro. «Penso che anche Athena sia fuori, stasera. Non so dove, però.»

Ares fa una smorfietta, mentre si stringe nelle spalle, con le mani infilate nelle tasche della giacca in pelle. «Che ti frega di quella Vipera maledetta? Più lontana è, meglio è.»

Altro buco nell'acqua.
Possibile che sappia essere così stupido, questo ragazzo?

Pochi passi ci separano dalla mia camera nel dormitorio. Il rumore delle nostre suole sul pavimento è l'unico che ci accompagna.

Ah, sì, c'è anche quello del mio cuore che batte forte come un tamburo, ma al momento posso sentirlo solo io. Tra poco, forse, anche Ares.

Afferro la maniglia della porta, senza abbassarla, e lo fronteggio. Ares mi sta già fissando. «Allora...»

Si sistema la montatura degli occhiali. «È ora di dormire per far riposare il tuo cervellino geniale.»

«Già.»
Chiedigli di restare.

«Ci vediamo domani, però, giusto?» si accerta, d'improvviso un po' timoroso.

Annuisco.

Lui inizia a indietreggiare, piano, con la mano sollevata per aria che si agita in cenno di saluto. Ricambio e mi decido ad abbassare la maniglia della porta, pronta a entrare.

«Hell!» mi richiama Ares.

Con la coda dell'occhio mi accorgo che sta tornando da me, a passo svelto, quasi correndo. Quando si ferma accanto a me, non fiato e attendo che sia lui a parlare.

«Io...» si gratta la nuca. «Volevo aggiungere la buonanotte», butta fuori, incerto.

Non era quello che voleva dirmi davvero.
Ma non posso esserne così certa da contestare. «Buonanotte anche a te.»

Se si accorge della nota di delusione nella mia voce, decide di non fare commenti e mi volta, di nuovo, le spalle.

Entro in camera prima di impazzire. Nel momento in cui sto per chiudere la porta, una scarpa si infila in mezzo, tenendo uno spiraglio aperto. Poi, una mano avvolge la superficie in legno e spinge verso l'interno, per spalancarla.

Il volto di Ares compare oltre la soglia, adombrato da quello che sembra un desiderio folle. Le gambe mi tremano come foglie, mentre mi faccio da parte per lasciargli spazio.

«C'è altro che vuoi aggiungere? Tipo, che ne so, "sogni d'oro?"», lo provoco.

Fa schioccare la lingua contro il palato, e un suono rauco gli risale dal profondo. Aleggia nel buio della stanza e macchia il silenzio. Il corpo di Ares fa irruzione nella camera, e con un colpo secco chiude la porta alle sue spalle.

So cosa sta per fare, e so che sto per assecondarlo con ogni forza che ho in corpo.

«Basta con le mie stronzate, Hell», borbotta, frettoloso.

Le sue mani mi circondano il viso e le sue labbra premono sulle mie. L'impeto con cui accade tutto mi fa barcollare all'indietro. Il corpo di Ares preme sul mio con foga, mentre la sua bocca esplora la mia in un bacio passionale. Barcollo ancora, come ubriaca, e finisco con le spalle contro il muro.

Intrappolata tra la parete e l'ampio addome di Ares, i suoi denti mi mordicchiano il labbro inferiore. La sua lingua si fa spazio, dando vita a una danza incessante nella mia bocca.

È un bacio scoordinato. Il bacio di due persone che non riescono più a starsi lontane e si desiderano così tanto che nessun contatto sarà mai abbastanza. È una sete che ti brucia la gola, e che neanche due litri di acqua fredda possono alleviare.

Aggancio le braccia attorno al suo collo, stringendolo a me. Ares fa scendere la presa sulla mia via, e passa le mani dietro la mia schiena, infilandole nelle tasche posteriori dei miei jeans.

Divarico le gambe, permettendogli di far scivolare la sua coscia in mezzo.
Il gesto lo fa gemere nel bacio.

«C'è tua sorella che dorme nella sua camera...» mormoro, a fatica. Mi manca il fiato, ma non ne ho ancora abbastanza.

Lui non perde il ritmo neanche per un secondo. «Me ne sbatto il cazzo», risponde, e un altro gemito roco gli risale dalla gola, esplodendomi nelle orecchie.

«Ci sentirà», insisto, solo per dovere. In realtà, non potrebbe fregare di meno persino a me.

Ares estrae le mani dalle mie tasche e le sposta davanti. Le sue dita affusolate trafficano con il bottone dei miei pantaloni e abbassano la cerniera. «Me, non credo. Te? Vedremo.»

«Cosa intend...»

Mi interrompe con un bacio veloce e rude, poi si ferma vicinissimo alla mia bocca per ansimarci contro: «Cosa pensavi, Hell? Che avrei subito la visione di te in costume, con la pelle lucida per l'acqua, senza fare nulla? Che avrei subito passivamente il tuo giochino in macchina? Pensavi che avrei resistito ancora a lungo senza toccarti?»

Non riesco neanche a respirare.

Ares non ha finito, però. «Sono stanco di fare la figura dell'idiota con te perché ti sto sotto come un patetico coglione. Sono stanco di essere impacciato e farti ridere. Voglio scoparti tutta la notte, tutte le notti, Hazel. Voglio vederti in ginocchio per me, voglio spalancarti le gambe e.... Dio», esclama, incapace di proseguire.

Provo a pronunciare il suo nome, ma non esce alcun suono dalle mie labbra. Il mio cervello non ha voglia di impegnarsi per cercare qualcosa da dire, è troppo concentrato a metabolizzare il corpo di Ares premuto sul mio e le sue mani che si infilano sotto la mia felpa e si fermano appena sotto il reggiseno.

«Non credo in nessun Dio, Hell», bisbiglia. «Ma tu potresti battezzarmi aprendo le gambe e venendo sulla mia lingua. È questa la vera benedizione che voglio dalla vita.»

Le mani mi tremano mentre le posiziono sul bordo dei miei pantaloni e inizio a spingere verso il basso. «Allora fallo, e aiutami a spogliarmi, Ares.»

Un lampo di sorpresa gli illumina il viso, prima che un'aria più tetra e maliziosa prenda il suo posto. Ares afferra il tessuto dei jeans e li tira giù con un solo movimento. Sparisce dalla mia visuale solo per sfilarmi le scarpe e aiutarmi a uscire completamente dall'indumento.

Esita qualche istante. Inumidendosi le labbra con la lingua, mi toglie anche l'intimo. Vedo il suo pomo d'Adamo abbassarsi non appena si ritrova me, per metà nuda, davanti.

Invece che inginocchiarsi per arrivare meglio alla sua meta, mi fa posizionare le gambe sulle sue spalle. «Tieniti», mormora, veloce, prima di sollevarmi da terra. Scivolo, con la schiena premuta al muro, verso l'alto. Mi esce un verso strozzato, sia per la sorpresa che per l'anticipazione di ciò che sta per accadere.

Tasto con le mani sul muro, alla ricerca di un appiglio, invano. «Non so dove reggermi, Ares, non...»

«Rimani appoggiata al muro e afferrami i capelli.»

Mi stringe per i glutei, le dita nella mia carne, e affonda la faccia in mezzo alle mie gambe, senza aspettare un secondo in più. La lingua di Ares scorre per tutta la lunghezza delle mie pieghe bagnate. Preme forte, pur restando in superficie, e i miei occhi si ribaltano automaticamente all'indietro per il piacere.

«'Fanculo gli occhiali, non mi permettono di leccartela per bene», borbotta, scostandosi appena. Libera una mano e si leva la montatura dal viso, per poi appenderla al colletto della t-shirt bianca.

Le mie gambe hanno uno spasmo violento.

Ares seppellisce il viso tra i miei umori, cominciando a leccarmi con la foga di un disperato. I suoi movimenti sono così irruenti, che mi fanno quasi perdere l'equilibrio. Lui sembra percepirlo; senza smettere un secondo di muovere la lingua sul mio clitoride, mi afferra la mano e la posiziona tra i suoi capelli, incitandomi a stringere lì per trovare un secondo appoggio.

Infilo entrambe le mani tra le ciocche corvine di Ares. Non voglio fargli male, ma i suoi movimenti sono troppo energici e mi ritrovo a strizzargli le ciocche di capelli al punto da fargli inclinare il capo all'indietro.

Esala una risatina stanca, priva di fiato, e si lecca le labbra impregnate dei miei liquidi. «Fa un male cane, Hell», allude alle mie dita che gli stanno strappando i capelli. «E mi piace da morire. Non smettere.»

Lottando con le mie mani, fa scattare il capo in avanti, per riprendere da dove aveva interrotto. La punta della lingua dà colpetti al clitoride, poi le sue labbra succhiano la carne, e i suoi denti si intromettono per mordicchiare piano. Si ciba di ogni goccia della mia eccitazione.

La visione del suo volto immerso tra le mie cosce mi fa bagnare ancora di più. Gli tiro i capelli, scatenando un verso roco di dolore ed eccitazione.

Una vampata di calore mi incendia il basso ventre, così intensa che penso di stare per venire. Devo mordermi l'interno guancia con forza per non urlare come una matta; il piacere è pulsante, così bello che non voglio raggiungere ancora l'orgasmo, ma vorrei anche rincorrerlo fino alla fine e strillare come se ci fossimo solo noi in questa stanza.

Reggendomi ancora ai suoi capelli, do un colpo di fianchi, prendendo le redini della situazione. Ares si immobilizza, forse infastidito dal mio volere il controllo, ma poi mi tiene bloccata per la vita e mi accompagna nei movimenti.

Si stacca di poco, solo per incitarmi: «Brava. Scopami la faccia. Coraggio, battezzami con i tuoi umori.»

Questa frase mi manda definitivamente un passo oltre il limite. Ma quando le sue dita affondano nei miei fianchi per avvicinarmi con violenza alla sua bocca, l'orgasmo mi investe lasciandomi senza respiro.

Spalanco la bocca e, non appena Ares se ne accorge, fa risalire la mano e preme il suo palmo sulle mie labbra, soffocando il mio grido contro la sua pelle. L'orgasmo mi fa perdere definitivamente l'equilibrio, e precipito di lato senza neanche preoccuparmi di attutire la caduta.

Ares mi viene in aiuto, sebbene in modo altrettanto maldestro. Nel tentativo di evitarmi l'impatto con il pavimento, dà un colpo al porta ombrelli vicino all'entrata e lo fa ribaltare. Il rumore aleggia nella stanza, ma lo sento a malapena, ancora in balia di tutto il piacere che mi è stato appena dato.

Ares continua a premere la mano sulla mia bocca. La scosta di poco, quando gli sembra che io sia più calma.

Mi si avvicina con aria indecifrabile. Lo guardo con espressione interrogativa, perché non ho la forza di porre domande, al momento. Lui abbassa la mano, e senza alcun preavviso sento il suo dito infilarsi tra le mie gambe. Conto pochi secondi prima che mi penetri con il medio, andando in profondità.

Un gemito acuto mi sfugge dalle labbra.

Ares si muove dentro di me qualche secondo, e poi riporta la mano all'altezza del suo viso. Si lecca il dito, senza staccarmi l'occhio di dosso, fino a consumare qualsiasi umore ne macchiasse la pelle.

«Ares...» trovo la forza di sussurrare.

«Non ho finito con te, Hazel. Voglio scoparti fino a consumarti.»

In un istante, mi ritrovo con i piedi per aria. Ares mi ha presa in braccio, costringendomi ad avvolgere le gambe nude attorno al suo addome. Cammina alla cieca, in mezzo all'oscurità della stanza e senza gli occhiali. Sbatte contro lo stipite della porta e impreca sottovoce, facendomi ridacchiare piano.

La sua mano si stampa sul mio gluteo. «Che fai, ridi di me, Genietto?» Un secondo colpo, più forte del precedente, mi fa sussultare. Dal piacere.

«Comportati bene. O ti blocco contro il muro e ti sculaccio fino a lasciarti la forma delle mie mani stampate sul culo a vita.»

Entra nella mia camera, che condivido con Haven, fortunatamente oggi assente. Sbatte la porta e tasta qualche secondo prima di individuare la chiave e girarla nella serratura, tre volte.

Ares mi getta nel letto. Atterro di schiena, inerme e già disperata dall'assenza di contatto che si è creata tra noi due.

Ghigna, nel vedermi così per lui. Si toglie la giacca e la butta per terra, e in contemporanea calcia via le scarpe. Mi avvicino per aiutarlo, smaniosa di potergli sfilare i vestiti di dosso e vederlo di nuovo nudo.

Ares aggancia il bordo della maglia e solleva verso l'alto; se la lancia alle spalle, e quando l'impatto con il pavimento produce un rumore ben diverso da quello che dovrebbe fare del cotone, aggrotta la fronte.

«Merda, gli occhiali, erano appesi al colletto.»

«Vuoi andare a racco...» tento.

Interrompe il mio tentativo con un altro bacio veloce. «Non dire cazzate, Genietto. Mi importa solo di te.»

Le dita mi tremano in modo imbarazzante, ma mi avvicino al cavallo dei suoi pantaloni e faccio scorrere il palmo lungo la sua erezione, che preme contro la stoffa dei jeans e aspetta di trovare un po' di spazio.

Ares getta il capo all'indietro e inspira con forza. «Hazel», mi avverte.

Strofino più forte, mordicchiandomi il labbro.

«Hazel», ripete.

Gli sbottono i pantaloni e apro la zip. Ares non aspetta un secondo in più; completa lui l'opera, abbassando i jeans e i boxer insieme. Si ferma solo per estrarre un preservativo dalla tasca. Lo poggia sul comodino, temporaneamente.

La sua erezione è a pochi centimetri dal mio viso, lunga e rigonfia. Senza pensarci, avvicino il viso e lo prendo in bocca, fino a farli toccare il fondo della gola. Ares sibila come un serpente. Deglutisco a fatica e sollevo il capo per assorbire la sua intera figura.

Non ha il corpo pompato di muscoli, ma è sodo. Ha la stazza di un felino, agile e snello. La pelle è candida, così bianca che sembra non vedere la luce del sole da anni. Le spalle larghe catturano subito l'attenzione, così come il petto marmoreo e l'addome che si restringe in vita. Ciuffi scuri di peli decorano il basso ventre, sotto l'ombelico, e portano dritti al suo inguine.

«Non ti metto a novanta solo perché voglio vederti in faccia, questa volta, sia chiaro.»

Le sue parole sporcano il silenzio di contemplazione in cui mi ero persa, e accendono di nuovo ogni fibra di cui è composto il mio corpo. In un istante, sono di nuovo fradicia e più bisognosa di prima.

Mi libero della felpa, in fretta, e Ares me la toglie di mano per gettarla indietro, dove giacciono anche i suoi vestiti.

Non ho il tempo di slacciare il reggiseno, perché lui mi è addosso e mi sta togliendo ogni traccia di ossigeno con un bacio feroce. Continuo a trafficare con il gancio, invano, ma ricambiando i movimenti della sua lingua che sembrano volermi scopare la bocca.

Le mani di Ares mi circondano i polsi e mi portano le braccia davanti, facendomi desistere. Dopodiché, premono sul mio petto e abbassano le coppe del reggiseno, liberandomi a metà.

Annaspo contro la sua bocca, sorpresa. Ares ne approfitta per applicare una lieve pressione sulle mie spalle e farmi cadere all'indietro, con la schiena contro il materasso fresco.

L'ultima cosa che manca è la sua benda. Se la toglie. È l'unico oggetto che non lancia per aria, con noncuranza. Lo posa sul comodino alla mia sinistra, e si inginocchia sul letto, nudo e bello come un demone.

Forse è questa la differenza tra Ares e il resto dei Lively. Sono tutti belli e dalle parvenze di veri e propri Dèi. Ma Ares è affascinante come un Demone maligno e maledetto.

Le sue mani mi agguantano le cosce e mi spalanca le gambe, esponendomi a lui. Il suo sguardo, però, vaga per l'interezza del mio corpo.

«Non posso vederti bene con gli occhi», mormora Ares, tormentato dall'insoddisfazione più pura. «Per questo, dovrò godermi le forme del tuo corpo con la bocca.»

Trattengo il respiro quando si protende su di me. La sua erezione sbatte nel mio interno coscia, ma la sua bocca è agile nel riuscire a catapultare l'attenzione da tutt'altra parte.

Inizia una vera e propria danza, un viaggio in cui la sua lingua succhia e lecca ogni centimetro della mia pelle. Parte dalla tempia, dove lascia un bacio inaspettatamente dolcissimo, e continua fino all'orecchio, con un morso sensuale al lobo. Prende d'assalto il mio collo, facendomi inarcare la schiena sul materasso e gemere disperatamente. Gli stringo la nuca mentre continua a esplorare ogni curva del mio corpo con la bocca. Mi bacia le spalle e sfrega le labbra nella piega interna del mio gomito. Tempesta di piccoli baci il mio petto, e poi scende sul mio seno.

Non ci va piano. Non è da lui. Spalanca la bocca e afferra il mio seno destro, risucchiandolo completamente. Spingo la sua testa verso di me, incapace di accontentarmi.

Non so come abbia fatto a vivere tutto questo tempo senza la sua bocca su di me e la sua lingua che mi marchia con la saliva. So solo che lo lascerei continuare all'infinito, ora.

Ares si stacca, e traccia circonferenze immaginarie attorno al mio capezzolo. Lo mordicchia piano e lo succhia con altrettanta delicatezza, facendomi arricciare le dita dei piedi. Ogni nervo nel mio corpo è elettrizzato.

«Sei perfetta per me, Hazel», bisbiglia. «Sei piccolina, dolce e buona. E i tuoi occhi da cerbiatta così fintamente innocenti... ti rendono la donna più attraente che abbia mai conosciuto.»

Afferro il suo volto e lo porto alla stessa altezza del mio, per baciarlo con tutta la passione di cui sono capace, sperando che lui la percepisca. Allargo le gambe ancora di più, e mi sistemo in modo che possa penetrarmi senza difficoltà. Spingo il bacino in avanti, pregandolo.

Ares ridacchia. «Cosa vuoi, Genietto? Me?»
«Sì», sospiro.

«Dimmelo. A voce alta. Dimmi che mi vuoi. È tutto quello che ho sempre sperato di sentir dire da qualcuna, prima o poi. Convinto di non poter essere la scelta di nessuno, convinto di non rientrare nemmeno nelle opzioni disponibili. Adesso, però, voglio sentirlo solo dalla tua voce. Mi interessa essere desiderato solo da te, Hazel. Dimmi che mi vuoi, che sono l'unico che vuoi e che vorrai.»

«Ares...»

Allunga il braccio per recuperare la bustina colorata. La scarta strappandola con i denti, e sputacchia per espellere la plastica rimasta nella sua bocca.

«Voglio che sia tu l'unica a calmare il mio caos. Voglio che sia tu a riempire e illuminare ogni parte vuota e buia di me.» Si infila il preservativo, accarezzando l'intera lunghezza del suo membro con la mano.

A primo impatto, non comprendo cosa mi stia dicendo. Quest'ultima frase è criptica, qualcosa che sembra poter capire solo lui. E nonostante il mio sguardo dubbioso, lui non me lo spiega. Forse, non è il momento.

Mi protendo in avanti, raggiungendo il suo orecchio. «Ti voglio, Ares. Ti voglio come non ti vorrà mai nessun'altra. Sei la mia scelta. Io ti scelgo. Io ti...»

La voce mi muore in gola, perché il suo bacino dà una spinta e mi penetra in un colpo solo. Si seppellisce dentro di me, fino in fondo. Chiudo gli occhi per il piacere. È troppo grosso per me, e la prima sensazione è quella di dolore. Un miscuglio strano di dolore ed eccitazione che mi lascia intorpidita e desiderosa di avere di più.

Ares butta fuori un fiotto d'aria, aggiustandosi dentro di me con movimenti cauti. «Sei strettissima, Hell. Verrò come un coglione in meno di un minuto. Stai ferma, ti supplico.»

Ma il dolore iniziale si sta già trasformando in piacere, man mano che le mie pareti si adattano alle sue dimensioni. Non riesco a frenarmi dal muovere il bacino.

«Ti prego, Ares», lo supplico.

Ares crolla sopra di me, e puntella il gomito sul cuscino, accanto al mio viso. Aggancio le gambe attorno al suo busto, incrociandole all'altezza delle caviglie. I nostri addomi aderiscono. I miei capezzoli turgidi e caldi contro il suo petto ancora freddo. Una scarica di brividi mi fa rizzare i peli delle braccia.

Ares prende non uno, non due, ma ben tre respiri profondi prima di iniziare a muoversi dentro di me. All'inizio, è incerto. Non per inesperienza, ma perché è una situazione nuova e la sua eccitazione potrebbe interrompere il tutto in poco tempo.

Ma quando poso le mani sulla sua schiena e tiro fuori le unghie, graffiandogli la pelle, lo sento serrare i denti con uno scatto. Le sue spinte diventano feroci e veloci. Così impetuose che, più volte, scivola fuori e deve fermarsi per entrare di nuovo.

Il suo corpo martella, instancabile. E le mie unghie affondano sulla sua schiena come se fossero l'unico appiglio che mi è rimasto per sopravvivere.

Il suo nome rotola dalla mia lingua così tante volte che temo possa tapparmi di nuovo la bocca. «Cazzo», mormora, ansimante. «Non smettere di dire il mio nome. Non smettere neanche per un secondo.»

Continuo a ripeterlo, mentre il suo bacino compie traiettorie circolari dentro di me e le mie pareti si restringono attorno al suo cazzo e rilasciano, ritmicamente. I nostri respiri si fondono, irregolari. Il mio petto si alza e abbassa a una frequenza anomala, come il suo. Tanto vicini all'orgasmo quanto a un infarto.

Ares abbandona il viso nell'incavo del mio collo, respirando sulla mia pelle. «Ascoltalo, Hell», ordina, duro. «Ascolta quanto è irregolare il mio respiro. Per colpa tua. Ascolta bene quello che mi fai.»

Esce qualche istante, solo per lubrificare ancora di più la sua erezione per la lunghezza della mia intimità, e poi affonda di nuovo. Inarco la schiena con uno scatto repentino e il secondo orgasmo migliore della mia vita mi fa pietrificare. Lo sento scorrermi in corpo e toccare ogni cellula di cui sono fatta.

Così avvolta dal piacere, che la testa inizia a girarmi e devo ricordarmi che ho bisogno di respirare. Inspiro meccanicamente, ed espiro.

Ares è quasi giunto alla fine. Mi afferra per i fianchi e accompagna i suoi movimenti spingendo anche me, in modo che gli vada incontro.

Lo osservo; gli tengo gli occhi incollati addosso, perché non voglio perdermi il momento in cui lui verrà grazie a me. Le sue spalle larghe si contraggono, e il suo corpo viene attraversato da spasmi violenti. Si blocca, inclina la testa verso il soffitto e il pomo d'Adamo si abbassa. Le sue mani mi afferrano il seno, strizzandone i capezzoli. Rilascia un grugnito animalesco, che nasce nella sua gola ed esplode nella stanza. Impreca una sequela di oscenità volgari, in balìa dell'orgasmo.

Crolla subito addosso a me, stando però attento a non gravare sulla mia figura più esile.

Non esce nemmeno. Rimane dentro di me, incastrato fra le mie gambe nude e sudaticcio. Nell'orecchio sento solo il suo respiro rapido, affaticato, e qualche parola che sta mormorando forse inconsciamente.

«Hell...»

Attendo che prosegua. Non lo fa. Al contrario, mi bacia dietro l'orecchio. E io sono così disperata per lui, che basta anche solo questo gesto a farmi desiderare di riaverlo dentro di me. La mia mente comincia a immaginare tutte le posizioni in cui vorrei essere sua e sentirlo mio.

«Ogni secondo che vivo, da quando mio padre è morto...» la sua voce debole irrompe nella calma, quasi spaventandomi. «È un'agonia. Ogni volta che penso a lui, mi sembra di stare per morire talmente forte è il dolore che provo. Ma tu... Hell... Mi ricordi che c'è ancora qualcosa di bello, nella mia vita. Non sono il ragazzo ideale. Nemmeno l'amico, se per questo. O il fratello. Ma mi impegnerò per essere all'altezza tua e della mia famiglia. Lo giuro.»

Il mio cuore ha un singhiozzo.

«L'unica cosa che non posso promettere è che smetterò di prendere per il culo Jared Leto.»

Trattengo una risatina.

Non so cosa dirgli. Mi spezza il cuore sapere che lui veda così tanti difetti in sé stesso, che si dia così poco valore. Ma so anche che nessuna mia parola potrebbe fargli cambiare idea.

Perciò, mi limito a farlo sdraiare al mio fianco, mentre gli accarezzo i capelli e tento di farlo rilassare. In questo momento, vorrei solo che dormisse e si riposasse. Ha grandi occhiaie che gli contornano gli occhi, e non riesce neanche a tenerli aperti.

Ares si addormenta sotto il mio sguardo vigile e attento. Mi accorgo del momento in cui il suo corpo si rilassa completamente, a fianco a me, e il suo respiro si fa regolare e pacifico. Ci impiega pochi minuti. O forse sono tanti e io non me ne rendo conto perché non sento lo scorrere del tempo.

Non smetto di guardarlo anche mentre dorme. Ha l'aria così pacifica e serena, che comincio a desirare con tutto il cuore di rivederlo così anche quando sarà sveglio.

Gli bacio le palpebre delicatamente, per timore di disturbarlo, e poi afferro il lenzuolo per coprire il suo corpo nudo, fino all'inguine.

È così bello che mi sembra impossibile sia qui, con me, e solo per me.

La stanchezza inizia a gravare pure su di me. Uno sbadiglio mi fa storcere i muscoli del viso. Mi sistemo meglio, di fianco, rivolta verso Ares. Sento le palpebre farsi sempre più pesanti, e l'immagine di Ares farsi più sfuocata.

Ho un piede nel mondo dei sogni quando qualcosa vibra, incessantemente. Ares non si smuove di un millimetro, ma io mi metto sul chi va là.

Una luce bluastra proviene dal fondo della camera. Dev'essere un cellulare. Non il mio, ma quello di Ares, finito per terra quando si è spogliato e ha cominciato a lanciare per aria gli indumenti. Sorrido al ricordo.

Mi alzo piano dal letto, per non svegliarlo e vado a recuperare il suo telefono. Thymos lo sta chiamando.

D'improvviso, non ho più sonno e una nuova sensazione d'ansia mi si attorciglia alla gola. Rispondo subito. «Pronto?»

Dall'altro capo, c'è silenzio. Non si aspettava di sentire me, in effetti. «Hazel?»

«Sono io. Ares dorme. È successo qualcosa?»

Posso quasi sentirlo sorridere. «No, stai tranquilla, non è successo nulla di brutto. Vorrei solo che quel coglione non si fosse scordato di ridarmi le chiavi, perché sono davanti alla mia macchina e non posso portarmela via.»

Oh. Vero. Neanche io ci ho pensato. Frugo nelle tasche del giubbino in pelle, trovandole dopo un solo tentativo. «Eccole. Le ho qui. Se vuoi, ci vediamo ai cancelli di Yale così te le passo.»

«No, ti raggiungo io. Non voglio che giri da sola, a quest'ora. Nonno Urano ha spie anche tra i bidelli di questo posto.»

«E come farai a entrar...»
«Dormitorio B, vero?»
«Sì.» Come diamine fa a saperlo? Perché lui sa quasi tutto? «Stanza 99.»

«Arrivo. Due minuti.» Sta per riattaccare, lo so, ma la sua voce riemerge e mi impedisce di allontanare il cellulare. «Spero ti bastino per rivestirti.»

Rimango a bocca aperta, a fissare la telefonata chiusa. Era così scontato, per tutti, che io e Ares avremmo scopato stanotte? Ora, comincio a pensare che non sia un caso l'assenza di Athena e Haven. E, se sto imparando a conoscere questa famiglia, Ares aveva un preservativo in tasca perché glielo avrà dato Hermes.

Non ho tempo per queste cose. Pazienza. Raccatto velocemente un paio di mutande e la prima tuta da ginnastica che trovo nella mia metà di armadio, condivisa con Haven.

Esco a passo felpato, poggiando solo le punte dei piedi scalzi. Non passa nemmeno un minuto quando qualcuno dà un lieve colpo contro la porta. «Sono Thymos.»

Lo ringrazio mentalmente per avermi rassicurata fin da subito.

Se ne sta nel corridoio, alto e imponente, con i muscoli che guizzano attraverso la maglia aderente che gli fascia il corpo, e un paio di cargo neri.

Sebbene la sua espressione sia dura e fredda, qualcosa nei suoi occhi si addolcisce e tenta di compensare. «Buonasera, Hazel.»

Gli tendo le chiavi. «Ciao, scusaci.»

Scuote il capo. «Non preoccuparti. È colpa di quel poppante del tuo ragazzo.»

La parola mi fa sobbalzare. Thymos non se lo perde, ovviamente, e aggrotta la fronte.

«Ho detto qualcosa di sbagliato?»

Balbetto come una stupida. «Noi... ecco, non siamo fidanzati. Non stiamo insieme.»

L'angolo della bocca gli si incurva verso l'alto. «Non ancora. Ma accadrà. Purtroppo per te.»

Questo mi fa sorridere, anche se dovrei difendere Ares. Vederli punzecchiarsi e battibeccare è troppo divertente.

Faccio un passo indietro. Sono quasi le due e immagino che anche lui voglia tornare a casa sua. Da solo.

«Allora, buonan...» tento.

«Speravo di poter restare solo con te», mi parla sopra.

Okay, non me lo aspettavo. Non so se preoccuparmi. «Perché?»

Thymos infila la mano in una delle numerose tasche che ha nei pantaloni, e ne estrae un foglietto di carta, rettangolare. Quando lo gira verso di me per farmi vedere cosa c'è scritto, per poco la saliva non mi va di traverso.

«Vorrei darli a te», spiega. «Dovrebbero coprire l'intera retta del corso di Letteratura, qui a Yale. Tre anni giusti.»

Non riesco a staccare gli occhi da quella serie di numeri. I tre zeri. Il punto. Le due cifre. «Non posso accettare. Io non ho bisogno di soldi, Thymos. I miei genitori sono ricchi. Sicuramente puoi darli a qualcuno che ne ha davvero bisogno, sul serio.»

Provo a indietreggiare per andarmene, ma la sua mano grande mi afferra per il polso, con gentilezza, e mi trascina di nuovo fuori nel corridoio. Mi lascia andare subito, per non turbarmi.

«Ares mi ha raccontato tutto: dei tuoi genitori e della tua situazione qui. Loro sono disposti a pagarti solo studi scientifici, no? Se vuoi studiare qualcosa di umanistico, devi usare soldi tuoi. Corretto, Hazel?»

Annuisco.

Sorride e sventola l'assegno. «Allora, prendili. Ne hai bisogno. Nessuno dovrebbe essere obbligato e ricattato dai propri genitori per seguire la strada che loro gli impongono. Non è giusto.»

Non capisco perché l'abbia presa così tanto a cuore. Vorrei chiederglielo, ma ho paura di andare a toccare parti della sua vita privata e dargli fastidio. Thymos è freddo e distaccato con tutti, ma ho notato che con me è più gentile e accomodante. Non voglio perdere questo trattamento speciale.

«Per favore, Hazel. È la mia redenzione», aggiunge in un sussurro roco. La voce gli si spezza, e temo che stia per scoppiare a piangere.

Prendo l'assegno, tanto per farlo stare tranquillo. Non lo riscuoterò mai. Non serve che glielo dica. Se lo fa star meglio darmeli, lo asseconderò.

Thymos mi si avvicina. Il suo corpo grande quanto una montagna svetta su di me. «Voglio che li accetti, Hazel. Non sono riuscito a fare lo stesso con un'altra persona. Se n'è andata via prima. Tu sembri essere stata mandata a me per permettermi di rimediare e vedere, finalmente, qualcuno felice e soddisfatto dei suoi studi. Te lo chiedo per favore.»

Aphrodite?

«Questa è solo una piccola parte dei soldi che Daisy mi ha lasciato dopo essersene andata, per aiutare mio padre. E ci stanno riuscendo, anche se ormai non c'è più molto da fare e non li userò tutti. Invece che tenermeli, vorrei darne un po' a chi ne ha bisogno. E tu sei fra questi.»

Sì, Aphrodite. Nessuno mi ha mai raccontato troppo su di lei. So solo che gestiva la serra di Yale e il club di botanica, che i suoi giochi erano un po' cattivi, che il suo secondo nome era Daisy e che era la ragazza di Thymos.

«D'accordo», bisbiglio.
«D'accordo? Prometti?»

I suoi occhi castani mi inchiodano sul posto, e non riesco a evitarli. «Prometto.»

Fa un cenno d'assenso col capo, e la sua espressione si fa più dura. Deglutisce rumorosamente e mi augura la buonanotte, senza lasciarmi l'occasione di ricambiarla.

Lo osservo avanzare per il corridoio del dormitorio. A metà strada, solleva il braccio e strofina la mano sul viso, come per asciugare una lacrima.


🦊🍒

Volevo scrivere un capitolo di massimo 6000 parole e sono 11.000 ☠️ scusatemi la pesantezza. Spero che vi sia piaciuto 🫶🏻

E a questo punto io spero anche che non venga pubblicata pure GoC in cartaceo, perché parenti e amici si stanno comprando GoG ☠️🤚🏻
Questa scena è solo l'inizio🌶️

Be', ci vediamo al prossimo 🕺🏻 Spero di aggiornare il prima possibile, anche perché ormai la storia è agli sgoccioli 🥲

Grazie per leggere GoC💚
Per qualsiasi cosa mi trovate qui:
Ig: cucchiaia
Tiktok: cucchiaiaa
Have a nice life 🫂💚

Bạn đang đọc truyện trên: Truyen247.Pro