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18 (A&H) - Estoy condenado a no olvidarte nunca más





"I principi di similitudine in matematica si riferiscono alle proprietà delle figure geometriche che hanno la stessa forma ma dimensioni diverse. Quando due figure sono simili, i loro angoli hanno la stessa misura e le loro forme corrispondono perfettamente, ma possono essere ingrandite o rimpicciolite senza cambiare la loro forma."

— My hands are shaking
from holding back from you

🍒
A R E S

Il New Haven dista appena quattro ore di volo da Playa del Carmen, in Messico. Quattro ore chiusi in una scatoletta alata che percorre il cielo, a sentire i rigurgiti terrificanti di Hermes che rigetta l'intero intestino dentro quei sacchetti di carta per il vomito.

Ho contato almeno sei round, prima che si fermasse. Ha smesso di vomitare solo perché è crollato dalla stanchezza. Si è addormentato con la bocca aperta e la testa penzolante di lato. Apollo, seduto a fianco a lui, gliel'ha spinta di lato per farla poggiare contro il finestrino.

Playa del Carmen è una cittadina messicana situata sulla costa caraibica, nella parte nord-orientale dello stato di Quintana Roo, e conta più di trecento mila abitanti. È in tutto e per tutto il Paradiso terrestre. Mentre una navetta ci portava dall'aeroporto al cuore della città, nessuno di noi ha emesso un fiato, perché troppo immerso nel paesaggio che ci sfrecciava accanto. Siamo passati nel quartiere più ricco, Playacar, e poi per strade caratteristiche con alberghi piccoli e semplici. Nella Quinta Avenida, invece, l'arteria pedonale del posto, c'era una serie infinita di bar, ristoranti e locali già pieni di gente. Si estendeva per qualche chilometro e dall'altra parte, invece, spiccava la spiaggia già inondata di turisti.

Quando ho avuto l'idea di fare un viaggio modesto per lo spring break, Playa del Carmen è apparsa tra le mete preferite degli studenti. L'ho scelta un po' a caso, senza nemmeno andare a cercare foto del luogo. Primo, perché sono pigro. Secondo, perché non avevo poi tanto tempo di informarmi. Felice di non aver portato tutta la famiglia in un posto pericoloso, comunque.

Mi sono solo limitato a googlare "informazioni su Playa del Carmen". Mi si è aperto un articolo lunghissimo, che ho letto solo a salti. Fino a quando un'informazione nello specifico ha catturato la mia attenzione da nerd della matematica.

«Lo sai che le strade di Playa parallele al mare si chiamano Avenidas? E hanno tutte solo multipli di cinque. Per esempio, Avenida 5, Avenida 10, Avenida 15 e così via. Quelle perpendicolari alla spiaggia, invece, si chiamano calles e seguono i multipli di 2. Calle 2, calle 4, calle 6, calle 8...» dico, senza rifletterci troppo, a Cohen. Se ne sta seduta accanto a me, con un cappellino nero in testa. «Adoro questo ordine matematico, è proprio appagante.»

Cohen mi fissa con un sorrisetto. «Non dirmi che è solo per questo motivo che hai scelto di venire qui.»

Esito. «Certo che no. Anche perché... qui vicino c'è una delle sette meraviglie del mondo.» Non ricordo il nome, sinceramente, e spero che non me lo chieda.

«Ah, sì?»

«Ora che ci hai portato il tuo culetto tondo e sodo, Cohen, ce ne sono ben due delle sette meraviglie.»

Haven si abbandona a una risata e mi dà un colpetto sulla nuca. «Smettila. Comportati bene, adesso che tu e Hades state diventando migliori amici, ormai.»

Migliori amici? Io e Makako? È fuori discussione. Se un camion lo investisse, gli correrei incontro solo per accertarmi che sia davvero morto. Migliori amici, come no.

Cioè, ci siamo baciati, è vero. Il ricordo è ancora impresso nella mia testa e sto valutando l'idea di farmi praticare l'elettrochoc per scordarlo, ma questo non significa che ci siamo avvicinati.

Sto per raccontare a Cohen del bacio che mi ha dato il suo grande amore, quando la navetta si ferma e capisco che siamo arrivati al nostro hotel. L'insegna del Tiki Boom Cha è al neon, e ogni parola ha un colore diverso. Rosa, azzurro e viola, con una palma da cocco vicina.

«Wow, lo abbiamo scelto solo perché ci divertiva il nome, ma sembra bello!» esclama Liam, affiancandomi, con la testa rivolta verso l'alto.

Ha un paio di occhiali da sole dalla montatura gialla, un bucket hat con la scritta "Santorini" e due strisce di crema solare sulla guancia. Glielo farei notare, se solo non sapessi già che lo ha fatto consapevolmente.

Hermes gli circonda le spalle con il braccio, vestito con un outfit pressoché simile. «Vero? È proprio bello un botto

Devo riconoscerglielo, a questi due pagliacci. L'albergo è semplice, ma con un bell'ingresso colorato. Il viavai di turisti e personale mi dà l'impressione di essere pieno di vita. Oltre al fatto che, dall'altra parte, è dotato di uno stabilimento privato, incluso con il prezzo della camera.

Un uomo dai capelli rasati e la pelle olivastra ci viene subito incontro, con una divisa che mi fa intuire che lavora qui. «Buenos días, amici americani! Avete fatto un bel viaggio? Io sono Michelle, e per qualsiasi problema o consiglio potete venire da me!»

«Cosa vuol dire bonos dias?» sussurra Liam, chiedendolo proprio all'ultima persona tra di noi che potrebbe saperlo.

«Non lo so,» mormora Herm. Si volta verso Hell, sapendo che suo padre è colombiano. «Cosa vuol dire bonos dias?»

«È buenos días,» corregge lei con un sorrisetto.

Hermes si rivolge di nuovo a Liam. «È buenos días, Liam!»
«Ah, okay, chiaro. Non so comunque cosa voglia dire, ma suona meglio così.»

Michelle sorride a trentadue denti. «Significa "buon giorno", ragazzi,» spiega con un inglese perfetto, anche se la cadenza del posto si fa sentire. «Dovete imparare qualcosa, se volete conquistare qualcun...»

Zeus si fa avanti. «Vorremmo le chiavi delle nostre stanze, se possibile. Gracias,» calca sulla parola in spagnolo, come a volerlo mettere alla prova.

Michelle fa spallucce e ci fa cenno di seguirlo, mentre altri impiegati caricano i nostri bagagli su dei carrellini. Il caldo è già asfissiante e sono ancora le sette di sera, ma nessuno attorno a noi sembra dargli troppo peso.

Mentre ci incamminiamo, mi avvicino a Zeus e gli do una gomitata. «Sai lo spagnolo? Puoi dare lezioni a Liam. Fatti spiegare come da Hades e Haven.»

Mio fratello mi dà una spinta, emettendo uno sbuffo. «Sarebbe stato meglio farti perdere la voce, piuttosto che la vista.»

Devo ammettere che, per quanto indelicato, è stato anche piuttosto divertente. Non ho il tempo di continuare il battibecco, perché quando raggiungiamo la reception, un'altra cosa cattura la mia attenzione. E, stando alle reazioni degli altri, anche la loro.

«Cosa ci fanno loro, qui?» esclama Hades. 

Il primo a voltarsi è Thanatos, seguito a ruota da Jennifer Benson, Hurricane e quell'alga di Newt Cohen.

«Ma guarda un po', ci sono i Power Rangers,» commento, per nulla felice.

Anche loro hanno delle valigie al seguito. Hurricane e Jennifer indossano persino dei cappelli di paglia da spiaggia. A rispondere è Thanatos, però. «Pausa primaverile, no? Il Messico è una delle mete più ambite. Che coincidenza che abbiamo scelto proprio lo stesso posto.»

Non si sta nemmeno sforzando di non farlo suonare falso. Zeus supera tutti, già sul piede di guerra. «Haven, lo hai detto a tuo fratello Newt? È per questo che lo sanno?»

«Perché dovrei averglielo detto?»
«Perché è pur sempre tuo fratello!»

«Non gli ho detto proprio nulla,» insiste Cohen, altrettanto arrabbiata. Se iniziano a litigare, temo più per mio fratello che per la mia ex coinquilina, a essere onesto.

Mentre Zeus e Haven continuano a battibeccare, Michelle se ne sta dietro il bancone della reception e assiste alla scena con gli occhi appena sgranati.

«Ragazzi...» interviene Liam a bassa voce. «Ragazzi!» esclama una seconda volta, così forte da farli interrompere. «È possibile che sia stato io a dirglielo.»

«Che cosa?» gridano Zeus, Hades, Hermes e Athena all'unisono.

I clienti che vanno e vengono dall'albergo e che ci passano accanto, non si impegnano un minimo a nascondere l'interesse per lo spettacolino che stiamo mettendo su. Comincio a innervosirmi.

«Ecco, Hurricane mi ha scritto dei messaggi e io le ho risposto e...» Si gratta la nuca, sotto il bordo del cappellino.

Hurricane gli sorride a trentadue denti, sventolando la mano in un saluto provocante.

«Certo che sei una vipera,» le dico, senza riuscire a controllarmi. «Sai che Liam non vede una figa dal Paleolitico e te ne approfitti così per estorcergli informazioni.»

Hurricane mi guarda a malapena, d'un tratto disinteressata alla mia esistenza come se non rappresentassi nulla. Scrolla le spalle. «Ciao, Ares.»

Le punto l'indice contro e faccio due passi in avanti. «È inutile che fingi indifferenza, perché se poi sfioro Hazel ti metti a frignare come una bambina dell'asilo.»

Una manina mi agguanta per il tessuto della t-shirt e mi tira all'indietro, spingendomi in ultima fila. Hell. «Smettila. Non peggiorare la situazione.»

«Comunque, non pensavo volesse saperlo per organizzare un viaggio con loro. Scusatemi,» conclude Liam.

Zeus si passa una mano tra i capelli e capisco subito che ha deposto l'ascia di guerra. «Pazienza. Ormai è andata così.»

Thanatos ghigna, ma non sembra davvero felice. Qualcosa mi dice che lui è come me, una versione tarocca e di poco valore, e che quindi gode nel creare scompiglio. Non solo con le fatiche, che tentano in ogni modo di portarmi a fare scelte che feriscano la mia famiglia, ma anche fuori dal campo da gioco.

Ammirevole. Se non stesse dalla parte di mio nonno, mi piacerebbe. Ma solo un pochino.

I Fantastici 4 consegnano le chiavi delle loro camere, segno che sono arrivati qui anche prima di noi, e ci danno appuntamento in spiaggia. Liam saluta Hurricane con spensieratezza e Hermes gli dà una pacca sulla spalla per riprenderlo.

Prima che Michelle cominci a distribuire le chiavi, assecondando la prenotazione di Herm e Liam, mi precipito al bancone. Poseidon sta distraendo Hell con i suoi discorsi privi di significato e io ne approfitto. Pianto i palmi sul ripiano lucido e mi sporgo il più possibile verso di Michelle, fino a quando i nostri visi sono così vicini che gli vedo i pori dilatati della pelle.

«Oye, chico, ¿vas a besarme?» ("Ehi, ragazzino, stai per baciarmi?")

Qualcosa mi dice che c'entrano i baci. «Senti, Michelle, devi fare in modo di mettere me, Ares Lively, e Hazel Fox nella stessa stanza. Una doppia. Con letto matrimoniale,» sussurro in fretta.

Michelle lancia un'occhiata alle mie spalle, e poi torna a me. Senza staccarmi gli occhi di dosso, le sue dita picchiettano sulla tastiera del pc che ha davanti. «Non sono sicuro di poterlo fare senza l'autorizzazione della signorina.»

«Come sarebbe a dire?» Estraggo il portafoglio dalla tasca. «Quanto vuoi, Michelle?»

Michelle osserva il mio portafoglio, per nulla interessato. «Eres muy desperado,» bofonchia.

Non ha senso fare questo viaggio se non posso stare in camera con Hell. Lei passerà ogni ora del giorno a nuotare in mare, insieme a mio fratello, e non avrò altro tempo da passare con lei. Ho bisogno che almeno condividiamo la camera. Certo, potrei chiederla con due letti separati...

Michelle preme invio, sulla tastiera, con drammaticità e ci rivolge un sorriso tirato. «I signori Haven Cohen e Hades Lively?» Fa oscillare una tessera con scritto il numero "6". «Primo piano, prego.»

Di seguito, accoppia Athena e Hera in una doppia. Poi, Hermes e Liam. E, quando arriva il turno di Zeus e Apollo, controlla qualcosa sullo schermo del pc con la fronte aggrottata. «Voi due siete in una tripla con un signore che è arrivato poche ore fa e mi ha chiesto espressamente di essere inserito con voi. Conoscete un certo... Dionysus Dorian Lively?»

Un sorriso mi incurva spontaneamente le labbra. Giusto in aereo io e Zeus ci domandavamo che fine avesse fatto Nys. «Sì, purtroppo lo conosciamo. Ha rubato milioni ai nostri genitori ed è scappato in Francia. Adesso cerca di farsi perdonare... in modi sbagliati,» risponde Zeus.

Michelle non batte ciglio. Sospira. «Americanos

Manchiamo solo io e Hell. Il suo sospetto iniziale, quando ha visto che Hera e Athena avevano una doppia, si è tramutato in esasperazione. «Ares, che hai combinato?»

«Io? Nulla.»

Michelle ci porge la tessera della camera 42. «I signori Ares Lively e Hazel Fox, in una doppia.»

«Com'è possibile? Come avete fatto le prenotazioni?» domanda Hell, rivolta a Liam e Hermes.

Do un colpo di tosse, fissando con insistenza Michelle. Lui mi viene in aiuto. «Signorina, purtroppo siamo al completo. Non ci sono altre stanze disponibili. L'alternativa è che vi mettiate d'accordo tra di voi per riarrangiarvi. Io non posso fare nulla.»

«Dai, Hell, non sarà così male...» tento.

Haven mi indica. «Il primo giorno da coinquilini ha intasato il water con il suo vomito e ha pisciato dentro la mia tazza.»

Michelle è sempre più perplesso. Mi viene da ridere.

Hell si allontana ancora di più da me, e raggiunge Athena e Hera. «Ragazze.»

Entrambe scuotono il capo. «Mi dispiace, Hell, ma io preferirei dormire sull'orlo di un precipizio piuttosto che con Ares,» dice Athena, alzando le mani per aria. Il corpo è già rivolto in direzione degli ascensori.

Hell si tormenta il labbro inferiore, mordicchiandolo mentre gli ingranaggi del suo cervellino si azionano per trovare una soluzione. Lei vuole stare con me, lo so benissimo, ma finge il contrario perché ha paura di quello che potrebbe succedere.

Stanco di questa sceneggiata, agguanto la mia valigia e poi la sua e mi incammino. Do una rapida controllata alla mappa dell'albergo e individuo la nostra stanza, che è al primo piano e non ci servirà quindi l'ascensore. Non appena salgo il primo scalino, diretto al piano superiore, Hell mi è accanto.

«Cosa fai?»
«Vado in stanza.»

Prova a riprendersi il suo bagaglio. «Ce la faccio, non preoccuparti.»

Lo allontano e non le rispondo, ostinato a portare entrambi senza accettare alcuna replica. Lei non protesta e mi segue in silenzio, posso sentire la tensione che emana il suo corpo e avvolge entrambi in una bolla impenetrabile. Ogni tanto incrociamo qualche cliente o un impiegato dell'hotel, ma questo non basta a distrarci dalla realtà dei fatti. Dormiremo insieme nella stessa camera per quattro notti.

La cosa positiva è che la camera è enorme e bellissima. Pur avendo scelto a caso, Liam e Hermes hanno fatto un'ottima scelta. Cosa che non ammetterò con loro, sia chiaro.

È dotata di un piccolo ingresso con salottino: un divano a tre posti, celeste, un angolo cucina immacolato e una tv a schermo piatto. In un angolo c'è una pianta di cui non so il nome. Hell non si ferma troppo a studiare l'ambiente e si precipita nella camera da letto, lasciandomi indietro con un sorrisino malizioso. So cosa vuole controllare.

«Un letto matrimoniale?» esclama.

Supero la soglia della porta e vado a poggiare le nostre valigie. Il letto matrimoniale è perfettamente fatto, con lenzuola bianche e federe del medesimo colore, abbellite da fiorellini celesti. I comodini sono azzurri e c'è un armadio della stessa tonalità. La porta finestra dà su un piccolo balcone, e quando mi sporgo un po' per controllare vista, mi rendo conto che è proprio quella del mare e della spiaggia privata, piena di lettini e ombrelloni.

Una folata di vento mi fa arrivare alle narici l'odore terribile della salsedine e ho un conato. Le mani cominciano a sudarmi e sono costretto a rientrare, chiudendomi le porte alle spalle.

Credevo che sarebbe stato più facile. Non è così. Se rimango troppo lì, comincerò a delirare e rivedere mia madre che cammina in riva e mi chiede se ho voglia di fare un bagno. Posso quasi sentire la sensazione dell'acqua salata che mi brucia la gola.

Ma va bene così. Lo spring break è famoso per la scelta delle località di mare.

Devo solo regolarizzare il respiro. Mentre mi impongo di calmarmi, con la coda dell'occhio buono, dove la vista migliora di giorno in giorno e mi dà speranza che tornerà completamente, noto che Hell ha riaperto la porta finestra e sta uscendo in balcone.

Si poggia al muretto e scruta l'orizzonte. Il desiderio di vedere che espressione abbia in viso mi spinge a raggiungerla. Sta sorridendo. Gli occhi castani le brillano, mentre scruta il mare. Prende un respiro profondo, come se ne amasse il profumo. E, per quell'istante, il tremore passa e il respiro si regolarizza.

«Sei contenta?» sussurro.

Si pietrifica. Non si era accorta della mia presenza? «Sì,» risponde, alla fine. «Non vedo l'ora di tuffarmi in mare e nuotare.»

Storco il naso. Si divertirà tanto con Poseidon, allora.

«Hai fatto in modo che capitassimo in camera insieme, vero?»

È proprio il mio genietto.

«Sì. E, se devo essere sincero, anche di avere un letto matrimoniale.»

Hell si volta e mi fulmina con un'occhiataccia. Il vento le fa svolazzare i ciuffi di capelli cortissimi, rendendola paradossalmente più bella. Il vestitino giallo, invece, resiste a fatica. La gonnellina si increspa sotto la spinta dell'aria e si solleva il tanto da farmi intravedere la curva dei suoi glutei, ma non abbastanza da rivelarmi tutta la meraviglia che mi nasconde.

«Sei un idiota,» mi rimbecca.

«Sei un'idiota anche tu, Hazel,» le faccio eco. «Hai paura di stare con me da sola, perché potresti baciarmi prima che io arrivi alle duecento domande.»

Noto l'istante in cui il suo corpo si irrigidisce, e noto quello successivo in cui si sforza di rilassarsi. «Ho paura di stare con te da sola, perché potrei commettere un omicidio.»

Be', quella gonnellina che continua a svolazzare sta per farmi morire, di sicuro.

Lei capta il mio sguardo in basso e alza gli occhi al cielo, tenendosi il vestito con le mani. Un rossore anomalo le colora le gote, però. «Gli altri vogliono scendere subito in spiaggia. Tu...»

Ecco che la mia bolla si infrange sul serio. «Mh. Sì. Certo.»

Cosa mi aspettavo? Che nessuno sarebbe andato in spiaggia? Che avrebbero accettato di girare per la città e fare visite turistiche per osservare vecchi monumenti rovinati e pezzi di roccia a cui vengono dati nomi eleganti per farli sembrare importanti? Sì, in effetti. Ci speravo.

Pensavo di inventarmi una storiella per Liam, del tipo che qui vicino a Playa del Carmen c'è un villaggio dove ti fanno fare un'escursione dentro una rovina Maya che nasconde una sorgente d'acqua magica, e se la tocchi avvera un desiderio. Liam ci crederebbe senza ombra di dubbio.

Rimango così tanto tempo fermo in balcone che Hell mi richiama. Ha tolto una borsetta trasparente, dalla valigia, con tutto l'occorrente per la spiaggia. «Allora, andiamo?»

«Sì, sì,» mento. «Inizia ad andare. Vi raggiungo.»

Lei fa una smorfia incerta, ma decide di non insistere. E io gliene sono grato.

Trattengo il respiro fino al momento in cui non chiude la porta e la sento allontanarsi per il corridoio. Dopodiché, crollo per terra, con il culo sul pavimento. Inclino il capo in avanti e me lo nascondo con le mani.

Vorrei urlare. Ma non è il caso di farmi riprendere dopo soli dieci minuti dall'arrivo in questa stanza.

Forza e coraggio, Ares. Prendi il costume e scendi in spiaggia con la tua famiglia. Devi solo sdraiarti su un lettino, prendere un sonnifero e perdere i sensi per tutto il tempo. Ti sveglieranno per andare via e tu avrai superato il primo giorno senza drammi.

Nel momento in cui ho i bermuda addosso, la t-shirt e un paio di converse sdrucite e la mano avvolta attorno alla maniglia della porta, non riesco ad applicare la pressione necessaria per abbassarla e uscire.

Pur con le finestre chiuse sento l'odore del mare. Ne sento il rumore. Sento la sensazione dell'acqua sulla pelle, che mi entra in bocca e nel naso. Sento i miei respiri soffocati mentre incanalo tutta l'acqua, ignaro che non mi sarà utile, affatto. Sento la voce di mia madre che mi consiglia di non oppormi, che finirà presto, che devo lasciarmi andare.

Perché mamma mi fa questo? Le mamme dei miei compagni di classe vanno a prenderli dopo scuola. Lo fanno anche loro e nessuno me lo ha detto? Anche loro tengono la testa dei miei compagni sott'acqua?

Lascio andare la maniglia e mi precipito in camera. Ho le gambe molli e le mani che sudano, così scivolose che non sono sicuro di riuscire ad afferrarci nulla. Il cuore mi batte nel petto come se volesse sfondare la gabbia toracica, lo sento rimbombarmi nelle orecchie. L'aria è pesante. L'ossigeno sembra star sparendo dalla stanza. Spalanco la porta finestra e, insieme a una nuova boccata d'aria fresca mi arrivano anche l'odore e il rumore del mare.

Arretro e vado a sedermi contro il muro più lontano. Poggio il capo contro la parete e strizzo l'occhio.

Anche quando sono stato sull'Olimpo, la prima volta, ho avuto un attacco di panico. Ero su una maledetta isola, d'altronde. Ero completamente circondato dal mare, l'odore era ovunque e insopportabile. Poi mi sono abituato. Pur stando a debita distanza, ma non ho avuto altri attacchi di panico così forti. Accadrà lo stesso pure qui. Ho solo bisogno di ambientarmi.

Avvicino la mia valigia con un colpo e recupero il mio quadernino con la penna nera. Lo apro e faccio scorrere le pagine dei numeri, fino a trovare quella in cui la successione si interrompe. 16.143.

16.144, 16.145, 16.146, 16.147, 16.148, 16.149, 16.150.

16.151, inspira ed espira.
16.152, andrà bene.
16.153, è tutto okay.

16.154, non riesco a respirare.
16.155, non andrà bene.
16.156, niente è okay.

16.157, riuscirò a respirare?
16.158, andranno bene le cose?
16.159, è tutto okay?

16.160, continua a contare i numeri, Ares.  

16.161, mentre la tua famiglia si diverte in spiaggia, tu sei qui a scrivere numeri su un quaderno.

16.162, hai organizzato tu questo viaggio e sarai l'unico a non divertirsi. Passerai le giornate chiuso in camera, da solo.

La punta della penna si muove velocemente sulla carta, macchiandola d'inchiostro e di nuovi numeri. Scrivo veloce, senza staccare l'occhio dalla successione numerica. Scrivo così veloce che la mia testa si svuota e il tempo sembra scapparmi via, dandomi la sensazione in cui speravo tanto.

Quando arrivo a 17.500, con la mano dolorante e l'occhio affaticato, qualcuno bussa contro la porta. Rimango immobile, come se potesse bastare a far andare via chiunque ci sia lì dietro.

«Ares?» È Cohen.
Allungo il braccio per aprire.

«E io!» Liam.
Ritraggo il braccio. Non ho intenzione di parlare con Liam proprio in questo momento. Sono appena riuscito a calmarmi.

«Forse non avrei dovuto dirglielo,» mormora Liam, dall'altra parte.

«Ares, per favore, apri,» mi chiede Haven, in tono dolce. E io, al suo modo così gentile di rivolgersi a me, non riesco a resistere.

Anche quando faccio cazzate, lei mi parla come se non fosse nulla di grave o imperdonabile. Una volta ho sentito Zeus rimproverarla dicendole che è troppo buona con me, e che ogni tanto vado sgridato. Lei gli ha risposto: «Fatti i cazzi tuoi».

Con un sospiro esasperato chiudo il quadernino e apro la porta, sollevandomi appena. Haven e Liam esitano qualche secondo prima di entrare; studiano la situazione e poi si fermano su di me, abbandonato per terra con penna e quaderno accanto.

Lei sembra capire. Liam, no.

«Cosa fate qui?» domando.

«Manchi solo tu, in spiaggia,» mormora lei. «E ho immaginato che fossi in difficoltà.»

Lo sono. Ma non voglio parlarne. E non voglio aiuto. Non voglio passare per debole. Non voglio che gli altri mi vedano in questo stato, a scrivere numeri su un foglio con le mani tremanti e la punta della penna che a momenti buca la carta per la forza che imprimo al tratto.

Haven si abbassa fino ad arrivare alla mia altezza. «Non devi per forza entrare in acqua, Ares. Però vorrei che tu stessi con noi, e non qui da solo.»

«Cohen, lo apprezzo, ma non ci riesco. Non voglio. Io non...»

«Che succede?» Un'altra figura si è aggiunta alla scenetta patetica. L'ultima che avrei voluto mi vedesse in queste condizioni. Hell.

Non entra in camera, ma mi guarda con un'intensità tale da farmi mancare il fiato. Sembra assimilare la situazione meglio di Liam, perfino. Ti prego, no, lei no.

«Ares, stai bene?» chiede Hell.

Scatto in piedi, e per sbaglio do un colpo al quadernino, facendolo aprire su una pagina a caso. La successione di numeri è sotto gli occhi di tutti, che non riescono a distogliere lo sguardo da lì. Lo calcio via in fretta, allontanandolo come se fosse qualcosa di disgustoso e pericoloso da avere vicino.

«Per favore, andate via,» gli dico con gentilezza forzata. «Non andrò in spiaggia. Nemmeno per stare seduto su uno di quei lettini di merda. Detesto l'odore della salsedine, detesto la vista delle onde dell'acqua. Detesto l'idea di avere così tanta gente attorno, che potrebbe vedere un mio attacco di panico e prendermi per il culo solo a stare in riva al mare. Detesto tutto. Ho scelto questo posto perché sapevo che sarebbe piaciuto a voi, ma io non... Scusate. Non posso. Okay? Non posso.»

Restano in silenzio mentre ascoltano il mio sproloquio, rigettato senza pause e respirando a malapena. Liam è il primo a farsi indietro, il primo a capire che deve lasciarmi da solo.

Deglutisco a fatica. «Grazie,» aggiungo. «Ma... no. No.»

Cohen è più riluttante, però non insiste. Prende Hell per mano e la sprona a seguirli, le fa capire che non c'è nulla che lei possa fare e che devono andarsene.

La solitudine improvvisa è rassicurante. Ed è tutto ciò di cui ho bisogno, ora. Voglio stare nel mio caos, nel mio ordine disordinato in cui solo io posso trovare conforto. Il mio vuoto che attende di essere riempito.

🍒🍒🍒

«Ares? Svegliati.»
Mugugno.
«Ares, hey!»

Qualcosa preme sulla mia fronte. Qualcosa di morbido. Un dito? Apro gli occhi, e come al solito riesco a vedere solo a metà.

Hell mi sta fissando, seduta sul letto matrimoniale. È vestita con un completo in lino, fatto da una camicetta smanicata e dei pantaloncini larghi a vita alta. Nel viso compare il rossore tipico di chi ha preso un po' di sole.

«Che ore sono? Da quanto sei qui? Cosa succede?» biascico, la voce impastata dal sonno.

Ricordo solo che, dopo essere rimasto in camera, ho ordinato la cena e ho mangiato sul divano. Ho fatto zapping in tv, beccando solo programmi in spagnolo di cui non capivo nulla, e verso le dieci mi sono buttato nel letto e ho imposto al mio corpo di addormentarsi. A un certo punto mi ha svegliato il rumore della porta che si chiudeva, segno che Hell era rientrata. L'ho osservata mentre raccattava il pigiama e si chiudeva in bagno, e non appena ha aperto il getto dell'acqua, sono sprofondato di nuovo nel mondo dei sogni.

«Sono le quattro di notte,» mi informa.

Sbadiglio. Comincio a diventare più lucido e vigile. «E cosa cazzo vuoi da me alle quattro di notte, Genietto?»

Ora noto che tiene qualcosa in mano. Sembrano... Non appena gli indumenti mi colpiscono in pieno viso, ne ho la conferma. Sono un paio di bermuda. Miei. Quelli con i peperoncini per i quali mi ha fatto i complimenti Liam. Ripensandoci, forse non dovrei indossarli più.

«Andiamo in spiaggia, giù, allo stabilimento privato.»

Forse ho sentito male. Mi metto a sedere e cerco la benda, abbandonata sul comodino. Comincio a farci l'abitudine. Hell, invece, se ne sta davanti alla porta e mi dà le spalle, in attesa.

«Hell, perché dovrei andarmene in spiaggia alle quattro del mattino? Anzi, perché dovrei andare in spiaggia e basta.»

«Prima non sei voluto venire perché c'era troppa gente,» risponde con tranquillità. «Adesso non c'è nessuno. Saremo soli. Coraggio.»

La testa mi urla di no. Mi urla di rifiutare e tornare a dormire.

Ma il cuore... mi sta sussurrando di seguirla senza emettere un fiato. E sebbene le grida nella mia testa siano più forti, quel sussurro mi riempie le orecchie e mi fa muovere in automatico. Come se fossi sotto incantesimo. O ipnosi.

È la mia occasione di stare con lei. Lo so cosa succede quando dici troppe volte di no alle persone. Si abituano ai rifiuti e non ci provano più a includerti. E tu ti abitui a non venire invitato, ma sei troppo orgoglioso per fare un passo.

Con Hazel ancora di spalle, mi spoglio e indosso il costume. Mi copro con una t-shirt, giusto per girare a petto nudo nella hall dell'hotel, e aspetto che lei mi faccia strada.

L'entrata dello stabilimento si trova al piano terra, oltre la zona bar. «Sei sicura che possiamo andarci, a quest'ora?» mormoro.

Hell sta osservando Michelle, alla reception, per sgattaiolare al momento giusto. «No, per nulla. È sicuramente chiusa. Ma a noi, questo, non interessa.»

«E se ci fosse qualcun altro, in spiaggia? Qualcuno che ha avuto la nostra stessa idea?» Non mi va di essere cacciato da un albergo che si chiama Tiki Boom Cha.

«Lo mando via,» risponde con convinzione.

Trattengo una risata. «Non incuti timore, Hazel. E non sapresti fare del male a nessuno.»

Hell volta il capo nella mia direzione, e senza preavviso mi afferra una porzione di pelle del braccio, tra indice e pollice, strizzandolo con una forza tale da farmi espirare di botto.

Mi vengono le lacrime agli occhi. «Merda, Hell, ma hai i pollici bionici? Cristo, che male, smettila!»

Lei ghigna e mi lascia andare. «Non ti conviene sfidarmi.»
«Sì, ma...»
«Ti vuoi stare zitto prima che ci scoprano?»

Mentre continua a studiare la situazione, io mi perdo a guardare il suo profilo e l'espressione concentrata che ha in volto. È così buffa che vorrei prenderla in braccio e portarmela via io, invece che lasciarle il compito di dover gestire l'intero piano.

«Ora,» sussurra.

Le nostre dita si intrecciano e scappiamo fuori dalla porta, veloci come lampi ma di sicuro non abbastanza silenziosi. Ormai è troppo tardi per fermarci. Ed è tardi per accorgersi di noi, perché siamo due figure che si mischiano nell'oscurità della notte. C'è solo un fragile spicchio di luna a illuminare la spiaggia, e non è abbastanza per renderci visibili dagli altri. Solo noi sappiamo di essere qui.

Sfrecciamo in mezzo ai lettini dello stabilimento, e le nostre mani si separano. Hell è più veloce di me, solo perché non le importa di dove si trova e, anzi, agogna il contatto con il mare. Al contrario mio che ho la tentazione di fare dietro-front e andarmene.

L'odore è pungente e l'umidità comincia già a rendermi la pelle appiccicosa. L'aria è fresca, ma non quanto lo è in New Haven.

Hell è già in riva. Il mare è una distesa piatta, davanti a lei. Una piccola onda si infrange sulla sabbia e le bagna i piedi, come se volesse porgerle un saluto educato.

Affondo i piedi nella sabbia e non mi muovo più. Deglutire diventa un'impresa titanica, e tengo l'occhio fisso su Hell per avere almeno un punto di stabilità. C'è lei, no? Non può accadere nulla. E io sono lontano dall'acqua. Non possono annegare.

La sua gamba si solleva in avanti e calcia l'acqua, generando piccoli spruzzi.

E, d'improvviso, le sue mani si posizionano sull'elastico dei pantaloncini e li abbassa. In pochi istanti, Hell rimane in costume. I vestiti che indossava giacciono ai miei piedi, lanciati all'indietro senza nemmeno guardare.

La sua figura è longilinea, si staglia nella notte e devo fare due passi in avanti per cercare di coglierne ogni dettaglio. Invano. Vorrei gridare alla luna di diventare più grande e gettare su Hell tutta la luce che possiede. Vorrei implorarla di illuminare la ragazza che sta a soli due metri da me. Vorrei pregare Dio di far accadere un miracolo e ridarmi la vista, per coglierla pienamente.

L'unica cosa chiara è il bikini a due pezzi, bianco, che le copre il seno e l'inguine. Ha i lacci ai lati, legati in fiocchetti. E, quando mi dà le spalle, per poco non mi strozzo con la saliva. Gli slip del costume sono a triangolo, un triangolo abbastanza piccolo da farmi vedere la curva del suo fondoschiena. Faccio un altro passo in avanti.

L'acqua mi bagna i piedi.
Quasi salto all'indietro, preso alla sprovvista. Ho superato la mia distanza di sicurezza.

Hell non si addentra in mare. Si china in avanti e raccoglie l'acqua con le mani, rovesciandosela sul petto e massaggiando le braccia e le gambe. Non capisco perché.

«Perché lo fai?»

Si blocca, poi si gira. Mi viene incontro, lentamente, e ogni centimetro che ci separa mi fa venire voglia di colmare le distanze senza aspettarla. La sua mano si sta sfiorando il collo, inumidendolo, quando parla. «È solo per abituarsi all'acqua. Un contatto diretto, ma più tranquillo dell'immergersi d'improvviso. Vuoi provare?»

Arretro. «No, meglio di no.»

Ma la temperatura è quasi piacevole. Fresca. Un sollievo per la pelle.

Hell storce il naso. Allunga il braccio e, con le punte delle dita, mi sfiora la guancia. Sono ancora umide. Rabbrividisco. Non so se per il contatto con l'acqua, o con lei.

«Detesto l'odore del mare,» bisbiglio. «La salsedine. E detesto che ti si appiccichi alla pelle. Il salato. Non lo reggo. Mi fa venire voglia di vomitare. E di piangere. È ridicolo. Non sopporterei di averlo addosso, Hell.»

Si inumidisce il labbro inferiore, e poi lo pinza tra i denti. Sta pensando. La riconosco quella espressione. «Perché non facciamo il contrario, allora? Se non vuoi inumidirti il corpo con l'acqua di mare, bagna il mio, con le tue mani.»

Al sentire la sua proposta, devo fare uno sforzo immenso per non sgranare gli occhi. I battiti del mio cuore accelerano e temo di stare per avere un infarto. Devo aver sentito male.

Hell mi dimostra il contrario. Raccoglie altra acqua e la fa scivolare tra i nostri corpi, senza sfiorare il mio. «Prendila e bagnami, Ares. Passamela sul corpo. Ti va?»

«È una nuova tecnica per aiutarmi con la mia fobia?»
«Possibile.»

Sento che sarà la mia preferita. «Sei sicura che posso toccarti?»

Alza gli occhi al cielo. «Di certo non ti ho invitato a palparmi le tette, idiota. Qualsiasi zona di pelle già scoperta, è accessibile. Il resto, no.»

«Ci tieni ad aiutarmi o è una tua sfida personale? Del tipo che ti sei imposta di farmi amare l'acqua come la ami tu?» indago.

Lei abbozza un sorrisetto stanco. «L'acqua è un simbolo potente, Ares. Ricordi quando mi hai spiegato il significato del serpente? Ecco, è un po' lo stesso. È il simbolo per eccellenza della vita, della rinascita e della purificazione. È un elemento di carattere liquido, puro, adattabile e ricettivo. Non solo: è visto come un elemento dalla forza misteriosa, in grado di trasformarsi continuamente, penetrando il suolo e la roccia e nutrendo la terra sotto forma di pioggia. Ogni cultura le associa significati diversi e importanti.»

«Hell, l'acqua che ci bagna adesso è solo infestata da schifosi pesci puzzolenti e dalle pisciate dei bambini che l'hanno fatta in mare solo perché i genitori non avevano voglia di portarli in bagno. Dubito che la possiamo definire pura e nutriente.»

Hell sbuffa a gran voce e prova a darmi una spinta, senza smuovermi di un centimetro. Sto per chiederle scusa, quando un sorrisetto le incurva le labbra e mi fa capire che, ancora una volta, io la faccio ridere. 

Azzero le distanze tra di noi e non faccio nulla. Inclino il capo verso il basso e la guardo. I suoi occhi da cerbiatta ricambiano, con sfrontatezza, ma anche con un bagliore che mi fa intuire che questa situazione sta mandando su di giri tanto me quanto lei.

«Capisco perché ti piace,» ritorno serio.
«Piacerà anche a te.»

«Se troverò sempre te in acqua, probabilmente sì.»

Sbuffa, di nuovo, ed evita il mio sguardo. «Allora, vuoi provarci o no?» Sento la tensione tra di noi, sento l'adrenalina che mi scorre in corpo e l'ansia che fuoriesce dal suo. Si mischiano insieme, creando uno stato di eccitazione che mi rende ebbro.

Non mi sembra vero che posso toccarla.

Avvicino la mano al suo petto e poggio il palmo al centro.

Inarca un sopracciglio. «Prima dovresti bagnarla.»

«No, non ho ancora iniziato. Ora volevo solo sentire quanto ti battesse forte il cuore,» le spiego. Mi piego in avanti e accosto le labbra al suo orecchio. «La risposta è: tanto, Hazel Fox.»

Se l'ho messa in difficoltà, non me lo mostra. Tiene la postura dritta e rigida. «Vai avanti.»

Mi piego e, con le mani a coppa, prendo un po' d'acqua di mare. L'odore è pungente e devo chiudere un attimo l'occhio per resistere alla tentazione di ributtarla giù.

Mi fermo all'altezza delle spalle e gliela rovescio addosso, avendo cura di bagnarle l'addome. Il tessuto del costume, fatto a triangolo, le si incolla al seno, diventando semi-trasparente. L'aureola più scura del capezzolo spicca appena, facendomi disconnettere il cervello.

Deglutisco forte. Piazzo le mani sulle sue spalle, e la sfioro. Prima con esitazione, poi comincio a prendere confidenza con la sua pelle e scendo lungo le braccia, fino ai polsi. Le tocco i palmi delle mani e intreccio le mie dita con le sue. Espiro. Sciolgo la presa e risalgo. È umida, ma non basta.

Raccolgo altra acqua e le bagno il petto, facendo attenzione a non sfiorarle il seno. Ora che siamo vicini, lo vedo bene. È piccolo, di sicuro una prima abbondante.

Come se captasse le mie attenzioni proprio lì, Hell emette un rantolo di sofferenza, appena udibile. Sollevo il volto di scatto.

La afferro per la vita e percorro il suo profilo, spalmando l'acqua di mare anche sulla pancia. Arrivato alla schiena, infilo le dita sotto il laccetto del reggiseno e lo tiro, facendolo poi schioccare contro la sua pelle. Hell sobbalza, e nel movimento il suo corpo si scontra con il mio.

I nostri addomi si incollano, e io maledico la stupida maglietta che indosso. Se non ci fosse il tessuto di mezzo, sentirei i suoi capezzoli contro il mio petto.

Dio, sto per impazzire. Devo staccarmi. Devo scappare. Non mi piace sentirmi così. Non mi piacciono i cambiamenti. Non mi piacciono le cose nuove.

«Scendi,» mormora lei.

Manca l'altra metà del corpo.

E senza obbiettare, io crollo in ginocchio. Ai suoi piedi.

Lei mi guarda dall'alto.
Il mio capo è all'altezza del suo inguine.

Quando mi protendo in avanti per prendere acqua, le punte dei miei capelli sfregano sulla sua coscia e Hell fa un versetto roco. Devo mordermi la lingua per non imitarla.

Questa volta parto dalle caviglie. Gliele avvolgo con le mani e risalgo lungo i polpacci, stringendo la sua carne tra le dita e massaggiandola con foga. Le mani di Hell si posizionano sulla mia nuca, e le dita si incastrano tra i miei capelli.

«Ares...»

Le agguanto le cosce, caldissime, lasciando scie più fresche e bagnate. Pianto i palmi dietro, spingendola più vicina a me. Così vicina che, nel movimento, il mio naso le sfiora la pelle. Inclino il capo verso l'alto, e le mie labbra sfregano contro il suo fianco. Sono così vicino al suo inguine che...

Il mio occhio si sposta, catturato da qualcosa che campeggia sulla sua pelle. Delle striature. Strisce di pelle irregolari, infossate e più bianche della sua carnagione naturale. Smagliature.

«Sì, ecco, quando ero piccola ho perso peso tanto in fretta per potermi allenare meglio nel nuoto e...» blatera velocissima, come se ci fosse bisogno di giustificarsi.

«Sono belle,» le dico.

Ride. «Certo, come no. Sono queste le cose che dici alle ragazze per portartele a letto? Poco originale.»

Aggrotto la fronte. «No, in genere mi basta un "ciao, hai voglia di scopare?".»

Non ci ho mai messo grande impegno. D'altronde, fare del sesso occasionale non richiede chissà quali adulazioni. Se vuoi farlo, lo fai. Se vuoi avere un legame emotivo con la persona per farlo, non lo fai. Semplice.

Mentre la tengo per la coscia con la mano destra, muovo la sinistra e traccio le linee delle sue smagliature. Arrivano fino al bordo dei suoi slip, e il contatto con quel punto così delicato fa sussultare entrambi, come se avessimo ricevuto una scossa.

«Sono serio,» riprendo. «Mi piacciono. Al sole diventano dei filamenti dorati. Mi ricordano quell'arte giapponese del riparare la ceramica rotta con l'oro, impreziosendo l'oggetto e dandogli una nuova identità.»

Hell rimane immobile come una statua mentre continuo ad accarezzarla. Ormai le mie mani sono asciutte, e sappiamo entrambi che non la sto toccando come esercizio per la mia fobia. La sto toccando perché mi piace.

Se fossi una persona diversa, adesso potremmo tuffarci in acqua insieme. Potrei sollevarla di peso e buttarcela dentro, potrei schizzarla e farmi colpire a mia volta. Potremmo divertirci come fanno tutti quegli stronzi che vedo nei film o che osservavo ore fa, dal balcone della camera. Ma io non sono così. Sono lo stronzo noioso che a momenti vomita solo a respirare l'odore della salsedine.

Per fortuna che compenso con la bellezza.

Avvicino il viso alla sua coscia, e senza riflettere sulle mie azioni, sfrego le labbra sulla sua pelle, provocandole dei brividi. Vorrei baciarli per sentire che sapore hanno. Le bacerei la pelle anche se bagnata dall'acqua di mare. Ecco quanto sono patetico.

Forse, poco dopo, vomiterei. Ma non fa nulla, non è il caso di includere questo dettaglio in una fantasia privata.

«Ares...» Il mio nome esce come un gemito, un piccolo soffio tra le labbra che non ha il coraggio di diventare più forte.

Non ho la forza di alzare il capo, perché vedrei la piccola sporgenza del suo seno e poi il suo viso dilaniato dallo stesso dolore che sta logorando anche me. Appoggio la fronte contro il suo ginocchio, e la tengo stretta.

«Dammi un bacio, Hazel,» mormoro.

Non ho mai desiderato qualcuno quanto desidero lei. E per quanto lo sopprima, per quanto mi dica che non me la merito e che sono un bastardo, la voglio. Voglio le mie labbra sulle sue. Voglio le mie labbra sul suo seno. Voglio le mie labbra tra le sue gambe. Voglio le mie labbra sulle sue smagliature. Voglio le mie labbra tra i suoi capelli corti e sbarazzini.

E voglio seppellirmi dentro di lei. Voglio vedere la forma della mia mano sul suo culo piccolo e abbronzato. Voglio metterle le mani al collo mentre spingo in mezzo alle sue gambe, spalancate per far entrare meglio il mio cazzo. Voglio la sua lingua nella mia bocca. Voglio imparare a memoria ogni forma del suo corpo, tracciarla con la bocca e con le mani.

«Sei in ginocchio sull'acqua, Ares, te ne sei accorto?»

La domanda mi coglie di sorpresa e mi risveglia dal momento. Apro l'occhio e guardo in basso. Siamo sulla riva, sì, e il mare continua ad avanzare e retrocedere con pigrizia, bagnandomi le gambe. Che schifo.

«No, non me ne sono accorto.» E non è così male quanto pensavo.

Ma ha cambiato argomento. E io voglio tornare al bacio.

Dio, se voglio baciare questa ragazza.

Con la pressione della mano sulla sabbia bagnata, mi metto in piedi. Hell si è già spostata e sta raccattando il suo completo in lino, pronta a infilarselo di nuovo e tornare in stanza.

«Hell, voglio baciarti,» dico, colto da un'idea improvvisa quanto azzardata.

Non dovrei. Non dovrei.
Ma devo. Non ce la faccio più.

«Adesso ne mancano... 193? Sbaglio?»

Faccio cenno di no. «No, questa non era una domanda per il nostro stupido gioco. Le domande servono a far sì che sia tu a baciare me. Ora, sono io a baciare te e non devo chiedertelo. Devo farlo e basta.»

Lei ha solo il tempo di mostrarmi un'espressione stranita, perché io le vado incontro e le afferro il viso tra le mani. Premo le mie labbra sulle sue, incerto come un ragazzino che deve dare il suo primo bacio.

Non appena le nostre bocche si incontrano, è la quiete. La calma più totale.

Ha le labbra screpolate, ma morbide. Non hanno alcun sapore. Eppure, sono la cosa più buona che abbia mai provato nella mia vita. Accompagnano i miei movimenti con precisione, non c'è un attimo di goffaggine o scoordinazione. È come se fossero state create per entrare in collisione.

La stringo più forte con le mani, tenendo il suo viso attaccato al mio, per paura che sia un sogno e presto mi scivolerà via. Mi scappa un gemito gutturale e lei ne approfitta per mordicchiarmi il labbro inferiore.

Mi rendo conto di non aver mai baciato sul serio nessuna ragazza solo ora che sto baciando Hazel Fox. Qualsiasi bacio io abbia dato prima d'ora? Mai esistito. Questo è il mio primo bacio. Il primo bacio che mi fa risalire il cuore in gola. Il primo bacio che mi fa arricciare le punte delle dita per l'eccitazione. Il primo bacio che mi fa desiderare di non aver bisogno d'aria e, quindi, di interromperlo per riprendere fiato.

Hell si lascia baciare. Hell non oppone resistenza. Hell muove la bocca contro la mia, nel bacio più casto che io abbia mai dato.

Si stacca lei per prima, però. E si passa la lingua sulle labbra, ripetutamente, succhiando via ogni mia traccia. Mi dispiace, Hazel, ma io spero che ti rimarrà a vita.

Come a volerglielo dimostrare, ancora con la mano che accoglie il suo viso, allungo il pollice e lo strofino sulla sua bocca. «Cerchi di eliminare le mie tracce, Genietto? Eh?»

Esita. Poi mette una distanza di sicurezza tra di noi e io tento di colmarla di nuovo. Vorrei baciarla, ancora. Mi tremano le mani per l'impazienza.

Come faccio a vivere, adesso che so cosa si prova? Forse era meglio restare nell'ignoranza e non immischiarmi in questo casino.

In ogni caso, questo bacio l'ho iniziato io. Ne voglio uno che parta da lei. Voglio vederla venirmi incontro e baciarmi. Voglio che sia lei a prendere l'iniziativa.

«Ora che hai avuto il tuo bacio puoi andare avanti e dimenticarmi, Ares?» Mi coglie di sorpresa, citando quello che le avevo detto poco tempo fa.

E mi viene da ridere. «Ora che ti ho baciata, sono condannato a non dimenticarti mai più.»

🔥
H E L L

Ora che ti ho baciata, sono condannato a non dimenticarti mai più.

Sono passate otto ore da quel bacio in spiaggia e io, ogni tanto, mi tocco le labbra come se potessi ancora sentire quelle di Ares che ci si muovono contro. Sono passate otto ore, e io non ho ancora trovato il coraggio di parlargli o di guardarlo in faccia. Sono passate otto ore e non riesco a smettere di pensarci.

Sono divisa fra i sensi di colpa verso Hurricane e la voglia di avere un altro bacio. A volte vorrei andare a cercare Ares, ovunque sia finito, e imporgli di chiedermi un bacio.

Lo odio. Lo odio perché mi ha regalato il bacio che chiunque dovrebbe avere, almeno una volta nella vita, e non sono sicura che anche oggi voglia darmelo di nuovo.

Ho nuotato tutta la mattina. Mi sono svegliata alle sette, Ares ancora russava pacificamente nella sua metà di letto, e sono scappata giù per fare colazione. Ho preso un lettino nello stabilimento e ho nuotato in lungo e in largo.

Ares non si è fatto vivo. In compenso, Hermes ha provato ad annusarmi per vedere se avessi "odore di sesso". Ha capito qualcosa, e non so come abbia fatto.

Non voglio fare la persona immatura ed evitare Ares. Voglio solo qualche ora lontana da lui per abituarmi al fatto che potrebbe dirmi che dopo quel bacio possiamo restare amici.

Sistemo gli occhiali da sole sulla nuca e avanzo verso il bancone del bar dell'hotel. Per metà è al chiuso, e per metà è all'aperto, con tavolini in vetro e divanetti con cuscini di ogni colore immaginabile. Qualcuno pranza, vista l'ora, altri bevono e basta.

È parecchio trafficato, ma proprio quando mi avvicino al bancone uno sgabello si libera e lo occupo con un balzo. Il barista serve un gruppo di cinque ragazze prima di prendere la mia ordinazione. È quasi ora di pranzo, ma io ho bisogno di alcol. Ordino Malibu e ananas.

Mentre lo osservo prepararlo, mi guardo attorno. In lontananza scorgo la chioma azzurra di Poseidon, in costume, che consegna la chiave della sua stanza alla reception. Persino Zeus è diventato introvabile. Sarà che a Yale lo riconosco per il lungo cappotto, e con i trenta gradi di questo posto gli è impossibile indossarlo.

Ho preso solo due sorsi dal mio drink quando qualcuno incombe alle spalle del ragazzo seduto a fianco a me. «Hey, tu, alzati,» gli ordina Ares. «Veloce.»

«Non ho finito di...»

«Alzati, ho detto. Devo sedermi vicino a lei.» Mi indica.

Vorrei sotterrarmi. Perché deve sempre essere così sgarbato? «Ares, smettila. Lascialo stare.»

Lo sconosciuto mi rivolge un'occhiata di ringraziamento, sollevato che lo stia difendendo. Ma quando si accorge che Ares non si smuove e resta alle sue spalle a braccia conserte, esala uno sbuffo e scatta in piedi. «Certo che sei strano, amico.»

«Glielo ripeto da quando lo conosco,» bofonchio, girando la cannuccia nel bicchiere come se fosse una zuppa da mescolare.

Fa così caldo che i cubetti di ghiaccio cominciano già a sciogliersi. Devo berlo in fretta, prima che diventi acquoso e il sapore si affievolisca.

«Hey, Hell,» mi saluta Ares, come se nulla fosse, prendendo posto accanto a me.

Non appena sento il suo corpo vicino al mio, un brivido mi corre lungo la spina dorsale e mi si incastra alla base del collo, aggrappandosi a esso con forza. Il mio cuore manca un battito. Eppure, in nessuna di queste sensazioni c'è qualcosa di positivo.

«Cosa fai qui?» mi domanda. Indica il drink. «Alcol a mezzogiorno?»

Scrollo le spalle. «Ne avevo voglia.»
«Qualcosa ti turba?»

Gli lancio uno sguardo con la coda dell'occhio. Sta giocando sporco. Mi sta provocando. «Non direi, a parte che...»

Il suo occhio nero ricambia le mie attenzioni, le folte ciglia gettano un'ombra sulla palpebra inferiore. «A parte che?»

La presa attorno al collo si fa più forte di prima. Qualcosa non va. Mi sento strana. D'un tratto, guardinga. Come se stesse per accadere qualcosa. Il problema è che non capisco se debba accadere vicino a me o proprio... a me.

«Hell?» mi richiama Ares. «Tutto okay?»

Lo sguardo mi scivola lungo le braccia toniche e muscolose, fino ai polsi e le vene delle mani. Comincia a tamburellare con le dita della mano sinistra sul ripiano del tavolo, e io seguo il movimento, quasi ipnotizzata. Quando gira la mano, mostrandomi il palmo, mi accorgo di una chiazza sul polso. È piccola, ma a questa distanza la sua entità mi è chiara. Una voglia. Ed è a forma di... Sembrano due pallini un po' deformi, uniti in alto. A primo impatto penso a due ciliegie.

Non ricordo di aver mai visto una voglia simile nel polso di Ares. Lo so per certo, perché quando mi ha mostrato i ritratti sul suo blocco da disegno, in Grecia, non ho potuto fare a meno di osservargli le mani. Le dita affilate e ossute, il dorso pallido con le ossa in rilievo e una vena rigonfia sulla destra. Le unghie cortissime e pulite e un callo sul dito medio, forse per il tempo passato a reggere la matita da disegno. I polsi erano privi di qualsiasi voglia, l'avrei notata vista la sua carnagione pallida, quasi cianotica.

Ares mi chiama di nuovo, questa volta in tono più esasperato. Non appena incrocio il suo occhio, la stessa brutta sensazione di prima mi fa mancare il fiato.

Non so perché lo dica, ma mi esce naturale. Mi scappa di bocca e non riesco più ad afferrare la frase. «Tu non sei Ares.»

Ares aggrotta la fronte, restando a bocca aperta. «Come, scusa?»

«Non sei Ares,» ripeto, più incerta. Sto facendo la figura della pazza? Sono ubriaca dopo nemmeno due drink?

«E chi dovrei essere, sennò?» Si indica la faccia e si avvicina a me, invitandomi a scrutarlo da vicino.

Non mi ritraggo, anzi, lo assecondo. Ogni cosa, nel suo viso, è al suo posto. Ha un gemello che, per quanto ne sappiamo, è a piede libero e può andare ovunque. Quante probabilità ci sono che ci abbia seguiti fino al Messico? O sto diventando paranoica io, o questo ragazzo non è Ares. Ho sentito qualcosa di strano non appena si è seduto accanto a me. Forse mi sbaglio, o forse ho ragione.

«Perché mi chiami Hell e non con il solito soprannome?»

Fa un sorrisetto. «Ah, quindi ti piace quando ti chiamo Pupa.»

Indietreggio con uno scatto, andando a sbattere con lo sgabello contro una donna alla mia sinistra. Le chiedo scusa e lei mi congeda con un sorriso.

«Peccato che non sia quello il soprannome.»

Il sorrisetto malizioso resiste per qualche istante, dopodiché comincia a mutare fino a fargli stendere le labbra in una linea retta. L'espressione non diventa cattiva, piuttosto... Indifferente, quasi dispiaciuta, se non sto interpretando male.

«Merda, è vero. Era Haven Cohen quella che chiamava Pupa. Eppure, me l'ero segnato...» borbotta tra sé e sé.

Okay. Niente panico. Sono seduta davanti al gemello di Ares. Di per sé, è stato abbastanza sconvolgente scoprire della sua esistenza. Trovarmelo davanti è ancora più assurdo. Ma il fatto che, fra tutti, sia venuto a cercare me... Ecco, questo mi preoccupa parecchio.

«Allora, qual è il soprannome che ti ha dato il mio gemellino?»

Faccio schioccare la lingua contro il palato. «Non te lo dico. Sarebbe un'informazione in più per te, che non devi avere. Potresti usarla in futuro, e non dirtelo mi dà vantaggio.»

Lui sorride, divertito. «Ah, allora non sei scema.»

Troppo concentrata sul suo viso, ignoro le sue parole. «Diamine, siete identici,» mi sfugge. Lo sono davvero. D'accordo, sapevamo che sono gemelli omozigoti, ma questo ragazzo... È così uguale ad Ares che potrebbe anche essere uno scherzo. Magari è davvero Ares e mi sta prendendo in giro.

Il gemello si indica la benda. «Abbiamo una sola cosa che ci differenzia: io vedo da entrambi gli occhi. Ma ho voluto fare le cose bene con questa benda. Mi sono adattato anche al suo taglio di capelli e ai vestiti.»

Non so cosa rispondere. Ora che lo noto, ha pure gli stessi pantaloni e maglietta di Ares. È incredibile. Chi è che lo sta... "addestrando"? Il nonno? O Thanatos e Circe?

«Per fortuna che non sono il gemello di Hades. Dicono sia uno che cura molto i capelli. Credo si noterebbe la differenza.» Si passa le mani tra le ciocche nere, con aria buffa.

La cosa che mi lascia più stupita è la sua delicatezza. Non parla con tono di sufficienza e non ha l'aria cattiva. Conversa con me come se fossimo due persone che si stanno conoscendo. Cos'ha in mente?

«Perché sei qui? Perché sei venuto da me, poi?»

Il barista gli mette un bicchiere di coca cola davanti, con una cannuccia giallo fluo. Lui ne beve metà in pochi sorsi e fa un verso di piacere. «Sono mesi che mi informo su Ares Cayden Lively, e sto continuando a farlo. Mi servirà in futuro per completare il progetto iniziale.»

«Quale progetto iniziale?»

Fa spallucce. «Prendere il suo posto.»

Assottiglio gli occhi, riducendoli a due fessure. Un ragazzo ubriaco, che canta con poca intonazione, mi passa alle spalle e mi dà una spinta distratta, sparendo senza neanche chiedere scusa. Comincio a detestare tutto questo.

«Prendere il suo posto?» ripeto.

«Dovresti goderti il tempo che hai con il mio gemello, Hazel Fox, e smettere di fingere che non ti piaccia. Queste, potrebbero essere le tue ultime settimane con lui.»

«Stai dicendo che...»

Annuisce. «Ricordati che Eracle completò le sue fatiche, ma alla fine morì comunque. La moglie lo avvelenò perché temeva si stesse innamorando di un'altra; l'effetto del veleno era così insopportabile, che Eracle si gettò tra le fiamme di una pira per fermare l'agonia e morire subito.»

Ogni muscolo che ho in corpo si paralizza, mentre le parole del gemello mi rimbombano in testa. «Sai quanto è banale avere un gemello cattivo che ti vuole morto? Letteralmente la cosa più noiosa del mondo, se fossi in te mi sentirei uno stupido a dover ricoprire questo ruolo.»

Insultarlo in modo indiretto è l'unico modo per distogliere l'attenzione da quello che è stato un chiaro presagio di morte.

Lui inarca il sopracciglio e mette le mani avanti. «Ma io non sono cattivo. Ti ho solo detto la verità: Ares morirà dopo le fatiche. Nessuno di voi lo aveva ancora capito? I giochi sono il suo Inferno, e una volta attraversato tutto, ci resterà per sempre.»

«La vostra famiglia, a parte i problemi con la ludopatia, ne ha un altro bello grande: siete convinti che i nomi degli dèi greci che avete vi rendano gli dèi stessi. Non è così che funziona,» scandisco l'ultima frase, con enfasi, sporgendomi appena nella sua direzione.

Non sembra scalfirlo nessuna delle mie parole. «Sono buono, Hazel. Così buono da averti avvertita. Non è abbastanza?»

«La tua definizione di "buono" è parecchio strana.» Perché difendo Ares Lively?

«Non ho organizzato alcun gioco e non lo farò,» promette. «Tutto questo è il volere di Urano. Non ci arrivi? Vuole rendere me il nuovo Ares, sostituire un nipote che fin da subito ha dato problemi.»

«Sostituire?»

«Sarà meglio per tutti. Me, compreso. Finalmente avrò una vita migliore.»

Il suo discorso è così inquietante che non riesco a parlare. Per quanto mi sforzi, non mi esce nemmeno una sillaba di bocca. Pensavo che Urano Lively fosse matto, ma forse va ben oltre la pazzia. Ho sentito racconti su suo figlio, Crono, e a confronto ora mi sento di reputarlo una persona deliziosa.

Il gemello si alza ed estrae dalla tasca posteriore dei pantaloni il portafoglio. Lascia due banconote sul tavolo, tenendole bloccate con il bicchiere vuoto. «Ha avuto una vita molto più bella della mia, eppure si è sempre comportato come uno stronzo ingrato. Dovreste essere tutti felici, se morisse. Meno problemi. Meno drammi. Meno sofferenza.»

Faccio per ribattere. Vorrei difendere Ares, spezzare una lancia a suo favore. Io lo vedo cambiare. Il giorno in cui l'ho conosciuto era diverso da oggi. Certo, il carattere è sempre quello, ma sta maturando. Pian piano, okay, ma sta succedendo.

«Come ti chiami, tu?»
Sospira. «Che gusto ci sarebbe se ti dicessi subito il mio nome?»

Devo trattenerlo qui. Sfruttare questo incontro per chiedergli tutte le cose che mi vengono in mente.

«Ci siamo già incontrati o questa è la prima volta?» gli pongo la domanda che mi fa più paura di tutte. Essendo la fotocopia di Ares, chi mi assicura che non si sia infiltrato già da tempo, fingendosi lui? E chissà in quante occasioni.

Lui si inumidisce le labbra. «Non so. Ti è piaciuto il bacio in spiaggia?»

Compio uno scatto all'indietro, così violento che per poco non cado a terra. Ares mi viene in aiuto, afferrandomi per le spalle e stabilizzandomi. Mi lascia subito andare.

«Sto scherzando, sto scherzando!» sghignazza.

«Non c'è un cazzo da ridere,» sibilo a denti stretti.

Lui mi dà una pacca sulla nuca, come si farebbe con un cagnolino che ha appena obbedito agli ordini del padrone. «Tranquilla, Hazel, questa è la prima volta. E sei anche la prima ad avermi conosciuto. In futuro, però, ti invito ad accertarti con minuzia di chi hai davanti.»

«Devi stare nel tuo e non intromett...»

Il gemello di Ares mi poggia la mano sull'avambraccio, in una stretta delicata, e interrompe la mia patetica minaccia. «Digli di prepararsi alla prossima e quarta fatica. Sarà l'ultima semplice, prima della triade di giochi finali.»

🔥🔥🔥

Godiamoci questo capitolo relativamente tranquillo prima che accadano cose brutte

Secondo voi chi è l'organizzatore della 4a fatica? Non parlo solo della figura greca, ma anche del personaggio che la interpreta 👀

I prossimi giochi saranno.... Un po' crudi. Sono indecisa se alleggerirli o schiaffarveli così come li ho pensati☠️ vabbè, vedremo

Grazie per leggere GoC 🫶🏻 ci vediamo la settimana prossima💚
Per spoiler vari:
Tiktok: cucchiaiaa
Ig: cucchiaia
Have a nice life💛

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