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10 (A&H) - Gli avverbi





alexithymia: "no words for emotions". L'incapacità o difficoltà di esprimere i propri sentimenti ed emozioni.


—On the outside, always looking in
Will I ever be more than I've always been?
'Cause I'm tapping on the glass
I'm waving through a window
I try to speak,
but nobody can hear
I'm waving through a window
Can anybody see?
Is anybody waving back at me?


🍒
A R E S '
P O V


«Comunque, vedere con entrambi gli occhi è sopravvalutato.»

«Liam,» gli do un primo avvertimento, giusto perché oggi mi sento magnanimo.

«No, dico sul serio,» continua. «E poi, non aiuta a sviluppare bene gli altri sensi? Quando se ne perde uno, gli altri diventano super acuti e sei praticamente al pari di un supereroe.»

Hades, che sta giocando con una mela rossa ancora intatta, come se fosse una pallina, interviene. «Non funziona esattamente così, Liam.»

Liam, però, sembra convinto di ciò che sta dicendo. «Giuro. Avete presente Stevie Wonder? Lui è cieco. L'essere cieco lo ha aiutato a sviluppare di più la voce. Secondo voi, perché è un bravissimo cantante? Perché ha perso la vista.»

«La voce non è uno dei quattro sensi umani,» lo corregge Poseidon. Se ne sta sdraiato sull'erba del campus di Yale come se fosse in spiaggia, a prendere il sole. 

«Cinque,» lo corregge a sua volta Hades, alzando il palmo della mano.

Poseidon sorride e allunga il braccio per dargli il cinque. «Cinque anche a te, Hades. Ma per cos'era?»

Hades resta con la mano sospesa per aria, l'espressione incredula. Fa per ribattere, ma Cohen gli abbassa il braccio. «Lascia stare,» mormora.

«Dico sul serio, comunque,» Liam riparte all'attacco. «Mio zio Tom ha vissuto vent'anni della sua vita cieco, a seguito di una malattia. Ed è stata una vita piena e ricca di incredibili esperienze.»

«E poi cosa gli è successo?» indago. Non so perché io sia incuriosito dai racconti di Liam.

Liam si gratta la nuca. «Be', un giorno stava attraversando la strada e lo hanno investito, perché la macchina era elettrica e non faceva rumore. E, insomma, lui non l'ha vista.»

C'è una pausa carica di tensione. Zeus si sta trattenendo dal ridere, lo conosco troppo bene. Dovrei fare un applauso a Liam, visto che Zeus è un musone esperto e riuscire a farlo ridere è un'impresa tale che, a confronto, trovare il Sacro Graal sarebbe come trovare una scodellina per fare colazione.

«Però, ripeto, i vent'anni precedenti sono stati belli e divertenti! Una volta ho scambiato la spugna da doccia con una pesca e lui non se n'è accorto.» Liam ridacchia per qualche secondo e torna serio, colto da un altro ricordo improvviso. «Mia mamma mi ha dato parecchi sculaccioni, ripensandoci.»

«Come al solito, Liam, sei inutile al cazzo. Ma perché non stai mai zitto?» lo aggredisco, incapace di tenere per me il primo pensiero che mi è balzato in testa.

Liam, invece che offendersi, si stringe nelle spalle.

Afferro i filetti d'erba sotto i quali sono seduto e ci giocherello, sforzandomi di metterli a fuoco il più possibile, con scarsi risultati.

È passata quasi una settimana da quando nonno Urano mi ha ficcato la testa sott'acqua, nella piscina di Yale. A quanto pare, nell'acqua non c'era cloro, bensì una miscela di sostanze chimiche altamente nocive per gli occhi. Nonostante le medicazioni ricevute, il bruciore e la mia vista non sono migliorati. Dopo una visita in ospedale, il medico mi ha detto di tornare questa mattina stessa per gli esiti degli esami e per un secondo controllo.

A quanto pare ho perso momentaneamente la vista nell'occhio sinistro.

In quello destro si è abbassata. Ma ci sono buone possibilità che la recuperi. Se non del tutto, quasi. Il tanto giusto per permettermi di vivere senza troppi problemi.

Mi sarei aspettato tante cose, dalla vita, ma di certo non una del genere. Non questa.

C'è da dire che quello che dovrebbe lamentarsi più di tutti è Apollo. L'ho fatto quasi morire; ma, per fortuna, i secondi che ha passato senza ossigeno, appeso al soffitto come un cotechino in periodo natalizio, non gli hanno causato danni irreversibili.

Lo dimetteranno fra due giorni, e passerà un piccolo periodo di riposo qui in dormitorio.

Gesù Cristo è risorto per primo. Apollo Lively è risorto due volte. Incredibile. Quello stronzo non vuole proprio saperne di schiattare.

«Tutto bene?» Una voce femminile è vicinissima al mio orecchio. Cohen mi ha raggiunto, e mi sta guardando con la sua solita espressione da mamma preoccupata.

Scrollo le spalle e abbozzo un sorrisetto. «Certo, perché non dovrebbe? Ho perso momentaneamente la vista nell'occhio destro. Ritornerà.» Picchietto con l'indice sulla benda che lo sta attualmente coprendo.

Haven resta a bocca aperta, e io mi domando cosa abbia detto di sbagliato questa volta per farle avere una reazione del genere.

Mi insospettisco ancora di più quando, attorno a noi, le voci si spengono e nel nostro piccolo cerchio cala un silenzio carico di imbarazzo. Uno di quei silenzi in cui capisci che sono tutti in imbarazzo... per te.

«Ares...» comincia Zeus. «Il dottore ha detto che hai perso la vista all'occhio destro definitivamente. Non momentaneamente.»

Resto a fissarlo, impassibile. Poi ridacchio. «No.» Scuoto la testa. «Ha usato l'avverbio momentaneamente

Mio fratello maggiore si passa una mano tra i capelli bronzei, e li spettina con gesti nervosi. «Ha detto...»

«Ha detto momentaneamente,» lo interrompo, stizzito. «Ho problemi alla vista, non all'udito. Ha detto momentaneamente. È una cosa provvisoria. Temporanea. Non definitiva.» Man mano che continuo a parlare, il mio tono si inasprisce.

La mano di Haven afferra la mia, facendomi smettere di strappare filetti d'erba. La stringe fra le sue e mi sorride, gli occhi lucidi. «Ares.» Non aggiunge altro. Perché non lo fa?

«Cohen,» la imito. Prendo un respiro profondo. «Dimmi che ho ragione. Lo hai sentito anche tu, vero? Momentaneamente.» Calco sull'avverbio. Lo ripeto una seconda volta.

«Digli la verità,» mormora Zeus.

«Non sono d'accordo,» ribatte Liam. «Vediamo le cose solo quando siamo pronti. È inutile forzar...» Alle occhiatacce di tutti i presenti, abbassa il capo. «Scusate, non è intenzionale.»

Non è possibile che abbia capito male io. «Io non ho perso la vista all'occhio destro per sempre,» scandisco ogni parola con calma. Alleggerisco la situazione con una risatina. «Vero? Vi state confondendo voi, giusto?»

Zeus fa per parlare, ma Cohen lo precede. «Magari abbiamo capito male,» mi dà ragione. «Domani chiamiamo il medico del New Haven Hospital e gli chiediamo una conferma. D'accordo?»

Questo mi fa sentire un peso in meno sul cuore. Annuisco. «Sì. Buona idea. Lo chiameremo. E vedrete chi ha ragione. Cioè, io.»

Nessuno sembra convinto di ciò che sto dicendo. Nessuno, tranne Cohen. Lei sorride, fingendosi esasperata dalla mia eccessiva autostima. Dopodiché mi spettina i capelli e io le do un pizzicotto sulla pancia, facendola sghignazzare.

Il problema è che ora sento una bruttissima sensazione d'ansia. Mi si attacca alla gola e mi fa respirare in modo più veloce e scoordinato. Non credo di riuscire ad aspettare fino a domani mattina. Almeno, non con serenità. Non che io sia abituato a vivere anche un solo secondo della mia vita in uno stato d'animo sereno, sia chiaro. Ma questa attesa mi ucciderà.

Un'idea improvvisa mi fa balzare in piedi, attirando l'attenzione di tutti. «Devo andare.»

«Dove?» chiede Liam. In grembo ha la cuccetta di Michael Geckson. Mentre aspettavamo in sala d'attesa ho cercato su internet la durata media della vita di un geco. Purtroppo, quei bastardi arrivano anche ai dieci anni. A meno che non si suicidi perché non sopporta più la compagnia di Liam, la vedo dura liberarsi di lui nell'immediato futuro.

«L'attesa per questa chiamata mi ucciderà,» ammetto. «L'unico modo per non pensarci e distrarmi, è scopare con qualcuna stanotte.»

«E io che pensavo stesse per dire qualcosa di commovente,» borbotta Hades. «Il solito imbecille.»

Gli regalo il sorriso più finto che mi riesce e indico l'albero alle sue spalle. «Perché non ti arrampichi e fai la brava scimmietta?»

Il suo viso si incupisce. «Sappi che anche con quella benda non mi fai pena. Se voglio, mi alzo e vengo a darti un pugno sul naso. Magari perdi pure l'olfatto.»

Allargo le braccia. «Fallo, allora, aspetto.»

Hades sospira, d'improvviso annoiato. «Sai benissimo che ti farei male, Ares.»

«Hai ragione. Ti prego, non farlo,» dico di getto, facendo ridere Haven, Liam e Posy.

L'ho visto, durante i giochi di Athena. L'ho osservato fare incontri di boxe. Non ho alcuna voglia di farmi picchiare da lui. Un suo pugno nell'addome sarebbe capace di invertirmi le posizioni degli organi interni. Mi ritroverei il pancreas al posto del cuore. Ammesso che ce l'abbia davvero, un cuore.

Mi avvio prima che qualcuno mi trattenga ulteriormente. E, mentre cammino in mezzo agli studenti di Yale, comincio a chiedermi come facciano Hades e Cohen. Come facciano a sopportare le occhiate delle persone. Pietà, curiosità, sguardi fissi e indiscreti...

Be', nel mio caso ci sono anche gli sguardi contenti delle ragazze con cui ci ho provato perché di spalle avevano un bel culo, e una volta girate e notato che la faccia non era di mio gusto mi sono tirato indietro.

La cosa positiva è che io non vedo bene, quindi le occhiate curiose le metto a fuoco solo quando sono abbastanza vicino alle persone. Malakai e Haven vedono subito l'indelicatezza della gente.

Man mano che mi avvicino alla porta della stanza di Hell, mi viene da vomitare. Cioè, la stanza di Hurricane e Hell.

Non ho mai chiesto a una ragazza un appuntamento. È una cosa da idioti.

Rimango con il pugno a mezz'aria, e dopo qualche secondo decido di bussare alla porta. Questa si apre quasi all'istante, rivelandomi il viso bellissimo di Hurricane. È la cosa più vicina alla perfezione. Dico sul serio. Diventa quasi irritante.

Non riesco a trovarle un difetto. Uno solo.

Non è come Hell, lei. Hell ha i denti dell'arcata inferiore storti e le occhiaie di una che dorme cinque minuti alla settimana. I suoi capelli non sono mai in ordine. E quando indossa la cuffia da piscina sembra un birillo. Hurricane sarebbe figa anche con quelle ridicole cuffiette in lattice.

L'unico difetto che trovo in Hurricane è che è stronza quasi quanto me. Lo so.

«Ciao,» saluta per prima, sorpresa. Ha le gote appena arrossate. Le piaccio da morire.

Be', come darle torto. Era prevedibile.

Vorrei parlare ma non mi esce alcun suono dalla bocca. I miei occhi vagano oltre la figura di Hurricane, cercando all'interno della stanza. È sola? C'è qualcuno con lei?

«Ares, tutto bene?»

Sussulto e ritorno al presente. Devo sembrare un cretino con questa benda sull'occhio. Mi gratto la nuca, in preda a un tic nervoso, e sospiro. «Sì. In realtà volevo chiederti una cosa.»

«Certo.» Hurricane si appoggia allo stipite della porta e incrocia le lunghe gambe rosee. Indossa dei pantaloncini da ciclista aderenti che le segnano la curva morbida dei fianchi.

«Stasera hai impegni? Vorrei uscire con te,» dico di getto. Ne rimango quasi stupito. Me la sono cavata alla grande.

Il suo viso si illumina di gioia. Come se non stesse aspettando altro. «No, non ne ho. Mi farebbe piacere uscire con te. Andiamo in città?»

«Dove preferisci tu. Ti porto dove vuoi.» Le faccio l'occhiolino e mi rendo conto troppo tardi che è inutile un gesto simile se hai un occhio bendato.

Hurricane si mordicchia il labbro per domare l'enorme sorriso in cui le si sta incurvando la bocca. Si scosta dalla porta e ne afferra la maniglia, pronta a salutarmi. «D'accordo. Allora... a dopo?»

«Ci vediamo ai cancelli verso le otto.»

Annuisce un'ultima volta, e mentre si gira per tornare in camera, per una volta non penso a guardarle il culo. Okay, al settanta percento è perché tanto non lo vedrei bene.

«Hurricane?» la richiamo. «Grazie per l'aiuto, la sera dell'incidente agli occhi. L'antidolorifico che mi hai dato è stato un grande sollievo.»

Lei scrolla le spalle, come a dire che non ha fatto nulla di che. «Spero che tu guarisca presto.» Muove le dita della mano in segno di saluto.

Non lo ricambio. Resto immobile davanti alla porta. «Peccato che io non abbia preso alcun antidolorifico,» mormoro. Lo sapevo che era una piccola bugiarda bastarda, come me.

Non è il momento di rifletterci troppo, però, perché ho un secondo problema da affrontare adesso. «E ora veniamo alla piccola spiona bastarda,» sussurro.

Mi volto piano. Anche se vedo da un solo occhio e non è esattamente un'esperienza in HD, non potrei non riconoscere Hazel Fox. I capelli corti e la felpa fin troppo grande per lei non mi lasciano alcun dubbio. E, anche se dovessi averne ancora qualcuno, verrebbe messo a tacere dall'inconfondibile zainetto celeste.

Se ne sta in fondo al corridoio, l'unica scema, insieme a me, a fare nulla. «E tu cosa vuoi?» le dico, incapace di stare zitto e andarmene, piuttosto che trattarla male.

Lei mette un piede davanti all'altro e mi si avvicina, forse con il timore che io possa dirle di non farlo e di starmi lontano. «Non volevo spiarvi. Sono arrivata poco dopo di te e ho preferito non interromperti. Non ho sentito quasi nulla, lo giuro. A parte dell'appuntamento.»

Chiaro. Ora vattene, Ares, non ci fai nulla qui. Non restare impalato davanti a lei, con le mani strette in due pugni e l'aria incazzata. Per cosa sei incazzato, poi? Non hai alcun motivo per essere infastidito. A parte che indossi una benda che ti fa sembrare un porno attore che deve girare un porno ambientato su una nave di pirati.

«Dovresti portarla a mangiare italiano. Lei ama la cucina italiana,» suggerisce Hell. «Farai colpo di sicuro.»

Segnato nelle note del mio cervello: cerca un buon ristorante di cucina italiana. «D'accordo.»

Hell si tortura le mani. Solo ora noto che ha un anello su ogni dito; la maggior parte sono fatti di pietre di colori diversi. Mi scappa un sorrisetto. «Stai cercando di comporre il guanto di Thanos?» Indico le sue dita.

Hell abbassa lo sguardo e lo riporta su di me. «Oh. Già. Schioccherò le dita e farò sparire tutti i rompicoglioni del mondo.»

Incrocio le braccia al petto, d'un tratto curioso. «Ah, sì? Faresti sparire anche te stessa, quindi?»

Sbuffa. «Tu saresti il primo a diventare polvere.»
«E tu la seconda,» replico, veloce.

I suoi occhietti da cerbiatta si posano nei miei. Guarda la mia benda senza lasciar trasparire alcuna emozione. Il mio cuore subisce una rapida accelerata. Purtroppo, gli è impossibile notare di come lo sguardo di Hell sia molto più gentile di quello degli altri.

«Come stanno gli occhi?» sussurra.

Faccio spallucce. «In quello bendato non vedo nulla. Nell'altro vedo molto meno rispetto a prima, ma si riprenderà.»

«E quello bendato? Recupererai la vista?»

Non sono uno scemo. Capisco perché lei possa pensare il contrario, ma prima o poi le dirò che ho capito che è stata lei ad aiutarmi in bagno, la sera dell'incidente. Anche se Hermes mi ha detto che c'era Hurricane, ho la profonda convinzione che invece fosse proprio Hell.

Che altre opzioni ho? Se avessi toccato in quel modo Athena, mi avrebbe strappato i bulbi oculari. Hera è fuori discussione. Dev'essere stata Hell.

E la cosa mi fa arrabbiare. A morte. Perché io la tratto male e lei mi ripaga con la gentilezza. Perché questa ragazza è così gentile? Soprattutto con un coglione come me che non lo merita.

Se lei mi ripagasse con la stessa moneta, arriverei a pensare che me la merito. Invece, dimostra sempre di essere migliore di me. E una persona così non può stare al fianco di uno come me. Io la bestia, e lei la bella.

«Devo andare,» rompo il silenzio, alla fine.

Hell annuisce, ma comincia a frugare dentro lo zainetto celeste da bambina dell'asilo. «Aspetta un attimo, solo un secondo...» farfuglia mentre rovista in modo frenetico.

Rimango in attesa, quasi divertito nel vedere quanto disordine ci sia lì dentro. Poi Hell si abbandona a un'esclamazione vittoriosa ed estrae un foglio di quaderno a righe, piegato in due. Me lo porge con un sorriso enorme. «Per te. È una lista.»

Lo prendo, titubante, senza aprirlo. «Una lista?»

«Una lista di cose che piacciono a Hurri,» precisa. «E qualcosina che lei proprio detesta e che non dovresti fare o nominare.»

Mi inumidisco le labbra e stendo il foglio. C'è davvero un lungo elenco di cose che riguardano la sua amica, scritto in una grafia chiara ed elegante. Faccio scorrere lo sguardo in maniera distratta, non metto a fuoco neanche una parola di quelle che ci sono scritte.

«Perché?» sussurro.

«Perché avevamo un accordo. Ripetizioni di matematica per lezioni su come conquistare Hurricane,» mi ricorda, come se non lo sapessi. «Tu mi hai fatto due ore di ripetizioni, ma io non ti ho mai dato un aiuto concreto. So che ora l'accordo probabilmente è saltato, ma volevo sdebitarmi in minima parte.»

Ci risiamo con la gentilezza. Mi viene da vomitare. La detesto.

Lei, e i suoi toni gentili e il modo in cui le sue labbra si muovono per pronunciare le parole e il suono che ha la sua voce. Odio persino che parli piano, mai a voce troppo alta, come se avesse paura di farsi sentire davvero. Odio il modo in cui io, invece, tendo l'orecchio per ascoltare ogni suono che emette e non perdermi nemmeno una sillaba.

Do un'occhiata alla lista. «I picnic nel bosco? Le piacciono sul serio?» esclamo. «Che schifo. È pieno di insetti e obbrobri che la natura avrebbe dovuto uccidere da tempo, portandoli all'estinzione.»

Hell mi fissa a bocca aperta.

Indico una riga. «Andare a cavallo? Le camminate in montagna? La musica classica? Chopin?» leggo tutto d'un fiato. «Non può piacerle stare sdraiata sul divano? O, che ne so, The Weeknd, come a qualsiasi essere umano?»

Faccio una smorfia, ritornando alla musica classica. «Chopin è morto, vero? Non c'è il rischio che mi chieda di accompagnarla a qualche suo concerto, giusto?»

Hell abbassa il capo con uno scatto, e dal modo in cui le sue spalle tremano capisco che sta ridendo.

Lo prendo come un sì e continuo a scorrere la lista, sempre più incredulo di quello che ci trovo dentro. Hurricane ha dei gusti fin troppo sofisticati e particolari. Completamente opposti ai miei.

Arrivato a metà foglio, con Hell ancora in silenzio tombale, faccio una smorfia. «Vuole relazioni serie. Questo è un problema, perché volevo solo scoparmela ogni tanto,» ammetto.

«Ares...» comincia Hell, e capisco che sta per farmi una ramanzina in stile Haven Cohen e Hades Lively.

Appallottolo il foglio. Non so nemmeno io perché sia così irritato, d'improvviso. C'è qualcosa che mi disturba e non riesco a identificare cosa sia. Come un sassolino minuscolo dentro la scarpa che non riesci a toglierti, e continua a spostarsi da una parte all'altra in un moto incessante.

Hell prova a chiamarmi di nuovo.

Sollevo una mano per aria e comincio a indietreggiare. «Devo andare, sul serio. Ciao, Genietto.»


🔥
H E L L ' S
P O V

«Sto ancora aspettando delle spiegazioni.»

Hurricane mi tiene per mano, mentre attraversiamo il giardino del campus. Si è messa così tanto profumo che starle accanto sta diventando un'impresa impossibile. Lei si volta di un quarto per lanciarmi un'occhiatina maliziosa. «Ares mi ha chiesto di uscire stasera, no? Ecco, voglio che tu venga con me.»

Il mio primo istinto è di opporre resistenza e piantare i piedi per terra. «Io? Stai scherzando?» strillo, in preda al panico. «Cosa ci faccio io con voi due?»

Il sorriso che mi dedica non preannuncia niente di buono. «Sarà un appuntamento a quattro.»

Quando sono tornata in camera e mi ha imposto di farmi una doccia e rendermi presentabile, non immaginavo che volesse trascinarmi a un'uscita a quattro. Perché, se non ho la minima voglia di stare con Ares, l'idea di avere un appuntamento anche io mi fa provare il desiderio di inchiodarmi a una panchina qui in giardino e aspettare la morte.

«Hurricane,» cerco di imprimermi un tono perentorio e arrabbiato. «Prima di fare queste cose dovresti, come minimo, avvisarmi. Chiedermi se mi vanno bene.»

Rallenta il passo, ma rafforza la presa sul mio braccio, tenendomi ben salda accanto a sé. «Oh. Giusto. Hazel, ti va bene se ti combino un appuntamento al buio?»

«No!»

Hurricane evita il mio sguardo, mentre passiamo in mezzo agli studenti che se ne stanno sdraiati sull'erba e si godono i primi caldi della primavera. «Mi dispiace, Hel, sul serio. Ma sai che Ares mi piace e ho bisogno di supporto per questo appuntamento.»

«Supporto?» ripeto. «Hurricane...»

«Ti piacerà il tuo accompagnatore! Lo ha scelto Ares, personalmente,» aggiunge.

Questo mi fa preoccupare il doppio, se possibile.

A qualche metro dal cancello, intravedo Ares fermo lì, in piedi, con le mani dentro le tasche dei pantaloni e la benda sull'occhio. Il mio accompagnatore è dietro di lui, messo di spalle, e non riesco a capire chi sia. Lo conosco?

Hurricane si ferma e mi si para davanti, premendo le mani sulle mie spalle. Mi rivolge uno sguardo implorante. «Ho bisogno di te, Hel. Della tua presenza. Ti supplico, non abbandonarmi.»

Faccio qualche respiro profondo e valuto i pro e i contro. Quanto può andare male la serata? Peggio di quando mi hanno trasformata in un involtino di dinamite? Peggio di quel giochino in piscina? Peggio di mangiare un'insalata da sola in caffetteria, tornare in camera e poi addormentarmi alle dieci per far finire in fretta la giornata?

«D'accordo,» sussurro.

Hurricane fa un saltello e poi mi lascia il braccio, forse perché ormai non ha più paura che possa scappare.

Ci avviciniamo ad Ares, e i suoi occhi sono fissi su Hurricane, intenti ad accogliere la figura della mia amica, bella più del solito, se possibile. «Ciao, Hur...» il nome gli muore in bocca nell'istante in cui il suo sguardo si sposta oltre, e si blocca su di me.

Lo vedo percorrere il mio corpo da capo a piedi, più volte, prima con movimenti velocissimi e poi rallentando, fino a studiarne centimetro per centimetro. La bocca gli rimane aperta in una minuscola "o".

«Hazel?» esclama un'altra voce maschile. «Non ti ho mai vista vestita così bene! Che bel vestitino. E ti sei pure pettinata i capelli, incredibile!»

Questa voce la conosco, però. È familiare, in un modo per nulla rassicurante. Sposto l'attenzione da Ares alla persona al suo fianco che ha appena parlato. «Liam!»

Liam mi sorride a trentadue denti, sembra felicissimo di vedermi, neanche fossimo amici di vecchia data. Mi viene incontro e mi stringe in un abbraccio soffocante, facendomi ondeggiare sul posto. Quando mi libera, comincio ad assimilare la sua figura.

Sarebbe tutto normale, se non fosse per i pantaloni blu elettrico e il papillon giallo a pois rossi. I capelli sono una massa di riccioli castani, gonfi e voluminosi. Non ricordo di averlo mai visto riccio.

«Non è bellissima?» Hurricane parla all'improvviso, ricordandomi che Liam mi ha fatto una serie di complimenti che, in fondo, non avevano un'accezione totalmente positiva. Mi circonda le spalle con il braccio. «Le ho prestato io il vestito. Sta meglio a lei che a me.»

D'istinto, mi chiudo la giacca in jeans che ho messo sopra, infastidita dall'avere le attenzioni di tutti. «Possiamo concentrarci su altro? Per esempio, dove andiamo?»

Il mio sguardo viene catturato dagli occhi castani di Ares. Non ha più la bocca aperta, anzi, la sua espressione pare quasi furente. Mi viene voglia di alzare gli occhi al cielo e chiedergli cosa gli abbia fatto, ora, per avercela con me. È già assurdo che abbia voluto includermi in questa uscita, visto l'odio che sostiene di provare nei miei confronti. Se lo ha fatto solo per farmi sentire indesiderata tutta la sera, allora è un idiota lunatico e infantile.

«Andiamo a cena, no?» propone Hurricane. «Avrei tanta voglia di cheeseburger e patatine. O magari di un'abbuffata al sushi!»

Ogni muscolo del mio corpo entra in tensione, e non riesco a impedirgli di farmi irrigidire sul posto. Non avevo considerato che è ora di cena e che saremmo andati da qualche parte a mangiare. Ancora peggio, non avevo considerato che Hurricane ha delle abitudini alimentari opposte alle mie. Non l'ho mai vista mangiare un frutto e l'unica verdura che assume sono le foglioline di lattuga dentro i Big Mac del Mc Donalds. Se Liam e Ares la asseconderanno, dubito che troverò un'insalata mista in un fast food.

Cominciano a sudarmi le mani. Ho una bruttissima sensazione addosso, come di una mano invisibile che mi stringe la gola. Fatico a inalare l'ossigeno e sono in lotta con il cervello.

Non fa niente. È solo per una sera. Puoi mangiare male per una sera, Hazel. Non esagerare, su. Non puoi fare la rompiscatole e chiedere di andare in un posto in cui facciano l'insalata e il petto di pollo, solo per te. Lasciali decidere. Oggi, conceditelo. Non vanificherà i tuoi sforzi degli ultimi anni.

Il cuore mi martella nel petto, mentre Liam esprime approvazione per la proposta dei cheeseburger e patatine fritte. Ares, invece, non mi stacca gli occhi di dosso, e quando lo becco sul fatto, abbassa il capo sul suo telefono.

Traffica qualche secondo, mentre Hurricane e Liam discutono di quanto siano buoni i cetriolini sottaceto nei panini, e poi richiama la nostra attenzione. Sventola lo schermo del cellulare per farcelo vedere. «Non ci sono fast food vicini.»

Liam sghignazza, incredulo. «Siamo in America. C'è sempre un fast food vicino!»

Ares è imperturbabile. «Invece non c'è. Ho trovato un altro posto interessante...»

Hurricane avvicina il viso per leggere, mentre io mi fisso i piedi e continuo a parlare con la mini-Hazel che vive nella mia testa.

«Il Paradiso dell'Insalata?» esclama Hurricane, una nota di delusione ben udibile. «Fanno solo insalate, quindi?»

Ares avvia le indicazioni per arrivare al locale. «È un posto carino. Fanno principalmente insalate, ma anche drink e stuzzichini. Ha ottime recensioni.»

Hurricane sbuffa e poi scrolla le spalle, arrendendosi, forse troppo felice dell'appuntamento con Ares per lasciarsi rovinare la serata da un dettaglio irrilevante come il posto in cui cenare.

Liam e Hurricane si dirigono all'attraversamento pedonale, e io ne approfitto per fermare Ares prima che li segua. «Grazie,» bisbiglio.

Il suo pomo d'Adamo si abbassa mentre ripercorre la mia figura nella sua interezza. «Non l'ho fatto per te. A me... piacciono molto le insalate.»

«Oh. Okay.» Aveva già commentato, in passato, i miei pasti a base di insalata e verdure. E ho sempre avuto il sospetto che lui sapesse del mio rapporto difficile con il cibo. Insomma, ora siamo sotto trattato di pace, la guerra è finita tempo fa, però...

«Sì, il radicchio. Amaro come la morte, lo adoro,» procede. «E l'iceberg, che è come masticare un pezzo di acqua solidificato perché non ha sapore. Le adoro le insalate.»

Faccio per ribattere. Dall'altra parte della strada, però, qualcuno mi precede. Liam. «Ragazzi, vi muovete? Ho fame!»

Il nostro brevissimo scambio giunge al termine. Ares fa il primo passo e attraversa in fretta la strada. Lo seguo dopo un attimo di esitazione e, una volta riuniti tutti e quattro, seguiamo le indicazioni sul telefono di Ares per arrivare al Paradiso dell'Insalata. Ares e Hurricane camminano davanti a me e a Liam, che ogni tanto mi rivolge qualche parola per non passare troppo tempo in silenzio.

Non sembra molto interessato a me, a dirla tutta, perché continua a tentare di mettersi in mezzo alle conversazioni di Hurricane e Ares. In particolare, prova a rispondere a ogni cosa che esce dalla bocca della mia amica. Non so se prenderlo come un segno positivo oppure restarci male.

Insomma, non è mai capitato che qualcuno preferisse me a Hurricane, però Liam mi dà l'impressione di uno che ci proverebbe con chiunque. A parte me, a quanto pare. Ancora una volta non capisco se è un bene o un male.

Quando arriviamo davanti all'insegna del locale, Liam si affaccenda per tenere la porta d'ingresso aperta. «Prego, Hurricane,» la invita con galanteria.

Lei sorride, felicissima. So che va matta per questi gesti. Lei, eterna romanticona, che vuole l'amore così come lo vede nei film e sogna il principe azzurro. Mi chiedo perché voglia conoscere Ares, allora.

Una volta entrata, Liam la segue e ci chiude la porta in faccia senza neanche guardarci.

L'espressione sul viso di Ares è impagabile, così buffa che devo mettermi una mano davanti alla bocca per nascondergli i miei pessimi tentativi di trattenere una risata.

«Lasciamo stare,» borbotta, riabbassando la maniglia. «È Liam. Non si rende conto di quello che fa.»

Ares entra per primo, lasciandomi la porta aperta con la punta della scarpa. Lo ringrazio in tono ironico per la galanteria, e lui nemmeno mi ascolta. Sfreccia in avanti, giusto in tempo per afferrare il colletto di Liam e tirarlo indietro. Hurricane non si è accorta di nulla, e continua a camminare alla ricerca di un tavolo libero.

«Che vuoi?» domanda Liam.

Ares indica me, poi Hurricane. «Questo è un appuntamento a quattro, Liam. E le coppie sono me e Hurricane, te e Hazel. Quindi, la vuoi smettere di correrle dietro, razza di deficiente?»

Liam sembra cadere dalle nuvole. Si sistema il papillon e azzarda un'occhiata verso di me. «Be', sì, lo so. Però ci stavo provando con Hurricane perché Hazel è troppo bella, ed è impossibile che io possa piacerle. Credevo di avere più chance con Hurricane e ho provato a rubartela. Scusa, amico.»

La mia mascella potrebbe toccare il pavimento.  Ho sentito bene o mi sono immaginata tutto?

Anche Ares è a corto di parole. Ci scambiamo un'occhiata rapida. «In effetti, Hazel è troppo per te, Liam. Ma niente ti impedisce di provarci. Perciò, concentrati sul tuo obbiettivo e non rovinarmi la serata,» gli sussurra, forse convinto che io non possa sentire.

Hazel è troppo per te. Detto da Ares? Cosa sta succedendo stasera?

Sono così scioccata che non mi accorgo di essere rimasta sola, all'entrata. Il ragazzo dietro il bancone della cassa mi guarda come se fossi una scema. Per una volta, me ne frego del parere altrui e mi prendo il tempo di cui ho bisogno per assimilare ciò che è appena successo.

Faccio un respiro profondo e, una volta individuato il tavolo a cui sono seduti, mi avvio. Il locale è davvero carino, con pavimenti in legno scuro e piante disseminate qua e là. I tavoli sono tutti dello stesso verdolino pastello, e i divanetti imbottiti hanno una tonalità di verde così scura da avvicinarsi al nero. Sui muri campeggia qualche edera rampicante, e avvolti tra le foglie ci sono fili di luci dai toni caldi.

Mi siedo accanto a Liam. Lui sta già scorrendo le voci del menu, che è disponibile su un pad digitale ai lati del tavolo, dal quale possiamo mandare l'ordine direttamente in cucina. Io so già cosa voglio, perciò mi accerto che lo abbiano, lo seleziono con un singolo tocco sullo schermo e mi rimetto comoda. Per quanto Ares sia sempre uno stronzo, la sua idea di venire qui mi aiuterà a stare molto più serena. Ho le proteine, le verdure e i carboidrati. Un pasto completo e sicuro.

È tutto okay, mini-Hazel nella mia testa. Non assillarmi più.

«Allora, Liam...» comincio. «Cosa fai a Yale?»

Lui mi lancia un'occhiata divertita e mi fa temere di aver chiesto una cosa stupida. «Be', studio.»

Dalla mia sinistra sento la risatina soffocata di Hurricane. «Sì, certo, lo avevo intuito,» mi affretto a precisare. «Intendo, cosa studi?»

«Oh! Sì! Studio ingegneria meccanica.»

Vorrei fare una bella figura e fingere di sapere in cosa consiste, ma... «E cosa sarebbe?»

Liam rimane in silenzio per qualche istante. «L'ingegneria meccanica è un ramo dell'ingegneria che applica principi di fisica, di scienza dei materiali e di altre discipline inerenti alla progettazione di componenti e sistemi meccanici,» recita a memoria.

«E quale lavoro vorresti fare con una laurea del genere?»

La cameriera ci interrompe portando le bibite: acqua per me e per Ares, e coca cola light per Hurricane e Liam. «Mi piacerebbe costruire le componenti meccaniche delle navicelle spaziali usate dalla NASA,» risponde alla fine Liam, stappando la bottiglietta.

«Oh, wow. Sei un appassionato dello spazio?»

«No, so solo che pagano tantissimo e io, sinceramente, vorrei diventare ricco,» taglia corto con un'espressione così seria e determinata, che non riesco a frenarmi dallo scoppiare a ridere. Liam quasi si spaventa vedendo la mia reazione, e persino Ares e Hurricane mi fissano allucinati.

«È una motivazione più che ottima, Liam, io ti appoggio,» lo rassicuro dandogli una pacca affettuosa sulla spalla.

Liam copre la mia mano con la sua e la stringe. «Grazie, Hazel! Ci credi che sei la prima persona a rispondermi così?»

«Sì, penso che non sia poi così difficile da credere,» interviene Ares.

«Ragazzi, ma è la vita. Perché essere ipocriti? Sono i soldi a fare la felicità,» continua Liam, senza smettere di tenermi la mano.

Sposta le nostre mani dalla sua spalla al tavolo, e Ares ne segue il movimento con attenzione, focalizzandosi più su quello che sul viso dell'amico.

«Io non sono d'accordo, è l'amore che ci rende completi e felici.» Una cosa del genere poteva dirla solo Hurricane.

Liam sbatte la mano sulla tovaglia bianca, dimenticandosi che stava tenendo anche la mia. Faccio una smorfia di dolore, e ad Ares non sfugge. Allunga il braccio in avanti e dà un colpo alla mano di Liam. «La vuoi smettere e lasciarla stare?»

«Le vostre insalate, ragazzi,» irrompe un cameriere, che regge in perfetto equilibrio quattro ciotole bianche, straripanti di insalata. Alla vista sono davvero belle e colorate, sembrano pure fatte con ingredienti freschi. Il che è abbastanza raro negli Stati Uniti.

Mentre mangiamo, Hurricane e Ares si estraniano dai discorsi di gruppo e parlano tra di loro, com'è giusto che sia. Alla fine, Hurricane è una brava ragazza che vuole una relazione seria. Sarei contenta per lei se trovasse qualcuno disposto a impegnarsi. E se quel qualcuno deve per forza essere Ares, be', buon per loro.

Liam, invece, comincia a raccontarmi del suo geco domestico, Michael Geckson. Mi racconta l'intera storia di come si sono conosciuti e di quanto Hermes e Ares fossero disgustati all'idea di condividerci la stanza nei dormitori. Me lo descrive come un geco solare, ma molto pacato e tranquillo. «A volte è così calmo che temo sia morto», dice Liam. Mi racconta delle loro passeggiate in giro per il campus, dopo cena, e dell'idea che gli ronza in testa negli ultimi giorni di provare a fargli un guinzaglio su misura.

Metto una mano davanti alla bocca, ancora piena di insalata, e gli chiedo: «Liam, scusa la domanda, ma perché proprio un geco? Non potevi prenderti un altro animaletto per farti compagnia?»

Lui fa spallucce. «Tutti gli animali sono belli. E io li amo, uno ad uno. Chi dice che solo i cani e i gatti possano essere di compagnia? Michael Geckson è fantastico.»

«Ti piacciono tutti gli animali?» ripeto. «Anche i ragni?»
Fa una smorfietta. «Be', no, i ragni no. Solo Spider-Man.»

«E i serpenti?»
Rabbrividisce. «No, nemmeno loro.»
«E le cavallette?»
«No...»
«Topi?»

«Okay,» sbotta, esasperato, facendomi ridere di gusto. «È possibile che me ne piacciano pochi, in realtà, ma il discorso vale comunque. Qualsiasi animale può farti da compagnia. Qualsiasi cosa, persino la più strana, può renderti felice, anche se ti prendono tutti per il culo e i tuoi coinquilini minacciano di cacciarti via, spezzandoti il cuore. Non c'è un regolamento. Lo senti tu, nell'anima.»

Resto ferma con un sorrisetto stampato in faccia. Non ha tutti i torti, Liam. Con la coda dell'occhio mi accorgo di Ares; ci sta fissando, mentre Hurricane gli parla a macchinetta e nemmeno nota che il suo accompagnatore non la sta degnando della minima attenzione.

Prendo un ultimo sorso della mia acqua e mi alzo. «Vado un attimo in bagno, torno subito,» avviso Liam.

«Ti aspetto! Devo raccontarti della capra che voglio adottare a distanza.»

Esco dal divanetto e parto alla ricerca dei bagni delle donne. Sono accanto alle cucine, con le porte della stessa tonalità di verde dei divani. Varcata la soglia, per fortuna, sono da sola. Mi fermo davanti allo specchio e faccio una smorfia nel vedere il mio riflesso. Per quanto mi impegni a domare i miei capelli, non vogliono mai stare al loro posto per troppo tempo. Sono di nuovo spettinati, e la pelle del viso è paonazza. Apro il rubinetto e attendo che l'acqua diventi fredda, per poi buttarmela in faccia per rinfrescarmi.

Resto di nuovo immobile, poggiata al lavandino. Le mie batterie sociali sono quasi esaurite. La mia vita è un ciclo: mi dico che voglio stare sola perché le interazioni sociali mi stancano, ma quando sto sola poi vorrei essere come gli altri e avere un gruppo di persone con cui parlare, così provo a uscire dalla mia comfort zone, ma mi basta un'ora scarsa per sentirmi esausta e rintanarmi nella mia solitudine. E, da lì, riparte tutto da capo in un loop.

La porta del bagno si apre e richiude, ma io tengo il capo chino sul lavabo. Le mani strette a pugno e le ciocche di capelli che mi ricadono in avanti.

Chiunque sia entrata, si ferma alle mie spalle, lasciandomi confusa per qualche secondo. Non ho il tempo di porre domande o voltarmi. Due braccia mi chiudono la via d'uscita, poggiandosi sul lavandino in marmo. Un corpo caldo torreggia su di me, e sento il fiato della sconosciuta sul collo.

«Hai finito?» sussurra la voce di Ares al mio orecchio. Le sue labbra sono così vicine che, se mi muovessi anche di un solo centimetro, si scontrerebbero con la mia pelle.

Sussulto e sollevo la testa con uno scatto. Il riflesso nello specchio parla chiaro. Ares è chino su di me, e mi avvolge in una presa che, pur non sfiorandomi, sembra toccare ogni molecola di cui è composto il mio corpo.

Anche lui alza il viso e i nostri sguardi si incontrano nello specchio. È arrabbiato. Anzi, arrabbiato non rende l'idea. Fuma di rabbia. E non ne capisco il motivo, so solo che il bagliore nella pupilla non coperta dalla benda mi fa tremare le gambe.

«Ripeto, Hazel, hai finito?» scandisce ogni parola con lentezza, sputandola fuori come se fosse un insulto.

«Di fare cosa?»

«Di divertirti tanto con il ragazzo che ti ho scelto solo per farti innervosire,» sibila. «Non era così che sarebbe dovuta andare. Non erano questi i piani. Smettila.»

In parte mi diverte, perché tutto questo è davvero infantile. E in parte mi infastidisce. «Ares, che diavolo vuoi da me?»

Il suo profumo mi stuzzica le narici, così come il percepire il suo fiato sul collo mi fa sudare le mani. «Tante cose. Prima di tutto, voglio che ti giri.»

Non so perché mi ritrovi ad assecondarlo, ma succede. Lui, dal suo canto, non mi facilita l'impresa. Non si muove di un millimetro, e mentre mi volto il mio fianco si scontra con il suo basso ventre. Ares serra l'occhio con uno scatto e butta fuori un fiotto d'aria.

Faccia a faccia, la situazione è ancora peggiore di prima. Non mi piace il modo in cui mi sento. Non mi piace, perché non è negativo. È una scarica continua che mi attraversa la schiena e mi manda in tilt ogni capacità di ragionamento. Non è il solito modo in cui mi sento con Ares: frustrata, arrabbiata e irritata.

Allungo una gamba per superarlo, ma lui approfitta del varco che si è aperto e infila la sua gamba in mezzo alle mie, bloccandomi ulteriormente. Una vampata di calore mi incendia il corpo.

«Dove credi di andare? Non ho finito.»

«Ares...»

«Guardami negli occhi.» Segue una pausa di silenzio. «Nell'occhio, d'accordo.»

Pure in un momento simile deve fare il coglione. E io sono peggio di lui, perché non riesco mai a trattenere le risate che mi provoca.

Cerco di ricompormi e di stamparmi in viso un'espressione seria, il più distaccata possibile. «Liam è simpatico. Lo hai scelto tu, personalmente, come mi ha riferito Hurricane. Se ora hai dei problemi, sono cazzi tuoi e te li devi risolvere da solo.»

Inarca un sopracciglio, e nello stesso momento le labbra sottili color amarena si stendono in un sorrisetto. «Invece, credo proprio che li risolverò con te, Hel.»

«Torniamo di là.»

La mano di Ares vola sul mio fianco e mi tiene ferma contro il bordo del lavandino. La sua gamba spinge più in avanti, e l'avere una gonna non aiuta l'incontro fra il tessuto del mio intimo e quello dei suoi jeans.

Mi abbandono a un sospiro esasperato. È l'unico modo in cui posso mascherare quanto questa situazione mi stia confondendo. «Non eri quello che mi odiava per aver rivelato il suo segreto a Thanatos? Quello che voleva vendicarsi? E allora perché sei qui? Perché hai voluto trascinare anche me a questo appuntamento ridicolo?»

«Perché...» tenta. Si blocca. Impreca a bassa voce. «Perché io... Perché...»

«Vuoi spiegarmelo con un disegnino? Potrebbe aiutarti?»

Questa è l'ultima cosa che avrei dovuto dirgli. I suoi polpastrelli affondano nel tessuto del vestito, ricordandomi di quando lo ha fatto in bagno, la notte in cui gli stavo medicando gli occhi. «E tu perché ti prendi cura di me, mettendomi il collirio negli occhi, e poi attribuisci i meriti a un'altra?»

La domanda mi coglie così impreparata che non ho il tempo di mascherare lo stupore. So di avere un'espressione colpevole. «Come, scusa?»

«Mentre sono diventato cieco tu sei diventata sorda?»

«Non so di cosa parli. Non ho fatto nulla.»

Lui inclina la testa di lato, il sorriso di un diavolo tentatore il cui gioco ti manderà in rovina. Vincerà sempre e solo lui. «Ah, no? Perché io ricordo bene il modo in cui i tuoi polpastrelli mi massaggiavano le palpebre, dopo il collirio. Facevi, esattamente, così...»

La mano ferma sul fianco scivola fino alla coscia. Devo trattenere un gemito nel momento in cui solleva l'orlo del vestito, scoprendo una buona porzione della coscia. Me la avvolge con la mano, e il polpastrello del pollice comincia a tracciare circonferenze sulla mia pelle. Sta imitando gli stessi identici movimenti che ho fatto io, la settimana scorsa.

Gli afferro la mano, poggiandoci sopra la mia, e blocco il suo dito. «Toglila,» ordino, tremolante.

Ares china il capo per guardare le nostre mani. «Sei sicura di aver usato la parola giusta? Perché la stai spingendo più in alto, e non lontano da te.»

Abbasso anche io lo sguardo e provo all'istante il desiderio di sprofondare. Ha ragione. Sto spingendo la sua mano sempre più su, vicinissima all'orlo dei miei slip. La sposto con un gesto violento e mi riabbasso la gonna, tentando con disperazione di evitare il suo viso.

Chiusa la parentesi, Ares ritorna serio. Ma c'è un lampo che gli attraversa il volto, un bagliore di pura sofferenza che gli distorce l'espressione. Il suo respiro si fa sempre più affannoso. «Ha detto definitivamente. L'avverbio era quello.»

Come?

«Ha detto definitivamente,» ripete, neanche potesse leggermi nel pensiero. «Il dottore. Il mio occhio,» indica quello bendato. «Continuo a ripetere agli altri che sono loro ad aver sentito male, e che ha detto temporaneamente. Ma la verità è che io ho perso la vista all'occhio, per sempre. Non è momentaneo. L'ho persa. Non la riavrò più, Hell.»

Davanti a me, d'improvviso, ho un bambino indifeso. Nessun Ares sbruffone, provocatore, stronzo e sarcastico ai limiti dell'offensivo. È un bambino ferito.

E io non ho le parole per farlo star meglio, per quanto le cerchi con disperazione. «Mi dispiace, Ares. Ho temuto qualcosa di serio quando ho visto che né l'acqua fresca né il collirio stavano funzion...»

Mi accorgo troppo tardi dell'errore.

«Eri tu, allora,» mi accusa. «Come fai a sapere dell'acqua e del collirio? Mi hai medicato tu.»

Deglutisco a vuoto. «No. Me lo ha raccontato Hurricane. Per questo lo so.»

«Hai detto di aver visto... Non che qualcuno te lo ha riferito. Hazel.» Sposta la testa, cercando di catturare il mio sguardo. «Eri tu. Dimmi la verità.»

«No.»
«La verità.»
«Non ero io,» insisto.
«Guardami in faccia mentre mi riempi di bugie, di nuovo.»

Lo accontento, infuriata per il modo in cui continua a darmi il tormento. «Non ero...»

Ares spinge in avanti e i nostri addomi si scontrano. «Dimmi la verità, Hazel.»

«Perché ti interessa? Perché vuoi saperlo? Cosa cambia?» gli urlo, arrivata ormai al limite. «Non è meglio pensare che fosse Hurricane?»

«No,» replica, anche lui alzando il tono di voce. Il suo petto si alza e abbassa con frequenza crescente. «Perché ho bisogno di sapere che sei buona. Che sei gentile. Che non sei come me.»

«Tu non sei cattivo, Ares,» lo contraddico. La piega che ha preso il discorso mi lascia un attimo a corto di parole. «Sei solo un idiota che non filtra tutti i pensieri che gli passano per la testa.»

Scuote il capo e resta in silenzio. Conto i secondi che trascorrono, con lui chino su di me, immobile come una statua. Sessantadue. Un minuto. «Hell...» sussurra, alla fine. 

«Sì?»

«Voglio scopare con te.»

La frase riecheggia nel silenzio della stanza.
Boccheggio.

Ares mi fissa, come se aspettasse un sì o un no.

«Scusa?» balbetto.

«Voglio scopare con te, Hell,» ripete, piano. Con la punta delle dita comincia a tamburellare sul mio fianco. «Il prima possibile. Anche ora.»

Mi sta prendendo in giro. Non può esserci altra spiegazione. L'unico modo di scrollarmi di dosso l'imbarazzo è scoppiare a ridere. Gli rido in faccia, e la risata esce acuta e nervosa. «Ares, dai, smettila.»

Ma lui non asseconda la mia ilarità confermando la mia ipotesi. Resta serio e, se possibile, si fa ancora più vicino. «Non scherzo, Hell. Voglio fare sesso con te. Voglio scoparti fino a quando non mi chiederai scusa per avermi tradito, per poi implorarmi di perdonarti e scoparti un'altra volta.»

«Sei impazzito. Tu sei matto. Io...»

«Dimmi di sì,» soffia contro le mie labbra, accorciando le distanze. «Sarà un peccato poter vedere il tuo corpo con un solo occhio, ma me lo farò bastare. Immagino che sentirti gemere per merito mio compenserà alla grande.»

Spalanco la bocca. Non so più nemmeno come rispondergli. Un giorno mi odia e mi giura vendetta, l'altro mi include in un'uscita a quattro, poi si lamenta se vado d'accordo con il ragazzo a cui ha voluto appiopparmi, e dopo mi segue in bagno incazzato e dice di volermi scopare.

La rabbia mi monta dentro, così violenta da mozzarmi il fiato. «Sei un cazzo di malessere, Ares. Sei un maledetto malessere. Non riesci proprio a far vivere serenamente gli altri, vero? Devi sempre incasinare la vita del prossimo con i tuoi sbalzi d'umore.»

Aggrotta la fronte, e sembra quasi ferito. Schiude le labbra, la punta della lingua va a inumidire il labbro superiore e sparisce di nuovo dentro la bocca. Assimila le mie parole con un'espressione concentrata, e qualcosa cambia nel suo sguardo. Nel suo atteggiamento. Persino nel suo linguaggio corporeo. Arretra appena, il tanto necessario a farmene accorgere.

«Sono stanca dei tuoi sbalzi di umore,» scandisco bene ogni parola. «Non sono la tua valvola di sfogo, mi hai capito?»

«Non ci arrivi, Genietto? È la soluzione a tutti i problemi. Se scopiamo, riuscirò a smettere di pensare a te e non dovrai mai più sopportarmi. Non dovrai nemmeno salutarmi se mi incontri in giro per Yale. Non è, forse, un'ottima soluzione?»

Sollevo il braccio rapidamente, pronta a spingerlo via. Ares mi afferra il polso e mi tiene ferma. «È per questo, quindi? Vuoi scoparmi per soddisfare un bisogno sessuale e poi scaricarmi? È l'unico modo in cui puoi sfogare la tua rabbia?»

Annuisce, la mascella serrata. «Certo. Quella a cui ho chiesto un appuntamento è pur sempre Hurricane, non sei tu. Pensavi che volessi scoparti come dimostrazione d'amore?»

Serro i denti e mi ripeto che sono superiore a lui. Non devo cedere all'impulsività. Non lo sfiorerò. Non lo riempirò di insulti. Non mi abbasserò al suo livello. Ma, inevitabilmente, la vista comincia ad appannarsi, segno che le lacrime premono per farmi sentire ancora più umiliata.

Ares non ha finito, però. Fa una risatina di scherno. «Come potrei scegliere te, Hazel? Una bastarda traditrice che non riesce mai a dire la verità. Non ti sceglierei mai, se non per scopare e dimenticarmi di te.»

Le persone continuano a sottovalutarmi. Continuano a pensare che solo perché sono buona, gentile e timida, resterò sempre zitta a ingoiare un rospo dopo l'altro. Io scelgo di comportarmi così perché è così che vorrei essere trattata.

«Tu ti sbagli su di me,» gli sussurro, fredda. Una lacrima mi solca il viso e la asciugo in fretta. «Scelgo la bontà, sempre, perché è ciò in cui credo. Scelgo il silenzio nel novantanove percento dei casi, ma ciò non significa che io non sappia gridare e farmi ascoltare.»

Invece che continuare a parlare, passo alle azioni. Porto le mani sul mio vestito, tenuto chiuso da una fila di bottoncini sul davanti. Comincio a sbottonarli, uno alla volta, con gesti veloci, fino ad aprirlo completamente e lasciargli la vista del mio corpo. Ares lo percorre con avidità, e sono sicura che si stia chiedendo dove io voglia andare a parare.

Ha ragione. Prima gli dico di no, e poi mi spoglio. Dovrò sembrargli più matta di lui.

Quando allunga la mano sulla mia schiena, probabilmente per sganciarmi il reggiseno, lo blocco. «Non ti azzardare a toccarmi,» minaccio a denti stretti.

Ares si morde il labbro, e vedo il cavallo dei pantaloni già rigonfio. Forse pensa che sia tutto un gioco e che avrà il suo lieto fine.

Attiro la sua attenzione sulla mia pancia, dove faccio scorrere l'unghia dell'indice e mi fermo nel basso ventre. Infilo appena il dito sotto l'elastico degli slip, e Ares emette un gemito di sofferenza.

«Perché non posso toccarti?» domanda.

Senza alcun preavviso, premo con l'inguine sulla sua gamba. Ares spalanca la bocca e inspira di colpo. Mi reggo al bordo del lavandino e muovo i fianchi su di lui, stimolando il mio punto più sensibile. Gli tengo gli occhi incollati addosso, e lui continua a guardare il mio corpo che si muove, cercando l'attrito dei jeans.

Percorro la linea perfetta del suo naso all'insù, e traccio con gli occhi i contorni delle sue labbra dischiuse, mentre continua a guardare il mio bacino che compie movimenti lenti e circolari.

Sono troppo arrabbiata per concentrarmi sul puro piacere che posso trarne. E sebbene lo senta, sebbene senta quanto tenti di attirarmi a sé e farmi perdere la concentrazione, ritorno alla realtà e al mio scopo principale.

Afferro il viso di Ares tra le mani e glielo riporto all'altezza del mio. «Voglio che ricordi questo momento,» bisbiglio. «Voglio che ricordi di come ti ho usato per provocarmi un minimo di piacere, sapendo che tu non lo farai mai. Voglio che ricordi il mio corpo in intimo, perché non vedrai mai oltre. Resterò nei tuoi ricordi e non sarò mai la tua realtà. E potrai continuare a odiarmi. A odiarmi perché mi pensi una bugiarda. A odiarmi perché sei tu che non vuoi fidarti della mia parola, pur sapendo quanto peso io dia alle parole. Allora odiami, Ares, accomodati. Ma se vuoi davvero scoparmi, sappi che non accadrà mai.»

Lui fa per ribattere.

«Non mi scoperai perché vuoi sfogarti,» ribadisco. «Quando mi scoperai, sarà perché te l'ho chiesto io.»

Premo i palmi delle mani contro il suo petto e lo allontano con una spinta decisa. Preso alla sprovvista, Ares scivola all'indietro, liberandomi dal calore del suo corpo.

E, mentre mi guarda con la bocca spalancata, io mi richiudo tutti i bottoncini del vestito e ringrazio qualsiasi divinità esistente per non aver fatto entrare nessuno in bagno. I miei momenti di coraggio durano poco, e sono così intensi che, una volta finiti, mi sento esausta. E in imbarazzo.

«Hell...» tenta.

«Torniamo da Hurricane e Liam,» lo interrompo. «Se ti piace davvero la mia amica, sono contenta per lei. Perché Hurricane è cotta di te, Ares. E non importa se con me sei uno stronzo, non importa se non mi parli o mi odi. Con lei devi essere una brava persona. Non decente. Non sufficiente. Non devi essere un sette. Devi essere un dieci. Non devi ferirla. Mi hai capito? Da adesso in poi, tu la smetterai con le tue cazzate e sarai bravo per lei.»

Ares rimane fermo, con le braccia lungo i fianchi. Le mani si chiudono in due pugni, così serrati che le nocche gli diventano bianche. «Okay.»

«Andiamo.»

«Hell.»

Gli do le spalle. Tengo la mano attorno alla maniglia. «Cosa?»
«Ho esagerato, poco fa. Non pensavo le cose che ho...»

«Invece le pensavi,» gli parlo sopra, secca. «Basta con le frasi cliché, Ares. Le parole che diciamo, le pensiamo eccome. Anche quelle che ci escono per sbaglio hanno un fondo di verità.»

Sono abituata alle persone che sputano fuori le parole senza dar loro alcun peso.

«Sono serio. Io non riesco a esprimere ciò che provo,» continua, in tono lagnoso. «Hell. Te lo giuro. Per quanto mi sforzi, non riesco a esprimermi.»

Non essere buona, Hel. Non essere gentile. Stanotte, almeno, Ares non se lo merita. «Il tuo dolore non è una scusa per rendere la vita degli altri ancora più miserabile della tua,» sussurro.

Passa qualche istante di troppo. Il rumore dei suoi passi mi fa intuire che si è avvicinato alla porta, ma resta a distanza di sicurezza da me. Per una volta, ha fatto la cosa giusta. Se si sforza, ci può riuscire anche lui.

«Forse è meglio se esci prima tu. Io aspetterò qualche minuto,» mi dice.

Gli faccio un cenno d'assenso e scappo dal bagno. Il rumore del locale e la consapevolezza di non essere più sola con Ares, lì dentro, mi danno un sollievo enorme. Ho il cuore più leggero. Un peso in meno. Eppure... una vocina nella testa mi dice che non è finita. Che starò peggio, è solo questione di giorni, se non ore. L'Inferno è appena iniziato.

Quando ritorno da Liam e Hurricane, noto che c'è una persona in più. Se ne sta seduta accanto a Liam e sembra a disagio. «Ehi, Hel. Mentre eri via abbiamo incontrato il signor Zeus. Lo conosci, vero? È il fratello di Ares,» lo presenta Liam.

Il signor Zeus agita appena la mano e mi fa un sorriso tirato. «Ciao, Hazel. Come va?»

«Ti unisci a noi?» indago.

Liam sghignazza e indica qualcosa alle mie spalle. «A dir la verità, è qui per spiarci insieme al resto della famiglia. A quanto pare, Ares con un appuntamento è una notizia fuori dal comune all'interno della famiglia Lively.»

Seguendo la direzione indicata da lui, faccio mezzo giro su me stessa. A un tavolino nell'angolo più lontano, ci sono sedute sei persone. La chioma rossiccia di Haven Cohen è quella che mi cattura da subito. Accanto a lei, ci sono i riccioli dorati di Hermes, che non appena si accorge del mio sguardo finge di mangiare la sua insalata, con le mani. Alla sinistra di Haven c'è Hades. Davanti a loro Posy, Hera e... una donna più adulta dai capelli castani, che le ricadono in onde morbidissime. Mi sta fissando, sfrontata, con un sorrisetto.

«Io...» comincio.

«Che diamine ci fanno loro qui?» esclama Ares, alle mie spalle. Sta fissando la sua famiglia, in un misto fra l'esasperato e l'arrabbiato. «Dio, ma c'è pure mia madre!»

Sua madre? Okay, ora sono parecchio incuriosita. È la donna che non riuscivo a identificare, di sicuro. I fratelli Lively sono tutti bellissimi, ma lei lo é ancora di più. Dev'essere un requisito della famiglia.

«Ciao, tesoro!» La madre di Ares strilla senza pietà, facendo voltare gli altri clienti che stavano mangiando.

«Ciao, mamma...» risponde Ares, diventando paonazzo in viso. Nonostante ciò, non mi sfugge il sorrisetto carico d'amore che le rivolge, quando è convinto che nessuno stia guardando.

La madre di Ares fa dei cenni rivolti a Hurricane, che la saluta a sua volta, divertita. «È lei la famosa Hell di cui mi hai parlato? È più bella di quanto immaginassi!»

La reazione generale sarebbe esilarante, se io non mi ritrovassi in mezzo a questo malinteso.

Hermes sputa in avanti la coca che stava bevendo, andando a colpire in pieno Poseidon. Haven si sposta con uno scatto e Hades impreca a gran voce, ma non riesco a sentire bene cosa abbia detto.

Alle mie spalle, Zeus sussurra: «Questa famiglia mi porterà all'esaurimento.»

Io mi affretto a prendere posto, evitando con cura gli occhi azzurri di Hurricane. Non voglio vedere la sua delusione. Lascerò che Ares spieghi tutto alla madre e chiarisca che io, Hell, non c'entro nulla con suo figlio e mai c'entrerò qualcosa.

Ares e la madre parlottano tra di loro, a un metro dal tavolo, e io giocherello con una fogliolina di insalata superstite, incollata al bordo del mio piatto.

Hurricane si alza e va incontro ad Ares. La madre le si presenta con il nome di Teia, e la stringe in un abbraccio caloroso. «Scusami per la figuraccia, devo aver capito male il nome! Sei meravigliosa, un vero gioiellino. Sicura di voler frequentare proprio mio figlio?»

«Suo figlio si sta comportando benissimo, glielo giuro.» Nel dirlo, Ares le cinge le spalle con il braccio.

Teia le si fa più vicina, con finta aria minacciosa. Be', in realtà non affermerei con totale sicurezza che è finta. «Non darmi del lei, non sono mica una vecchia. Mi hai vista bene?»

Hurricane sembra spaventata, e Ares la rassicura facendole notare che sua madre stava solamente scherzando.

Io ridacchio tra me e me, ancora concentrata sulla lattuga.

Accanto a me, Liam e il signor Zeus stanno discutendo animatamente. Parlano di cose e persone di cui non so niente; perciò, per quanto mi sforzi di pensare a un modo per introdurmi nella loro conversazione, non ci riesco. Sospiro e lascio stare.

Rimetto la forchetta sul tovagliolo e tiro fuori il portafoglio dallo zainetto. Mi infilo la giacca in jeans e controllo di non star dimenticando nulla. Non ha senso che io resti qui. E, in ogni caso, sono già le undici e domani mattina devo studiare.

Mentre mi alzo, incrocio lo sguardo di Haven, seduta al tavolo. Mi sta facendo cenno di raggiungerli e occupare il posto di Teia, ormai troppo impegnata a riempire Hurricane di complimenti e a prendere in giro suo figlio.

Scuoto il capo e con il labiale le dico grazie, sperando che lo capisca.

«Ciao, ragazzi, io vado,» mi rivolgo a Liam e al signor Zeus. Nessuno dei due risponde. Forse ho parlato a voce troppo bassa.

Mi affretto a raggiungere la cassa del locale, dove pago la mia insalata con petto di pollo alla griglia, in silenzio. In attesa dello scontrino, azzardo un'occhiata in direzione del mio tavolo. Forse potrei tornare lì, parlare a voce più alta e infilarmi in una conversazione. Potrei persino sedermi accanto a Poseidon e conoscere meglio Hades, Haven e Hermes.

Ma come la combatto l'ansia che mi si attorciglia alla gola non appena provo anche solo a muovere un passo verso di loro? Se torno lì, nessuno mi parlerà. Sono quella che includi in un gruppo di persone solo perché ti fa pena. Sono la presenza silenziosa da cui non ti aspetti un contributo alla conversazione, ma che di tanto in tanto metterai in imbarazzo dicendole: «Perché non parli?»

«Lo scontrino,» mi richiama il cassiere.

Lo prendo distrattamente e mi precipito verso la porta.

Quando i miei piedi toccano il marciapiede, mi sento sollevata. E forse anche un po' triste.

Guardo attraverso i vetri del locale. Ares e Hurricane, che sembrano già una coppietta. Zeus che finisce l'insalata di Liam e lo ascolta mentre, di sicuro, gli racconta di Michael Geckson. Teia che stravede per Hurricane.
E il resto della famiglia che assiste alle due scene come se fossero il film dell'anno.

Sorrido, però. E mi riprometto che, forse, un giorno sarò anche io parte di tutto quello che osservo sempre da fuori.


Mi dispiace per l'occhio di Ares ☹️ però vi avevo detto che Urano è più cattivo di Crono, quindi i giochi devono avere necessariamente risvolti più negativi
Sennò che senso ha 🤌🏻
(E poi sono stressata e devo sfogarmi ok)

Hell non è matta come la nostra Haven, ma dentro di sé ha il fuoco dell'Inferno, e più andremo avanti con la storia più lo vedrete🔥 voglio che sia un personaggio con le debolezze in cui tutti possono rivedersi, ma non passivo e che si fa mettere i piedi in testa
E Ares ha proprio rotto il cazzo diciamocelo.

Vabbè io la smetto che qui le cose si stanno allungando troppo (ares nel bagno ne sa qualcosa)

Grazie per leggere GoC 🫶🏻 il prossimo aggiornamento sarà di GoD e poi torno qui ❤️

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