Capitolo 8 ~ Viaggio alieno
Mi svegliai col fiatone. Sembravo immersa in acqua, l'aria era così pesante e così umida che i miei capelli si erano arricciati, pregni come spugne. Mi misi seduta, appoggiata con la schiena alla pietra viscida e bagnata. Solo in quel momento cercai di capire dove ero stata portata. Sembrava a tutti gli effetti una cella. Mi avevano imprigionata, come aveva promesso Sawel.
Ero spacciata. Fui presa da una sorta di panico, ed ebbi voglia di alzarmi e di graffiare i muri con le unghie. Spostai l'anca sulla roccia tempestata di muschio viscido, ma sembrava pesare tonnellate. Le mie articolazioni non esistevano più, avevo le ossa ridotte a pezzi di gomma, inutili e ingombranti. Spinsi con i polsi, ma facevano male, come se fossero stati trafitti da chiodi. Urlai. Ebbi la sensazione che mi si potessero staccare le mani dagli avambracci, sentii i legamenti sfilacciarsi, i tendini strapparsi. E quindi non mi restò che arrendermi e lasciarmi scivolare a terra. Colpii con la testa l'incavo tra il pavimento e il muro, e un dolore agghiacciante mi tramortì la nuca.
Guardavo verso l'alto. Mi pareva di essere sul fondo dell'oceano, dove il tempo non esiste. L'aria era impregnata di goccioline d'acqua, che vorticavano come particelle di pulviscolo e schizzavano senza alcun ordine. Sembravano stelle. No, le stelle non fanno così. Erano navi spaziali, invece, derelitti nell'Universo vastissimo. Mi convinsi che una di esse fosse l'Angelo. La tenni d'occhio, mentre vagava in circolo, accelerando, rallentando. Si scontrò con un'altra gocciolina. Con un'altra ancora. Poi, dopo un ultimo scatto, decise di porre fine alla sua corsa e iniziò a planare, a planare sempre di più, fino a quando non fu così vicina alla mia faccia che dovetti chiudere gli occhi. Quando li riaprii, una macchiolina indistinta mi annebbiava la vista. Era ancora lei, la goccia d'acqua, l'Angelo. Mi bastò sbattere le palpebre ed ella si fuse alle mie stesse lacrime.
Sì, ricordo di aver pianto. Pure ora lo sto facendo, perché ho appena deciso di spiegarvi cosa mi successe di lì a poco. Qualcosa di meraviglioso, che rimpiango come la stessa Terra, ma che non è propriamente terrestre. Alieno.
Pazientate, Argo e Icaro, altre poche righe. Ci siete? C'è qualcuno che legge davvero? È strano. Se veramente fra altre migliaia o milioni di anni sarete in questa stanza claustrofobica, la mia voce sarà ancora viva e vibrerà nelle vostre menti. Le mie emozioni viaggeranno anni-luce e risuoneranno nei vostri cuori. Questa è telepatia. Questo è viaggio nel tempo. Questa è la scrittura.
Stavo lì, mentre contemplavo il soffitto della cella nascosto nell'oscurità, quando dei passi risuonarono sulla pietra. L'eco rimbalzò lenta, poi i passi si moltiplicarono, per un attimo sembrò che mille Jhaem fossero irrotti in quella prigione correndo. Ma poco dopo, quando una figura si stagliò sopra di me, i passi cessarono, sfumarono e vennero inghiottiti dalla pietra e sovrastati dal gocciolio incessante di quel luogo.
«Diana.»
Sawel!
«Odio le celle del palazzo, il mio udito si confonde con questa dannata eco. È un miracolo che non mi sia perso stavolta. E l'umidità è troppo aguzza per le mie ossa logore. Però, sai, credo di aver passato almeno una cinquantina dei miei trecento e più anni qui dentro. Nessuno viene a disturbarti, e l'acqua che cade a ritmo sulla pietra stimola la mia concentrazione. Bel posto per...»
«Perché mi aiuti ogni volta?» lo interruppi, mentre mi issavo da terra.
«Piuttosto, chiediti perché non siano gli altri a farlo.»
«Perché sto profanando il vostro satellite.» Era difficile articolare più parole di fila con quell'aria così densa. «Perché ho violato il sacro Hosan-Dahon col mio sguardo antico.»
«Pensi davvero quello che dici?»
«Ovvio che no. Come... come potrei mai insultare un pianeta solo guardandolo?»
«Puoi, cara mia. Soprattutto se si tratta di un dio.»
«Un dio?»
«Un dio, Diana. Anzi, perdonami. Il Dio. Hai davvero osato guardarlo, per caso?»
«Per sbaglio.»
Mi tirò uno schiaffo.
«Anche tu, allora?»
Altro ceffone.
«Sei sempre una prigioniera, Diana. Sei sempre una Terrestre. Ed è solo per questo che ti aiuto. Solo perché sei così. Ma non siamo amici, ricorda bene.» Intravidi il suo dito sollevato tra la nebbia leggera.
Stetti in silenzio, non sapendo cosa pensare di lui. Il mio cuore pompava forte nel frattempo, mentre il petto mi si gonfiava vistosamente. Aspirai a bocca aperta per recuperare aria, ma l'acqua che rischiò di finirmi giù per la laringe mi obbligò a tossire. Mi piegai, appoggiando i palmi sul pavimento fradicio.
«I vostri polmoni da Terrestre sono piccoli e sporchi, non adatti per tutta questa aria sacra. Non morire, Diana. Sei un tesoro raro, per me.»
Ignorai le sue parole, perché la mia principale preoccupazione era riuscire a respirare. Le vene mi pulsavano sul collo.
«Hai perso la lingua?» disse ancora. «Dimmi di no, perché mi serve, non posso farne a meno, ad essere sincero.»
Cercai di osservare la sua faccia. Ma c'era troppo buio, troppe particelle vorticanti. Aria come piombo.
«Tu hai visto la Guerra» disse ancora. «Hai assistito alla partenza dei Kaehl?»
Iniziai a prendere lunghi respiri col naso e scoprii che mi era d'aiuto. Serrai gli occhi, cercando di visualizzare l'aria entrarmi dalle narici, fluirmi giù per la gola e gonfiarmi il petto. Il mio cuore si calmò. Potevo rispondere ora, ma non volevo. Prima di pronunciare qualsiasi parola mi presi il tempo necessario per capire quali fossero le vere intenzioni del vecchio.
«Parla donna, parla!» urlava lui nel frattempo. «Dove sono finite tutte le parole di prima?» Mi afferrò le spalle e mi scosse, per quanto permettesse la sua forza. Spalancai le palpebre.
«Chi sono i Kaehl?» chiesi. Mi accorsi subito dopo che non era stato saggio rispondere con un'altra domanda. Io volevo farlo stare zitto. Volevo abbandonarmi a terra e contemplare ancora le mille gocce fluttuanti sopra la mia testa. Dovevo trovare altre risposte.
«I nostri antenati» disse Sawel. «Sono i vostri compagni, che hanno avuto il buon senso di partire per una giusta causa.»
«Per una giusta causa?» Avrei dovuto smetterla. Ma, ora che il problema del respiro era stato accantonato, la curiosità incominciò a montare nella mia testa. Essa non dava più ascolto al corpo. Voleva vincere. E sapere. «Loro sono fuggiti. Hanno abbandonato la loro casa, che gli ha dato i natali.»
«Hanno lasciato la loro Terra, vero. Ma ne hanno trovata un'altra, migliore. L'hanno strappata alle bestie Edhenn e l'hanno bonificata. Ora è lassù, pulita e sacra. Hanno lasciato la Terra... Ne sei davvero sicura? O hanno abbandonato un ammasso di roccia infestato dai vostri scarti, spogliato della sua natura? Dobbiamo ringraziare loro per essere qui.»
«Avrebbero fatto meglio a non partire proprio. Non sarei incappata in voi e avrei trovato Dio. Un vero Dio. Non un ammasso di roccia come il vostro.» In realtà non lo pensavo minimamente. In realtà avrei voluto contemplare ancora la sua lucentezza e suoi colori. Ma pensai allo schiaffo e sentii formicolare la mia guancia destra.
«Attenta, donna. Non sono un tuo amico, pondera con attenzione le parole e non sarò nemmeno un nemico. Parlami della Guerra e dimenticherò tutti i tuoi insulti ad Hosann-Dahon.»
«Era una semplice guerra. Sono passati milioni di anni. Tanti per ricordare, temo.»
«Una guerra? La Guerra, forse. Perché cercare Dio, altrimenti?»
«Ne riconosci l'esistenza, allora?»
«Non costringermi al Viaggio, piccola Terrestre.»
Viaggio. Esatto, con l'iniziale maiuscola. Allora ignorai quel termine, perché convinta servisse solamente a confondermi. Invece ora lo rimpiango, lo bramo. Magnifico. Alieno.
«Piccola Terrestre?» dissi. «Ho milioni di anni, ora. Tu stesso lo hai detto, davanti a tutti. Ho viaggiato fin qua, ho percorso miliardi e miliardi di chilometri.»
«Chiusa in una cella, destata da pirati che non esistono più, quasi trucidata da pirati che abbiamo sterminato dal primo all'ultimo. Questo hai fatto in milioni di anni?»
«Ho raggiunto posti che vi sognate. Ho viaggiato nel tempo, ho sfidato i figli dei miei figli. Ho vissuto la Guerra di cui tanto desideri sapere.»
«Non sfidarmi, un giorno conoscerò tutto quello che è successo sulla vostra Terra. Ti ho avvertita, adesso Viaggerò. Hai davanti uno dei cinque Jhaem che riesce a Viaggiare con tutti e cinque i sensi. Ma che ne sai, infima Terrestre?» Mi prese le braccia, con le sue mani asciutte, le dita scheletriche.
Io scoppiai a ridere. «Che vuoi fare con quelle braccia striminzite?» Mi liberai dalla sua stretta e, ancora seduta a terra, lo spinsi in avanti, facendolo crollare sulla schiena. Mi alzai, tentata dal tirargli un calcio alle costole. Ma era così fragile... Poco importava, avrebbe pagato per la sua sete di sapere e per l'insolenza dei suoi simili.
Sawel mi afferrò la caviglia con la mano. Avrei potuto liberarmi da quella presa ridicola semplicemente scrollando il piede. Ma quando sentii quella scossa risalirmi su per il polpaccio, persi l'equilibrio e scivolai sul pavimento, rovinando addosso al vecchio. Ebbi un attimo di smarrimento. La caduta mi sembrò lenta ed ebbi la sensazione di vedere qualcos'altro, qualcosa di luminoso, mentre il pavimento accelerava verso di me. Cos'era?
Tante persone erano accalcate e si muovevano. Combattevano?
Quando quell'immagine scomparve, mi ritrovai sopra di lui. Egli riuscì a sfuggire al mio peso, la gamba che mi formicolava ancora. Sentii Sawel alzarsi, appoggiandosi sulle mie spalle con la speranza di tenermi ancorata a terra. Ma era troppo debole, cosa credeva di fare? Gli presi le mani e lo allontanai, cercando allo stesso tempo di rimettermi in piedi. Ma un'altra scossa mi prese alla sprovvista. Sentii un pizzicore galopparmi su per le braccia e vibrarmi sul petto, per poi fiondarsi su per il collo verso la testa. Alla fine, fu come sentire una scintilla scoppiarmi nel cranio. Il buio di fronte a me divenne ancora più scuro. Vidi dei bagliori e seppi di star cadendo all'indietro. Mi aspettavo una botta sulla schiena, ma non ci fu nessun urto. Attorno a me, invece, si fece tutto più chiaro. Guardavo verso l'alto e per un istante ebbi la sensazione di essere in piedi, salda a terra. Un'altra visione.
Ancora quella folla. Jhaem? Sì, alti e flessuosi, si districavano tra altre figure. Uno al mio fianco tirò un pugno ad un individuo di fronte a sé. Aveva la carnagione nera come il petrolio. Sembrava un Edhenn.
Chiusi un attimo gli occhi e, quando li riaprii, era tornato ad essere tutto buio, e la mia schiena poggiava a terra. Misi a fuoco la vista. Sawel torreggiava sopra di me. L'oscurità aveva preso forma nei lineamenti del suo viso. «Non muoverti o vedrai di nuovo altre cose. Ferma. Ferma...»
L'ombra della sua faccia diventò più nera di quanto già lo fosse. Un soffio mi sfiorò le guance.
«Preparati al Viaggio, Diana.»
Le sue parole odoravano. Il suo volto era sempre più vicino ai miei occhi, a coprire tutto. Percepii il suo alito profumato. Fiori? Poi, quando fu a millimetri da me, appoggiò le sue labbra sulle mie. Mi portai indietro, ma c'era il pavimento. Spinsi con le braccia, ma le sue dita tra le mie mie mi riversarono nel corpo un'altra di quelle scosse. Mi tremarono gli zigomi. La sua lingua si fece strada nella mia bocca. Caddi in un'altra visione, il sapore di vaniglia in bocca e il profumo di fiori attorno a me.
Ora mi trovavo nel cielo, galleggiavo. Osservai in basso e sussultai dalla paura, perché ero all'altezza delle nuvole. Tutto scorreva veloce, come se il tempo avesse deciso di correre, invece che camminare. Vidi alberi essere piantati, fiumi che ripresero a scorrere sulla terra grigia e marrone. Chiazze di verde si espansero tra la desolazione come licheni. I mari erano neri, ma vennero prosciugati da grossi macchinari, che poi vennero lanciati nello spazio, sfrecciando accanto a me. Era una visione, ma le raffiche che mi colpirono sembravano vere. Poi una voce mi distrasse. Veniva dall'alto? Guardai il cielo sopra di me, che diventava sempre più scuro e... sfrecciava nella mia direzione? La voce vibrò potente sulla mia pelle, era un coro di milioni di persone. «Lo chiameremo Hosann-Dahon, il pianeta-Dio, il pianeta degli eletti.»
Il cielo nero della visione ritornò ad essere la faccia di Sawel, appiccicata alla mia. Non cercai di divincolarmi più, anche perché non sentivo più il mio corpo. Solo le labbra, la lingua, l'aria che mi entrava dalle narici e il formicolio alle tempie. Sawel si staccò dolcemente e sussurrò al mio orecchio. «Chiudi di nuovo gli occhi, rilassati.»
Non esitai un attimo, perché era bellissimo. Era magnifico il sapore della sua bocca, l'odore della sua voce e quelle immagini che avevano il potere di farmi rabbrividire la cute. E ci baciammo ancora. La visione non tardò ad arrivare.
Mi staccai dal suo volto. No, non si trattava di lui stavolta. Era una donna, una Jhaem che non avevo mai visto prima d'allora. «Sì, c'è l'ho fatta. l'ho toccata.» Quella che mi uscì dalle labbra era una voce che non mi apparteneva. Sulla lingua avevo un sapore dolce. «L'ho sentita. Era ruvida, fresca, umida. La corteccia di quell'albero era viva, finalmente.»
Poi lei mi abbracciò. Ero un uomo io, perché le braccia che strinsero la vita della Jhaem erano forti e possenti. Le mie dita si mossero da sole, senza che io lo volessi, sotto la sua veste. Lei aveva la schiena sudata. E io lo percepivo chiaramente. Morbida, scivolosa.
«Ti invidio» disse lei.
«Perché, amore?» disse ancora quella voce estranea. Cercai di schiarirmi la gola, per sistemare quel problema, ma semplicemente non successe nulla. Restò tutto nella mia mente.
«Tu il tatto. Io solo stupido olfatto.» La Jhaem si staccò dall'abbraccio e strinse le braccia al petto.
«Ma sei impazzita?» Il braccio che si allungò davanti a me proveniva dal mio corpo, ma non era mio, dannazione. Lo scrollai, balzando indietro. Almeno fu quello che cercai di fare. Ma rimasi imprigionata dentro quel corpo maschile. Ero terrorizzata, tremavo. Ma nella mia mente. Tutto era confinato nella mia mente, o in quella dello Jhaem che ero, ormai. Le mie dita le scostarono una ciocca di capelli neri dal viso. «Non sai quanto darei per odorare quei fiori, nei tuoi ricordi.»
«E io vorrei mangiare il pane di mia nonna» rispose lei, accennando un sorriso. «Sentirlo rompersi tra i denti, croccante, caldo. Vorrei accarezzare le guance di quando eri ancora un neonato. Vorrei baciarti sulla fronte, e sentirla liscia sulle mie labbra. Ma non posso senza di te e il tuo Viaggio.»
«Io, invece, ho tanta voglia di sentire l'odore di quel pane. Ma non posso senza di te e il tuo Viaggio.»
«Allora baciamoci, viaggiamo insieme, amore.» Le nostre parole suonarono all'unisono.
Ci abbracciamo. Ci baciammo, sentii le sue labbra morbide e umide, come se fossero vere.
Vere come quelle di Sawel appiccicate alle mie. Riaprii ancora gli occhi. Ero senza fiato, Sawel non si staccava. Ma era tutto così magnifico, seppur alieno. Il problema del respiro passò in secondo piano, quando intravidi un'altra visione. Familiare stavolta.
Ero io. Sì, il mio corpo. Era mio. Tirai un sospiro di sollievo. Ma non successe nemmeno quello. Mi stavo preparando per la partenza. Uno zaino era adagiato sopra il letto, il letto della mia stanza, nella mia casa sulla Terra. I miei genitori erano al piano di sotto, ma non volevo salutarli. Che senso avrebbe avuto? Cosa mi avrebbero detto? Addio? A presto? Il pensiero di lasciarli in balia del tempo fu troppo arduo. E non vedere ancora una volta i loro volti mi avrebbe permesso di dimenticarli il più presto possibile.
«Diana!» Mi stavano chiamando. La voce giunse da sotto così vera. Non sembrava un ricordo. Non era come lo ricordavo io, sembrava che lo stessi rivivendo. Ero tornata nel passato?
Un rombo squarciò il silenzio e distrusse la finestra in mille pezzi. Raffiche di vento fecero volare dei fogli di carta nella stanza. Uno mi tagliò la guancia. Corsi alla finestra.
Un centinaio di metri più in là, in mezzo ad un campo bruciato, l'Angelo si approcciava a terra, sollevando in aria polvere e terra nera. Un fischio riverberava nell'aria, tagliandola come un panetto di burro. Erano venuti a prendermi fino a casa. La nave era un diamante nell'acqua torbida di un torrente inquinato.
Arrivederci, Terra. Inspirai, riempiendo i polmoni fino all'orlo. Mi voltai per prendere lo zaino e dire addio alla mia vecchia vita. Ciò che mi trovai davanti agli occhi, però, non apparteneva ai miei ricordi. No, di questo ne sono sicura. Fu peggio che trovare la casa sottosopra dopo che i ladri te l'hanno derubata. La mia memoria era stata manomessa.
C'era un uomo nella mia stanza, in piedi tra i fogli volteggianti. No, era uno Jhaem.
Sawel?
Un pezzo di carta gli attraversò il corpo, come se fosse stato un ologramma. Lui sorrideva. Io mi sentivo nuda, lì in piedi di fronte a lui.
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Quello che avete appena letto penso si tratti di uno dei miei capitoli preferiti in assoluto (per adesso). Perché per la prima volta ho introdotto il Viaggio nei ricordi (si tratta solo di un'introduzione, più avanti si saprà ancora di più) e perché per davvero pochissime righe si sa qualcosa di più del passato dei protagonisti. Questi momenti saranno davvero rari, ma penso - e spero - intensi anche per voi.
Dopo due bei corposi capitoli incentrati sulla storia di Diana, il prossimo vedrà protagonisti Argo e Icaro nell'Angelo, permettendo così anche alla terza storia di avanzare un pochino. Fino ad adesso non ha avuto lo spazio che si meritava.
Be', solite cose, ora. Ditemi cosa ne pensate, criticate, votate se vi è piaciuto e fate il vostro possibile per far conoscere questa storia a più lettori possibili!
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pubblicato domenica 08/11/2015
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