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Capitolo 6 ~ Ali di cera

Mi voltai per fuggire, ma colui che mi aveva attirato in quella trappola mi sbarrava la strada, ergendosi davanti alla porta. Chi diamine era? Non era dei nostri, sicuramente. Al momento mi venne da pensare che fosse anche lui una di quelle bestie, ma il fisico non coincideva. Non aveva il petto così largo ed eravamo della stessa altezza. Ma soprattutto... parlava il Terran, e la sua inflessione era quasi normale. Immagino di averlo fissato per un po', fui in grado di fare soltanto quello. Avrei potuto spingerlo, gettarlo a terra e tanto altro, ma le varie possibilità mi balzano in mente solo ora, e mi prendono a cazzotti, quasi a rimproverarmi quella stupida paura. Ad un certo punto credo proprio di aver sospeso il giudizio nei suoi confronti, non appena un farfuglio incomprensibile mi ebbe trascinato di nuovo in quella biblioteca.

Mi rigirai di nuovo, accorgendomi che quei mostri mi squadravano ancora, forse si aspettavano qualcosa da me. Qualche parola, un saluto, una mossa sbagliata per approfittare e farmi fuori seduta stante. Come era accaduto ai nostri poveri compagni di viaggio, riversi a terra nelle pose più assurde, la pelle pallida, quasi azzurra. La mia vendetta era conclusa. Ora ricordo finalmente come sono morti. Potrei anche smettere di raccontare. Ma non lo farò.

Perdonami, Argo, se nella descrizione di questa scena alcuni dettagli potrebbero non coincidere con l'effettiva realtà. Ti avrei mostrato volentieri un'immagine precisa di quello che avevo di fronte agli occhi, ma questa memoria non me lo permette minimamente. Tutto ciò che mi rimane è una visione sbiadita, come se il terrore di quei minuti mi avesse fatto tremare così tanto da rendere la fotografia mossa e sfuocata. Alcuni particolari saranno più o meno immaginari, ma credimi, mai esagerati. Se lo faccio è per ricreare il più possibile quell'atmosfera. Devo riviverla, e rabbrividire ancora, perché da quando mi sono svegliato, ho compreso che non me ne libererò mai più. Meglio se ci faccio l'abitudine, no? E poi, ciò che ho visto, non può essere dimenticato. Oh, no. Anche se sarai solo tu ad ascoltarmi, qualcun altro al di fuori di me deve sapere che il resto dell'universo non è poi così tanto un luogo adatto a noi.

C'erano sei uomini per terra, cinque senza vita e il ragazzo di prima, che tremava sul filo che lo separava dal precipizio della morte. Mi domandai come fossero stati fatti fuori gli altri, dato che non c'erano tracce di sangue. Ma poi compresi che esso era stato assorbito dalla moquette rossa della biblioteca, macchiata qua e là di spruzzi verdi, quasi argentati. Questi non erano di certo loro. I nostri compagni dovevano aver lottato con quelle bestie, quasi inutilmente.

Osservare nuovamente tutti quei colori è stato piuttosto spiazzante. I miei occhi si erano abituati unicamente all'argento delle pareti dell'Angelo, e i colori caldi dei listelli di legno alle pareti e le migliaia di copertine sugli scaffali costituivano una vista piacevole. Non c'era alcun rumore lì dentro, pareva di trovarsi dappertutto fuorché in una nave sperduta nello spazio. L'odore vecchio e caldo della carta era striato dall'acre tanfo di benzina che emanavano quegli scarafaggi, e che rovinava il falso momento di pace che si era venuto a creare. Quei mostri risaltavano al centro della stanza nella loro scurezza, accomodati sulle poltrone come re e principi sui propri scranni. Libri erano sparsi ai loro piedi, le pagine strappate. Costoro si erano appropriati della nostra conoscenza e l'avevano distrutta, così come con tutto l'Angelo. Avevamo perso. Ero stato portato lì per apprendere la comunicazione della sconfitta?

Il mio sguardo fu attirato nuovamente dal ragazzo, che all'improvviso decise di strisciare nella mia direzione. Gli avrei volentieri urlato addosso per la sconsideratezza del suo gesto, ma le parole mi furono mozzate di bocca dallo sbuffo di uno dei cinque stranieri, che parve leggermi nel pensiero. Era seduto all'estrema sinistra e lasciò la sua postazione per agguantare il ragazzo per la collottola e avvicinarlo di nuovo a sé. Questi aveva capelli bianchicci, che cadevano radi e lunghi dal suo cranio nero. Biascicò qualche parola, molto probabilmente riferendosi a me. Ne fui sicuro quando la sua lingua schioccò ancora, in risposta al mio silenzio, e i pozzi bianchi che aveva al posto degli occhi non si smossero da me.

In quel momento capii che stavo per morire.

«Immagino che nemmeno lui conosca la nostra lingua.» A parlare fu un altro di loro, calvo e più magro, al centro dell'emiciclo di scranni. «Ora ne sono sicuro. Questi terrestri sono più antichi di quelli con cui abbiamo condiviso il pasto in passato. Quelle, dunque, non erano bare, bensì celle criogeniche.»

Terran. La nostra amata lingua, la parlava così bene. Certo, la pronuncia non era perfetta, ma poteva essere scambiata assolutamente con una delle migliaia sul nostro pianeta. Quella bestia poteva essere nativa... no. Non potrei mai sopportare una constatazione del genere. Scacciai quel pensiero dalla mia mente, all'istante.

«Fai parlare me, che tu non sei capace, Cazhet.» Dopodiché distolse lo sguardo dal suo compagno e ritornò a fissarmi. «Sono nato col nome di Tufech. So che è vostra abitudine scambiarvi i nomi. Qual è il tuo, allora?»

«Icaro.» La mia voce era roca. Mi schiarii la gola.

«Oh, Icaro dalle ali di cera. Chissà se il sole le scioglierà, e cadrai, come i tuoi poveri compagni.» Solo ora che racconto, comprendo la particolarità di quello che aveva affermato. Quel mito era ancora vivo? A così tanti anni-luce dalla Terra?

L'individuo che tratteneva il ragazzo s'intromise di nuovo, sputacchiando altri incomprensibili suoni. Lo agitò come se fosse il suo pupazzo e lo sventolò a colui che mi stava parlando. Il libro che il nostro compagno teneva in mano cadde e si aprì a metà, e nessuno tentò di recuperarlo.

«Cazhet non è per nulla paziente» mi disse quello calvo. «Vuole sapere cosa dovrà farne del tuo amico. Io direi che prima dobbiamo sapere cosa voleva da te. Dunque, perché ti ha chiamato?»

E io cosa diavolo ne sapevo? Perché non se ne era stato zitto? Quel bastardo aveva cercato aiuto, ma mi aveva trascinato in quell'inferno diplomatico. Mi feci coraggio e precisai. Se avessi sostenuto la discussione, forse non mi sarei schiantato a terra. Dovevo volare alto, ma non troppo, altrimenti le mie ali si sarebbero sciolte.

«Lo avevo mandato io qui. Per cercare il vostro nome.»

«Il nostro nome? Voi avete tutti i nostri nomi tra questi vostri libri?»

«No, intendevo il nome della razza. Chi siete voi?» Fui tentato di continuare con cosa volete da noi?, ma pensai che non fosse opportuno. Vola alto, ma non troppo...

«E questo c'è tra i vostri libri?»

«Avevo mandato il ragazzo proprio per scoprirlo. Questa biblioteca è la più invidiabile tra tutte quelle della Via Lattea.»

«Non chiamarla così, Terrestre. Che nome stupido... Yaemlan, è quello corretto. Significa casa, nella vostra lingua. Anche se ora è davvero troppo lontana...» Fissò un attimo i suoi piedi scalzi. Poi, fulmineo, ruotò gli occhi di nuovo verso di me. «E l'ha scoperto, il ragazzo?»

«Non saprei, davvero.» Yaemlan, casa. Da dove venivano quelli? Ma soprattutto... dove eravamo finiti?

«Non sapresti, Icaro?» Afferrò i braccioli della poltrona con le sue dita scheletriche. «Non sapresti, eh? Chiediamo al ragazzo. Anzi, chiedi tu.»

Il ragazzo mi guardò, nel suo sguardo riconobbi un'implorazione. Fottiti. Non posso crollare al suolo come te. Devo volare, io.

«Tu,» gli chiesi «hai trovato qualcosa di interessante su questi dannati pirati?» Dannati pirati. Dovevo collaborare con loro, ma non potevo dargliela vinta del tutto. Tuttavia, per un attimo, mi pentii della scelta. Sentii caldo d'un tratto. Lo sguardo di Tufech - quello seduto al centro - fu accecante come il sole.

L'individuo con i capelli radi e bianchi sollevò il ragazzo, come per esporlo all'esigua platea. Lui scosse la testa, la sua stessa tuta che gli strozzava il collo come un cappio. Anche in quel momento non riuscì ad essere arrabbiato con me. Medesimo sguardo terrorizzato.

Tufech annuì a Cazhet. Questi affondò le dita tra i capelli del ragazzo e gli afferrò la testa. Dopodiché la sfracellò a terra. Io distolsi lo sguardo.

«Niente, non lo sapete» disse Tufech. «Questa vostra biblioteca non è la migliore, come affermavi tu. Dobbiamo forse cambiare idea e scioglierti le ali?»

Non risposi, perché avevo perso in un istante tutta quella fuggevole fiducia che avevo guadagnato prima.

«Noi siamo gli Edhenn» continuò lui. Voltai di nuovo lo sguardo, ma cercai il più possibile di non guardare ai loro piedi. «O almeno questo è il nome che ci hanno affibbiato i vostri compagni Terrestri, anni dopo la partenza di questa nave, immagino. Ma direi di avvicinarci di più al sole, per adesso abbiamo volato basso.» Si voltò a destra e a sinistra e cercò l'assenso degli altri. Quello di Cazhet, l'Edhenn calvo, fu il più vistoso di tutti. Emise un gridolino quasi eccitato.

«Cerchiamo qualcosa, a guidarci è unicamente il nostro fiuto. Percepiamo ciò di cui abbiamo bisogno, è così chiaro e palpitante. Si trova di là.» E torse la schiena per indicare da qualche parte dietro di sé. «Ma non ci arriviamo da soli. L'odore è forte. Oh, se lo è. Ma da dove proviene, esattamente?»

Cazhet si agitò sulla sua poltrona, sfregandosi il naso e ridacchiando un poco. Quello al suo fianco fu costretto a trattenerlo seduto, altrimenti si sarebbe alzato in piedi.

Tufech riprese. «Come vedi, siamo di fretta. Già i più ansiosi ne hanno bisogno. Se non provvederai ad aiutarci, potremmo pure prendere in considerazione l'eventualità di mangiarci tutta la nave, tutti voi... e te. Tu hai lo stesso odore, lo sai, Icaro? Più debole, certo, ma lo percepiamo ugualmente.»

«Odore di cosa?» chiesi.

«Oh, è chiaro che tu non lo senta. Non sei stato iniziato. Ma se in questa nave troverai il nostro nutrimento, forse potresti prendere parte al banchetto.»

Cazhet tremò sulla sua postazione. Vinse la presa del suo compagno, gli sganciò una gomitata sullo stomaco e rovesciò la poltrona su cui era seduto. Si avvicinò pericolosamente a me e io indietreggiai fino a toccare l'uomo dietro di me, di cui mi ero completamente dimenticato. Gli altri, seduti, si agitarono sulle loro postazioni, ma non osarono abbandonarle. L'Edhenn mi fu davanti e mi chiuse in una morsa. Mi annusò dai piedi alla testa e mi sfiorò con le sue dita sottili. Colui che stava alle mie spalle mi spinse di lato e io, barcollando, lo osservai gettare a terra la bestia nera che mi aveva aggredito. Questa si dimenò, ma era pronta a rialzarsi.

«Dove si trova, Icaro?» Tufech s'intromise. «Non schiantarti al suolo come i tuoi amici, ti prego...» Si era alzato in piedi. Mi stava quasi pregando.

Cazhet incominciò a rotolare tra i cadaveri sparsi sul pavimento, mugugnando e afferrandosi i lunghi capelli bianchi, ritrovandosene alcuni impigliati tra le dita. Un tonfo alla mia destra mi costrinse a voltarmi. Un altro degli Edhenn si accasciò sulla sua poltrona e schiuma densa cominciò a sgorgare dalla sua bocca scura.

«Diccelo, Icaro, come ci arriviamo là?» Tufech fece qualche passo verso di me. L'individuo in tuta e casco che mi aveva portato lì si frappose tra me e lui. Perché? Perché ora mi aiuta? Allargò le braccia e fermò l'Edhenn che stava avanzando. «Icaro, Icaro... ti preghiamo.»

«Chi siete?» Indietreggiai. Ancora e ancora. Forse potevo fuggire dalla porta aperta. Continuai a fare passi, senza voltarmi. «Ditemi cosa volete e se lo avremo ve lo mostrerò.»

«La avete. Sentiamo l'odore più forte che mai, adesso.» La testa di Tufech fece capolino da sopra la spalla dell'uomo che lo bloccava. «L'effluvio proviene anche da te, sinuoso, allettante.»

«Davvero, io non so...» Ero sempre più lontano, quasi fuori...

Una mano mi strinse la caviglia. Cazhet mi aveva afferrato e ora mi teneva incatenato a lui. Si voleva issare e voleva tirarmi giù. Mi preparai a tirargli un calcio con l'altro piede, ma qualcuno mi anticipò.

Un casco calò come un martello sulla testa dell'Edhenn. L'uomo con la tuta dell'equipaggio se lo era sfilato e ora lo potei osservare in volto. Sì, era Terrestre. Aveva dei capelli rossi, che gli arrivavano alle spalle. La sua pelle era scura, ma non nera e coriacea. I lineamenti erano i nostri, decisamente. Ma c'era comunque qualcosa di alieno in lui. Era come... un falso Terrestre. Ci scambiammo uno sguardo. I suoi occhi azzurri si strinsero. «Tu, fermo» mi disse. Poi si voltò verso le poltrone. «Dategliene un po',» ordinò, tenendo Cazhet fermo a terra, «altrimenti si risveglierà e si mangerà la vostra unica speranza.»

«No, Ghelion.» La risposta giunse atona e repentina da Tufech, statuario al centro della biblioteca. «Non dobbiamo sprecarla. La Hazen-At è sacra.»

Gli altri due Edhenn - che erano rimasti seduti fino ad allora - furono in piedi dietro di lui. Si scambiarono un cenno d'assenso, ma soltanto io e l'uomo dai capelli rossi potemmo notarli. Io rimasi zitto e mi aggrappai allo stipite della porta. Afferrai con le dita il legno delle pareti, preparandomi a quello che sarebbe accaduto. Ghelion - il falso Terrestre - non fece in tempo ad allungare un passo, il casco in mano, che Tufech crollò ai suoi piedi. I due Edhenn gli erano saltati addosso, travolgendolo. Tra il groviglio di braccia e piedi si sollevò come un trofeo un sacchetto di tela, da cui, in uno sbuffo, si riversò in aria una polvere verdastra. Non so davvero come descriverti i versi di quei mostri, erano come... singhiozzi? Mentre lottavano, la nuvola di polvere calò sopra le loro teste, protese verso l'alto. Le bocche spalancate come becchi di uccelli in attesa del loro pasto. Le loro fauci schioccavano, mentre si artigliavano con unghie lorde di sangue verde. Ora avevo davvero l'occasione migliore per andarmene. Ghelion osservava attonito la lotta, nemmeno lui forse era stato pronto ad affrontare qualcosa del genere. Ma rimasi lì, ad osservare quello scempio. Non ti è mai successo, Argo, di assistere a qualcosa di orribile, ma, nonostante ciò, a non riuscire a distogliere lo sguardo? Ero come affascinato da quell'orrore, la mia mente ne aveva bisogno.

Allungai un braccio verso la zuffa e sussurrai al finto Terrestre davanti a me. «Se è quella roba che cercate, non abbiamo nulla del genere.» Mi feci piccolo, schiacciandomi contro la parete.

Lui si girò. «Non in quella forma polverosa, Icaro. Ma l'avete. Hanno sentito l'odore, e non si sbagliano.»

«Lo senti anche tu?»

«No. Per fortuna sono più simile a te che a loro.»

«Da dove vieni?»

Si avvicinò a me, ma non era per nulla minaccioso. Mi prese per le spalle. «Non è importante.» Guardò un attimo di lato. La lotta stava scemando. Cazhet, l'Edhenn svenuto a terra, ebbe un sussulto. «Non importa. Presto quella roba finirà. E gli altri Edhenn dispersi nella nave accorreranno qua, chiamati dall'odore, per sfamarsi.» Strinse la presa, affondò le unghie nella mia pelle. «Icaro. Aiutami, ti prego. Aiutali, se non vuoi morire. Hai volato più in alto di tutti i tuoi compagni. Sei ancora salvo e lo potrai ancora essere. Ti lasceremo in pace, ce ne andremo...»

«Hanno distrutto la nave, non potrò mai tornare sulla Terra...»

«Era inevitabile. È saggio non incrociare le navi degli Edhenn. Voi l'avete fatto, purtroppo. Ma prometto che ti aiuterò. Ti aiuterò a tornare a Yaemlan, casa. Sulla Terra.»

«Io davvero non so come aiutarvi.» Volevo sfuggire ancora di più, ma la parete alle mie spalle non me lo permetteva.

Ghelion si allontanò da me e potei riprendere fiato. Poi disse: «Dimmi tutto ciò che si trova da quella parte.» Puntò col dito dove aveva indicato prima Tufech. Ora lui giaceva a terra, insieme agli altri due. Tutti gli Edhenn erano svenuti.

«Ma come...»

«Elenca ogni cosa. Potrebbe essere qualsiasi cosa... Ti prego. Senti il pavimento tremare? Stanno arrivando.» Il pavimento sussultava per davvero. Un terremoto scuoteva l'Angelo. Un libro cadde da uno scaffale.

«Non saprei, lì c'è una stanza criogenica, ci sono le stive...»

«Poi, poi?» Ghelion mi fu ancora addosso e mi ghermì le braccia.

«La centralina energetica...» Le sue mani erano come tenaglie feroci. Cosa c'è di là? pensai. Cosa... sì, la mia creazione. «Il motore, i serbatoi con la...»

«La benzina!» urlò Ghelion al cielo, inarcando la schiena. «La Hazen-At è la benzina!» Mi lasciò. Io scivolai a terra, strisciando sul legno della parete.

Si voltò e gridò agli Edhenn a terra. Ne prese uno e lo scosse. «L'abbiamo trovata! Pazzi, l'abbiamo trovata!»

Non ricevendo risposta, si girò ancora verso di me e ci guardammo. Io volevo chiudere gli occhi, abbandonarmi a me stesso. Lui crollò a terra, sulle ginocchia. Baciò il pavimento. «Siamo salvi, Icaro.»

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pubblicato il 25/10/2015

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