Capitolo 25 ~ Miliardo
Il cuore di Argo riprese a battere dopo eoni di completa immobilità. La prima sensazione che avvertì fu la carezza gelida di una goccia d'acqua sulla guancia.
Siamo arrivati, stavolta? O è un altro scherzo? Sta ricominciando di nuovo tutto da capo?
No.
Argo guardava in alto. Non si trovava nella stanzina dell'altra volta, e aveva davanti agli occhi il soffitto, un soffitto nero. La nave Jhaem.
«Kami!» Argo gridò, ma la sua voce era ancora spenta, quello che uscì fu un misero urlo roco, rotto. «Kami, sei sveglia?»
La sua faccia spuntò proprio sopra il vetro della cella. Stava dicendo qualcosa, parlava nella sua lingua, ma era tutto ovattato. Incominciò a prendere a pugni la cella. Urlava, gli occhi le uscivano dalle orbite.
«Kami, che c'è? Dove siamo?» Argo era immobile, le cinghie che lo tenevano fermo. Sapeva che agitarsi non sarebbe servito a nulla. Ma Kami continuava a sbraitare, continuava a picchiare il vetro della cella. S'incrinò. Si formò una piccola crepa, che correva a scatti e si allungava.
«Kami, ferma! Fermati, devi aspettare che la cella si apra.»
Ma lei, imperterrita, non si calmava. Non voleva sentire, perché, perché? Argo voleva urlare ancora, voleva farsi capire. Poi, provò a muoversi, ma le cinghie, ovviamente, lo strattonarono. Cazzo.
Sentì un ronzio. La cella si stava per aprire. Kami era ancora là sopra, che si agitava, che grattava con le unghie il vetro. Kami, ti devi spostare.
«Kami spostati!»
L'anta della cella criogenica balzò in aria. Ci furono sbuffi di vapore e Argo non vide nulla, ma sentì un gran trambusto. E una voce che piagnucolava. Tenendosi stretto ai bordi della cella si tirò in piedi. Era difficile. Ruotò la manopola della sua tuta. Non credeva davvero di doverla usare in quell'evenienza, era stato allenato più e più volte a risvegliarsi da un sonno criogenico. Ma erano stati brevi periodi, ed era sempre stato semplice. In quel momento potevano essere passati migliaia o milioni di anni. Argo tremò e rischiò di crollare, ruotò ancora la manopola, in preda al panico. Si ritrovò a fluttuare tra i vapori. La spinta lo portò in alto, verso il soffitto. Si aggrappò, prese una grande boccata d'aria, poi cercò di guardarsi attorno e sotto di sé. Kami aveva smesso di urlare, sembrava che stesse singhiozzando. Ruotò ancora la manopola, nel senso opposto. Fu spinto verso il basso, come da mille mani gentili.
«Argo?»
Tra i fumi che si diradavano la vide accasciata a terra. Lui aumentò ancora la carica della sua tuta, accelerò un attimo, poi atterrò al suo fianco. Lei si alzò in piedi. Si fissarono un attimo. Argo non poté fare altro che notare il suo viso arrossato dal pianto, ancora umido per le lacrime. Si abbracciarono. Ad Argo risultò spontaneo baciarla, ma lei frappose tra le loro labbra la sua mano.
«No, Argo.»
Lui accettò. Si erano appena svegliati, non potevano perdersi in un Viaggio. Dovevano sapere quanto era passato, quanto avevano dormito. Dovevano sapere se avevano trovato Dio o se era successo qualcos'altro. Le celle si aprivano solo in due casi. Se venivano attivate dall'esterno o se un'immane quantità d'energia le colpiva. Forse era un meccanismo d'emergenza, forse per evitare che quell'energia le distruggesse si disattivavano e svegliavano i loro ospiti. Argo non lo sapeva, non si era occupato di quell'aspetto della missione. Forse lo avrebbe saputo Icaro. Lo avrebbe, il suo corpo non c'era più. Quello che sapeva Argo — in realtà quello che avevano sperato tutti quelli che avevano partecipato a quella missione disperata — era che Dio li avesse svegliati. Avrebbe riaperto le celle, per accogliere i suoi figli. O avevano raggiunto Dio, alla fine dell'Universo, o una potente radiazione li aveva colpiti. Quale delle due? La prima volta che Argo si era risvegliato non avevano trovato nessun Dio. Era stata quella tempesta di luce a risvegliarlo. No, nemmeno. Diana aveva architettato tutto, aveva programmato il suo risveglio. Ma quell'ultima volta no, non era stato impostato nessun conto alla rovescia. Una scintilla minuscola di speranza guizzò nel cuore di Argo.
«Kami, andiamo a vedere se siamo arrivati.»
«Ho già visto io. Com'è fatto il vostro Dio?»
«Non lo so Kami, non ne ho idea. Cos'hai visto tu?»
«Nulla. Spazio, stelle e galassie. E noi.»
«Quanto tempo è passato?»
Kami lo prese per la mano.
«Kami, quanto?» chiese Argo.
Nessuna risposta. Strinse ancora la presa. Si asciugò una lacrima. Lo portò fuori, camminando con calma. Argo non insistette. Temeva per il peggio. Ancora nulla? Era davvero uno scherzo, allora? Nulla. Spazio, stelle e galassie. E noi. Cos'era stato allora? Kami guardava di fronte a se stessa, non batteva ciglio. Camminarono per quasi tutta la nave. La loro camminata durò molto poco in realtà, o almeno così sembrò ad Argo, il tempo scandito dalla corsa del suo cuore.
Kami si bloccò. Argo la guardò, attendendo una reazione, una parola, un gesto.
«Kami?»
Lei indicò alla loro destra, sulla parete, tra gli schermi andati in pezzi, tra i cavi penzolanti. Un numero, c'era un solo numero. Argo contò le cifre. Una. Due. Tre. Quattro. Cinque. Sei. Sette. Otto. Nove. Dieci. Quanto voleva dire? Ricontò.
Dieci. Dieci cifre. Riprovò, in preda al panico. Sette cifre volevano dire più di un milione di anni. Ma dieci... Un miliardo. Eppure, erano solo dieci cifre. Che nascondevano in pochissimo spazio un'eternità... Un miliardo trecento milioni e settecentomila quattrocento due, per la precisione. Argo sentì le ginocchia deboli, gli girò la testa. Kami lo sostenne.
«Sono passati un miliardo di cicli, Argo.» Era in lacrime.
«Quanto è un ciclo, per voi?»
«Ogni volta che tutti e tre i satelliti girano attorno ad Hosann-Dahon.»
Solo? Era pochissimo. Kami singhiozzava, aveva il viso distrutto.
«Kami, questi non sono cicli.»
«È di meno, allora?» Lei si aggrappò alle sue spalle, un sorriso sembrò scacciarle il dolore dal viso.
«Di più. Un intero giro della Terra attorno al Sole, la nostra stella. Almeno dieci volte di più di quanto ci mette un satellite attorno ad un pianeta. Almeno.»
Si bloccò. I suoi occhi si ribaltarono, il suo corpo si afflosciò. Argo lo tenne in alto, e sembrò d'un tratto pesantissimo. Eppure era minuta Kami, era magra ed esile. Non sarebbe dovuta pesare così tanto. Si sentì stanco, all'improvviso. Si sentì piccolo, insignificante. Peggio di una formica con il mondo intero sulle spalle. Si sentì schiacciato da tutte le parti. Si guardò attorno, affannato, Kami appoggiata sulle sue braccia, come un macigno. Argo sudò, iniziò a respirare pesantemente.
Ruotò tutta la manopola della sua tuta. Sfilò la cintura gravitazionale a Kami e la gettò per terra. Si librarono e Argo perse forse l'un percento dell'affanno. Sudava ancora, eppure sembrò che fosse cambiata ogni cosa.
Nuotò nell'aria, come aveva sempre sognato di fare. Gli ritornò in mente Icaro e quando erano andati a cibarsi. Più di un miliardo di anni prima. Pure il suo cadavere era scomparso, mangiato dal tempo. Ma l'Angelo resisteva. Lo schermo che segnava il passare degli anni non si fermava. Era in perenne cammino, un passo dopo l'altro. Perché allora quello che gli uomini costruivano durava così tanto, e loro diventavano presto polvere e presto nulla? Erano così deboli? No. Il loro corpo lo era. Ma ciò che facevano, ciò in cui infondevano la propria anima era potente, infinito, eterno.
Argo spense le luci. Giunse ad una finestra e guardò fuori. Una scia bianca illuminava il nulla. Una scia polverosa, fatta di migliaia di piccole stelle. Ma allora... No. Non ne esisteva solo una così. Si stava sbagliando. Argo si picchiò la testa. In quella così grande immensità, come aveva potuto credere che quella scia, fosse quella scia? Ma cosa costava andare a controllare?
Con ancora Kami sulle spalle, Argo si librò verso la sala dei comandi. Si ricordava alla perfezione dov'era. Le celle criogeniche preservavano alla perfezione la memoria di chi ci dormiva. Erano fatte bene, quelle celle, un gioiello dell'ingegneria Terrestre. Argo ripensò a quella frase. Ciò che facevano era potente, infinito, eterno.
Si aggrappò al primo computer funzionante. Ricaricò la sua tuta e subito il suo corpo si adagiò sulla sedia. Kami restò in aria, la sua cintura era rimasta nell'altra stanza. Spolverò lo schermo. Incominciò a digitare i comandi per accedere alla mappa. Ecco. Dei puntini verdi apparvero sullo schermo nero, sempre più veloci. Apparvero anche dei nomi, delle lettere e dei numeri accanto ad essi. Poi il caricamento fu concluso. Un cerchio giallo indicava la posizione dell'Angelo. Si trovava in uno dei bracci di una galassia. Era di una forma familiare. E anche quel puntino era familiare. Quel puntino blu dall'altro lato dello schermo.
«Kami!» Argo urlò verso la Jhaem.
No!
Se ne pentì. Non doveva saperlo. Sarebbero dovuti andare a riibernarsi. Non poteva andare così. Dovevano invertire la rotta, dovevano tornare indietro. Sperò che lei non si fosse risvegliata, sperò che lei non avesse sentito il suo grido.
Ma le sue palpebre si riaprirono. Si guardò attorno, capì di essere in volo, poi ruotò la testa verso il basso. Argo rimase paralizzato.
«Argo.»
Lei diede un colpetto al soffitto con i piedi e s'immerse verso il basso. Si aggrappò allo schienale della sedia su cui era seduto Argo.
«Argo, cos'è questa mappa?»
«Sto cercando di controllare dove siamo.» Argo indicò verso un punto della mappa. Deglutì. «Lo vedi? Be', qui c'era una stella. Forse è esplosa. Sì, come la vostra. Ti ricordi, vero? È esplosa, Kami. E io mi ero risvegliato. Un errore.» Guardò la Jhaem che si librava dietro di lui. Pareva confusa. Argo continuò. «Dobbiamo ibernarci di nuovo. Dobbiamo ancora concludere il nostro viaggio.»
Kami non cambiò espressione. Indicò con un dito verso lo schermo. «Cos'è quel puntino blu?»
«Oh, oh, nulla davvero.»
«Eppure questa forma mi è familiare. L'abbiamo studiata. Su Khamelis-ß ce l'hanno fatta studiare per punirci. Sembra la Via Lattea.»
«Oh, no. Sai quante galassie hanno questa forma.»
«Sì, ma, è così uguale... Argo, dimmi cos'è quel puntino blu. Ti prego.»
«Non lo so, Kami non lo...»
Con entrambe le mani gli afferrò il collo, che divenne il suo unico appiglio. Argo sentì spingersi verso l'alto. Strinse. Sembrava ritornata la Kami di una volta. Affamata di sapere e di conoscenza.
«Dimmelo, Argo.»
Argo perdeva l'aria. Sentì le vene del cervello scoppiargli. Ricordò con dolore il suo risveglio di quasi un miliardo di anni prima. Era quasi morto soffocato.
Farfugliò qualcosa.
Kami liberò la presa, ma aveva gli occhi incendiati di rabbia. No, non era rabbia. Brama, forse?
«Terra.»
«Terra?»
Argo annuì.
«Sì, andiamo ad ibernarci, Argo.»
«Davvero?» Argo non ci credeva. Per un attimo aveva pensato che lei volesse visitare la Terra.
«Certo. Ci vorranno almeno un milione di anni per raggiungerla dalla nostra attuale posizione.»
«Kami, no...»
«Zitto, andiamo.»
«Kami, dobbiamo continuare il viaggio, dobbiamo trovare...»
«Silenzio.» Kami afferrò la testa di Argo alle tempie. «Dove credi di andare? Non sai nemmeno dove ti stai dirigendo. Hai intenzione di svegliarti ancora fra un miliardo di anni, qui? Hai intenzione di continuare a dormire in quegli aggeggi, fino a quando questa dannata nave non sarà inghiottita dal collasso di una stella? O da un buco nero? Oppure vuoi che finisca come finirà l'Universo fra trilioni di anni? Se sei tornato qui, c'è un motivo. Non può essere davvero uno scherzo questo.»
«È uno scherzo. Non dobbiamo mollare, è solo una prova che Dio...»
Gli mollò uno schiaffo. Bruciò. Poi si avvicinò a lui, gli baciò la guancia, vicino alle labbra, vicinissimo. Una scossa gli serpeggiò sulla faccia.
«Hai paura, Argo.»
«No, io...»
«Hai paura, si vede.» Altro bacio. «È la tua casa, di cosa hai paura? La Guerra sarà finita, ormai. Un miliardo di anni. Sono passati un miliardo di anni.»
«Come fai a dirlo? Come fai ad esserne certa? La Terra potrebbe non esistere più, ormai. La Guerra potrebbe ancora imperversare. Potrebbe essere deserta. Potrebbe essere abitata da invasori alieni.»
«Appunto. Non sei curioso?»
Lo era. Ma Dio li aspettava... Erano partiti per cercare il suo aiuto, disperati, senza sapere quello che avevano in mente, per chiedergli di fermare il conflitto. Ma se si era concluso? Argo voleva saperlo. Forse era stato rimandato indietro perché la missione non aveva più senso ormai, era stata compiuta. Oppure, tutto era stato perso. Se sei tornato qui, c'è un motivo. Non può essere davvero uno scherzo questo.
Kami supplicava con lo sguardo. Terra. Dormire. Quale delle due? Rivedere la sua casa o vagare nello spazio per altri miliardi di anni? Baciare Kami o rischiare di essere colpito da un meteorite, andare in pezzi? E nemmeno saperlo?
Argo fissò lo schermo. Pensò. Digitò qualcosa sulla tastiera. Poi si voltò e guardò Kami.
«Iberniamoci» disse. «Ci vorranno esattamente ottocentomila e settecento anni di viaggio, secondo il computer. Settiamo il risveglio poco prima. Voglio godermi l'arrivo.»
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pubblicato sabato 27/02/2016
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