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Capitolo 10 ~ Miraggio nell'Angelo

Quel tizio mi annusava. Mi stava addosso, alitandomi sulla faccia, il fiato che gli puzzava di benzina. Mi stringeva il braccio e mi spingeva in avanti. Procedevamo veloci, loro corricchiavano sulle esili gambe che si ritrovavano, i piedi scalzi, neri e sottili.

Mi voltai un poco, ma immediatamente l'Edhenn che mi stava accanto mi afferrò le tempie con una sola mano e mi ruotò la testa di nuovo in avanti.

«Non ti distrarre, abbiamo sete.» La bestia ridacchiò e si leccò le labbra con la lingua scura. «L'odore è forte.»

Dopo la zuffa nella biblioteca ero rimasto seduto immobile, la schiena appoggiata alla parete di legno. Avevo lanciato un'occhiata rapida all'esterno, nel corridoio, ma il sangue verde che macchiava il lucido pavimento argentato era stato rivoltante. Non avevo il coraggio di alzarmi in piedi e scappare, perché non sapevo dove correre, l'Angelo si era improvvisamente trasformato in una trappola, un fossato profondo circondato da una rete elettrificata. E l'unico modo per uscirne e tornare a casa era farsi aiutare dagli Edhenn. Il che comprendeva guidarli verso la sala del motore, dove era contenuta la benzina, la loro droga.

Ghelion si era subito accomodato a gambe incrociate sulla moquette in un angolo in cui non era stata ancora macchiata dal sangue, verde o rosso che fosse. Nel giro di qualche minuto si ripresero tutti e cinque gli Edhenn che erano svenuti, sulle poltrone o riversi per terra. E dalla mia destra ne giunsero altri, che si affacciarono cauti dall'uscio. Poi mi sollevarono da terra e, a piccoli spintoni, mi portarono negli anfratti dell'Angelo.

Dietro di me si snodava un fiume di individui scuri, affamati e inebriati da un odore che il mio olfatto era restio a riconoscere. Io non sentivo nulla di ciò di cui parlavano. La quasi completa asetticità dell'Angelo era stata improvvisamente turbata da un tanfo orribile di fogna, che ricopriva ogni cosa. L'aria era satura di quello, non esisteva altro per me.

Mentre correvamo per i corridoi, parecchi metri più indietro, sorse un clamore, che indusse a voltarmi. La folla enorme di Edhenn dietro di me assomigliava tanto ad una valanga. Erano tutti accalcati, si spingevano e si pigiavano le mani in faccia. Sbattevano contro le pareti dello stretto corridoio e inciampavano, come in preda ad una pesante ubriacatura. L'Angelo non era più puro e lindo, con le sue stanze splendenti e lucide. Era nero ormai, i suoi corridoi ridotti a tubature, invase da un torrente di petrolio.

Gli Edhenn, ad un tratto, mi spinsero in avanti troppo forte e caddi a terra. Mi calpestarono la gabbia toracica in due o tre, e alcuni mi rovinarono addosso.

Uno schiocco potente tuonò dall'alto. Respiravo a fatica. I loro corpi erano leggeri, ma il loro fetore... Qualcuno sollevò gli Edhenn da sopra di me e mi rimise in piedi. Tutto era annebbiato e avevo un orribile sapore in bocca. Mi veniva da vomitare.

Riconobbi Ghelion, di fronte a me. Allungò il braccio nella folla palpitante dietro di noi e afferrò per il collo qualcuno, trascinandolo fuori dalla calca. Prese da una tasca delle foglie blu e con uno scatto spalancò la mascella dell'Edhenn ficcandogliele in bocca. Questi fu percorso da una scossa così potente che fece un balzo in aria. La schiena dell'Edhenn s'inarcò e rischiò di spezzarsi in due. Il corpo crollò come un tronco colpito da un fulmine.

Ghelion fece un segno con la mano ed una manciata di quelle bestie si avventarono sul cadavere per terra. L'Edhenn, che fino a poco prima era stato addosso a me, annusandomi, si avvicinò di nuovo e mi riprese il braccio. «Andiamo, andiamo, loro mangiano qua.» Era Tufech, colui che mi aveva parlato nella biblioteca? Non lo so, quei cosi mi sembravano tutti così dannatamente uguali. L'unico dettaglio che li distingueva era il colore dei capelli.

Mi girai dall'altra parte inorridito. Alla mia sinistra c'era ancora Ghelion, che mi teneva l'altro braccio, con meno foga.

«Tutto bene, Terrestre?» mi chiese, guardando fisso in avanti.

«Si, si... ho solo un po' di nausea.» Il mio stomaco si rimescolò paurosamente. Ancora quell'orribile sapore in bocca.

«Quanto manca alla sala del motore?» chiese lui, mentre con una spinta molto più leggera di quella dell'Edhenn alla mia destra, mi trascinava in avanti.

Cercai di trattenermi dal rispondere, non volevo vomitare. Evitavo a tutti i costi di osservare i piedi neri sotto di me, che zampettavano sul liscio metallo.

«Dopo quella porta» azzardai però, dopo aver preso un profondo respiro. «Un altro corridoio. Scale. Poi siamo arrivati.» Convinto di aver ripreso il controllo del mio stomaco, osai un'altra domanda. «Cosa facevano quelli? Cosa volevano da...» Mi ritornarono alla mente il colore alieno del loro sangue e l'orribile sensazione di soffocare. Insieme formarono un cocktail micidiale.

Vomitai ai miei piedi. Mi piegai, percependo la folla che pressava da dietro, qualcuno che rischiò di finire sopra la mia schiena per inerzia. Mi fecero appoggiare alla parete e presto, tutti, si disposero a cerchio intorno a me. Erano affannati, respiravano con forza, come se avessero appena concluso una maratona.

«Largo! Via, pazzi.» La voce di Ghelion era autoritaria. Gli Edhenn si scansarono e ad un tratto l'aria fu un poco più respirabile di prima.

«Stavano mangiando.» L'Edhenn che mi aveva tenuto il braccio si riavvicinò a me. «Quando muore uno di noi, gli sventriamo lo stomaco e mangiamo o beviamo tutta la Hazenn-At che possiamo. Anche nel cervello, lì ne rimane...»

Feci un gesto col braccio, per indicargli di zittirsi. Inspirai e raddrizzai la schiena. «Andiamo.»

Per il resto del tragitto proseguii ad occhi chiusi. Con tutta la forza del pensiero deviai i miei sensi dall'olfatto e dal gusto. Pensai a fiori profumati, alla salsedine del mare, a tutt'altro. Non fu semplice, ma a qualcosa servì.

Conoscevo il tragitto abbastanza da permettermi di non guardare più dove andavo. La sala del motore era stata per parecchio tempo l'unica stanza che io avessi visitato prima della partenza dell'Angelo. I controlli da ultimare erano tanti, la missione era importante e non poteva fallire. Avevo percorso avanti e indietro diverse volte quel corridoio. Finché non mi ebbero rinchiuso là dentro, sbarrando la porta da fuori. Mi fecero uscire solo quando la nave aveva lasciato la Terra, quando ormai ci trovavamo fuori dall'atmosfera, quando buttarsi fuori sarebbe stato un suicidio. Dannati.

Dopo una serie di conati repressi, arrivammo finalmente alla porta della sala del motore. Presi le chiavi, che erano ancora nella mia tasca. Clak! La serratura scattò e quella spessa porta di metallo si mosse dopo milioni di anni.

Il fiume era gonfio alle mie spalle. Io ero la diga e, quando mi spostai, acque scure proruppero nella stanza del motore. Gli Edhenn si spinsero e lanciarono schiocchi e urla.

Persi di vista Ghelion e quell'Edhenn che mi aveva stretto il braccio. Mi allontanai dal trambusto camminando all'indietro, appiattendomi e strisciando alla parete del corridoio. Ricevetti qualche occasionale gomitata sullo stomaco e in volto. Ma era quasi finita, gli Edhenn avevano finalmente voluto ciò che cercavano, dovevo resistere. Osservai disgustato la scena e dopo alcuni metri mi accasciai a terra.

La folla di Edhenn si era completamente riversata nella stanza e il corridoio era finalmente vuoto e silenzioso. Davanti a me stava appesa una pompa di ossigeno. Presi la maschera e aspirai, dopodiché chiusi semplicemente gli occhi e quasi mi addormentai. Il trambusto proveniva indistinto dalla mia sinistra. Non volli sapere cosa stessero combinando, no.

Tutto sfumò con leggerezza. Sentivo uno strano calore pervadermi il corpo e mi stringevo nelle spalle, pregando di addormentarmi ancora. A tratti riprendevo conoscenza, aprivo di poco gli occhi e mi accorgevo di essere ancora là. Due, tre, quattro volte fu così. C'era sempre quella parete di lucente metallo di fronte a me. La sesta o la settima volta, no.

Una figura si era mossa tra la parete e i miei occhi. Era parsa alla mia mente come una piccola saetta nera. Non aveva prodotto rumori e si era dileguata rapida. Guardai a sinistra, verso la porta spalancata della stanza, i rumori che si erano affievoliti rispetto a prima, quasi scomparsi del tutto. Guardai a destra. Il lungo corridoio continuava verso le scale, che sparivano verso l'alto. Nel punto in cui si nascondevano dietro al soffitto comparve qualcuno. Una faccia nera era contornata da capelli verdi che ricadevano lunghi vero il basso. Piccoli occhi bianchi mi scrutarono un attimo. Poi scomparvero su per le scale. Era una bambina.

Rimasi seduto per un attimo, nella speranza che quei capelli verdi rispuntassero. Erano stati come un raggio di sole tra le nuvole. Come le foglie di un albero in mezzo ad un deserto di acciaio. Come un miraggio.

Un urlo provenne dalla mia sinistra, dalla stanza del motore. Uno degli Edhenn emerse claudicante dall'uscio della porta. Sganciò un pugno sulla porta e ruggì, i due suoni che giunsero ai miei timpani sovrapponendosi e scavalcandosi a vicenda. Il rumore metallico della porta perdurò, fischiando e allentandosi per poi ricrescere.

«Halenn!» sbraitò, mettendosi le mani a imbuto davanti alla bocca. «HALENN!» Disse qualcos'altro nella sua lingua, sputando saliva nera sul pavimento. Stava cercando quella bambina?

Fece qualche passo in avanti, tenendosi alla parete. Ogni volta che appoggiava il piede una smorfia gli fulminava il volto. Quando fu a una decina di metri da me, vidi con chiarezza le sue bianche sopracciglia, più chiare dei capelli azzurri, raccolti in una lunga coda che gli oscillava alle spalle. Con quello sguardo, affilato come un coltello, mi scrutò. Disse qualcos'altro, riferendosi molto probabilmente a me. Aveva un tono interrogativo, e parlava più forte ogni volta che non riceveva risposta.

Indicai verso le scale, non sicuro di come la mia faccia sarebbe apparsa, spaventata o intontita. L'Edhenn guardò davanti a sé e incominciò a correre, rischiando di crollare sul suo peso. Arrivato alle scale lanciò altre urla e la parete a cui ero appoggiato vibrò. Le imprecazioni si riversarono lungo il corridoio fino a quando non si affievolirono del tutto.

Ci fu il silenzio. In realtà si sentiva ancora lo sgorgare di qualcosa all'interno della stanza, delle gocce che zampillavano a ritmo costante. Quella quasi totale assenza di rumori era fastidiosa, però. Tutto sembrò adagiarsi, come soffice neve, come cenere. Ebbi l'impulso di alzarmi e camminare, perché avevo paura di abbandonarmi del tutto a quella quiete, temendo che avrebbe potuto conquistarmi il cuore per sempre.

Quindi mi alzai e decisi di dare un'occhiata alla stanza del motore. Scostai l'anta della porta scardinata, che aveva un avvallamento al centro, dove quella bestia nera aveva colpito. All'interno lampeggiava una luce, in alto da qualche parte. Era buio, ma non c'erano problemi per me, che conoscevo alla perfezione l'ubicazione di serbatoi e macchinari. Quando inciampai sui miei piedi, capii che qualcosa non andava. Il lampeggiare rivelò un corpo ai miei piedi. Gli diedi un calcio, ma quel coso era duro e non reagì. Mi diressi verso l'interruttore, colpendo altri corpi mentre camminavo. Poi tirai giù la leva. La luce tardò ad arrivare, sfarfallando un poco. Ma quando giunse, rivelò alla perfezione ciò che era successo lì dentro.

Distesi per terra, accatastati come sacchi stracolmi, gli Edhenn sembravano morti, tutti con le palpebre spalancate. Quella che mi si parò davanti fu una distesa di colline nere, punteggiate dal bianco dei loro occhi. Uno in fondo alla stanza sbavò dalla bocca, schiumò e iniziò a singhiozzare. I singulti erano sconnessi, il petto della bestia sussultava. Poi il mento gli si bloccò e ci fu di nuovo silenzio. Due delle tante luci bianche si unirono al nero. L'effetto della droga era stato pesante, così sconvolgente da mettere fuori uso ognuno di loro.

Compresi la causa dello zampillio, si trattava di benzina. Un coltello era piantato in un serbatoio e un getto regolare si perdeva in un otre di legno per terra. Era pieno, ormai, e strabordava, allagando il pavimento. Estrassi il coltello dal metallo e lo infilai in una tasca, sarebbe potuto tornarmi utile.

Avevano parlato di odore, un odore forte. Ma come avevano fatto a sentire la mendamina dall'altra parte dell'Angelo, se io l'avevo riconosciuta solamente dentro la stanza del motore?

Poi, mi convinsi che potevo finalmente porre fine a quel viaggio. Da quando mi avevano tirato fuori da quella stanza fino a quando mi avevano congelato in quella cella criogenica, non avevo avuto modo di ribellarmi, per lo meno di cercare una via d'uscita. Non potevo assolutamente perdere quell'occasione, sarebbe stato da stupidi. Raccolsi l'otre che si trovava per terra. Ne trovai un altro paio, ai piedi di altri serbatoi squarciati. In uno di essi c'era ancora un Edhenn attaccato con la bocca, che succhiava direttamente dal foro nel metallo. Riempii tutti i contenitori che trovavo con la benzina, la loro droga. Poi mi avviai verso l'uscita.

«Dove vai?» Il mio cuore fece un balzo e d'istinto mi voltai verso la voce. Ghelion era appoggiato ad un macchinario, del sangue rosso scuro che gli colava dalla tempia.

Inspirai, il suo tono familiare mi calmò. «Me ne vado da questa nave» risposi.

Un sorriso comparve sulla sua faccia. Seguì un accesso di tosse. «E dove credi di andare?»

«A casa.» Ripresi a camminare, non potevo assolutamente perdere tempo. Se gli Edhenn non erano morti, presto si sarebbero risvegliati.

«No, aspetta» alzò la mano. Ma non gli feci caso. Quando fui di nuovo nel corridoio riprese. «Vengo anche io.»

Mi fermai di botto e mi voltai verso di lui. «Sto andando a casa mia, cosa c'entri tu?»

«È anche la mia, di casa, ma non l'ho mai vista» disse, uscendo dalla stanza.

«La tua casa è la loro casa.»

«No, sono ospite. Insieme a migliaia di altri.»

«Però li hai aiutati. Hai ucciso altri come te, perché?»

«Non potevo destare sospetti, non potevo farmi scoprire» disse Ghelion. «Una nave Terrestre, quando mai ti ricapita? E poi ho fatto fuori anche alcuni di loro, ricordi?» Ripensai ai cadaveri Edhenn, alle pozze di sangue verde nel corridoio che portava alla biblioteca. Ero ancora fermo e davo le spalle alla porta. La sua mano si appoggiò alla mia spalla. Me la scrollai di dosso. Non volevo impicci, non volevo compagni. Volevo tornare da solo, senza dover spiegare allo sbarco sulla Terra chi fosse quel Terrestre rinnegato. Se mai avessi rincontrato qualcuno con cui poter parlare.

«Aspettami qua» mentii. «Devo attirare la loro attenzione. Tu assicurati che restino fermi e, quando sentirai la sirena, vai alla loro nave. Poi si parte.» Era contento.

Anche io. Me l'ero levato di dosso.

Salii le scale a due a due, stando attento a non far cadere una sola goccia di droga. Giunto all'ultimo scalino un rivolo di benzina fuoriuscì da un otre. Mi bloccai all'istante e per poco non caddi in avanti.

La bambina stava di fronte a me, aveva un dito sulle labbra. Io rimasi fermo, ero affascinato dalla cascata verde che le scendeva sulle spalle. Come lunghi fili d'erba, riflettevano la luce. La sua pelle non era proprio nera, bensì più chiara, marroncina. Guardai le sue esili braccia, sottili e rotonde, che si agitavano verso di me. Stava bisbigliando qualcosa. Quando sentii i passi in fondo al corridoio di fronte a me, mi nascosi di sotto, mentre la bambina restò immobile dov'era. Sbirciai in avanti, facendo sporgere la testa dal primo scalino. Ero sdraiato sulla scalinata e avevo appoggiato i tre otri accanto a me.

L'Edhenn di prima ritornò, svoltando nel corridoio dove si trovava anche la bambina. Era riuscita in qualche modo a seminare l'inseguitore, ma poi, molto probabilmente si era ritrovata al punto di partenza. L'Angelo, al piano inferiore, poteva essere più intricato di un labirinto.

La bestia zoppicava ancora ed era furiosa, ma ora sogghignava. Lei sarebbe potuta fuggire giù per le scale dove ero nascosto, ma restò immobile dov'era per affrontare il suo inseguitore. O per salvarmi?

Oramai lui era giunto a due passi da lei, era troppo tardi svignarsela. Le colpì selvaggiamente la guancia, e lei volò a terra, sbattendo con la testa sull'acciaio del pavimento. Era inerte, nemmeno uno spasmo. L'Edhenn tirò fuori da una tasca una piccola fiala, mentre nel frattempo una tonante risata gli sgorgava dalla bocca. Afferrò per le piccole spalle la bambina e la voltò a pancia in su. Lei si riprese e incominciò a gemere. Agitava la testa, scalciava e pestava i pugni per terra.

La bestia con una mano le tenne ferma il petto, si sedette sopra di lei per bloccarle anche le gambe e con l'altra mano le spalancò la bocca. Mi sembrò che potesse schiacciarla con il suo peso. Ma la bambina sopravviveva ed opponeva resistenza, mentre lui serrava le labbra per lo sforzo, imprecando.

Infine riuscì a cacciarle la fiala in bocca. Un urlo, un urlo doloroso rimbombò per l'intero corridoio quando lei gli addentò le dita. L'Edhenn guaì al soffitto, disperato. Lanciò la fialetta alle sue spalle.

Poi le artigliò il collo. E strinse con forza, strozzandola.

Scivolai senza far rumore verso il basso, serrando gli occhi il più forte possibile. Era tardi. Per tornare a casa non potevo di certo passare per quel corridoio. La bambina se la sarebbe dovuta cavare da sola.

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Questo, per certi versi, è un piccolo capitolo di svolta. Non so se ve ne siete accorti, ma per ora tutti e tre i protagonisti non hanno fatto altro che scappare e sopravivvere. Erano personaggi più passivi che attivi.
Icaro ha finalmente detto basta. Ha una possibilità di scappare e, da come avete visto, non si fa alcuno scrupolo per portare a termine la sua missione. Non ha alcuna legge morale, nemmeno un briciolo di compassione o empatia.
Presto scoprirete che è l'unico modo per sopravvivere nello spazio più perduto.

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pubblicato domenica 29/11/2015

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