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22.

Future's Drop.

William era in soffitta. Si era sdraiato a terra, con la schiena fasciata solo che da un gilet nero, e sentiva il freddo del pavimento entrargli dentro, sino nelle ossa. Quasi doleva, ma non gli interessava. Aveva il torace scoperto (i bottoni erano stati slacciati) ed osservava con sguardo stanco il soffitto pieno di ragnatele, mentre la mente vagava, alla ricerca di una risposta in grado di spiegare la ragione di tutto quel disinteresse. Al suo fianco, brillante quanto bastava, vi era la sua stregaluce. La notte era ormai calata, ed ogni abitante dell'Istituto si sarebbe presto coricato. Attendeva unicamente quell'ultimo istante, così da potersene andare senza destare alcun sospetto; si sarebbe diretto in strada, ed avrebbe chiamato a sé la prima carrozza di passaggio. Avrebbe pregato il cocchiere di portarlo in corrispondenza delle sponde del Tamigi, e l'uomo, seppur silenziosamente,  avrebbe supposto che William era una pessima persona,  che era vizioso e che, per quanto il suo aspetto fisico non fosse affatto male, andava a donne. Avrebbe supposto che si trattasse di un uomo avvezzo alle fumerie d'oppio, ed anche  un grande bevitore. E William glielo avrebbe  fatto credere ostentando un atteggiamento arrogante e dimostrandosi poco propenso a dare una mancia al gentil cocchiere. Non gli importava, infondo, di cosa gli altri potessero pensare. Entro poche ore avrebbe trovato la pace dei sensi avvolto da fumo e droga, ed avrebbe dimenticato ogni problema. Avrebbe scordato sia Tessa che Jace. Jace... Si ripeté più volte quel nome, come certo che, prima o poi, gli sarebbe risuonato in testa come un abbraccio; come qualcosa di estremamente familiare. Come quando vuoi dire qualcosa, ma non ti viene in mente la parola, e resta lì, sulla punta della lingua.  Era così che sperava di sentirsi il moro. Desiderava essere in grado di provare affetto per il proprio erede, eppure non vi riusciva. Il suo nome, per quante volte se lo ripetesse, restava sempre vuoto, privo di sentimento. E, per tale ragione, si sentiva in subbuglio ed infastidito. Insomma, chi diavolo si credeva di essere quel ragazzo? Arrivava, arrogante nei propri squallidi abiti, gli portava via la persona che più desiderava avere vicino, ed infine gli rivelava essere suo parente. William non poteva davvero amarlo. Non poteva davvero perdonarlo di portargli, prima o poi, via Clarissa. Il tutto nonostante sapesse che, per il bene del mondo, era fondamentale che entrambi tornassero a casa. Sospirò afflitto, e chiuse gli occhi.

Nell'aria aleggiava un silenzio scomodo, nel quale le sue riflessioni risultavano assordanti quanto mille grida di dolore. Il ragazzo pensò a Clarissa, al fatto che fosse una Fairchild, ed al fatto che anche Charlotte lo era. Si disse che, prima o poi, una figlia di un figlio di Charlotte -o qualcosa del genere- avrebbe dato alla luce una piccola bambina dagli occhi più brillanti che avesse mai visto e che, in futuro, avrebbe vantato dei meravigliosi capelli rossi, simili a lingue di fuoco. Lui non l'avrebbe mai conosciuta, e neppure Charlotte. Eppure ora lei era lì. Era surreale.

Improvvisamente, la serratura della porta scattò, dando modo al cacciatore di capire che qualcuno stava entrando. Sollevò le palpebre e, sempre sdraiato a terra, contemplando il soffitto, parlò; -Clarissa...- salutò atono. Non aveva bisogno di controllare per sapere che era lei ad essere appena entrata. Infondo chi altro, in tutto l'Istituto, conosceva il suo posto segreto? Quello in cui sfogarsi?

La sentì camminare lentamente sino a lui, poi sedersi sul pavimento freddo, al suo fianco. Vide entrare nel suo campo visivo un lembo delle gonne ampie e a stento si trattenne dal sorridere mestamente; come avrebbe fatto senza di lei?

-William, mi dispiace.- mormorò la ragazza, tenendo le mani in grembo e giocherellando con uno dei merletti argentati che componevano gli orli dell'abito. Teneva le gambe incrociate in una posizione tutt'altro che femminile  (secondo le norme dei tempi) e le ginocchia erano scoperte. Aveva legato i capelli in una coda alta, assolutamente disinteressata all'idea che la sua nuca scoperta potesse ostentare volgarità. In quel momento la sola cosa che contava erano le parole. Il ragazzo abbassò nuovamente le palpebre. Clarissa proseguì.

-Ti ho mentito, ti ho nascosto molte cose, ma l'ho fatto solo per il vostro bene. L'ho dovuto fare per scongiurare un...- ma il ragazzo intervenne, interrompendola.

-Per impedire un paradosso, lo so. Lo posso capire.-

Quel tono così posato che aveva appena ostentato il moro non piacque affatto alla rossa. Si sentì morire dentro e, alzando la voce, parlò; -Sì, ma tutto il resto... Il fatto che ti voglio bene, e che ci sarò sempre, non erano bugie, Will.-

Le labbra del ragazzo si incurvarono all'insù -Non ci sarai sempre; è un dato di fatto.- disse con falsa pacatezza. Ovvio che non ci sarebbe stata. Era estremamente palese.

Clarissa tentennò. Sistemò meglio le gambe, e la gonna le arrivò alle coscie -Mi dispiace, ma devo tornare a casa. Se proprio devi odiare qualcuno, odia me.-

Dicendo questo, riflettè il ragazzo, la giovane stava parlando di Jace. Si sentì uno stupido. Il suo odio doveva essere risultato lampante, e la sua uscita di scena assolutamente patetica.

-Jace non merita odio. O, se davvero lo merita, non posso permettere che gli venga dato dalla sua famiglia.- e, nel mormorare quest'ultima frase, la ragazza singhiozzò. Era estremamente difficile. Chinò il viso, nascondendolo tra le mani, e respirò forte. Finalmente, William aprì gli occhi. Si sollevò a sedere, incontrando la figura a gambe nude di Clarissa, con la gonna sollevata fino in vita, il collo scoperto ed il corpo scosso dai singhiozzi. Era bellissima, ma non era Tessa. Quante volte se lo era già detto? Per quale dannata ragione non poteva stare con lei? Perché non riusciva ad amarla bene? Perché doveva stare con un altro? Un Herondale che non era lui. La vita era follemente ingiusta.

-Perchè? Infondo non sono nessuno per lui, Clarissa.- disse quindi il ragazzo, ostentando una voce spazientita, al limite della sopportazione -Mi ha appena conosciuto, e non può davvero tenere a me ora. Sua madre lo consolerà e...-

-Ma Jace non ha una madre.- intervenne fermamente la giovane, sempre con lo sguardo basso. William osservò la giovane in silenzio, confuso. Però non disse nulla. Sapeva che, semplicemente, Clary avrebbe ripreso  a parlare.

-Jace non ha una vera famiglia. Ha malapena conosciuto sua nonna...- mormorò infatti dopo poco la rossa, serrando bruscamente le mani attorno alla stoffa elegante della propria gonna -Tu, per Jace, sei ciò che ha sempre desiderato. Per questo non posso permetterti di detestarlo.-

Il ragazzo rimase profondamente colpito da quella rivelazione e, più che chiedersi quale terribile sventura potesse avere colpito gli Herondale per decimali con così poca pietà, fu invece la consapevolezza di avete un'ennesima cosa in comune col biondo (la mancanza di una vera famiglia unita) a farlo letteralmente tremare. In quante altre cose dovevano essere simili? Sospirò, sistemandosi meglio di fronte alla ragazza. Cercò di dimenticare la sua sbadata bellezza e tenne gli occhi bassi, fissi sui polpacci incrociati di lei.

-Ma non puoi neppure obbligarmi ad amarlo. Lo sai questo?- le domandò quindi, più incerto rispetto a prima, celando nelle proprie parole spietate una sorta di flebile rimorso.

Clarissa si morse il labbro inferiore. Esercitò una tale pressione da farlo sanguinare leggermente, e sulla lingua della rossa si spanse un ferreo sapore di sangue, simile a quando lecchi una monetina.

-Io non detesto Jace perché è mio parente.- prese nuovamente parola il moro, sempre immobile di fronte alla ragazza, con il volto basso -Io lo detesto perché ti porterà via. E odio anche me, Clarissa, perché so che tutto ciò che sento è sbagliato, egoista ed impossibile.-

La giovane sussultò, lo sguardo sbarrato e le labbra arrossate schiuse -Cosa?-

In un movimento veloce, William si fece estremamente vicino alla rossa. Quest'ultima si ritrovò bloccata contro la parete, sempre seduta a gambe incrociate, con la gonna arrotolata sino a metà coscia ed il ragazzo immobile, le mani fermamente strette attorno alle sue spalle, con possesso ma senza dolerle. Clarissa era confusa. Non capiva. Di fronte a sé vedeva William, le spalle illuminate dalla stregaluce, ed i capelli gli coprivano parte dei bellissimo viso. Lei aveva il fiatone e gli occhi brillanti spalancati. Lui, invece, sembrava assurdamente calmo. Sentendo un folle istinto imporle di farlo, la ragazza gli scostò la frangia dagli occhi. Tremò. Lo sguardo di Will non era mai stato tanto intenso.

Le pupille erano dilatate, l'iride ridotta ad un contorno sottile e turbolento. Sembrava che negli occhi del giovane stesse avvenendo una vera tempesta, con tanto di fulmini e tornado. La sua era un'espressione torbida e quasi animale. Sembrava un predatore deciso a nutrirsi della propria preda.

-Will, che cosa...?-

-Zitta, Clarissa, ti prego.- la interruppe lui, con disperazione e stanchezza. Continuava a tenerla per le spalle, impedendole di andarsene od anche solo di coprirsi le orecchie -Tu non capisci davvero come mi sento?- le domandò. Lei non rispose.

-Ieri notte io e Tessa siamo stati insieme. Non abbiamo fatto l'amore, ma siamo stati insieme, a baciarci e toccarci e...- Il moro prese una pausa, sospirando -E Jem è quasi morto. La mia sola amica, invece, mi ha mentito. Mi ha mentito riguardo tutta la propria esistenza e sai una cosa?-

Nuovamente, Clarissa non trovò la forza di rispondere. La sofferenza che vedeva trasparire dagli occhi di Will la facevano tremare, ed era certa che, se solo avesse cercato di dire qualcosa, sarebbe scoppiata irrimediabilmente a piangere.

-Non mi interessa. Non mi interessa, hai capito?- Will le si buttò addosso; le cinse la vita e la abbracciò, tuffando il proprio volto stanco contro la clavicola di lei. La ragazza rimase immobile, decisa ad ascoltare.

-Non mi importa se mi hai mentito, se provieni dal futuro, o se vuoi uccidermi. Sono così dannatamente stanco... E tu sei tutto. Tu mi salvi. Mi salvi sempre, anche ora.- Il tono di Will stava diventando sempre più ansioso e forte, come un treno che parte.

-Non andartene... Resta qua con me, per favore... Sei bellissima, io ti amo.-

La rossa sorrise mesta. Sollevò le proprie braccia e le avvolse attorno alle spalle del ragazzo. In risposta, lui alzò il viso.

-Tu non mi ami, William...- Gli mormorò con pacatezza, accarezzandogli i capelli color dell'ebano. Sentendo ciò, però, gli occhi del cacciatore si riempirono di lacrime, tante e piene di dolore insopportabile.

-Invece sì. Ti amo moltissimo, ma...- lei lo interruppe, sempre estremamente calma, quasi in modo raccapricciante.

-E allora baciami.-

William non disse nulla. Guardò qualche istante il viso pallido della ragazza; ne ammirò ogni singola e perfetta curva, poi, dopo qualche istante, avvicinò il proprio volto. Mirò le palpebre di Clarissa abbassarsi lentamente mentre lui si faceva sempre più vicino. Ora erano solo due i centimetri che distanziavano le loro labbra. Solamente due piccoli centimetri. Poi uno. Poi pochi millimetri.

Il moro, però, non trovò la forza di compiere l'ultimo passo, di premere la propria bocca contro quella morbida ed invitante di lei. Perché? Perché non vi riusciva?

La rossa sorrise, ostentando una certa consapevolezza  -Mi ami forse, è vero, ma io non sono Tessa.-

William sgranò lo sguardo. La amava, ma lei non era Tessa. Quante volte se lo era già ripetuto?

Quanto tempo avrebbe vissuto in quel modo? Incastrato in un amore impossibile, incapace di vedere le opzioni.

-Mi dispiace, William. Io non conosco il tuo futuro.- disse in un mormorio dispiaciuto la ragazza, capendo a pieno i sentimenti che lo stavano attraversando. Era incredibile quanto fosse brava a leggerlo, esattamente come si trattasse di un romanzo, uno di quelli che amava tanto sfogliare il cacciatore.

In un ultimo tentativo disperato, la giovane chinò il viso e serrò gli occhi-Ti prego, Will. Aiutaci.- pregò quindi, ormai distante e disperata. Dovevano raggiungere Magnus al più presto, prima che passasse troppo tempo e che tutto diventasse troppo complicato. Sentiva il corpo tremarle per l'ansia. Voleva solo che lui, il suo amico, la aiutasse.  Lo sentì sospirare.

-Cercherò di fare il possibile.-

~~~

Ancora avvolta dall'aura sfrigolante del portale, la donna si mosse verso lo stregone. Sembrava quasi non avesse notato la ragazzina mora e bella infondo alla stanza, quella con indosso abiti in pelle e che teneva stretta attorno al bacino una sorta di fune metallica. Alla castana interessava solo una persona, e questa le era ora di fronte, sorridente ed apparentemente spensierata, con indosso un completo costoso ed i capelli tirati all'indietro grazie ad un prodotto rilucente di glitter. Tessa voleva parlare solamente con Magnus Bane.

Aveva appena varcato le soglie dell'Istituto di New York, in piena notte, lasciando James dall'altra parte degli Stati Uniti in compagnia della giovane Emma. Jocelyn, aprendo un varco con il proprio stilo, l'aveva raggiunta poche ore prima tenendo tra le mani un reggiseno in cotone apparentemente anonimo, che si era poi rivelato essere appartenente alla figlia, Clary. La donna aveva pregato la strega di farle un favore e, una volta preso tra le mani il sottile pezzo di stoffa, Tessa si era trasformata. Aveva avvertito ogni, singolo pensiero di Clarissa entrarle dentro. Aveva sentito le sue paure e le sue passioni, ed aveva infine notato, in un nitido ricordo, il viso di una persona. Di William. Per questo motivo ora la strega era di fronte a Magnus, il solo che poteva essere davvero responsabile di ciò che stava accadendo, e voleva delle spiegazioni. Subito.

Lo osservò qualche secondo con rabbia, sperando che sarebbe stato lui il primo a sentirsi in dovere di parlare. Eppure, dalle labbra sottili e lisce dell'uomo non fuoriuscì nulla.

-Magnus, hai intenzione di dirmi cosa sta accadendo o no?-

Lo stregone lanciò un'occhiata al soffitto alto. Sembrava quasi annoiarsi mentre, in realtà, la sua mente cercava con disperazione una via d'uscita da quell'improvvisa ed irrimediabilmente confusione. Cosa poteva dire? Lui teneva follemente a Tessa.

Il suo sguardo felino cadde  sulla donna. Lo affilò furbo, prima di rispondere.

-Sai, stavo proprio per raggiungerti. Qualche giorno fa avevo imposto a Jocelyn una fattura così che, nel caso fosse sparita, sarei stato in grado di ritrovarla subito.- raccontò il moro, ravvivandosi con un gesto veloce e sbadato i capelli -Purtroppo non avevo tenuto conto che Jocelyn non è stupida e che, beh, ti conosce.- un sospiro leggero, la fronte corrugata e le labbra ancora sorridenti -In definitiva, secondo i miei errati calcoli, non saresti mai dovuta venire a sapere nulla, quindi, in risposta alla tua domanda, no. Non voglio parlarti di quello che sta succedendo.-

Tessa si sistemò con le braccia conserte. Sentiva il nervosismo ribollire dentro, ed era estremamente stanca perché Magnus si comportava in modo strano. Molto più strano del solito.

-Si da al caso che io sappia già abbastanza.- disse ferma la donna, guardando lo stregone dritto negli occhi -William... Lei è con...- ma la voce le si spezzò in gola. Era evidente che Theresa non aveva ancora dimenticato il suo primo marito, colui che le aveva insegnato per primo cosa fosse l'amore, ed era altrettanto ovvio che non avrebbe mai smesso di amarlo. Questo Magnus lo sapeva sin troppo bene e, proprio per questa ragione, aveva fatto il possibile per tenere Tessa distante dalla faccenda. Era infondo vero che, però, ora Tessa stava con James, e che amava follemente e totalmente anche lui, finalmente vivo e finalmente forte. Ma Will... Con William aveva avuto figli ed aveva vissuto un'intera vita. Sentiva le lacrime soffocarla.

-Tessa,- azzardò infine Magnus, cercando il viso dell'amica tra le lacrime che avevano ormai preso a solcarle le guance -tu sai quanto tengo a te, e devi sapere che se non ti ho messa in mezzo, è stato solo per il tuo bene.-

Lo stregone pregò disperatamente che quelle poche parole potessero essere state abbastanza. Pregò con cieco desiderio che la donna accettasse il tutto e tornasse a casa.

Purtroppo, tutto quel pregare, risultò vano.

La donna, dopo essersi passata il dorso della mano contro il viso, cercò stremata gli occhi di Bane. Infine, con voce ferma, parlò; -Io non me ne andrò, Magnus.-

TBC

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