16.
Future's Drop.
Quel grido si propagò veloce nella mente di William. Lentamente, tutto svanì. Non vi erano più pensieri, né riguardanti Tessa, né riguardanti le sue parole. Sentiva solo quelle grida, così acute e disperate, e subito l'ansia prese a divorarlo. Ancora immobile sul letto, con le mani febbrilmente strette alle lenzuola, e con lo splendido viso di Theresa di fronte, tutto ciò a cui il Nephilim riusciva a pensare erano quelle grida e, con esse, al fatto che potessero provenire da una persona in particolare: Clarissa. Respirò forte, lo sguardo sgranato e la gola secca. Perché Clarissa avrebbe dovuto gridare? I demoni l'avevano trovata? Ma l'Istituto era un posto sicuro, no?
William sentì i muscoli prendere a bruciargli. Frizzavano quasi, imploranti di entrare in azione. Ed il cuore gli batteva fortissimo all'idea che la sua unica amica potesse essere in pericolo. E decise di accantonare tutta la gioia che le parole di Tessa gli avevano instillato dentro. Decise che erano sbagliate e che doveva correre a salvare qualcuno. Perciò, improvvisamente, puntò il proprio sguardo in quello di lei. Anche quest'ultima, realizzò Will, sembrava estremamente agitata. Le sorrise leggermente, sollevando appena gli angoli della bocca, e le diede un ultimo bacio. Poi, veloce come solo uno Shadowhunter poteva essere, corse fuori dalla stanza, ma non prima di avere recuperato un'arma: l'attizzatoio del caminetto.
Era appena sorta l'alba, ma i corridoi erano già ben illuminati. Con il cuore in gola, William raggiunse immediatamente la camera da letto della rossa. Oltre la bellissima porta in legno intarsiato, il Nephilim poteva chiaramente udire tonfi e passi frettolosi. Si impose la lucidità. Come sempre, per combattere, necessitava di una mente fredda e di alta concentrazione. Con la mano sinistra, poi, avvolse il pomello. Con la destra, invece, brandì al meglio l'attizzatoio in metallo dipinto. Sul fondo di esso, dopo anni di utilizzo, si era formata una sorta di rivestimento fatto di braci antiche ed ormai spente da anni. Eppure, nonostante questo, era ancora ben appuntito. Abbastanza da potere uccidere.
Dopo un respiro più profondo degli altri, il cacciatore aprì la porta e mosse veloce i primi passi dentro la stanza, l'arma alta e l'ansia alle stelle. Non riuscì però a muovere più di un paio di passi che, con tutto il proprio corpo, andò a sbattere contro una seconda persona, piccola e magra, e fece rovinare entrambi a terra, sul pavimento freddo. L'attizzatoio rotolò distante, mentre William si reggeva sui gomiti per non pesare eccessivamente sulla piccola Clarissa. Era infatti caduto sopra di lei, ed ora i due erano stesi l'uno sull'altra, estremamente in imbarazzo.
William abbassò lo sguardo; i rumori che aveva sentito, probabilmente, provenivano dalla ragazza stessa che, da quanto poteva vedere, sembrava essere alle prese con il proprio vestiario. E, a questo proposito, lo sguardo gli cadde un po' troppo a lungo sul seno coperto solo che da una vestaglia leggera. La giovane, rendendosene conto, arrossì furiosamente.
-William, i miei occhi sono più in alto!- lo rimproverò quindi, gridando tra la vergogna e la rabbia. Il ragazzo, però, non sollevò minimamente gli occhi. Ora, dimentico del seno della rossa, contemplava un piccolo oggetto argenteo tutt'altro che ovvio. Eh già, si disse, quello non doveva decisamente trovarsi lì. E, non capendo quell'espressione così confusa, anche Clary abbassò lo sguardo. Ed immediatamente capì. Will stava osservando l'anello.
Con uno scatto veloce, la giovane si allontanò dal ragazzo. Lo spinse distante e si mise in piedi, respirando affannosamente. Prese l'anello della famiglia Morgenstern tra le mani e fece per nasconderlo oltre la scollatura della veste, ma la voce del Nephilim la fermò.
-Morgenstern, la stella del mattino.- la voce era distante, priva di emozioni, lo sguardo vacuo. La stretta della ragazza attorno al piccolo gioiello si fece sempre più convulsa.
-Non esiste nessun Jace Morgenstern, quindi non è un dono dal tuo fidanzato.-
Ciò che William aveva appena detto non era altro che una semplice e disarmante affermazione. Non le stava domandando conferma, e la cosa la spaventò totalmente. Lui, semplicemente, sapeva. E mentre quei pochi pensieri -deduzioni- si facevano largo nella mente della cacciatrice, lo sguardo del moro si levò, puntandosi sul viso della giovane -Perchè hai quell'anello?-
E questa invece, si disse colpita Clarissa, sembrava un'accusa. Deglutì a vuoto, decisa a pensare ad una scusa convincente, ma non trovò nulla. Non poteva dire che le fosse stato regalato, in quanto, con lo scambio degli anelli di famiglia, andava a verificarsi un fidanzamento, e non poteva neppure dirgli che si stava sbagliando; William sembrava conoscere davvero bene quello stemma.
-Will, mi dispiace, io...- ma la voce della rossa venne interrotta da un nuovo grido, ed il Nephilim si ritrovò a sgranare lo sguardo sorpreso. Clarissa non aveva mai gridato. Si era fatto distrarre.
Prese a correre verso quelle urla, veloce come solo un Herondale sarebbe potuto essere, lasciando la ragazza alle proprie spalle. Una terribile ansia prese possesso di lui, e quando finalmente il moro giunse di fronte la stanza di Jem, tutto gli parve chiaro. Aumentò il passo ed entrò; Sophie piangeva sconvolta, la cuffietta a terra ed i capelli spettinati. Reggeva il corpo privo di sensi di James tra le proprie fragili braccia, e Will poteva vedere del vermiglio e fresco sangue colare veloce dalle labbra del parabatai. Scattò verso la cameriera, prese Jem tra le proprie braccia, ed esortò Sophie a chiamare Charlotte. Seppur tremante, la ragazza corse via, diretta nell'ufficio della donna a capo dell'Istituto. William, invece, rimase solo, con il corpo incredibilmente magro di James tra le mani ed il cuore che gli galoppava veloce in petto. Gli sembrava di potere morire; per quanti demoni avesse affrontato il giovane cacciatore nel corso della propria vita, mai si era sentito tanto vicino alla morte come in quell'istante, con Jem accasciato contro di lui, e la runa parabatai che bruciava forte.
Istintivamente, il moro si voltò verso il comodino che affiancava il letto dell'amico. Will sapeva che, se Jem era in quelle condizioni, era solo a causa della droga. Perciò, più lucido rispetto a pochi istanti prima, il ragazzo sistemò con attenzione il parabatai a terra, steso lungo, per poi prendere a cercare nella piccola scatoletta di splendida manifattura asiatica. Il coperchio era spostato, ma non ci fece caso. Lo tolse e per poco non svenne nel constatare quanta poca droga fosse rimasta; davvero, davvero troppo poca. E proprio mentre quella consapevolezza si faceva largo in lui, Will sentì dei passi alle sue spalle. Si voltò, l'espressione sconvolta e le labbra schiuse, e vide Tessa. Aveva una mano di fronte alla bocca, e gli occhi splendidi erano umidi di lacrime. William sentì la colpa divorarlo, e seppe che se James era in quelle condizioni, era solo colpa sua. Colpa dell'egoismo che il moro aveva dimostrato con il proprio infantile amore, con quei baci viziosi che aveva avuto la sfacciataggine di dare alla futura sposa del parabatai. Sapeva che se Jem aveva avuto quella crisi, era solo perché aveva desiderato essere molto più forte di quanto non fosse stato; e doveva averlo fatto per Tessa. E William, proprio quella notte, aveva cercato di portargliela via, come dimentico di tutto: della loro amicizia e del loro sacro legame. E quella che aveva di fronte non doveva essere altro che giustizia divina.
Si alzò, lanciò uno sguardo a Tessa, e mosse qualche passo di distanza da Jem. Guardò poi la scatoletta ormai vuota, e deglutì a vuoto.
-Io vado a prenderne altra. T-Tu intanto somministragli quella.- e, dopo averle dettato quel breve ordine, il cacciatore svanì oltre la porta, muovendosi per mezzo di ampie falcate, deciso a svuotare la mente e cambiare se stesso. E, proprio allora, vide Clarissa corrergli incontro. Ora era vestita, e sfoggiava uno splendido abito verde, che sembrava intonarsi a tutta la sua piccola persona. William ricordava di avere visto l'anello dei Morgenstern e di sapere che non era la rossa a doverlo avere, ma decise di dimenticarlo. Almeno per il momento. Perché ora la sola cosa che contava era che gli era rimasta accanto solo lei.
La vide fermarglisi davanti con il fiatone, e chinarsi in due per la stanchezza. Il ragazzo la osservò con attenzione persino quando si perse nel darsi una sistemata alla propria folta chioma. E, quando infine la vide sul punto di parlargli, la interruppe.
-Devi venire con me, Clarissa.- le disse semplicemente, facendola tremare. Possibile che volesse farle del male o rinchiuderla per sapere per quale ragione possedesse l'anello di una nobile famiglia di cacciatori tedeschi? No, si disse. Non sarebbe stato da William. E poi le stava sorridendo, no? Insomma, sembrava sempre lo stesso.
-O-Okay.- acconsentì quindi la rossa, facendosi trascinare oltre le porte dell'Istituto, diretta chissà-dove insieme all'aitante Will.
E mentre il moro reggeva forte nella propria la piccola mano di Clarissa, solo una cosa vorticava frenetica nella sua mente: avrebbe smesso definitivamente di parlare con Tessa. Non l'avrebbe più guardata, non più un sorriso. Si sarebbe limitato a rendere felice solo Jem, perché lui era il suo più grande peccato, e perché, più di ogni altri, si era dimostrato fedele. Avrebbe combattuto al fianco del parabatai sino alla morte. E, forse, una volta superate le battaglie, avrebbe potuto spendere il resto del proprio tempo con la rossa. La ragazza che, per quanto nuova, gli era divenuta fondamentale.
~~~
Magnus, reggendo con eleganza un antico tomo ammuffito, lanciò un'occhiata al ragazzo di fronte a lui. Indossava un semplice paio di pantaloni scuri, nelle cui tasche aveva sistemato uno stilo, abbastanza grossi da non farlo tremare per un eventuale freddo, ed il busto era ricoperto una camicia bianca. I capelli gli ricadevano lunghi sino alle spalle, e lo stregone era certo che nessun dettaglio fosse stato lasciato al caso. L'anello di famiglia era stato abbandonato sul tavolo lucido del salotto, ed Alec aveva assicurato al parabatai che se ne sarebbe preso attenta cura. Ritto al centro della stanza, Jace attendeva pazientemente che il rito si compisse. Magnus gli era di fronte, poco distante, con la mano sinistra intenta a reggere il libro d'incantesimi, e la destra sollevata a mezz'aria, pronta a dare vita ad autentiche magie. Gli occhi felini dello stregone si posarono un'ultima volta in quelli dorati del giovane Herondale.
-Sei sicuro?-
L'altro si limitò ad annuire, per poi respirare forte. Sentì l'ansia circolargli nelle vene in modo veloce, prendendo possesso di ogni sua cellula. Eppure era anche estremamente felice.
-Ricorda, Jace, che non dovrai pronunciare il tuo cognome neppure per errore. La famiglia Herondale è sempre stata molto conosciuta.- lo ammonì infine Magnus, prima di schioccare le dita e sibilare poche, sconosciute parole.
E di Jace Herondale non rimase nulla.
TBC
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