13.
[¤NOTA DELL'AUTRICE
È la prima volta che mi fermo a scrivere un angolo ma, visto che la storia sta venendo sempre più seguita, ho pensato che fosse assolutamente il caso di ringraziarvi♡
Quello di oggi, purtroppo, non è un capitolo estremamente lungo, ma è molto importante.
Vorrei solo dirvi che siete fantastici e che vi ringrazio per il supporto che mi state dando, davvero.
Nel caso vi interessasse, poi, sto portando avanti una fanfiction dramione (OT,ma amo harry potter♡) e.... beh, se vi interessa fateci un salto c:
-le parti scritte in corsivo corrispondono ai dialoghi con l'anello.
Buona lettura☆]
Future's Drop.
Il pentagramma era stato tracciato per mezzo di denso liquido violaceo. Inizialmente, Simon lo aveva scambiato per il sangue di una qualche specie di disgustoso demone. Jace, però, lo aveva corretto all'istante; ciò che Magnus aveva utilizzato per tracciare rune, pentagrammi e simboli sul parquet lucido non era affatto sangue, bensì una sorta di pozione molto antica, di origini austriache. Lo stregone aveva dato la propria conferma alle parole del Nephilim, e l'equivoco era stato velocemente chiarito. Avevano lavorato per interi giorni a quello, e non si sarebbero fermati fermata causa di un ingrediente incerto.
Un antico libro scritto in una lingua straniera ed ormai morta spiccava sopra il tavolo lucido del salotto. Era aperto in una pagina corredata da poche parole e più disegni; schizzi raffiguranti candele consumate, fumo dai toni molto scuri e monaci inchinati attorno ad un abbagliante fuoco. L'ormai ex vampiro non era certo se essere timoroso del tutto, o semplicemente curioso quanto lo sembrava essere Jace. Quest'ultimo stava infatti sorridendo soddisfatto di fronte a Magnus, tenendo tra le mani un vecchio accendino verde, pronto come non mai a mettersi all'opera. L'atmosfera era incredibilmente buia, senza neppure una lampada accesa, abbandonati alla sola luminosità di una piccola stregaluce. Simon deglutì a vuoto, più indietro rispetto agli altri dal pentagramma, per poi accomodarsi su uno degli sgabelli che circondavano la penisola. Vide il moro alzarsi, le lunghe ed affusolate dita macchiate di un viola e vischioso nettare, sorridere leggermente, e poi precipitarsi verso una credenza. Fece cigolare le ante rumorosamente, ne mirò qualche istante l'interno cosparso di statuette, calici e bottiglie, ed estrasse infine due candele in parte consumate, spente, in semplice cera bianca. Le sistemò, rispettivamente, una a nord e l'altra a sud del pentagramma, per poi fare un cenno veloce a Jace. Simon continuò ad osservare silenzioso. Sentì un rumore al proprio fianco, ma non si voltò neppure; sapeva che si trattava di Alec. Si limitò ad avvolgersi nelle sue stesse braccia, quasi infreddolito, spaventato. Ciò che stavano per fare, avrebbe segnato un confine netto tra la salvezza o la perdita di Clary.
Vide Jace chinarsi verso il pavimento, l'accendino pronto all'opera, ed avvicinare lentamente la piccola fiamma alla cima di ciascuna candela. Alec, al fianco di Simon, afferrò la stregaluce e la ripose nel fondo della propria tasca. La poca luce, ora, doveva essere emanata solo che dalle candele, sistemate a terra, al centro della stanza. Magnus schioccò le dita. Il suono che nacque da quel piccolo gesto riempì tutta l'area, impregnandola di sconvenienti eco e noiosi dubbi. Eppure, non c'era tempo per pensare. Persino Simon, che non aveva davvero nulla da fare -oltre a sperare, ovviamente-, faticava a pensare lucidamente. Semplicemente, non vi riusciva. La sola cosa che sapeva o vedeva era Magnus immobile di fronte quella macabra opera illuminata da opache fiamme. Un libro apparve tra le mani dello stregone. Solo in seguito il riccio si sarebbe reso conto che si trattava del medesimo manuale che, solo pochi istanti prima, si trovava sopra al tavolo lucido. In quel momento non importava. In quel momento vi era solo il silenzio ed il fumo che, spandendosi lento dalle candele, disegnava nell'aria ghirigori dai toni scuri e stanchi, grigi pesanti ed altrettanto pesanti neri. Simon deglutì a vuoto. Jace gli si affiancò silenziosamente, e Magnus prese a mormorare qualcosa in un linguaggio incomprensibile. Parlava veloce, constatò il ragazzo, come preso a ripetere a denti stretti una filastrocca, od una preghiera. Poi, dalle scapole del moro presero ad irradiarsi fasci blu-violacei, brillanti, luminosi ed alti. Simon ne seguì il corso senza fiato. Nel frattempo, il rito andava avanti. Il fumo delle candele si unì a quello colorato e magico che sembrava uscire dallo stregone stesso, e lentamente tutto si fece più onirico e leggero. Simon vedeva solo la figura di Magnus, la voce ovattata, ed una luce che, lentamente, prendeva a brillare al centro del pentagramma. Un bagliore forte, sferico, sempre più ampio, più ingordo. Sembrava volersi mangiare la stanza. Qualcosa, dentro la propria mente, suggerì al riccio di gridare e scappare. Proprio in quel momento, però, tutto tornò normale; Magnus smise di parlare, le candele si spensero, la magia si dissolse ed il bagliore spaventoso svanì. Lì, all'interno di quella stanza buia, rimase solo che un suono. Il suono di qualcosa di piccolo e leggero, di metallo puro, che cadeva sul pavimento elegante, abbandonato.
Con uno schiocco di dita, il lampadario si accese. Lo stregone, poi, si chinò sul pentagramma, al centro del quale era apparso qualcosa. Lo sollevò delicatamente, sorridendo, lo sguardo sottile e scaltro, e si voltò verso il resto dei ragazzi. Annuì semplicemente, per poi mostrare loro ciò che reggeva con estrema cautela; un anello fatto di sottilissimo metallo, brillante e leggero, incantevole oltre ogni immaginazione.
-Ciò che abbiamo appena fatto, è estremamente illegale.- disse infine lo stregone, sussurrando. Jace ed Alec sorrisero, entrambi a braccia conserte, mentre Simon si limitava ad osservare quel minuscolo oggetto, stupito e sollevato.
-E una cosa del genere ci ha mai fermato?- domandò semplicemente il biondo Nephilim, sorridendo sghembo e muovendo un primo passo verso Magnus.
~~~
Clary?
La ragazza udì nuovamente quella voce attraversarle il cervello, per poi rimbombarle più e più volte nella mente. Un dolore acuto le attraversò il petto nel riconoscere la voce bella ed armoniosa di Jace, ed a stento si trattenne dal gridare. Le sembrava di impazzire. Non poteva essere vero. Il suo amore la stava semplicemente portando alla follia, si disse, trovando in quella spiegazione persino un certo sollievo. Per lo meno, se davvero fosse morta lì, in quell'epoca ed in quello stato, lo avrebbe fatto con il pensiero del proprio amato ad attenuarle la sofferenza. Sentì gli occhi pizzicarle a causa delle lacrime represse, e si domandò per qualle stupida e sconclusionata ragione si stesse ancora trattenendo. La risposta le parve estremamente folle; non voleva deludere se stessa. Poteva sentirsi vuota, priva di speranze ed ormai senza più alcuna ragione di esistere ma, da brava e cocciuta stupida, non avrebbe pianto.
Clary?
Questa volta, nell'udirlo, tremò. Lanciò un'occhiata alla porta, ma era chiusa e nessuno vi stava bussando contro, deciso a parlarle od altro. Un'idea la folgorò veloce e, incontrollatamente, le iridi verdi e brillanti si posarono veloci sulla sua mano sinistra, sull'anulare sottile, avvolto dal filo delicato e brillante che, forse, aveva appena preso a parlarle. Ne carezzò lievemente la superficie con il pollice, per poi respirare forte. Abbassò le palpebre.
Jace?
Il silenzio che si diramò nella mente della ragazza nei successivi secondi la dilaniò completamente. Le parve che il suo respiro si fosse fatto improvvisamente assordante, così come il battito incontrollato e veloce del suo piccolo cuore. Poi, proprio quando la disperazione stava nuovamente per agguantarla, una risata si fece largo nella sua mente, cristallina e meravigliosa, appartenente proprio a lui. Al ragazzo che amava.
Sei lì. Oddio, stai bene?
Sembrava straordinariamente sollevato, come quando, nei film, riescono a salvare il protagonista all'ultimo secondo. Si ritrovò a sorridere, le labbra schiuse ed i denti bianchi ben in vista. Le guance erano arrossate, gli occhi ancora lucidi, ed i capelli abbandonati a ventaglio sopra il cuscino pallido. Sembrava una splendida sirena.
Ora benissimo. Jace... Come hai fatto? L'anello non era..., ma la voce del biondo intervenne, sempre all'interno della testa della ragazza, solare.
Distrutto?, le domandò quasi con orgoglio. Clary annuì, seppur conscia del fatto che lui non potesse vederla. Il Nephilim tornò a parlare; beh, esatto. Magnus, però, è riuscito a trovare un modo per contattare le fate, un rito. Siamo riusciti a contattare i sovrani delle corti ed abbiamo domandato loro un anello.
Clary corrugò la fronte. Hanno accettato?, domandò poi, sinceramente dubbiosa. Il popolo fatato era il solo con cui i Nephilim non fossero riusciti a chiarire una vera e propria tregua, e la cosa la allarmava sempre non poco.
Abbiamo offerto loro protezione, almeno a New York, Rispose semplicemente Jace, parlando veloce. Sembrava non gli interessasse davvero discutere di cose del genere. Gli importava solamente di una cosa: Clary. Clary. Dio, sentirla dentro la testa lo stava inebriando. Gli veniva da urlare di gioia. Saperla viva gli aveva permesso di tornare a respirare dopo giorni.
La ragazza, sempre distesa sul letto a baldacchino, circondata dalle ampie gonne lucide del proprio abito, mirava incantata il soffitto. Ne osservava le fattezze, gli splendidi intarsi in legno che spiccavano sopra il lampadario di candele. In quel momento, con la voce di Jace ben chiara dentro la mente, Clary si sentiva straordinariamente felice ed appagata, come da tempo non lo era stata. Sentì un singhiozzo scuoterle il corpo e farla tremare. Lucide ed innocenti lacrime si fecero largo dai suoi occhi, solcando le guance lisce e pallide, andando infine ad inumidire le lenzuola bianche. La gioia era tanto immensa da farla piangere. Le labbra restavano tese in un sorriso, mentre ogni singola fibra del proprio essere andava a concentrarsi lì, in quel minuscolo quanto fondamentale anello.
Clary, intervenne poi la voce del biondo, agitata e pronta, in che anno ti trovi?
La rossa decise di immaginarsi il Nephilim mentre le poneva la domanda, circondato da chissà chi, con le labbra serrate e gli occhi vigili. Si chiese come avesse in quel momento le mani; se strette a pugno, o tese per l'agitazione. Immaginò persino come potesse essere vestito, ed in che modo fossero stati sistemati i capelli. Una fitta di pura nostalgia la fece gemere di dolore. Deglutì a vuoto. Sentì tutti i muscoli tremarle.
Milleottocentosettantotto, mormorò quindi Clarissa, flebile e spaventata, ma non posso andarmene.
Cosa? La voce del ragazzo cambiò improvvisamente tono; si fece come spezzata, sul punto di andare in mille pezzi. La rossa sentì tutto quel dolore attraversarle il corpo, sino alla punta dei capelli. Abbassò le palpebre e si impose la calma.
È la verità, Jace, cercò di dirgli, mentre un mare di immagini le affollavano i ricordi: Tessa, Zaccaria, Magnus... Tutte persone che, se solo lei fosse tornata a casa, avrebbero dato vita a paradossi temporali irreparabili, con chissà quali mutamenti. Io non posso andarmene troppo facilmente, ribadì quindi.
Un silenzio incredibilmente inquietante si fece largo nella sua mente a seguito di quell'affermazione. La giovane non potè evitare di immaginare un Jace sconvolto, privo di alcuna logica spiegazione. Lo immaginò inginocchiato a terra, lo sguardo dorato perso in un punto indistinto della parete e le persone attorno allarmate. Si sentì immensamente in colpa.
Perché no? Vuoi restare lì?
Questa volta, ad intervenire, non era stato il Nephilim. La voce che Clarissa udì rimbombarle nella mente le risultò estremamente familiare; Simon. Sentirlo nuovamente lì, nei meandri nascosti del suo cervello, la riportò a pochi mesi addietro, quando ancora comunicava con lui con il fine di salvare Jace da Sebastian. Sentì il respiro mancarle, e la mano sinistra le si posò in modo incontrollato sopra il petto, in corrispondenza del cuore. Poteva sentirlo battere forte oltre la pelle.
No, Simon. Solamente che ci sono delle complicazioni, cercò di spiegare la ragazza mentre, in sottofondo, sentiva alcuni passi veloci farsi largo oltre la porta della stanza. Si stavano avvicinando, si disse. Sempre più vicini. Sempre più veloci. Velocemente, Clarissa immaginò come avrebbero potuto reagire Sophie o Charlotte nel trovarla sveglia, con una mano contro il petto e le lacrime agli occhi. Si disse che non sarebbe stata in grado di inventare alcuna scusa plausibile, e che era perciò il caso di dare un fine alla comunicazione prima che qualcuno bussasse contro la porta.
Prima, però...
Simon, Magnus, Jace e chiunque altro ci sia, ho un favore da chiedervi.
S-sì, mormorò la voce del riccio, agitata ma reattiva, qualsiasi cosa.
Cercate Tessa e Zaccaria. Raccontate loro tutto, e diteli che mi trovo nell'Istituto di Londra. Anche a Magnus. Sono certa che capiranno. Ora devo andare, disse in fretta Clary, mentre, oltre la porta, qualcuno prendeva a bussare, ci risentiamo al più presto.
D'accordo, Clary. Ti voglio bene.
E tutto finì. Il contatto si spense, bruciando veloce. La mente tornò ad animarsi di pensieri futili, e l'anello tornò a non essere altro che un gioiello dalla straordinaria bellezza. Contro la porta, continuavano a risonare innumerevoli colpi, e presto la ragazza si sollevò in piedi, sistemò le gonne,e parlò -Avanti.-
Già immaginava la piccola Charlotte, oppure l'esuberante Sophie farsi largo oltre la soglia. Eppure, una volta aperta la porta, la persona che si mostrò a Clarissa non fu altri che William Herondale, con il viso sconvolto ed il fiato spezzato.
TBC.
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