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10.

Future's Drop.

Non era raro, per una figura importante come Magnus Bane, uomo che, per quanto non mondano, prendeva con frequenza parte alla vita della società londinese, ricevere missive; erano solitamente lettere scritte con attenzione da signori rispettabili, appartenenti all'alta nobiltà, sia mortali che non. Si trattava di solente di inviti a feste, inaugurazioni o balli. In rari casi, invece, di richieste di lavoro od aiuto. Aiuti che, comunque, andavano sempre a costare molto caro. In che altro modo avrebbe potuto altrimenti guadagnare lo stregone? Vendere incantesimi, pozioni o prestazioni magiche era certamente il sistema più redditizio. E non importava quanto di rado venisse contattato, perché, molto spesso, con un unico compito, riusciva a far fruttare abbastanza utile da potere sopravvivere in completa agiatezza per mesi e mesi. L'appartamento che condivideva con Woosley  ne era decisamente una prova; per quanto la casa appartenesse al lupo mannaro, era innegabile il fatto che i drappi costosi, i quadri incantevoli e le porcellane orientali non fossero altro che il risultato del gusto dello stregone, viziato e facile a spendere denaro per oggetti futili, ma di straordinario splendore. A questo proposito, molte persone che finivano con il visitare la casa, arrivavano persino a scrivere lettere riguardo quanto meravigliosamente avessero trovato arredato il tutto, in modo raffinato e mai volgare. Già, un innumerevole numero di lettere. Ne arrivavano ogni giorno, sempre uguali, molte che lo stregone neppure leggeva.

Quel pomeriggio, però, la busta che, una volta rincasato, vide spiccare al centro dell'ampio tavolo in legno massiccio, lo fece tremare. Abbandonò  a terra il proprio cappotto pregiato, cucito in Italia solo che qualche settimana prima. Percorse la distanza che lo separava dalla lettera per mezzo di ampie  e goffe  falcate e, una volta arrivatole d'innanzi, l'afferro. Sollevò la busta di carta spessa ed ingiallita, se la rigirò tra le mani e per poco non sussultò nel notare, sul fronte di essa, fermo a chiudere il tutto, il sigillo in cera colata della famiglia Fairchild. Sospirò  e si impose la calma. Solo di recente aveva preso a reagire in modo tanto ostentato per una piccolezza del genere, per una missiva proveniente dall'Istituto di Nephilim londinese. Sapeva che era per colpa di William e dell'affetto che, inconsapevolmente, aveva iniziato iniziato a provare per lui. Ma non poteva farci ormai più niente. Era troppo tardi, e quello strano legame, che non era amore e neppure amicizia, quella sorta di obbligo fraterno, lo stava ormai possedendo. Lo possedeva in ogni fibra del suo essere, intaccandogli ogni pensiero ed ogni presupposto. Per questo motivo era così spaventato di fronte la lettera di Charlotte; perché era convinto che, se si erano presi la briga di mandargliela,  in qualche modo c'entrava Will.


-State sollevando tanta polvere per un nonnulla, Charlotte.- parlò con voce pacata Gideon Lightwood, stanco di vedere la piccola donna sfrecciare da una parte all'altra dell'Istituto causando il caos generale. Ormai la testa gli doleva, e la donna non faceva altro che chiudersi nel proprio ufficio, chiamare a sé Sophie e poi mandarla via poco dopo. Una volta aveva visto la bellissima cameriera uscirne con in mano una busta, ma quest'ultima era poi stata lasciata nelle mani di Cyril, il quale aveva poi velocemente lasciato le mura dell'Istituto. Il tutto era poi accaduto mentre Gideon, Cecily, James, Tessa e  Clarissa restavano immobili a tavola, appena finito di pranzare. Henry non si era presentato, troppo impegnato in esperimenti e studi, a sua detta, incredibilmente innovativi. In compenso, però, la rossa aveva finalmente fatto la conoscenza della sorella minore di William.

-Lo definisci nonnulla, Gideon?- domandò, con una nota di disappunto nella voce, Charlotte. Il suo tono acuto risuonò dall'ufficio distante, ma le parole risultarono comunque ben chiare a tutti i ragazzi -Non è decisamente un nonnulla.- intervenne nuovamente. Nessuno rispose e, dopo pochi istanti, la figura esile della donna fece capolino sulla soglia della sala da pranzo. Aveva indosso un abito lungo e dai toni scuri, che si intonava molto bene con i suoi lunghi capelli.

-William è sparito, e solitamente, quando lo fa, riappare prima di pranzo.-

Clarissa, in un primo momento, fu certa che nelle parole della donna fosse racchiuso un netto sarcasmo. A questo proposito, poi, cadde quasi nel pessimo errore di ridere. Infondo, a New York, chi mai si sarebbe preoccupato di un ragazzo svanito da cinque o sei ore? Poteva essere uscito, poteva essere andato da amici e, ad ogni modo, si disse con franchezza la ragazza, William era o no un Nephilim di tutto rispetto, con  marchi e quant'altro? Insomma, proprio non riusciva a concepire tutto quell'allarmismo. Le sembrava che il solo  a ragionare fosse Gideon Lightwood. Anche se, da quanto aveva potuto dedurre durante le presentazioni, tra lui e Will non scorreva esattamente buon sangue e, probabilmente, a rigor di logica, non gli sarebbe poi dispiaciuto così tanto venire a sapere dell'improvvisa scomparsa del giovane Herondale.

Clarissa,  tenendo lo sguardo fermo sul proprio piatto ormai vuoto, corrugò la fronte. Lì il capo era Charlotte, e quindi era a lei che doveva dare ascolto. E quindi William era in pericolo. Sospirò profondamente e, sentendosi particolarmente inutile, decise di intervenire.

-William se ne va via spesso  senza...- si prese una pausa e, nel farlo, constatò come tutti ora la stessero osservando. Deglutì  a vuoto. -Senza dire nulla?-

-Molto più spesso di quanto immagini.- intervenne la voce giovane e squillante della bellissima ragazza mora seduta poco distante da lei. Si trattava di Cecily Herondale che, per quanto giovane e nuova -da ciò che a Clary era stato riferito- ai combattimenti, era sempre pronta e determinata nel raggiungere i propri scopi.

-È davvero stressante.- aggiunse dopo poco sempre la giovane dai capelli color dell'ebano, portandosi gli indici alle tempie e prendendo a massaggiarsele  -Se avessi saputo che mio fratello è un tale idiota, probabilmente non lo avrei mai raggiunto.-

-Bugiarda.- intervenne James, sorridendo alla ragazzina con fate comprensivo -Lo avresti raggiunto eccome. Tieni troppo a lui e, per quanto all'apparenza possa non sembrare, anche lui tiene follemente a te.- e, nel dire questo, il giovane color dell'argento indicò la figura minuta di Cecily. Clarissa non potè evitare di fare cadere l'occhio sulla sua mano magra e bella, non più guantata come lo era stata la mattina stessa, quando aveva intravisto il sangue macchiarne la superficie. Istintivamente, si domandò dove mai potesse essere stato riposto il guanto, se lavato o mandato a bruciare. Perché, da ciò che la rossa aveva capito, Zaccaria non aveva intenzione di andare avanti biasimandosi per la propria malattia, o per farsi compatire. Sembrava quasi intenzionato a celarla. Si domandò se Tessa fosse al corrente di quei suoi piccoli comportamenti ma, proprio in quel momento, il rumore sordo di una sedia che cade sul pavimento freddo e duro, la fece voltare.

Vide Cecily in piedi, le mani piccole serrate in due pugni ricolmi di velenosa collera. le sopracciglia erano puntate verso il basso, e gli occhi blu brillavano per le lacrime represse.

-Tenere a me?- gridò poi, esasperata -Se davvero tenesse a me, dovrebbe dimostrarlo, non credi, Jem? Ed invece sparisce e torna ubriaco,  come sempre.- la ragazza sospirò pesantemente -Solo a te e Tessa vuole bene. Solo a voi due.- mormorò senza fiato, prima di lasciare la stanza.

La porta si racchiuse oltre le spalle della giovane, provocando un forte boato. Clarissa non disse nulla, ma si limitò invece a guardare confusa prima James, con l'espressione  triste ed il respiro fiacco, e poi Tessa, che teneva lo sguardo basso e gli occhi chiusi. Sentì Charlotte sospirare spossata, poi prendere a camminare a passo spedito verso la porta, decisa a raggiungere la ragazzina. Gideon  restava immobile come sempre, lanciando sguardi imbarazzati e rari verso Sophie. La rossa lo aveva notato ma, non avendo mai davvero intrapreso una conversazione con il ragazzo  Lightwood, aveva preferito non dire nulla a riguardo. Più di altri, erano i problemi di William a  prenderla particolarmente e, probabilmente, semplicemente perché si trattava di un Herondale  e, prendersi cura di quel piccolo spicchio di Jace, forse, l'avrebbe aiutata a sentirsi meno distante da quest'ultimo.

-William...- azzardò Clarissa non appena il silenzio tornò sovrano della stanza -Lui si ubriaca davvero tanto spesso?-

-No.- intervenne con sicurezza Tessa -Non lo fa quasi mai, è solo...- Non proseguì. Si morse il labbro inferiore. Fu James a parlare.

-Non sappiamo davvero cosa fa quando sparisce. La storia dell'alcol... Quello è semplicemente ciò  che ci racconta lui.- disse  il ragazzo in un mormorio, cercando di ostentare un sorriso sincero, risultando solo che estremamente afflitto.

-Questo non vi porta a dubitare di lui?- a parlare, sorprendentemente, fu Gideon Lightwood  che, molto più coraggioso della piccola Morgenstern, pronunciò ad alta voce quelle parole. Parole che Clarissa non aveva detto perché timorosa di potere risultare troppo estremamente vigliacca ed ingrata. James sorrise.

-Tu non conosci William. Lui ci mente, ma sono certo che lo faccia per una ragione.- prese una pausa, nella quale si versò un bicchiere di semplice acqua -Lui... Lui è sempre stato schivo, ma lo è soprattutto perché è sempre troppo occupato a pensare agli altri.- bevve -Si è erto un muro attorno, è vero, ma sono certo che lo abbia fatto per una valida ragione. Come sempre.-

Clarissa sorrise nell'udire quelle parole,  nel vedere in esse Zaccaria, il ragazzo che aveva combattuto al loro fianco. Tessa, invece, cercò la mano del futuro marito sotto il tavolo. La avvolse con la propria, e respirò forte. Sapeva che Jem aveva ragione, e sapeva anche di essere stata l'ultima ad avere visto o parlato con Will prima della sua scomparsa. Sapeva che se il moro non era lì, era solo perché si era sentito in dovere di non mettersi in mezzo.

Magnus si  fece strada tra le innumerevoli viuzze che affiancavano il Tamigi. Persino da lì, vicino alle sponde del fiume, poteva sentire il disgustoso olezzo di sesso, droga ed alcol. Perché lì, negli angoli più odiati di Londra, erano sistemati bordelli,locali di spogliarelliste, fumerie d'oppio ed osterie tra le peggiori.

Magnus non era abituato a frequentare luoghi del genere, molto più avvezzo agli sfarzi dovuti ai palazzi od alle meravigliose arie che venivano intonate durante i gran galà, eppure era lì, con il cappotto allacciato sino all'ultimo bottone ed un cappello scuro a nascondergli il viso. Non poteva permettere che qualcuno lo riconoscesse; a Londra, città così venduta e così attenta alle apparenze, le dicerie erano tutto. E, meno ce ne fossero state su di lui, meglio sarebbe stato. Detestava  l'idea di potere apparire scialbo e disgustoso, simile ai nuovi ricchi che sperperavano in droghe di poco conto intere eredità. Lui non era così; non che non apprezzasse i vizi e le piccolezze nati per svagarsi, ma era abbastanza intelligente da non mostrarsi in pubblico mentre ne faceva uso. Cadeva nella tentazione del fumo d'oppio solamente se a casa, alle volte insieme a Woosley ed altre solo. L'alcol veniva offerto alle serate, e di spogliarelliste o bordelli non ne aveva certamente bisogno.

Ma infondo, si disse teso, non era lì per fare un favore a se stesso, ma per trovare William. La lettera proveniente dall'Istituto aveva parlato estremamente chiaro; William Herondale, per l'ennesima volta, era svanito. Inutile dire che Magnus aveva all'istante indovinato la ragione di tale folle fuga: Tessa. Ormai  conosceva il cacciatore  da abbastanza tempo da avere capito come la sua mente  ragionasse e, a questo proposito, tutto girava attorno alla bella bruna, Theresa Gray. Di recente, in particolare, la situazione era precipitata; da quando la ragazza si era fidanzata con James Carstairs tutto, nella vita di William, aveva preso a girare storto, senza più il solito filo comune. Se prima c'era sempre stato James, ora era proprio quest'ultimo la fonte del suo travaglio. E non poteva dirglielo.

E così, asfissiato dalla propria costrizione al mutismo, Will aveva preso a frequentare squallidi locali nei dintorni di Whitechapel, a fumare oppio ed a bere moltissimo. Ed era sempre Magnus a trovarlo, portarlo via, ripulirlo  e togliergli l'odore di alcol di dosso. E nessuno sospettava nulla.

Will si stava uccidendo.

Entrò in un locale dall'insegna consumata e con un paio di donne mezze nude sulla soglia. Sorprendentemente, non era un bordello. Pagò poche monete per entrare e, una volta nell'ingresso, avvolto dai fumi pesanti e penetranti dell'oppio,  si fece avanti. Si trovò innanzitutto in una stanza ai cui lati erano sistemati più  e più divani in velluto rovinato, logoro e macchiato. Lo stregone li sondò uno ad uno, timoroso di trovarvi sopra William, magari completamente preso da una qualche  allucinazione. Fortunatamente, non era lì. Nel proseguire nella seguente stanza, andò a sbattere contro ad un uomo robusto ed alto, in preda a grida disumane, convinto di essere assalito da squali affamati e dai denti aguzzi. Nel tentativo di allontanare l'illusione, si graffiò più volte la sua stessa pelle sino a farla sanguinare.

Presto il moro si  ritrovò nella stanza adibita a pub, dove subito notò la figura di William  a terra, vanamente aggrappata alla gamba di un tavolo, con il mondo che gli vorticava attorno ed un disperato sorriso sulle labbra. Magnus sospirò forte e, una volta al suo fianco, cercò il suo sguardo. Lo notò disattento e distratto. In compenso, però, era cosciente.

William si stava uccidendo, di nuovo.

-William...-

-Magnus!- sorrise il cacciatore, prendendo a ridere senza controllo, la voce strascicata ed i capelli fradici di birra, probabilmente. Lo stregone la trovò una scena davvero pietosa.

-William, dobbiamo andare a casa.-

Il sorriso si sciolse dalle labbra carnose e  belle del cacciatore che, in disaccordo con l'amico, tentò di spingerlo via. Fu un tentativo vano.

-No, io non vado!- esclamò Will, prendendo un forte respiro -Oppio, ne ho bisogno.-

-Cosa? Sei ubriaco, non sai quel che dici.- disse semplicemente Magnus, afferrando l'altro per la spalla e costringendolo ad alzarsi. Gli permise di appoggiarsi al suo corpo, e mosse poi un passo verso l'uscita -noi ora ce ne andiamo. Non ti serve assolutamente a  niente drogarti. Sei ridotto davvero male...-

-Zitto!- lo intimidì Will, pur barcollando -Io ne ho bisogno. Mi servono le visioni ed i sogni e... E Tessa.- un singhiozzo lo divorò -Dio, stanotte volevo baciarla tantissimo...- mormorò infine, quasi si trattasse di una confessione di omicidio, con tutto l'astio che un pentito proverebbe nei suoi stessi cofronti.  Magnus capì. Roteò il proprio sguardo felino al soffitto e tornò ad afferrare William.

-Tu ami Tessa. È normale desiderare cose del genere. È normale anche se lei si sposerà con James.-

-Nei miei sogni lei si sposa con me... E mi dice che mi ama, e che andrà tutto bene.- mormorò il cacciatore -Mi serve l'oppio...- ma questa volta, nel dirlo, William aveva perso tutta la propria spavalderia.

Accompagnato da Magnus, camminò sino all'uscita. Ormai era sera.

-All'Istituto ti aspettano tutti, Will. Charlotte mi ha mandato una missiva... Poi ci sono tua sorella...-

-Cecily.-

Lo stregone annuì -E Clarissa...-

-Mi piace Clarissa.- mormorò in modo quasi incomprensibile Will. La bocca sembrava anestetizzata e malapena si muoveva -È simpatica, bella ed è mia amica. So che deve tornare in America, ma vorrei che rimanesse qua.-

-Lei...- mormorò Magnus -Ho visto che ridi con lei.-

Ma Will non rispose. Forse non aveva sentito, si disse lo stregone, troppo assorto dai propri pensieri.

Camminarono a lungo, e solo quando la sbronza parve svanire, Magnus ripulì e rinfrescò William e, con un sorriso ed un saluto cordiale, lo rispedì veloce all'Istituto.

Varcò la soglia dell'Istituto sentendosi quasi bene. La testa aveva smesso di girargli in modo tanto frenetico, ed ora, della sbronza, non gli restava che un lieve senso di  leggerezza. Riusciva a camminare in modo normale, e la sensazione di fastidio allo stomaco era finita. Doveva certamente ringraziare Magnus per averlo salvato, ma non era quello il momento. In quell'istante la sola cosa che contava era che doveva sembrare normale, sorridere a chiunque avesse incontrato dentro, e risultare quanto più William-arrogante-Heronale gli fosse possibile.

All'ingresso non vide nessuno e, preso dalla fame, decise di dirigersi innanzi tutto verso la cucina. Delle voci, però, lo costrinsero a fermarsi prima ancora di varcarne la soglia. Affilò lo sguardo e vide, l'uno abbracciato all'altra, Jem e Tessa, rivolti dal lato opposto rispetto a lui, così da non vederlo. Li sentì mormorarsi qualcosa e poi, d'improvviso, le labbra di Tessa, morbide e piene, che lui stesso aveva, a suo tempo, assaggiato, si scontrarono con quelle sottili e pallide di Jem. Li vide abbracciarsi, nel mentre, e cercarsi, e qualcosa dentro lui si ruppe dolorosamente. Sentì il suono sordo del proprio cuore andare in pezzi.

Non facendo alcun rumore, William si voltò  e camminò nuovamente in direzione dell'uscita. Non gli importava nulla. Al Diavolo Magnus che lo aveva aiutato! Al Diavolo tutto! Sarebbe andato in una fumeria e sarebbe affogato in un'illusione, vi sarebbe morto, con il cervello fritto ed un sorriso sulle labbra.

Camminò spedito sino all'ampia porta, ma non andò oltre. Proprio di fronte a lui, conscia di ogni cosa, c'era Clarissa. Aveva indosso la veste da notte e lo guardava delusa, a braccia conserte. Sembrava una bambina furiosa. Solamente che era bellissima.

-Non andrai da nessuna parte, Will.-


TBC.

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