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Questione d'abitudine

Mapenzi ni hakika, hupanda na kushuka.

L’amore è certo, scende e sale.

*

Il venerdì mattina passare sei ore in ufficio era una tortura a cui non avrebbe mai voluto sottoporsi.

Lo stress della settimana, accumulato sulle sue spalle, lo rendeva gobbo e chino alla scrivania a sistemare le ultime scartoffie.

Si consolò con l’idea che fosse ora di stimbrare, anche se quella consapevolezza non riuscì a rasserenarlo come avrebbe sperato.

Dopo un’intervista più infelice del solito che era riuscito a scucirgli il Fatto Quotidiano, l’attenzione dei media si era concentrata su di lui con tutto il corollario di domande moleste e inopportune. Come se non bastasse, Raffaele aveva perso una causa importante, lui aveva avuto un episodio maniacale antipatico in cui aveva sputato le sue solite stronzate di cui si era pentito subito, e il clima in casa si era fatto tanto pesante da diventare irrespirabile.

La cosa peggiore di tutte era che Raffaele, nei suoi confronti, era stato… diverso.

Si era intiepidito, non era più stato affettuoso, capitava che rispondesse con irritazione senza nessun motivo e Nuru poteva percepire sulla pelle la distanza tra loro che si allungava, solo pensarci lo terrorizzava.

Non voleva finire come quelle coppie al capolinea che restavano insieme per abitudine e noia. Non voleva finire per tollerare a malapena o addirittura odiare la persona più importante della sua vita.

Salutò i colleghi e uscì in strada. Non aveva la patente, avrebbe preso la metro diretto a casa e si sarebbe preparato a strapparsi il cuore osservando impotente l’amore sfuggirgli via tra le dita.

Controllò le notifiche sul telefono con aria distratta, ma al suono di un clacson che lo fece sobbalzare alzò gli occhi.

L’auto di Raffaele era là, in sosta con le quattro frecce, con due ruote sul marciapiede e uno sportello spalancato.

«Vuoi un passaggio?»

Aggrottò la fronte, sorpreso. «Che ci fai qui?»

Saltò su e chiuse lo sportello un po’ troppo forte. Si allacciò la cintura nel momento in cui Raffaele si immetteva nel traffico. Lo osservò, teneva gli occhi fissi sulla strada evitando di guardarlo, ma dopo che infilò la terza spostò la mano dalla leva del cambio e gliela posò sulla gamba.

«Ho pensato di farti una sorpresa. Ti do fastidio?»

Nuru intrecciò le dita con le sue. Certo, quel piccolo gesto non era come limonare con due metri di lingua, ma fu comunque… intimo. Più di tutte le altre cose che avevano fatto in quei giorni. Si osservò la mano che teneva nella sua come un tesoro, come il primo premio di un gioco difficilissimo e durato sin troppo.

«No, certo che no» rispose, e quando l’auto superò il solito incrocio procedendo spedita anziché svoltare a sinistra, sbatté le palpebre e si girò per guardare la direzione giusta che si allontanava. «Stai sbagliando strada, ti sei accorto?»

«Oh, no. Non stiamo andando a casa.»

«E dove andiamo?»

«Al mare.»

Quella risposta lo lasciò senza parole per qualche attimo. «Amore» mormorò, dopo un’iniziale esitazione, «siamo a Milano.»

«Ed è per questo che abbiamo più tre ore di autostrada davanti. Andiamo a Corniglia!» esclamò, per poi aggiungere: «Alle cinque terre, in Liguria. Torniamo domenica sera.»

«In Liguria? Domenica sera?»

Raffaele si schiarì la voce, in imbarazzo. Non l’aveva guardato neanche una volta da quando si era seduto sul sedile del passeggero. «Non voglio rapirti, okay? Se non ti va ti porto a casa, facciamo ancora in tempo.»

«Non è che non mi va, ma non… non ho neanche un cambio, o lo spazzolino, o il caricabatterie…»

«Ho fatto la valigia per entrambi.»

«Scusa, ma… perché?»

«Te l’ho detto, io… volevo farti una sorpresa. E volevo anche… volevo stare un po’ con te. So che viviamo insieme, ma…» sospirò. «Mi manchi.»

Aveva parlato a voce bassa, come se si vergognasse. Quelle parole, il tono mortificato, lo sguardo fisso sulla strada che rifuggiva il suo, tutto gli fece tremare le costole e gli strizzò il cuore in una morsa dolorosa.

Raffaele aveva riportato la mano sul cambio per salire di marcia, Nuru desiderò averla ancora nella sua e poterla stringere.

Allora non era l’unico ad aver percepito quella distanza che lo spaventava.

«Mi manchi anche tu.»

Per la prima volta da quando erano partiti, il ragazzo spostò gli occhi verso di lui. Nuru notò che erano lucidi.

Raffaele si schiarì la voce un’altra volta e tornò a rivolgersi verso la strada trafficata. «Ti dispiace se mettiamo musica?»

«No, quando mai?»

«Attacca tu il mio telefono, allora, e metti Spotify.»

«Che canzone vuoi?»

«Scegli tu. Mi fido.»

Quella dichiarazione gli fece venire da ridere. «E fai male! Sai che non ne capisco un cazzo.»

«Dai, su, qualcosina ora l’hai imparata anche tu.»

Quella frase era vera solo in parte. Certo, gli anni in cui non aveva avuto quasi accesso a internet, da più giovane, gli avevano impedito di farsi una cultura musicale. Anche quando poi era riuscito ad avere la tecnologia non aveva mai avuto voglia di colmare la lacuna. Aveva assorbito in modo passivo qualche gusto di Raffaele, abituandosi a sentire le canzoni che ascoltava lui, anche se i suoi amici dicevano sempre che si trattava di tamarrate senza cultura.

A Nuru non importava molto, le canzoni di Raffaele gli sembravano orecchiabili e lo aiutavano a fare vagare la mente e non pensare, non sentiva il bisogno di ascoltare musica impegnata.

Scelse una canzone a caso di Elodie e chiuse gli occhi, abbandonandosi al sedile senza neanche concentrarsi sul testo.

Lasciò che lo stress accumulato in quella settimana di lavoro e nell’ultimo mese a casa gli scivolassero via dalle spalle e inspirò una boccata d’aria che gli gonfiò i polmoni ed espanse il petto.

Sentì i muscoli che si scioglievano, le contratture che si rilassavano, e si godette quel momento, con il cuore che batteva seguendo il ritmo della canzone e con la consapevolezza di trovarsi al sicuro.

Quando riaprì gli occhi erano già passate cinque canzoni, notò che si trovavano in autostrada. Raffaele teneva entrambe le mani sul volante, ormai lontano dal traffico, così gli porse una mano e lui la afferrò. Diede una stretta forte, e a quel gesto anche il ragazzo parve rilassarsi, seduto al posto di guida.

«Sono contento» gli disse, portando le loro mani intrecciate di nuovo sulla sua gamba.

Raffaele sorrise. «Meno male. Quello che volevo era farti contento.»

«Non sono mai stato in Liguria…»

«Ti piacerà molto. Certo, la spiaggia non è una distesa di sabbia bianca con le palme al vento come Mombasa Beach, però ha un fascino tutto suo. Ho prenotato in un albergo carinissimo una camera carinissima, non vedo l’ora di mostrartela. E dobbiamo anche decidere dove mangiare!»

«Non l’hai cercato tu?»

«No, ho pensato che ti avrebbe fatto piacere deciderlo insieme.»

Un’ondata di tenerezza lo investì, e sorrise. «Cerco su TripAdvisor i migliori ristoranti di… come si chiama?»

«Corniglia.»

«I migliori ristoranti di Corniglia, vediamo…» borbottò, smanettando sul suo cellulare. «Ti va un sushi? Ce n’è uno con un sacco di recensioni promettenti.»

«Se non ti dispiace, preferisco farti mangiare qualcosa di tipico.»

«Mh» commentò, per acconsentire alla proposta. «Che mangiano di buono in Liguria?»

Raffaele soffocò una risatina. «Pucciano la focaccia nel cappuccino.»

«Ma dai!» esclamò, senza riuscire a trattenere una smorfia. «Cerco un sushi, va’, che è meglio…»

L’altro scoppiò a ridere. «Non fare così! Sto scherzando… cioè, lo fanno davvero, ma non devi mangiarla per forza. E poi in Italia il cibo è buono ovunque…»

«Ma sentitelo! Da quando sei così nazionalista?»

«Andiamo, sai che ho ragione!»

«Non so, ho sempre preferito la cucina francese.»

Il singulto improvviso di Raffaele lo fece saltare sul sedile. «Come ti permetti? Ritira subito quello che hai detto! Ti farò togliere il visto da rifugiato politico…»

«Sei davvero incredibile, lo sai?»

«Ma davvero preferisci il cibo francese?»

«Ti interessa così tanto?»

«Sì, voglio saperlo! Ne va del nostro futuro insieme!»

«Cretino… comunque non conosco abbastanza il cibo francese per decidere. Ho detto solo una cosa a caso che ti avrebbe dato fastidio» Raffaele aprì la bocca per protestare, così si affrettò ad aggiungere: «Però sono sicuro che il cibo italiano è molto meglio.»

«Ecco, vedi? Anche tu ci arrivi, coi tuoi tempi…»

«Com’è andata in ufficio, stamattina?»

Raffaele alzò gli occhi al cielo e mugugnò un lamento. «Domanda di riserva?»

«Hanno fatto gli stronzi?»

Lui si strinse nelle spalle. «Da quando ho cannato l’ultima mi stanno col fiato sul collo.»

«Bastardi.»

«Fanno bene.»

«Amore, è normale per gli avvocati perdere le cause. Non c’è nessuno che non ne perde manco una.»

«Ma questa era importante.»

«Ne vincerai di più importanti.»

«Già, come no» sibilò, asciutto. «E chi lo dice? Tu?»

«Sì! Lo dico io che ti conosco, e so quanto studi, e ti impegni, e ci tieni–»

«Tutte cose molto belle ma che non interessano a nessuno.» Attese qualche momento prima di aggiungere: «Scusa, sono antipatico. L’ho detto che volevo la domanda di riserva.»

La sua voce da un momento all’altro si era fatta tremula e Nuru fece per scusarsi a sua volta, poi vide una lacrima che gli scivolava giù per la guancia. «Ehi. Ehi, non fare così… accosta un attimo, dai.»

«No, no, che non arriviamo più. È solo un po’ di nervosismo accumulato, non è nulla.»

«Non voglio che… non credevo stessi così male.»

«Starò meglio. Siamo insieme. E poi non sto così male.»

Nuru strinse la sua mano, la portò alle labbra e le stampò un bacio sul dorso. Poi un altro. Poi un altro. Raffaele prese una tagliente boccata d’aria.

«Meglio?»

«Sì. Grazie.»

«Dai, domani a colazione bagno la focaccia nel cappuccino, promesso. Scommetto che è più buona di quello che sembra.»

Il problema era che, anche se avesse fatto schifo sul serio, la avrebbe mangiata tutta comunque. Si sarebbe mangiato anche l’uranio impoverito per farlo tornare a sorridere.

«Lo cerchi un ristorante tipico per me?»

Ricordò di aver abbandonato TripAdvisor a se stesso. «Certo. Ora decidiamo dove andare a cena stasera.»

«Dovremo fermarci in autogrill a pranzo. Tu hai fame? Pensavo che potremmo prenderci qualcosa tra un’oretta e mezza, circa a metà strada.»

«Non ho fame, un’ora e mezza va bene.»

Come un bambino con sete di attenzioni, fu Raffaele a premere la mano sulle sue labbra. Nuru sorrise e ci stampò un altro bacio a schiocco.

«Chissà se hanno la crostata con le fragole. All’Autogrill, dico. Di solito ce l’hanno. Ne ho voglia.»

Nuru si sfregò quella mano contro la guancia in un gesto affettuoso. «Speriamo.»

«Dai, leggimi i ristoranti che trovi su Trip! Però quelli di cucina tipica.»

«Sì, sì, giusto. TripAdvisor. Hai ragione.»

Per qualche motivo, finiva sempre per distrarsi. La verità era che in effetti era da un po’ che non parlava sul serio con Raffaele, e sì: gli mancava.

«Magari trovaci anche qualche piano B. Non siamo proprio in stagione, qualche posto potrebbe essere chiuso.»

«Ma sì… siamo a maggio, fa bel tempo ed è appena iniziato il weekend. Vedrai che i posti che ci piacciono sono aperti.»

Stilarono il piano d’attacco includendo ogni ristorante, bar, stand, bistrò in cui intendevano mangiare in quei giorni e anche qualche riserva.

Si fermarono all’Autogrill dividendosi a metà entrambi i panini che preferivano, e Raffaele parcheggiò all’ingresso del paese quando era appena l’ora del tè.

L’aria pulita, più frizzantina di quella di Milano, colmò i polmoni di Nuru e gli iniettò in vena una nuova energia.

«Spero non ci sia nessuno» confidò Raffaele, quando con i trolley che schioccavano sui ciottoli del centro si avviarono verso l’albergo e il lungomare. «Se mi chiedono una foto è la volta che ho un crollo di nervi.»

La strada si allargò in una piazzetta con un balcone che aveva vista sul mare. Faceva un po’ di fresco ma il cielo era senza nubi, il sole si rifletteva sulle acque increspate di un blu intenso.

Raffaele aveva ragione, Mombasa Beach non aveva nulla a che vedere con ciò che stava guardando.

Nuru era già stato al mare, in Italia. Era stato a Sorrento, e nel Salento, e in Costa Smeralda, e tutti quei posti condividevano le meravigliose e sterminate distese di sabbia bianca e l’acqua cristallina che lui tanto amava, la sua perfetta “idea di spiaggia”.

Quel posto era diverso. Si trovavano abbarbicati a picco sul mare, e in fondo allo strapiombo c’era una spiaggia rocciosa, dai sassi grossi e scuri, e l’acqua per quanto limpida aveva il blu profondo del cielo alla fine del crepuscolo.

Era tutto così… «Romantico, non è vero?»

Nuru si voltò. Raffaele lo stava osservando, sembrava provato e stanco. Dopo l’incidente non reggeva le camminate tanto lunghe, e benché Nuru si fosse trascinato dietro entrambe le loro valigie aveva l’aria sbattuta.

Sorrideva, e Nuru pensò che avrebbe voluto baciarlo.

Certo, nei giorni passati l’aveva fatto. Al mattino appena sveglio, e tornato a casa dall'ufficio, e talvolta la notte prima di dormire.

Sempre un bacino veloce, distratto, a stampo, dato senza nemmeno accorgersene.

Dio, quanto voleva baciarlo davvero.

Non l’avrebbe fatto. Nessuno aveva fatto caso a loro, ma c’era qualche passante per la strada, e Raffaele aveva smesso di amare le effusioni in pubblico da quando aveva capito che attiravano i curiosi e – peggio ancora – i paparazzi a caccia di foto da schiaffare nei tabloid.

«Ti ho portato qui perché volevo farti contento» gli disse, come aveva già anticipato durante il viaggio. «Ho notato che negli ultimi tempi non lo sei.»

«È un periodaccio, ma passerà.»

«È un brutto periodo anche per me. Mi dispiace non esserti stato vicino. Anzi, ho peggiorato le cose.»

«Non importa. Anche io mi sono comportato male.»

«Sì che importa. Voglio essere gentile con te. Te lo meriti.»

«Amore, va tutto bene. Siamo stressati, è normale avere un po’ di alti e bassi.»

«Volevo fare qualcosa di speciale con te perché stare insieme a te è speciale. Tu sei speciale. Quello che abbiamo è speciale. Non voglio rischiare di dimenticarlo mai più. Non voglio che te lo dimentichi neanche tu.»

«Come potrei dimenticare che sei speciale? Guardati.»

Che folle che era stato, ad avere paura di stare con Raffaele per noia. Lo vedeva, allora, quanto era impossibile. Non c’era niente di noioso nel ragazzo che aveva davanti, mai, non era qualcuno a cui ci si poteva abituare e basta.

«Ti amo.»

«Ninakupenda

«Non devi dirlo per forza, se non vuoi. Non mi offendo.»

«Non lo dico per forza. Ninakupenda. Sana sana. Milele. Capito?»

Raffaele accennò una risata. «No, non ho capito un cazzo, e tu lo sai benissimo.»

«Certo che qualche parola di swahili la potresti pure imparare» lo sgridò, ma sorrideva.

«Non sono portato per le lingue.»

«Non sei portato per le lingue, non sei portato per la matematica… inizio a pensare che sia solo un po’ tonto.»

«Vaffanculo» sussurrò lui, poi si protese un po’ in avanti e lo baciò.

Nuru non perse tempo a essere sorpreso. Se Raffaele aveva deciso che gli andava di baciarlo in pubblico, tanto meglio così.

Chiuse gli occhi, lo strinse forte tra le braccia, e fu in pace. Sentì che Raffaele premeva per approfondire il bacio e lo assecondò con gioia, drogato del soffio caldo del suo respiro sulla pelle.

Chi si sarebbe mai abituato a sentirsi così? Col cuore gonfio, le mani tremanti, il fiato corto e una tanto disperata voglia di avere qualcosa che gli era stata offerta con un tale entusiasmo?

Il rumore ritmico e rilassante del mare in lontananza lo cullava, la brezza gli pizzicava la pelle resa bollente dal fuoco nel petto.

Era dolce. Tenero. Familiare. Gli era mancato così tanto...

Attraverso le palpebre chiuse, fu accecato dal flash di una fotocamera. Si irrigidì e aprì gli occhi, tenendo il ragazzo stretto a sé in un gesto istintivo.

Fece per voltare la testa in cerca di qualcuno da insultare, ma Raffaele lo precedette. «Non mi importa. Non mi importa, ignorali, non mi importa. Solo tu e io, va bene? Solo noi.»

E che miracolo era mai questo? Raffaele Fontana che ignorava i paparazzi piuttosto che spolparli coi suoi denti affilati?

«Solo noi» acconsentì, lo abbracciò forte. «Solo noi.»

Raffaele si strinse a lui, e Nuru gli diede un bacio tra i capelli. Voleva proteggerlo, schermarlo da tutti gli occhi indiscreti del mondo, tenerlo felice e al sicuro.

Voltò un attimo lo sguardo verso la direzione del flash. Nessun paparazzo, solo due ragazzine liceali che ridacchiavano e mandavano in chissà quale chat di gruppo la foto che avevano appena scattato.

Questo lo consolò, mentre chiudeva ancora le palpebre e tentava di isolarsi nell’intimità di quel momento.

Solo tu e io, aveva detto Raffaele. Solo noi.

Alla fine, quando doveva ridurre tutto alle cose importanti, non restava mai nient’altro che questo: lui e la persona che amava.

Non l’avrebbe scordato mai più.

Note autrice
Voi chiederete: “Così? D’emblée? Senza preavviso alcuno?”
E io risponderò: “Eh già :D”
Scusate, ma lo sapete che quando non so che pesci pigliare me ne torno con la coda tra le gambe da questi due.
Sto attraversando un periodo un po’ così per quanto riguarda la scrittura, devo dedicarmi a un progetto ma l’ispirazione scarseggia, mi sono imbarcata in qualcos’altro ancora di cui non sono però affatto sicura, e alcuni feedback mi hanno un po’ sfiduciata, devo dire.
Tornare qui su questa storia è un po’ la mia zona di comfort, quindi eccomi qui.
Nuru e Raffaele coi loro problemi di coppia che risolvono con maturità e tenerezza perché sono tanto innamorati mi tirano sempre su di morale! Forse è una oneshot un po’ senza senso e melensina, ma non mentirò cercando di nascondere il fatto che l’ho scritta per nessun altro scopo se non perché avevo voglia di farlo.
E poi dai, è sempre interessante vedere come gestiscono la fama e le nuove dinamiche della loro vita dopo l’epilogo.
Ora sapete persino che Raffaele ascolta Elodie!
E voi?
Team “spiaggia rocciosa” o “sabbiosa”?
Ma, soprattutto, team “focaccia nel cappuccino” o team “allontanami questa schifezza immonda”?

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