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Verso l'epicentro

Il primo giorno in cui la guerriera gli aveva annunciato che sarebbe uscita per cercare del cibo, Ledah era a malapena consapevole di dove si trovasse e di cosa fosse successo. Della sera precedente conservava solo alcuni frammenti: il piacevole torpore in cui era scivolato, la voce dolce che lo chiamava. Stava per lasciarsi andare, quando qualcosa l'aveva riscosso; aveva aperto gli occhi, tutte le cose attorno a lui erano sfocate. Come in un sogno, aveva incrociato lo sguardo della guerriera, uno sguardo colmo di disperazione e paura. Gli stava dicendo di non dormire. Avrebbe voluto rassicurarla, dirle che stava bene, ma sentiva le forze venirgli meno. "Sto per morire" aveva pensato prima di riscivolare in quel dolce sonno. Poi un dolore straziante l'aveva riportato brutalmente alla realtà. Aveva urlato, cercando di scostare quella cosa rovente che gli stava bruciando la carne, ma non era riuscito a liberarsi dalla presa della guerriera. Lentamente il buio l'aveva avvolto, trascinandolo in un sonno senza sogni.

Non seppe per quanto rimase incosciente,il tempo in quella dimensione onirica non sembrava esistere. Sentiva solo la perenne presenza di lei e, nei pochi momenti di lucidità, la vedeva stesa difronte a lui, gli occhi bianchi che non tradivano alcuna emozione. Ora stava per uscire a cercare qualcosa da mangiare. Ledah sorrise. " Se ne sta andando. Sono diventato un peso e se ne sta per andare". Airis si avvicinò e lo guardò dritto in volto

-Tornerò. Non ti lascerò morire.- gli pose vicino la borraccia, senza distogliere gli occhi dai suoi, quasi a volerlo rassicurare che non stava mentendo – Cercherò di fare più in fretta che posso – concluse dirigendosi verso l'uscita.

La luce accecante del sole graffiò gli occhi socchiusi dell'elfo mentre lei spariva, come inghiottita da quel bagliore. Ledah sbattè le palpebre, cercando di mettere a fuoco la sua figura, ma il torpore che lo accompagnava da giorni non accennava a lasciarlo. Era come in uno stato di dormiveglia perenne e spesso l'incoscienza lo trascinava verso l'abisso del sonno. L'unica cosa di cui era certo e che era una giornata afosa, che il calore sprigionato rendeva l'aria irrespirabile, ma il tempo sembrava essersi fermato, inghiottito come tutte le cose nell'esplosione. In alcuni momenti ripensò che lei non sarebbe mai tornata, che il fatto di andare a procurarsi del cibo fosse solo una scusa per abbandonarlo. D'altronde era un'umana no?

Il crepuscolo sopraggiunse più velocemente di quanto si aspettasse, accompagnato dal refrigerio della notte. Ledah guardò pigramente verso l'entrata della caverna per l'ennesima volta, poi sorrise amaro.

"Come volevasi dimostrare,degli umani non ci si può fidare".

La sonnolenza stava di nuovo accompagnandolo nel mondo onirico, quando udì un rumore di passi sempre più vicino e concitato. Ledah tentò di alzarsi, ma sentiva la testa pesante. Allungò la mano verso la daga vicino al focolare, ma quando tentò di afferrarla,essa svanì.

"Ho le allucinazioni... sono ancora troppo debole... " pensò, mentre a tentoni cercava la lama gemella. La strinse e strascicando i piedi si avvicinò all'entrata. Messosi in posizione scrutò nell'oscurità, cercando di distinguere le ombre. Dal folto di una foresta di pietra si fece largo una figura con in mano una spada lunga, di un metallo lucente come l'argento fuso. Ledah strinse l'elsa della daga finchè le sue nocche non divennero bianche, come se quell'improvvisa rigidità potesse risvegliare il suo corpo intontito. L'essere si avvicinò lentamente pronunciando delle parole confuse, incomprensibili. Un'estemporanea riminescenza dello scontro con le creature di qualche giorno prima distolse l'elfo da ogni proposito di provare a capire quelle frasi sconnesse. Facendo appello a tutte le sue forze, scattò in avanti tentando un affondo al cuore. La sua lama scivolò su quella della spada argentea, ma la creatura si scostò all'ultimo facendolo rovinare a terra. Ledah rotolò di fianco e si tirò su a fatica,senza mai distogliere lo sguardo dalle pupille bianche e vuote dell'avversario. Ignorando i crampi per l'improvviso sforzo, tentò un secondo attacco. L'essere parve sorpreso e indietreggiò nell'istante in cui la lama morse la leggera stoffa della sua veste. "Non è ancora il mio moment-" non riuscì a concludere il pensiero perchè un dolore allo sterno gli tolse il respiro. Nel momento stesso in cui le sue ginocchia cedettero, una forte presa sul polso lo costrinse a lasciar cadere la daga. L'essere avvicinò la spada alla gola. Ledah guardò nuovamente in quegli occhi spenti. Fece per dire qualcosa, ma le sue labbra non scandirono alcuna parola. Poi, lentamente ogni cosa perse consistenza e l'oblio si impadronì di lui.

Quando riaprì gli occhi, l'alba era ormai sorta da un pezzo e Ledah era disteso sulla dura pietra. Si sentiva tutto ammaccato, come se gli fosse passato addosso un'intero esercito di cavalieri.

Si tirò su e si accorse di essere dentro la caverna. - Quindi non sono morto - constatò .

- Certo che non sei morto, brutto pezzo d'idiota, elfo stupido e autolesionista! - quella voce carica di sarcasmo lo fece girare. Airis era davanti a lui, appoggiata al muro, e lo guardava con uno sguardo imperscrutabile. Si avvicinò e gli alzò il mento con un gesto stizzito: - Se volevi farti ammazzare, ci stavi riuscendo benissimo. Avresti potuto dirmelo prima che tenevi così poco alla vita, mi avresti risparmiato un sacco di fatiche. -

L'elfo la guardò sbigottito per alcuni secondi, poi si ravvide: - Non stavo cercando di farmi ammazzare. Uno di quegli esseri stava avanzando verso la caverna e io l'ho preventivamente attaccato. E poi... - ripensò a quello che era accaduto. La spada argentea del guerriero, lo scontro, la sua lama che sembrava danzare al chiaro di luna e poi quegli occhi bianchi...

La ragazza si morse le labbra, forse per reprimere un impeto di rabbia. Improvvisamente, Ledah si sentì immensamente stupido.

- Quindi... eri tu... -

- Oh, allora ci sei finalmente arrivato! - si allontanò, si riappoggiò alla parete e incrociò le braccia al petto, – Mi spieghi cosa ti passava per la testa? Se non ti avessi riconosciuto, a quest'ora la tua testa sarebbe cibo per lupi. -

- Non era mia intenzione ucciderti, davvero. É solo che nell'oscurità non sono riuscito a riconoscerti. Probabilmente ho avuto un'allucinazione e ho creduto fossi una di loro. - concluse.

Airis sospirò: – Ho immaginato. Comunque... - gli indicò un sacchetto alla sua sinistra.

Era in tela, chiuso alla buona da una nastro nero piuttosto slabbrato, come se fosse stato strappato da un abito, e nella sua parte sottostante era sporco di terra. Lo aprì e vide che all'interno c'erano alcune radici e delle bacche di un rosso acceso.

- Non ho trovato altro, purtroppo. Ho camminato per miglia cercando qualcosa di più prelibato, ma è stato tutto distrutto. – si scostò una ciocca ribelle dietro le orecchie, – Dovrai accontentarti. -

Ledah tirò fuori uno di quei piccoli frutti e inspirò inebriato il loro odore dolce e invitante – Non fa nulla, vanno bene comunque. – ne addentò uno suggendo il loro sapore: mai in vita sua quelle piccole bacche gli erano sembrate così deliziose. Gliene porse una anche ad Airis, ma questa scosse il capo in segno di diniego. Mentre affamato divorava la radice, si volse verso di lei: – Senti, come sta la ferita? Quella che ti ho fatto ieri notte, intendo. -

Lei si accigliò un attimo: - Non mi hai nemmeno sfiorata, a dir la verità. -

- No, impossibile. Sono sicuro di averti colpita. – insistette l'elfo. Se lo ricordava perfettamente quel momento: l'aveva colta con la guardia abbassata ed era entrato nella sua guardia.

Airis scosse la testa: – Vedi delle ferite da qualche parte? - si avvicinò per fargli osservare meglio.

In effetti, sembrava completamente indenne e la tunica pareva intatta, a parte poco sotto il costato, dove un taglio piuttosto largo lasciava scoperto un frammento di pelle. Ledah lo artigliò con un dito, facendo trasalire la guerriera: – E questo? Che mi dici di questo? Sembra uno squarcio di una lama. - indagò sospettoso.

Per un attimo la maschera d'impassibilità della guerriera parve incrinarsi: – Questa veste l'ho presa da un cadavere di uno dei vostri che, non so se ricordi, aveva il cranio fracassato. Probabilmente, mentre combatteva, è stato anche ferito. Non è così strano essere pugnalati in battaglia, sai? -

L'elfo ignorò la frecciatina, ma evitò di ribattere, tanto sarebbe stato inutile insistere sapendo che lei non avrebbe mai ammesso nulla. Ricominciò a mangiare rimuginando tra sé e sé, lanciando qualche occhiata furtiva di quando in quando alla guerriera, nel tentativo di scorgere un qualche segno particolare. A vedersi sembrava una normalissima umana, eppure aveva quella capacità rigenerativa fuori dal comune, persino più rapida della sua. E poi c'erano quegli occhi opachi, così simili a quelli delle creature che li avevano attaccati: occhi incolori come quelli dei cadaveri. Sospirò e scosse la testa sconsolato. Troppi interrogativi gli assillavano la mente e a nessuno di questi ora come ora poteva fornire una risposta. Però doveva ammettere che era veramente bella, per essere un'umana.

"Quel corpo è sprecato in guerra." pensò, mentre masticava l'ultimo pezzo di radice.

Richiuse il sacchetto e glielo porse: - Grazie, ne avevo proprio bisogno. - si alzò stiracchiandosi.

Il senso di intontimento lo aveva finalmente abbandonato e ora era totalmente presente a se stesso. Raccolsero le poche cose che avevano e si misero in marcia. Dal giorno dell'esplosione, il caldo era andato via via scemando, fino a lasciare il posto a un timido sole invernale che rendeva l'aria più respirabile. In un certo qual modo il clima stava lentamente tornando alla normalità e non era da escludersi che prima o poi avrebbe anche nevicato. A Ledah la cosa non sarebbe affatto dispiaciuta, aveva sempre amato i paesaggi innevati tipici di Llanowar, però con quei pochi abiti che avevano addosso e la scarsa quantità di cibo reperibile nei paraggi non sarebbero stati in grado di sopravvivere.

- Sarà meglio se ci sbrighiamo. Non possiamo farci sorprendere dalla neve in questo stato. - disse.

Airis fece un lieve cenno del capo e continuò a camminare a breve distanza da lui. Marciarono per tre lunghi giorni in un susseguirsi di paesaggi di sola desolazione: foreste di alberi morti e steppe di erba riarsa erano ormai diventati un panorama onnipresente, gli argini dei fiumi prosciugati erano ferite slabbrate nella terra sterile che li circondava. Nulla era più frustrante e doloroso per Ledah che vedere la propria foresta ridotta al solo ricordo di ciò che una volta era.
Alla fine del terzo giorno il loro estenuante cammino terminò: difronte a loro si estendeva un'immensa città di pietra. Le spesse radici di alberi millenari affondavano in quel terreno ancora fertile, mentre i rami nodosi si arrampicavano sui muri delle case fino ai tetti, coprendoli con le loro lussureggianti fronde illuminate dagli obliqui raggi del sole. Tutto intorno alla città correva un grande fossato, dentro il quale in passato confluivano le acque degli affluenti del Tabor. Ledah si avvicinò al bordo e sussultò. Le pareti rocciose dello strapiombo precipitavano dentro una coltre di nebbia e sembravano proseguire fin nei meandri della terra, e tutti i ponti che collegavano i due argini erano spariti lasciando al loro posto solo dei buchi nel muro impervio.

"Sarebbe stato troppo facile " pensò.

- Perchè ci siamo fermati? - lo interrogò Airis.

- I ponti che collegavano la terra ad Alfheim sono andati distrutti nell'esplosione. -

La guerriera inclinò la testa di lato con un'espressione interrogativa: – Alfe-che? -

L'elfo sospirò, si era dimenticato che stava parlando con un'umana: - E' la capitale di Llanowar. -

- Avete delle città, voi? Pensavo viveste solo in piccoli villaggi. -

- Diciamo che il mio popolo ha sempre preferito vivere in piccole comunità. Però, dopo che l'esercito degli umani è riuscito a penetrare fin quasi alla zona sacra della foresta, il Concilio ha deciso di isolarla per difenderla. Così è stata costruita Alfheim. È stata un'ottima idea strategica creare un fossato... - si sporse di nuovo e un vento gelido gli attraversò le ossa, - Ora come ora non possiamo passare. -

- Sicuro non ci sia un qualche altro modo? Sì, insomma... non credo che quando è stato progettato nessuno abbia pensato all'eventualità che potesse accadere una cosa simile. -

- Che un'ondata di magia distruttiva radesse al suolo Llanowar, eliminando ogni collegamento con la capitale? Mi sa proprio di no, sai? - la guerriera lo colpì con un pugno sulla schiena, evidentemente non aveva gradito. Massaggiandosi il punto percosso, Ledah si volse verso di lei: – Bè, fatto sta che non possiamo passare di qua. -

Sedutasi, Airis lasciò le gambe a penzoloni nel vuoto, assorta nelle sue riflessioni.
"Non ha paura che la possa spingere giù? Si fida così tanto di me?" pensò l'elfo.

Dopo un paio di minuti le parole della ragazza risuonarono nel silenzio: – Dobbiamo assolutamente andare a vedere. Lì troveremo le risposte alle nostre domande. -

– Lo so, lo so. Però non mi viene in mente nulla. A meno che... -

- A meno che cosa? -

- C'era un undicesimo ponte. Fu il primo ad essere costruito e conduceva direttamente alle prigioni. Teoricamente dovrebbe essere ancora integro, perché su di esso era stato posto un sigillo di protezione, però non ne sono certo. -

- Se è l'unica via, non ci resta che tentare. – si alzò lentamente, mentre il vento le scompigliava i serici capelli rossi.

"Vivi come come il sangue, belli come il fuoco." pensò l'elfo incantato.

- Allora? Dove dobbiamo andare? -

Ledah si riscosse: – Seguimi. – si allontanò da lei con passo spedito, cercando di mettere una distanza tra loro due.

Camminarono per un paio di metri fin quando l'elfo non si sporse e tirò un sospiro di sollievo. Il possente ponte in pietra era ancora lì. Si girò, incontrando alle sue spalle la figura di un dissestato torrione in mattoni, ricoperto delle foglie annerite di muschi, licheni e rimasugli di piante rampicanti. Fece per indicarlo ad Airis, ma ritirò la mano ancor prima di alzarla e si diresse direttamente lì, mentre la guerriera lo seguiva in silenzio. Giunti all'ombra dell'antica piazzaforte, Airis si fermò come in ascolto.

- Hai sentito qualcosa? -

La guerriera scosse la testa: – E' questo il problema: non sento nulla. – lo guardò turbata, – Alpheim costituisce l'ultima difesa di Llanowar, no? Allora... perché non avverto alcun suono? Anche se l'onda magica ha travolto ogni cosa, la popolazione dovrebbe essere stata messa al sicuro all'interno delle mura... -

Un brivido gelido corse lungo la spina dorsale dell'elfo. Che fossero...? No, impossibile, non era neanche immaginabile. - Si staranno nascondendo. Forse stanno celando la loro presenza con un qualche incantesimo, una qualche magia. - proferì quelle parole con tutta la calma, cercando di convincere più lui stesso che lei, cercando di allontanare tutti i pensieri angosciosi che gli affollavano la mente.

Prima che Airis potesse aggiungere altro si voltò e pronunciò delle parole incomprensibili. Dalla serratura dell'antico lucchetto riecheggiò un rumore meccanico e lentamente il massiccio portone si aprì. Davanti a loro c'era una rampa di scale che scendeva molto probabilmente giù fino al livello del ponte.

- Andiamo. – disse Ledah perentorio. Poi lentamente scomparirono nell'oscurità.

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