L'oscurità
Airis non sapeva da quanto tempo stessero camminando e il buio che l'aveva sempre avvolta non le permetteva di capire in che direzione stessero andando. Dopo essere entrati nella vecchia torretta, Ledah le aveva detto che al termine di quella scalinata avrebbero finalmente attraversato il ponte. Peccato che quella rampa pareva non finire mai. In quel posto sentiva la mancanza della vista: l'allenamento che il suo vecchio maestro le aveva impartito era efficace solo quando poteva sfruttare al massimo uno degli altri sensi, come nella caccia o nelle battaglie, dove grazie all'udito, all'olfatto e al tatto era in grado di orientarsi. Ma, in quel cunicolo senza fine, tutti gli odori erano stati alterati dal tempo e gli unici suoni erano il rimbombare dei loro passi e lo scricchiolio degli scalini sotto di loro.
"Odio questa oscurità, odio questi stramaledetti sottopassaggi e odio gli elfi che hanno distrutto quegli stramaledetti ponti!" pensava, mentre procedeva a tentoni appoggiandosi alla parete rocciosa.
Poggiò il piede sull'ennesimo scalino, quando un improvviso cigolio sotto di lei la fece raggelare. Il legno marcio cedette sotto il suo peso facendola sprofondare fin oltre la coscia. Presa dal panico, annaspò alla ricerca di un appiglio su quella parete, ma le sue mani incontrarono solo del muschio secco. Imprecò tra sé e sé, tentando di far leva sullo scalino precedente, quando qualcuno le strinse il polso tirandola su con estrema facilità.
- Tranquilla, ti aiuto io. - la voce di Ledah riecheggiò sui muri, - Devi stare più attenta. Queste scale non sono particolarmente stabili. Se vuoi, puoi appoggiarti a me, così evitiamo altri incidenti di questo tipo. - senza attendere una risposta, le prese la mano e ricominciò a scendere.
Sorpresa da quell'improvviso contatto, la guerriera sussultò, ma non si ritrasse.
"Non ho particolarmente voglia di spezzarmi l'osso del collo un'altra volta." considerò, combattendo contro la tentazione di allontanarsi e riflettendo sulla bizzarra situazione in cui era finita. "Sono in un passaggio sottoterra che dovrebbe portarmi in mezzo alla città dell'esercito nemico, probabilmente piena di chissà quali delizie mostruose pronte a farci a pezzi e a mangiarci come spuntino serale. Ah, e tanto per cambiare sono in compagnia di un elfo incapace persino di tenere in mano una spada. Geniale, veramente geniale." sbuffò. "Quanto meno lui non cade nei buchi. Magari abbiamo una qualche possibilità di arrivare interi. Non dico vivi, ma interi."
In effetti, a differenza sua, l'elfo non sembrava avere particolari problemi a muoversi. Era una cosa assai risaputa che quelli del suo popolo fossero in grado di vedere nel buio, eppure ad Airis risultava comunque sorprendente la facilità con cui si destreggiava in quel cunicolo senza nemmeno una fonte di luce. E questo la faceva sentire ancor più vulnerabile; in fin dei conti, si trattava di un elfo, che avrebbe potuto approfittare del nuovo vantaggio per attaccare. Strinse leggermente la mano di Ledah.
"Allora perché mi sta aiutando? " si chiese, alzando lo sguardo vitreo avanti a sé. "Forse non vuole rimanere da solo a combattere contro quelle creature. Comprensibile, neanche a me piacerebbe rimanere da sola con quelle cose però... ha un comportamento strano. Vabbè, meglio per me, renderà solo la mia missione più facile."
Camminarono ancora per alcuni metri, quando un soffio di calore le accarezzò il volto, mentre l'aria fresca le riempiva i polmoni. Fece un passo per assaporare quella piacevole sensazione di refrigerio, ma si sentì tirare bruscamente indietro.
- Stai dietro di me, - il tono era volitivo, - siamo a metà strada. Da qui dobbiamo attraversare il ponte ma... - sospirò profondamente, – non è molto stabile, mettiamola in questi termini. -
- Il che un modo come un altro per dire che è mezzo distrutto e che corriamo il pericolo di morire ad ogni metro, immagino. - constatò la guerriera con sarcasmo.
- Se non fossi... -
- Se non fossi cieca, sarebbe tutto molto più facile, lo so anche io. - sentì la mano di lui serrarsi ancora di più, - Però non possiamo farci molto. Per passare dall'altra parte basterà che mi lasci guidare da te. Mi hai fatto strada sinora, puoi continuare a farlo. – "Sempre che tu non abbia intenzione di ammazzarmi e questo non sia un espediente per tentare di spezzarmi l'osso nel collo."
L'elfo rimase fermo per alcuni istanti, indeciso sul da farsi. - Va bene. - disse, come se non avesse ascoltato nulla di quello che aveva detto. Pose la mano libera sul suo volto e quando lei fece per ritrarsi la trattenne: – Devi fidarti di me. Non è possibile procedere in questo modo. Per una mia disattenzione potremmo morire entrambi. - le passò delicatamente le dita attorno agli occhi, accarezzando le cicatrici che li contornavano, – Devi fidarti. Fidati di me. -
I battiti cardiaci di Airis improvvisamente accelerarono, ma non a causa della paura come all'inizio di ogni battaglia. Era qualcosa di diverso, un calore che da tanto, troppo tempo non percepiva. Il suo corpo si rilassò ancor prima che lei se ne accorgesse; in quell'istante, se l'elfo avesse tentato di colpirla, non l'avrebbe scampata. Rimase in attesa. Come un bisbiglio, le parole di Ledah sfiorarono a malapena le sue orecchie. Parole indistinte, in una lingua antica, ancestrale. Avvertì le sue dita spostarsi ed accarezzare le sue palpebre chiuse, sentendone al tatto la pelle ruvida, indurita dai calli e dal continuo uso dell'arco. Poi un leggero formicolio la pervase, mentre un torpore nuovo, diverso da quello di Ledah, la avvolgeva. Un universo tinto di un rosso sfumato ammantava ogni cosa, inondandola di un quieto tepore. La bassa litania dell'elfo cessò. Lasciò scivolare via entrambe le mani.
Lentamente Airis aprì gli occhi. Al rosso si sostituì un bianco accecante. Fu come recuperare i sensi tutti assieme, come essere catapultata in un mondo confuso, pieno di colori terribilmente accesi. Le orecchie le fischiavano e un ronzio intermittente le invadeva le orecchie. Sopraffatta da quel caos informe, chiuse gli occhi cercando di tornare a quel rosso confortante. Ledah la teneva stretta per le spalle senza dire nulla. Airis battè le palpebre, portando la mano al volto. In quel candore abbagliante pian piano andò a disegnarsi il profilo di un braccio pallido cosparso di cicatrici: il suo braccio. Alzò lo sguardo e incontrò un paio di pupille color muschio e un sorriso gentile. Indietreggiò un attimo, sbigottita.
Ledah scoppiò a ridere nel vedere la sua faccia esterrefatta: – Ehi, tranquilla. Sono brutto, ma non così tanto. - si avvicinò, - Allora, come ci si sente a poter vedere di nuovo? -
La guerriera si guardò nuovamente le mani: – Come... come hai fatto...? -
- Non è una magia particolarmente complessa. Ti ricordi che ti avevo detto di avere due famigli? Ecco, ho sfruttato la loro naturale energia positiva per curarti. Purtroppo, però, non è una cosa permanente. - si morse il labbro inferiore corrugando le sopracciglia, - Non sono in grado di guarirti completamente. Quelle cicatrici... chi te le ha fatte? - fece per accarezzarle la guancia, ma lei si ritrasse di scatto.
– Da qui la strada è ancora lunga? -
- No... non appena attraverseremo il ponte saremo praticamente arrivati. -
- Bene, allora cominciamo ad andare. -
Prima che Ledah potesse ribattere, Airis gli voltò le spalle e riprese a camminare. Il ponte che collegava le due sponde era effettivamente messo male: le pietre erano segnate da profonde fratture, dalle quali fuoriuscivano varie piante rampicanti ormai essiccate, e del vecchio camminamento usato dai carri non ne era rimasta che una minima traccia. Inoltre, in alcuni punti le rocce avevano ceduto rendendo il tutto ancor più instabile. Airis rimase sovrappensiero, studiando il percorso più semplice per arrivare in fretta dall'altra parte. Ora che poteva vedere era tutto molto più facile. Prima, attraversare un ponte del genere sarebbe stato un suicidio.
"Basterà camminare sempre al centro, cercando di avvicinarci il meno possibile ai bordi."
Strinse l'elsa della spada per farsi coraggio, poi, prima che l'ansia si impadronisse di lei, iniziò a camminare con Ledah che la seguiva poco più indietro. A ogni soffio di vento, sentivano dei sassolini sdrucciolare giù e perdersi nel vuoto.
Arrivati a metà percorso furono costretti a fermarsi a causa dell'enorme crepaccio che tagliava in due il sentiero. Si guardarono intorno nella speranza di trovare un tratto di ponte che si fosse salvato da quella profonda ferita, rimanendo prontamente delusi.
- Dannazione! - esclamò Airis con rabbia, – Come facciamo ora a passare? - si volse verso Ledah, - Non c'è una qualche magia che ci possa aiutare? -
- Non penso... - borbottò qualcosa tra sé e sé, – L'incantesimo della levitazione funziona, ma è applicabile solo alla persona che lo recita. Se avessimo una corda, potrei tentare di rafforzarla, ma sarebbe rischioso comunque... -
- Insomma, mi stai dicendo che non c'è modo di andare avanti? - il tono della guerriera si era fatto via via sempre più aggressivo.
- Non ho detto questo. - la guardò ostile, trattenendo a stento il fastidio, – Ho semplicemente constatato che con la magia non posso fare nulla. L'unico modo per passare dall'altra parte è uno solo e tu ne sei consapevole tanto quanto me. - si avvicinò allo strapiombo.
Una leggera folata di vento diede alla lunga coda di capelli neri un movimento ondulatorio, come se fosse una frusta. - Non dirmi che... -
-Esatto, dobbiamo saltare. -
Il silenzio calò tra i due. Airis si avvicinò cercando di misurare la lunghezza tra i due moncherini di pietra. A occhio e croce dovevano essere tre, massimo quattro metri. Ledah non avrebbe dovuto avere difficoltà, ma lei? Neanche se fosse stata in sella a un cavallo probabilmente ce l'avrebbe fatta.
"Ma perché deve essere tutto così dannatamente difficile?"
- Visto che non abbiamo altra scelta... -
- Cos'è, hai paura? Dov'è finita la guerriera che non aveva paura di niente e di nessuno? - la punzecchiò l'elfo.
Lei lo fulminò con lo sguardo, evidentemente infastidita da quel commento. – Non ho detto che ho paura. - ringhiò, – Dico solo che non muoio dalla voglia di spiaccicarmi al suolo. -
- Tranquilla, se cadrai, ti prenderò io. -
"E' proprio questo che temo." pensò Airis.
La guerriera indietreggiò di pochi metri, lo sguardo fisso davanti a sé. "Non ho paura." tese tutti i muscoli e prese la rincorsa, bruciando la distanza in pochi attimi. Giunta sull'orlo del precipizio spiccò un balzo. Sentiva il suo corpo immensamente leggero farsi strada nel vuoto, il cuore che batteva come un cavallo imbizzarrito, mentre l'altro pezzo di pietra si faceva via via più vicino. Ma non abbastanza. Allungò disperatamente la mano alla ricerca di un qualunque appiglio, mentre veniva trascinata giù dal suo stesso peso. Le sue dita si serrarono intorno ad un'edera secca, ma non fu sufficiente. Si aggrappò al bordo del ponte, ma il sudore sui palmi non le dava una presa efficace. Si fece forza, stringendo la fredda pietra. Improvvisamente la destra scivolò, lasciandola a penzoloni sopra il baratro. La pietra continuava a graffiarle le mani, che tentavano invano di opporsi a quella caduta ormai inevitabile. Sentiva la carne lacerarsi al contatto con gli spigoli della roccia, il sangue le bagnava le dita e annullava l'attrito, trascinandola sempre più giù.
"No... non di nuovo..." lanciò uno sguardo sotto di lei, verso la nebbia che copriva l'immenso vuoto, un abisso che pareva senza fine. "Non ce la faccio..." le dita persero aderenza. Un urlo uscì dalle sue labbra.
Il tempo di un battito di ciglia.
Un secondo.
Due.
Qualcosa bruscamente l'afferrò per il polso e poi percepì lo schianto contro la pietra. Rotolò su un fianco, il viso contratto in una smorfia di dolore. Lentamente riaprì gli occhi tirandosi su a sedere. Davanti si stendeva il camminamento di pietra del ponte che terminava con un'altra rampa di scale diretta verso chissà dove. Era dall'altra parte.
"Ma come...?"
- Non... non farlo più... - la voce di Ledah rotta dal fiatone la fece voltare. Era visibilmente affaticato, come se avesse corso come un dannato. Alcuni ciuffi neri sfuggiti alla coda gli ricadevano sul viso congestionato.
"Mi ha salvata..." il pensiero investì la mente di Airis come un uragano. – Perché...? -
- Te l'ho già detto... - riprese a respirare regolarmente, – Non mi va di proseguire da solo. Non penso che sarei in grado di sopravvivere senza il tuo aiuto. Inoltre... ero in debito con te. - le porse la mano, aiutandola ad alzarsi, – Dai, andiamo. -
Il resto del viaggio fu piuttosto tranquillo. Le scale davanti a loro conducevano verso l'alto, con grande sollievo di Airis che non ne poteva più di luoghi chiusi. Ledah le spiegò che sarebbero emersi in prossimità delle vecchie catacombe della città.
- Prima che cominciasse questa guerra, i morti li sotterravamo al di fuori delle mura, ma da quando avete cominciato a fare le vostre incursioni, il Concilio ha deciso di spostare le tombe all'interno di Alfheim. - il suo sguardo si incupì, – Speriamo di non trovare altri esseri come quelli che abbiamo incontrato nella foresta. -
- Secondo te, cos'erano?- chiese Airis, mentre cercava un punto del legno dello scalino che non fosse marcio.
- Non ne ho idea. Non ho mai visto niente del genere sinora. Sembravano... morti, eppure camminavano come se qualcuno li avesse riportati in vita. -
La guerriera tacque pensosa.
"E' meglio che tu non sappia cosa siano..."
Dopo un paio d'ore videro in cima alla rampa lo stesso portone che li aveva introdotti in quei cunicoli.
- Siamo arrivati, finalmente! - esclamò l'elfo.
Si apprestò a spingere il pesante legno quando Airis lo fermò: – Sai che dall'altra parte potremmo trovare di tutto, vero? -
Ledah la fissò con uno sguardo deciso: – Sì, ne sono consapevole. -
- Se davvero è come dici, se davvero quelli sono dei morti viventi, forse dovrai combattere contro la tua stessa gente. - la sua voce non tradiva alcuna emozione, – Sei pronto anche a questo? -
Un barlume di esitazione lampeggiò negli occhi muschiati dell'elfo. – Sì, sono pronto. - asserì alla fine.
Entrambi spinsero le enormi ante. I cardini stridettero sul ferro arrugginito, mentre l'aria fresca inondava i loro polmoni. Un odore che Airis conosceva fin troppo bene gli diede il benvenuto, lo stesso odore che l'aveva accolta quando era entrata a Mera, Edon e in tutte le città che erano state passate a fil di spada.
"Ma cosa... cosa è successo qui?"
Fece girare lo sguardo intorno a lei. L'elfo cadde in ginocchio di fianco a lei come una bambola di pezza, lo sguardo terreo, fisso sui corpi scomposti, ammassati lungo i bordi delle strade.
Cadaveri di donne con i loro figli ancora stretti tra le braccia, anziani dalla pelle bluastra con gli occhi divorati dai corvi, contadini con ancora gli attrezzi del mestiere in mano, le loro bocche aperte in un ultimo grido. Airis indietreggiò, coprendosi il viso nel tentativo di soffocare un conato di vomito.
La morte aveva dato loro il benvenuto ad Alfheim, la più bella e florida città di Llanowar.
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