| Dabi |
Fuoco.
Combustione di una individualità nascosta, che penetra divorando ogni cellula della mia esistenza.
Mi aggrappo a quella feroce temperatura che accelera il rinvigorimento dei miei istinti. Su di te. Gioia incontrollata.
Sei la cima della mia montagna. Ad essa mi arrampico con affanno, sgretolando le mie iridi su quella vetta impercorribile sfiatando il mio animo.
Temprami di coraggio; forgiami di resistenza; rafforzami di esistenza.
Ancora un po'.
Solo un po' di tempo, perché la mia vita giunga a toccare quell'apice per fare risplendere l'ultima fiamma. Essa rimarrà, incorruttibile e luminosa, ascendendo a riscaldare il vuoto dentro di te.
E ti riempirò di quel fuoco, danzando con il culto dell'adoratore. Sarò il simbolo della tua fierezza, arroventato da un marchio di funesta passione.
Mi espongo alla luce delle vie e dalle vetrine mi giunge il riflesso distorto di un dramma. Il mio. Quell'immagine mi annienta, sentendo il bisogno di rifugiarmi da te.
Mia origine.
Mia preistoria.
Mia storia.
Mia fantascienza.
Astro luminoso vagante nel mio spazio infinito, dove ti scontri col malessere della mia concupiscenza .
Le mie labbra sono aride, mentre ti osservo. Tu, candida rosa velata di ambrosia che leccherò famelico, divorandoti con arrendevole possesso.
«Che cosa vuoi, topolino?»
I tuoi occhi scorrono lungo il mio corpo, sfondando le barriere della mia resistenza.
«Toccati!». Il tono rauco della tua richiesta tradisce le aspettative della mia certezza. Il tuo sussurro mi imprigiona, mentre scorgo il tuo naso arricciarsi per cogliere la mia fragranza.
Cedro selvatico unge me cacciatore che di te farò preda, esibendosi come un trofeo in venerazione.
«Fammi vedere!»
Esigenza abnegata alla lussuria. Me lo imponi, scontrandomi con la sensualità dei tuoi occhi, che mi divorano con eccessivo peccato.
Violami.
Condannami.
Ambiscimi.
Brucerò all'inferno per te, poiché non mi pentirò di cadere nel baratro dell'impura debolezza. Sei la catena con cui mi soggioghi nel limbo paradisiaco della tua sostanza.
Le mie mascelle si contraggono. Non ti darò nulla di quello che vuoi, topolino, giacché sono più vorace di te.
Io voglio tutto!
Io voglio te!
Riempio i miei polmoni della tua aria.
Osservo le tue cosce; la sensualità delle tue curve lascia che la lingua percorra le mie labbra avide, inumidendo l'arsura di una flagellazione che mi percuote il corpo. Voglio essere il tuo domatore e penetrare nel calore della tua morbidezza, ammaestrandoti per fare di te la mia leonessa.
Saziati.
Divorami.
Stringerò la tua carne tra le mie dita arroventate consumandomi, generoso contatto, affinché io lasci questo mondo per un'anticamera che mi delizia.
I tuoi occhi intrappolano la mia mobilità, eppure fuggo persino dal mio vagabondare su illusioni che si perderanno.
Non sono un eroe e non sarò il tuo.
Le tue gambe oscillano danzanti innanzi ai miei occhi. Le afferro, quasi divertito.
La mia lingua scorre sinuosa, risalendo dalla tua caviglia al polpaccio, lambendoti con avarizia fino all'incavo del ginocchio. Apogeo della tua sensibilità.
Ti mordo il fianco, mentre i tuoi glutei vengono stretti dalla mia ingordigia. Il tuo respiro si accorcia. Lo sento.
Sfonda l'udito della mia tensione.
Osservo le tue mutandine, di un turchese marino dal pizzo ricamato che mi lascia intravedere l'ingresso per il Paradiso. Ne sfioro i bordi con le dita.
L'impulso di una scarica ad alto voltaggio ti inarca a me, mentre la serpe dentro la mia bocca affonda il suo appetito tra le accoglienti voragini della tua femminilità. È il sapore del peccato e io non voglio assaggiarlo, bensì gustarlo per poi divorarlo.
Ti agiti, irrequieta di esplosioni che contorcono le tue soddisfazioni. Sogghigno famelico. «Sei un topolino fastidioso!». Non mi sfuggirai. «Sta ferma!»
Le mie dita si arpionano ai tuoi polsi per meglio stendere su di te il mio corpo. Appagata aderenza. Il tuo addome si comprime al mio. Petto contro petto.
Ventre su ventre.
Perfetto.
Aspetto che mi guardi con quegli occhioni da cerbiatta smarrita, sebbene sia io a smarrire la fermezza dei miei tremori.
Mi insulti, invece, con gli occhi. Vuoi il controllo ma non posso concedertelo.
Non sei ancora mia, seppur tu sappia che io sono tuo...Sensei!
Ti arrovento col mio fuoco.
Lo avvolgo, caldo di carezza su di te per non lasciarti agitare. Non ti mostrerò la mia debolezza.
È così che mi sollevo su di te, con le iridi arrossate di un lupo ringhioso. La mia gola è secca. Voglio bere la linfa che trasuda dalla tua pelle.
Ubriacarmi di essa, come se non avessi domani. Annego dentro di te...e di te, soltanto.
Non ti opponi. Non puoi.
Stretta al mio piacere, avvinghi le tue gambe al mio corpo.
Mi possiedi. Ti posseggo.
Ti sento frustrata, poiché è l'apice della mia accondiscendenza che ambisci raggiungere appagata. Lo sento.
Le mie mani sfiorano il tuo desiderio di appartenermi, fondendoti con ogni anello che chiude le mie cuciture.
Ci penetri dentro insaziabile, amalgamandoti al voluttuoso sfregamemto di pelle non ancora saziata.
Egoista di brividi mi fiondo rapace sul tuo collo. Lo catturo. È caldo, mentre mi muovo sensuale dentro di te.
Strozzo una risata.
Non mi sono mai sentito sensuale, ma tu hai disincagliato l'ancora che teneva nell'abisso la mia ragione.
Voglio sentirti gridare; voglio sentire i tuoi sussurri di follia sfondare l'inverosimile della mia inversa psicologia, senza alcuna imposizione.
Le tue gambe si accavallano; mi stringono il bacino; mi implori la successione del tempo, scandendolo come il rullo di un tamburo.
Ma io non ho più tempo, Mika.
Sempre più affondo, spingo con egoismo traendo a me ciò che mi rimane, giacché hai gettato benzina sulla mia carne e ora ardisci spegnere quella fiamma generata dalla mia trasgressione.
Non ho scelto io di essere ciò che sono, ma infiammami con ciò di cui ho bisogno.
Mi immergo nel tuo calore stringendomi a te, non più ambita visione, ma amore sconfinato di accettata adorazione.
Rigido è il tuo corpo; sussulti alle sconcezze delle parole che immergo dentro le tue orecchie.
Uno spasmo incontrollato flagella anche me, sfasciandomi le membra all'interno della tua rosea carne.
Mi abbandono dentro di te, su di te e per te.
Brucio.
Non ho più pelle da donarti, ma a te non importa.
Tu adori il mostro che è in me e che sono divenuto fuori e so che, se scorgerai una lacrima di abbandono, mi riderai in faccia, punendomi per il mio muto distacco.
Tremo al pensiero delle tue cellule bruciare di passione, arrendevole nel raggiungere il tuo pensiero.
Non ci riesco.
Vacillo sul controllo.
Non domerò mai la tua ribellione, purché tu domini la mia.
Esausti ci guardiamo incantati. I nostri respiri si fondono. Ti catturo la bocca con possesso, strozzandomi di quell'avarizia che mi sono concesso.
Il mio Paradiso personale.
Il mio Eden, là dove mi rifugio e vengo nel calore che mi doni; nell'estasi dei tuoi sospiri che placano ciò che io rinnego. Una bestia!
Sei la mia Rapsodia decantata sul poema delle corporee visioni. Come una dea trionfi sui miei istinti, generandomi confusione su probabili abduzioni. Probabilità inesistenti.
Sono flussi continui di elettricità ciò che scaturisce dal mio corpo e mi frustano, bruciano, scintillano come i fili scoperti di un cavo.
Non toccarmi, Mika.
Se lo fai ti bruci.
Ma tu mi hai toccato.
Hai toccato la mia pelle con mille carezze.
Secca, ustionata, dolorante.
Con le dita tracci linee corrette su ogni sentiero arso e che arde ancora di virtuosismo passionale.
Chissà se era ciò che ti aspettavi?
Che cos'hai provato toccandola?
Risposta negata su domanda mai formulata.
Non temo la risposta.
Eppure i tuoi timori su di me placano la mia rabbia in modo tale che le mie fiamme non si espandano.
Sto scomparendo, Mika, sebbene tu sia il mio fuoco bianco di candida purezza, che mai dissacrerò con la mia insicurezza.
Non so dare un significato a quella goccia instabile che scende sul mio viso. Lacrima peccatrice.
Non te la farò scorgere, perché è mia, da te donata e me la tengo stretta nel ricordo fuggevole di comprendere ciò che in un'altra vita sarei potuto essere...la diversità delle tue aspettative.
Ti tengo stretto così.
Il tuo viso nell'incavo del mio collo e le mie labbra sui tuoi capelli.
Il tuo profumo è un nettare in confronto al puzzore che mi porto dietro e sarà l'ultima cosa che voglio ricordare quando me ne andrò.
Avvolto dal tuo abbraccio interiore. Aspetto che ti addormenti.
Ti stringo in un'ultima bugia per incantarti, facendoti credere che...rimarrò con te, ma uscirò da te e ti placherò saziata del tuo sonno.
È con questo pensiero che ti lascerò, abbandonata nel nostro calore tra le lenzuola riconosciute dall'amore.
Ti sorrido tristemente; un'ultima carezza, mia dolce ninfa.
Ancora una e mi addormento.
Non so bene che ore siano. So che fuori è ancora buio e c'è silenzio. Forse la città dorme ancora come te, rannicchiata sul fianco destro a mostrarmi la schiena nuda. Vorrei sfiorarla ma finisco solo per coprirla di più col lenzuolo stropicciato.
Scivolo piano fuori dalle lenzuola; il pavimento sotto i piedi è piacevolmente fresco. Mi passo una mano sul volto, mi stropiccio gli occhi, mi arruffo i capelli, mi gratto la nuca.
Temporeggio.
Lo faccio perché non voglio andare via.
Voglio restare a baciarti, fino a sentire i polmoni scoppiarmi.
Ho paura. Sì, topolino: io ho paura. Ma non è la morte a spaventarmi, bensì l'abbandono.
Abbandono.
Dimenticanza.
Non essere guardato.
Guardami Mika!
Mi stai vedendo?
Ti sto guardando.
Mi hai osservato.
Mi hai cercato.
Sono un bastardo travestito di me e di me soltanto.
Il me vagabondo; il me pellegrino che ti segue come un'ombra, senza riuscire a lasciarti andare.
Sono il disco rotto di me stesso: bla, bla, bla, fai, dici, ma che cazzo ne so!
Le mie cicatrici sono insaziabili di te, delle tue carezze, delle tue inibizioni, dei tuoi sguardi cari, dolci, comprensivi, arrendevoli. Mi carezzi l'anima, benché io sia una bestia egoista. E non riesco a lasciarti andare.
Mika.
Oh, Dei! Cosa mi stai facendo?
Stai domando la bestia che è in me. Perché per quanto io resista, tu lasci annegare il mio impulso di uccidere; di ridurre in cenere persino colui che mi ha generato.
Ma tu! No. Mai ti toccherò.
Solo sfiorarti col pensiero dovrebbe essere per me peccato.
Ho solo voglia di romperti, in modo che tu possa venire da me per riaggiustarti. Da me, da me soltanto.
Invidioso e rancoroso osservo il letto che è sfatto e sa di noi. Di quel noi che non ho avuto e non avrò mai.
Più sto con te e più sai di casa.
Mi pongo ai piedi del letto e ti guardo mentre dormi. Avrei dovuto vestirmi senza guardarti. Fare in fretta e fuggire come tutte le altre volte.
Ma più ti osservo, più vedo cose di te che mi spaventano.
Perché è spaventosa la bontà per chi non l'ha mai conosciuta. E mi spaventano i tuoi occhi colmi di speranza, dedizione e un sacco di merdate romantiche che non so definire.
Però...tu non smettere di cercarmi.
Non lo voglio!
«Continua a guardarmi, Mika!», sussurro il tuo nome.
Cercami tra la folla o nelle ombre dei vicoli.
Sei adorabile mentre ti osservo. Ti carezzo con gli occhi. Con quel languore che mi svena da schifo, seppur con te mi venga naturale.
Io, invece, sono un essere disgustoso. Un fenomeno da baraccone che si mostra innanzi a un pubblico senza fascino. Un disastro ambulante che tu divori con gli occhi belli dell'anima, fuorché con le iridi.
Continua a farlo, ne ho bisogno come l'aria e fa paura, perché nel mio affanno agitato, se ti perdessi credo che smetterei di vivere.
E non mi importerebbe più di nulla. Solo di averti persa. E di avere perso con te una parte di me.
Mi allontano.
Lo scatto della porta è così lento che mi raggela le vene nell'istante in cui la chiudo.
Così mi avvio, solitario e stanco, lungo il buio della mia strada.
La mia anima trema di sofferenza.
Il vuoto mi lacera.
Fa male.
Le mie mascelle si stringono e quando ne ho bisogno il pericolo non è mai in agguato. Sogghigno quasi isterico, perché sono sfortunato anche quando cerco la morte. Anche lei, forse, ha ribrezzo di me. Compagna spettatrice, che mi falcerà con crudele diffidenza.
Giro come una trottola su un autoscontro di illusioni e urto.
Urto sempre.
Urto e mi urtano.
Schiaffeggiami Mika, affinché mi risvegli dalla turpe sofferenza che inganna il mio cuore.
Non è onirica fatiscenza, ma sfiatata prevalenza su contenti devianti.
Corro e rincorro.
A furia di farlo sto diventando il fantasma di me stesso.
Sono stanco di rincorrere.
Mai nessuno che rincorra me per salvarmi dalle mie tenebre insidiose, se non per uccidere ciò che rimane di me, fenomeno frammentato.
E ogni fiamma che lancio mi consuma, dentro e fuori, affondandomi di più nel baratro di ciò che mi arde.
Scomparirò così, giacché il mio tempo è scandito dall'ultimo rintocco, dove al termine della scena, come un teatrante mi inchinerò al calar del sipario, scomparendo poi come un'errante.
Spalanco la porta della mia camera.
Non sa di casa, ma di topaia lugubre, adatta come rifugio di un mostro.
Mi seggo sul bordo del letto sfatto, vuoto, incompleto. Appoggio i gomiti sulle gambe e chino il capo, afflitto.
Prendo il telefono e osservo quello schermo nero e vuoto di te.
I tuoi ultimi messaggi sono l'anticamera di me peccatore. È lì che mi nascondo.
Sono solo topolino.
Prima c'eri tu a farmi compagnia, mentre percorrevo bui sentieri.
Anche se muta regnavi presente in quello schermo.
Adesso, invece, la notte percorro quelle stesse vie nel silenzio della tua assenza; errando vagabondo in quei tanti giri notturni di difficoltosa esistenza. I miei giri.
Rammenti? Come un clandestino li affronto quasi ogni notte scontrandomi con muri caparbi.
La mia vita gira come una roulette, dove non mi è dato da sapere dove il prossimo giro si fermerà: sul rosso o sul nero?
Sarà l'ultimo ad accompagnarmi, in un destino imprescindibile che mi divorerà schiantandomi nell'abominevole nulla. In quella via buia di solitaria afflizione, tra muti messaggi mi doni un cuore e tu non sai di quanta compagnia mi ricolmi su quel tragitto di desolazione.
Sei il faro che guida sul nero di un selciato scomposto, seguendo una linea bianca con velocità imposta. Una luce mi abbaglierà; un suono mi percuoterà; un fragoroso schianto mi annullerà.
E correrò da te,
ritrovandoti qui, veneranda visione, in questo schermo di amara illusione.
Sollevo il volto sulla barriera della mia prigione. Pongo una mano sulla parete che affronto e la lascio scorrere nella speranza che mi appaia un volto.
Ma tu non ci sei, visione immaginaria che annega nel limbo persino la mente di un poeta.
E oggi lo sono, ridendo di me stesso, solo per te.
Ho fatto l'amore con un'ombra. La tua. Corporeamente sconnessa da nubi di introspezione.
Rimarrò solo, poiché ti ho liberata dal mio affanno. Lontano da un mondo alternativo. Il tuo.
Me lo hai concesso, ma il me sciagurato non ne ha mai avuto uno cui appartenere.
Ho lasciato scorrere la mia mano tra i pensieri del tuo sapere, Sensei, e non ne sono stato degno.
Abbraccio me stesso, scivolando piano; arretrando nel profondo squallore del mio buio interiore come un'ombra nascosta in attesa della morte.
E osservo.
Osservo quella porta per metà chiusa, oscillante nel riverbero di una luna vuota, nell'attesa supplichevole che si apra donandomi uno spiraglio di luce.
Apri quella cazzo di porta, Mika, e vieni a prendermi!
Salvami!
Ti urlo la mia angoscia, mentre con le gambe piegate sul petto stringo le mie paure gemendo silenzioso.
E non mi accorgo che l'anta scivola sui cardini. Lenta e cigolante. Un fascio di luce allarga le ombre fino a me.
Sollevo lo sguardo lucido e stravolto. Un raggio mi avvolge caldo; lì per me, insieme ai riflessi, i contorni della tua chioma.
«Dabi?!»
«Sei fastidiosa, topolino!»
E...sei corsa da me!
- - -
È da un po' che dico che la penna di Virginialevy è intrisa di poesia. Ma in questo brano credo si sia superata ♥️
Di solito lei scrive romanzi storici (vi invito a leggere "Le corde di Klara" e "Gli occhi del ronin") molto accurati dal punto di vista delle ambientazioni e dei riferimenti storici e con cliffhanger che ti spiazzano! >>> Correte a leggere e non ve ne pentirete! <<<
Quando però mi ha detto che stava pensando a un tributo per Dabi e Mika non sapevo cosa aspettarmi o se mi sarebbe piaciuto, perché come ogni autore, li sento figli miei anche se non mi appartengono.
Ed ero emozionata perché nessuno finora aveva fatto per me una cosa del genere! 🫠
Ho adorato dalla prima all'ultima parola, tutto. Tutto quanto.
Ho pianto scrivendole un pezzo di questo brano e mi sono commossa mentre me lo inviava, pezzo dopo pezzo.
E un Dabi così forse nemmeno io l'avrei mai potuto pensare.
Grazie mille grande Virgy ♥️ ti lovvo ^^
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