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98- Il giorno in cui il respiro si dissolse in fumo

"Maledetta sia la vendetta ,
E se massacrano il mio fratello prediletto
Non voglio vendetta. Voglio
un'altra umanità."
Elias Canetti

"Si tratta di una verità spaventosa: il dolore può renderci più profondi, può conferire un maggiore splendore ai nostri cuori e una risonanza più ricca alla nostre parole. Questo avviene se non ci distrugge, se non annienta l'ottimismo e lo spirito, la capacità di avere visioni e il rispetto per le cose semplici ed indispensabili".
Anne Rice

"Le rivoluzioni sono
come l'amore: solo l'eccesso
le fa vivere."
Fabrizio Caramagna

Due anni e mezzo dopo
P.O.V.
Rais

Certe notti, all'orfanotrofio, il corpo subiva la violenta sferzata del gelido inverno ricevendo il suo attrito nonostante gli spessi strati di coperte. Non c'era modo di sfuggire alla malignità di quelle notti e allo stesso modo, in certi casi, nella vita è impossibile scappare dinanzi al dolore.

Mi contraggo in me stesso, in una posizione fetale che porta la punta dei miei polpastrelli a sfiorare la testa che ho rasato a zero questa mattina, fino ad arrivare a percorre la base delle due lunghe ossa che sviluppano il collo e la sorreggono. Gli occhi si serrano con forza dinanzi a quel tocco innocente che ha ridestato milioni di frammenti passati, lasciandomi contratto in me stesso nel più completo silenzio del peggiore ricordo che la vita mi ha costretto a vivere.

Adesso
P.O.V.
Francis

L'acqua del bicchiere mescola all'interno della mia bocca pillole che sono costretto ad ingerire per poter stare meglio mentre di fronte a me l'immenso lago stabilisce il vero approccio alla salute psichica di cui ho bisogno. Il lavoro mi lascia poco tempo per uno sfogo ma non sono riuscito a sottrarmi dal desiderio di tornare a queste sponde.

Quando dei passi alle spalle mi raggiungono spero con tutto me stesso che possa trattarsi di Ercole o di Amy ma non rimango deluso quanto sorpreso nel vedere il volto di mio zio.

Damien pare stupito quanto me di vedermi qui, nel pieno di un orario lavorativo ed in un silenzio di contemplazione che potesse lasciarmi la possibilità di vivere a pieno una vita che ho lasciato alle spalle. Capisco che si senta di troppo per cui, prima che possa abbandonarmi, decido di parlargli con serenità permettendogli di desistere dal farlo.

«Ciao.»

«Ciao...» sussurra, scorrendo gli occhi sulla mia figura. Mi domando che cosa analizzi in me, quando mi fissa in questo modo. Non è la prima volta certo che gliel'ho visto fare ma forse è l'unica in cui arrivo a pensare che nasconda il desiderio di scoprire quali aspetti di me possano essergli simili. Oltre gli occhi, forse ci accomuna l'affilata sporgenza delle mani? Il corpo che si sviluppa in altezza, caratterizzando la parte alta di maggiore importanza nelle spalle? Forse la postura della schiena? Il taglio del naso, l'approccio di un sorriso?

Per l'incredibile, sto cercando le sue stesse risposte ed il silenzio che accompagna una simile operazione ci fa rendere conto della cosa più importante: sono i nostri cuori ad essere simili. Me ne ero accorto in svariate occasioni ma adesso so per certo che l'uomo incasinato che ho di fronte è il mio vero padre e sta lottando con tutto se stesso per non caricarmi del suo eccessivo amore che può essere un peso. Non ha idea di quanto adesso ne abbia bisogno.

«Che cosa ci fai qui?» Gli domando, ricordando con precisione di dettagli quanto detesti stare nel mio posto preferito al mondo, dal momento che lo considera troppo fuori dalla portata di quest'ultimo.

«Un'idea sciocca...»afferma in un mezzo sorriso, portandomi in automatico a ricambiarlo.

«Parlamene.»

È la mia sincerità nel richiedere tali risposte a fargli sollevare gli occhi per potersi garantire il pieno appoggio della mia fiducia. Una volta che la trova decide di cedere ad una confessione.

«Il capanno che tu ed Amy usate... è troppo vecchio, cade a pezzi. Ho deciso di rimetterlo a posto seriamente, partendo dalle fondamenta con palesi manie di ricostruzione. So da tua madre che non sei più tornato a dormire a casa, per cui ho pensato che te ne facesse comodo una nuova.»

I suoi piedi, nell'esitazione, strusciano contro i sassi bianchi che fanno da pavimento a questo luogo, arrivando a far cadere alcuni di essi all'interno dell'acqua.

«Dormo da Rais, sai?»

«Immaginavo fosse così, ma non importa. Desideravo costruirti una casa.»

«E come dovrebbe essere?» Domando al suo animo troppo sincero in questo momento che capisco possa essergli fragile, divertito appena dal timore che ha nel parlarmi dei suoi progetti.

«La immaginavo interamente di legno, con quattro stanze. Cucina, soggiorno, bagno e camera matrimoniale. Niente di troppo eccezionale, lo so, ma ti è sempre piaciuto l'essenziale per cui volevo che tu potessi avere il meglio, sai? Un gesto sciocco per cercare di donarti tutto ciò che non sono stato in grado di darti per un'intera vita...»

«Che ne dici piuttosto di aggiungere una stanza?» Affermo, interrompendo la violenza che gli auto infliggevano le sue stesse parole. La sua curiosità si desta improvvisamente.

«Una stanza? Per che cosa?»

«Dove dormirai tu, altrimenti?»

Un piccolo sorriso si infrange sul suo viso, rendendogli gli occhi più luminosi. Prima d'ora non mi ero reso nemmeno totalmente conto di quanto fosse bella la sua anima.

«Mi vuoi vicino a te?»

«Puoi scommetterci, ma deve essere matrimoniale, o almeno avere uno spazio letto in più. Voglio che anche Caleb venga qui. Ormai è un ragazzino ma forse gli piace ancora tirare questi sassi...»

«Lo portavamo sempre a questo lago quando era piccolo» afferma, nel pieno dei nostri ricordi. Sorrido.

«Non aveva mai saputo che era il mio posto segreto.»

«Credo fermamente che anche lui se ne sia procurato uno.»

«Chi non scappa dai dolori del South Side, cercandosi un luogo più sicuro?»

Damien tace, tentando di avanzare con prudenza all'interno di pesanti parole. «Per cui, quaggiù potremo essere felici?»

«Perché non mi domandi semplicemente quello che vuoi chiedermi?»

«Pensi che sia facile?»

«Dovrebbe. Ci siamo sempre parlati in maniera spontanea, noi due. Far finta che non riusciamo a capirci sarebbe una cosa ridicola.»

Forse fa parte del nostro essere padre e figlio, del modo con cui gli vedo abbassare gli occhi a terra proprio come sono solito fare io quando un pensiero mi affligge. I suoi occhi verde smeraldo, brillanti come i miei, brillanti come quelli di Caleb, che al momento però sono dispersi dentro i posteri pensieri capaci di condurlo al dolore.

«Provi disgusto per l'uomo che sono?»

«No.» Affermo, senza esitare un attimo. La mia convinzione ridesta la sua speranza che si interfaccia tra noi, come una piccola fiammella dorata. «Non potrei mai farlo, Damien. Tu sei mio padre, ma prima ancora di questo sei stato il mio migliore amico.»

Sono riuscito a lasciarlo senza parole, lo capisco bene. Senza essere capace di dire molto altro, sposta il peso da un piede all'altro provocando ulteriore spostamento tra i sassi, prima di esordire con un basso e sussurrato: «grazie.»

Prima d'ora non mi aveva mai rivolto tanta preoccupazione per cui è mio improvviso compito imparare come arginarla, per poter tornare ben presto ad un più piacevole ricordo di noi.

«Sai, sono d'accordo con la costruzione della casa ma secondo me andrebbe fatta sulla riva opposta. Questa sponda è anche di Amy e non credo che mi perdonerebbe mai se decidessi di appropriarmene.»

«Giusto...» commenta con divertimento al solo ricordo dell'ira incandescente della mia migliore amica.

«L'hai più rivista?» Chiedo.

«Solo qualche volta.»

«Mi piacerebbe incontrarla ma la vita si è complicata per entrambi. Se la trovi dille che mi manca e che la vita è più triste senza la mia piccola strega.»

«Certo, Francis, glielo riferirò.»

«Grazie» affermo, pronto ad andarmene per poterlo lasciare ai suoi palesi lavori di costruzione e riprogettazione di questo condiviso spazio magico ma la sua voce mi ferma in un richiamo che mi conduce ad arrestarmi ad una lieve altezza, al di sopra di una piccola montagna di bianchi sassi.

«Francis... volevo solo dirti...» la voce gli viene a mancare ma è nel mio sguardo che trova la forza di proseguire. I suoi occhi verdi si macchiano di decisione nel comunicarmi qualcosa che capisco desideri dire da tempo. «Ti voglio bene, figlio mio.»

Sorrido a queste parole, iniziando ad arretrare lungo questa salita. «Ti voglio bene anche io... padre.»

Certe emozioni non possono essere rubate né possono essere scambiate alla pari di altre. E' solo nostro il momento in cui ci fissiamo negli occhi, alle sponde di questo lago, salutandoci con una dolcezza che ha rispetto per i nostri felici ricordi.

Nessuno potrà privarcene... nemmeno l'orrore che mi investe con delle novità mentre raggiungo la centrale.

******

L'ira di Carlail è funesta nell'abbattermisi contro senza ritegno.

«Hai permesso che Davies se ne andasse?»

«Staremo molto meglio senza di lui, per un po'.»

«Ritieni che il personale abbondi? William non era un poliziotto tranquillo ma faceva il suo lavoro. Senza di lui, senza Gareth e soprattutto senza Attila siamo sprovvisti di tre grandi menti dalla nostra parte!»

Per il poco tempo che William ha lavorato qui il capitano sembra aver imparato bene come apprezzarlo... o forse c'è dell'altro. Ho imparato a diffidare di Carlail già da tempo, percependo come possa essere una pedina troppo facile nelle mani di un nemico venuto a conoscenza della morte di suo figlio. Può avere concesso lui stesso l'entrata di William nell'accademia, aver mandato Samuel sotto copertura per un motivo ed ora fare di tutto per cercare di rimediare... Sì, forse sto farneticando ma ancora non voglio confessare tutto ciò che so sul conto di William e sul reale motivo per cui se ne è andato via.

«Lavoreremo duro per rimpiazzarli.»

«Ed in che modo? C'è stata una sparatoria poche ore fa, durante un incursione. Il signor Lee sembra essere tornato a comando dell'intera baracca. Si erano perse le sue tracce ma ecco che, essendo aumentati i problemi, è tornato alla luce.»

In un solo istante rivedo mio padre intento a parlare con un uomo sulla soglia di casa. Deve essersi trattato di uno dei suo aguzzini pronto ad informarlo di come sia finita quella sfida.

«Ne siamo usciti con sei feriti, di cui due di loro gravi. Altri poliziotti in meno per il nostro schieramento.»

«Rimedieremo, Carlail.»

«Come? Dimmi, come?» Rimango in silenzio non volendo fronteggiare in questo modo la sua rabbia. «Se non lo sai esci da questa stanza, non ho tempo da perdere.»

Ed io ho un appuntamento al quale andare.

Mi allontano solo per questo motivo, inclinando lo sguardo nella direzione di Rais una volta fuori solo per verificare che stia bene, in presenza di un gruppo di poliziotti fidati, così da poter abbandonare tranquillamente la centrale.

Non devo andare molto lontano, però, visto che l'uomo che attendeva il mio arrivo mi è di fronte con una sigaretta tra le labbra.

«Non avevamo appuntamento altrove?»

«Spiacente ma è stato Carlail a richiamarmi.»

«Immagino voglia che tu torni a lavoro.»

Gareth espira il fumo, guardandomi con cinismo. «Il mio congedo non dura così poco tempo.»

«E' questo che ti ha detto lo psichiatra?»

«Abbiamo parlato insieme solo per una mezzora... me lo sarei risparmiato, ma sai come sono le regole della centrale.»

«Che cosa ti ha detto?»

«Che potrei essere una vittima da stress.»

Non è insolito come il suo volto non rifletta le parole che la sua mente emette. Gareth ha un modo solo suo di estraniarsi.

«Non è colpa tua la morte di Hasim.»

«E di chi dovrebbe essere?»

«Ho letto le dichiarazioni. Si è posizionato di fronte alla pistola, per proteggere Lèa, ed il colpo è partito al contempo dei vostri proiettili.»

«Questo non cambia le cose, avrebbe dovuto essere mio quel proiettile.»

«Sei il poliziotto migliore che conosca, Gareth. Ti affiderei la mia vita ed in verità... l'ho fatto.»

Gareth pondera le mie parole, ritrovando come del coraggio grazie ad esse. «Vuoi parlare?»

«No qui, ma al nostro posto. Alle sei.»

«William se ne è andato...»

«Ce ne sono molti altri.»

Resta in silenzio, calibrando la pesantezza fornita dalla visione di tutte le divise oltre le porte a vetri dell'ingresso. «La polizia dovrebbe essere un posto sicuro, composto da gente con dell'onore...»

«Non è più così da troppo tempo. Vieni, ti accompagno dentro. Carlail deve essere impaziente di vederti.»

E probabilmente è così ma la scena che si presenta dinanzi ai nostri occhi, una volta raggiunto il gruppo radunatosi attorno al capitano, stravolge ogni tipo di previsione in grado di crearsi.

«Che cosa succede?» Chiedo, attirando la risposta di uno dei poliziotti seduti al tavolo di questa sorta di riunione mentre Carlail sfoggia ad un orecchio l'auricolare dal quale pare sentire qualcosa di sconvolgente.

«Abbiamo rilasciato la guardia di Bennett ed uno dei nostri uomini ha partecipato allo scambio. E' in collegamento con noi ora ma ci sono stati imprevisti: una sparatoria.»

«Samuel era presente?» Domando, nel pieno della preoccupazione.

«Sì, era seduto nei sedili posteriori di una vettura, il nostro collega può testimoniare sul suo stato di salute, ma poi sono partiti i colpi. Non è stato possibile capire chi sparasse, deve essersi trattato di un cecchino... è riuscito a centrare Paul. Il nostro collega crede che il dottore sia morto o ferito mortalmente. Non sono stati fatti altri feriti, ma la vettura con Attila a bordo è ripartita in fretta e l'ha portato via.»

Un cecchino... William.

Chi altri sennò? Ancora una volta si è trattato di vendetta. Vendetta, per la sorte di Dalia.

Mi volto dando le spalle all'intero gruppo in modo da poter chiudere gli occhi e premere con indice e pollice alla nascita del setto nasale, fin tanto da vedere filanti scie luminose dietro le palpebre.

Sono stato io a risvegliare la sua ira, lo so per certo... ma allora perché? Perché non aveva ferito Samuel?

Una frase si proietta nella mia mente, un ricordo di ciò che lessi nelle prove a suo carico: William è un cecchino che non sbaglia mai un colpo.

Che cosa vuol dirmi con questo gesto?

«Francis?» Mi richiama Gareth, resosi consapevole del mio mutamento.

«Giuro che sto impazzendo...»

«E' lui?»

«Ci puoi scommettere.» Affermo, dopodiché mi volto verso il poliziotto che ci ha informato dei fatti. «Da quanti metri sembra essere partito il colpo?»

«Ipoteticamente da un vecchio edificio fatiscente. Duemila, tremila metri.»

Il che identifica anche il tipo di arma e la bravura del tiratore.

Rivedo l'istante in cui William aveva sparato quel colpo al poligono di tiro, nel pieno della notte. Solitamente, stando anche ai rapporti, preferisce l'affidabilità dei suoi due revolver ma non è certo la prima volta che compie uccisioni del genere. A quanto ne sappiamo è il solo tra i nostri nemici così vicini da esserne capace.

«Che cosa pensi di fare?» Sussurra Gareth nella mia direzione ed io non esito un solo istante nel rispondere.

«Trovare Samuel. Sappiamo niente sulla vettura?»

«Abbiamo modello e codice parziale della targa. Non è stato possibile leggerlo con interezza ma abbiamo già allertato tutti i distretti.»

«Focalizzatevi sulle zone industriali. Ricercate strutture un tempo adibite a reparti medici ora in disuso, di medie dimensioni» riferisco, abbinando plausibilmente la locazione di Paul con la tipologia di scelte che era solito prendere, attendendo che il poliziotto a me di fronte possa davvero aver capito e sia pronto per mettersi all'opera.

«Si tratta di Samuel?»

Tutto mi sarei aspettato tranne che la voce di Nerissa. E' ancora qui, alla centrale... ed ha un'espressione spersa mentre osserva la preoccupazione di tutti noi.

«Parlate! Lo avete trovato? Lo avete trovato, sta bene?»

«Nerissa...» provo ad avvicinarmi, in modo da trascinarla via di qui ma non appena le stringo le mani attorno alle braccia il suo corpo scatta con una molla.

«No!» Geme, avanzando di corsa verso i microfoni accostati all'orecchie degli agenti. Addirittura riesce a rubare una di quelle ricetrasmittenti ed appropriarsene, udendo così la voce in diretta dell'uomo che aveva assistito ai fatti ed arrivando a modificare la propria espressione nella gravità della situazione creatasi.

«Nerissa...»

«Dove è andato?»

«Non lo sappiamo.»

«Ma lo troverete, giusto?» Un magone si forma nella trachea, ostruendomi la voce mentre lei continua a fissarmi con le lacrime agli occhi. «Franis... ti prego, trovalo.»

Amarsi aveva dato loro la forza di proteggersi per tutto questo tempo ma ora il ritmo dei loro cuori sancisce lo scandire di una lenta lancetta, in grado di separarli sempre di più l'uno dall'altra.

******

L'intreccio delle mie mani pende nel vuoto all'interno del caos di questa centrale ed io fisso solo loro, le lunghe dita che si intrecciano l'un l'altro in un incastro semplice, immobile. Quasi... esanime. Principalmente, fisso l'anello di quarzo donatomi e presente all'indice. Un regalo prezioso che ora arriva ad ustionarmi la pelle...

Delle dita si sovrappongono alle mie e disciolgono in una carezza la ferocia di quell'intreccio. Una testa si china nella loro direzione ed una bocca sancisce in un bacio una richiesta di calma.

Rais è seduto dinanzi a me su una delle molte sedie a rotelle caratteristiche di questa centrale e quando la sua fronte si solleva riesco a vedere il modo con cui guarda: amore e disperazione al contempo. Lo stesso sguardo che ho io rimanendo in piedi e fissandolo dall'alto.

«Dovresti riposare» mi sussurra la sua voce, al di sotto di questo caos.

«Non posso...»

L'orologio alla parete segna le quattro e trenta del mattino ma l'intera squadra è ancora operativa, a caccia del mio mentore di cui sono sparite le tracce.

«Sei stato molto bravo, poco fa... Capisco perché tutti qua dentro ti ammirino così tanto, hai dato una svolta all'indagini e lo hai fatto lucidamente, con prontezza.»

Le sue dita giocano con le mie timidamente ma udendo l'assenza di risposta che ne consegue Rais inclina la testa nuovamente all'indietro per poter vedere nei miei occhi che ormai... non sanno più fingere.

«Non ricordo che cosa ho fatto, Rais. Non me lo ricordo...»

Delle lacrime si formano nei miei occhi a seguito di queste parole troppo cariche di significato, per noi. Rais si solleva in piedi e di slancio mi abbraccia, tenendomi stretto contro di se.

Stringo in dei pungi la sua maglia, lottando per poterlo avere con me. Lottando... fino a che le forze ancora mi permettono di farlo.

******

«C'è una chiamata in linea, signore.»

«Chi è?»

«Richard Lee, signore.»

Un silenzio spettrale cala sull'intera centrale, coinvolgendo persino Carlail. Ogni persona presente si concentra su qualsiasi minuscola espressione possa trasparire dal volto del nostro capitano ma se questi provi paura... allora non è a noi che lo dimostra. La sua mano si tende per poter ricevere la cornetta ma l'uomo in divisa del centralino esita a donargliela.

«No... vuole parlare solo con Dawson. In privato.»

L'istante dopo queste parole noto gli occhi dell'intera squadra presente alle cinque del mattino volgersi verso di me, tentando di infondermi forza o forse cercando di trasmettermi la loro confusione in merito a questa insolita richiesta.

Scivolo giù dal tavolo in una mossa lenta, facendo pressione sul palmo delle mani, in modo da rialzarmi e percorrere con lentezza il corridoio che mi conduce all'ufficio del comandante.

Dirigo lo sguardo, un'unica volta, verso Rais in modo che capisca quanto bisogno io abbia che mi segua e lui lo comprende.
Inizia a camminare lento alle mie spalle, senza considerare ciò che il resto del personale possa pensare e per dei lunghi istanti non sono udibili altri che i nostri passi, mentre raggiungono la loro meta.

Attendo che mi sia vicino per poter aprire la porta dell'ufficio e permetterci di entrare. Chiuderla sigilla poi il mondo all'esterno e ci consente di rimanere da soli, all'interno di questa stanza illuminata unicamente dalla luce proveniente dal di fuori. Pallidi raggi di luna a rischiarare i mobili, mescolati a profonde macchie di blu scuro generate dalla notte buia.

Procedo in direzione della scrivania al di sopra della quale è presente la cornetta del telefono mentre Rais segue le mie scelte e finisce per accomodarsi ad una delle sedie presenti di fronte a questo tavolo.

Osservo l'immobile cornetta e dopo lascio scivolare le maniche del nero cappotto da una spalla all'altra.
Il gelido orrore di questa notte mi aveva costretto a trovare riparo nel calore ma ora scopro di non averne più bisogno.
Con una mossa lenta, poso il mio cappotto allo schienale della poltrona del capitano, per poi afferrare il mio pacchetto di sigarette.

Nell' immobilità di questa stanza, la sigaretta fluttua nell'aria prima di arrivare alla mia bocca. La fiamma dell'accendino diviene la scintilla di un motore che, solo per pochi istanti, fa crepitare l'aria, dopodiché il fumo riempie la scena.

Sollevo la cornetta del telefono e la poso sul tavolo, premendo il numero uno sulla grigia tastiera, attendendo che il suono in viva voce mi suggerisca la caduta di linea dell'altra stanza.
Quando arriva, il silenzio ci accoglie solo per alcuni secondi prima che una voce troppo nota riempia l'aria.

«Ciao, Francis.»

Stringo gli occhi nell'istante in cui la nicotina si infrange in particelle, offuscandomi la visione dell'intorno.

«Ciao... papà.»

Lo avverto chiaramente sorridere dall'altro lato del telefono ma la mia espressione non può permettersi di ricambiarlo. Rimane concentrata ad osservare il vuoto, quasi come se di fronte a me la sua figura si stagliasse, pronta a deridermi con il sottotono di una risata.

«Sono felice tu non abbia provato a mentirmi.»

«Non è nel mio modo di fare, dovresti saperlo.»

«Desideri dirmi quanto scoprire la verità ti abbia deluso?»

«Non lo ha fatto» affermo, trovando il coraggio di dire parole rimaste in silenzio nella mia mente per una vita intera. «Io non ti amo.»

«Amare è un azione complessa...»

«Nemmeno tu mi ami» affermo, ricordando i momenti che abbiamo condiviso insieme con la visione di una mente più adulta, più matura e pronta rispetto alla crudeltà della vita. «Ma al contrario di quanto abbia fatto io, tu hai sempre provato nei miei riguardi una sorta di rispetto oppresso. È per questo che hai chiamato alla centrale?»

«Sei sempre stato un bambino astuto, Francis... per questo il mio rispetto...»

«Ma preferisci un altro genere di figlio, non è vero?» Affermo, sorridendo dinanzi a me in direzione del vuoto. «Sicuramente, ne privilegi uno che abbia il tuo stesso sangue dopodiché... essere violento è la caratteristica essenziale.»

«Nonostante il disprezzo con cui affermi simili parole, non sembri aver mai provato orrore per Caleb o per William. Manchi di sincerità, dunque... nonostante tu affermi il contrario.»

«Caleb è ancora in tempo per essere un uomo diverso da quello che tu sei, mentre per quanto riguarda William...»

Non mi sorprendo di come la voce mi venga a mancare. La mente non ha ordinato tutte le sue idee ed ora mi gioca un brutto scherzo, dinanzi il mio nemico.

«Per quanto riguarda William?»

«Ho conosciuto una versione di lui che non credo tu conosca» espiro, ben consapevole di quanto dolore abbiano provocato simili parole. Ma William è mio fratello...

«Già... ero consapevole che non fosse del tutto pronto per potertisi avvicinare tanto ma ero certo che avrebbe fatto un'ottimo lavoro sotto copertura. Volevo ripagarvi con la stessa carta, visto quanto era stato compiuto da Attila.»

«E ti è stato d'aiuto?» Domando con un ghigno, dentro una ferocia incapace di essere soppressa.

«Al massimo della sua forza... ma tu devi aver capito chi fosse fin da subito, o forse il nostro Rais deve aver emesso una parola di troppo. È lì con te, vero? Avevo chiesto un incontro privato.»

Sollevo gli occhi verso il mio ragazzo, provando una immonda dose d'orgoglio nel vedere che non mostra paura.

«Non dovresti preoccuparti, papà, rimane tutto in famiglia.»

Dall'altra parte odo il suo ghigno tramutarsi in una sorta di insofferente sbuffo. «Depravato...»

«Parliamo di questo, allora. Di depravazione» affermo, nella prontezza di rincarare la dose sulla più grande ferita da cui il sangue sgorga. «Il tuo lavoro come tassista non ti bastava più? Quale è il tuo guadagno annuo e quanto hai goduto nel demolire la carriera al mio vero padre, si può sapere?»

«No. Più di quanto immagini. Molto avendo raggiunto la consapevolezza che così facendo non si sarebbe più potuto introdurre nella mia vita» risponde per punti, lasciandomi così modo di pensare.

La fondina ascellare legata alle mie spalle presenta due postazioni vuote, esenti dallo sfoggio di due lucenti pistole, ma le mie armi sono ben altre e l'intelligenza è da sempre una di esse.

«Avrebbe intaccato il tuo cognome, con il suo lavoro notarile che lascia poche possibilità alla genesi della tua ricchezza... hai intascato una fortuna che non ti spettava, padre? Hai ucciso per poterlo fare?» Il silenzio che ne consegue dall'altra parte provoca la mia soddisfazione. «È questo il motivo per cui non hai mai guadagnato il mio rispetto.»

«Tu e Damien avete questo in comune: non sapete riconoscere i vostri limiti e vi spingete troppo oltre, ma ancora ti considero migliore a lui.»

«Hai qualcosa da offrirmi, non è vero?»

«Solo la scomoda verità. Desidero che tu risponda solo ad una semplice e piccola domanda: provi affetto per William?» Stavolta è il mio il turno di tacere da questo lato della chiamata, ma mio padre non è certo la persona più incline a demordere. «Dovresti... si tratta del tuo fratellastro, in fondo. Vi siete allenati insieme, avete imparato a conoscervi...»

«E con questo?»

«Se provi ciò che provi allora... puoi capire la verità del nostro lato. Puoi capire l'altra metà del volto di William che tanto ti rifiuti di affrontare e comprendere così noi, ciò per cui ci siamo riuniti. Io, Monty...»

«Monty...» sussurro, risvegliando quel nome dal baratro dell'incoscienza. Il migliore amico di mio padre sparito dalla circolazione, l'uomo con la ferita all'occhio. «Era lui alla porta quel giorno?»

«Rispondimi, Francis, perché sono certo dell'esistenza di un altro volto di William così come sono certo che lo abbia pure tu.»

La mia rabbia... la violenza che fuoriesce dalle mie parole, nonostante creda che viva quasi nell'inesistenza. Certe volte erano stati tanto crudeli da terrorizzarmi.

«Vuoi che mi unisca a voi» sussurro.

«Sarebbe tanto assurdo? Anche Rais potrebbe venire con te. Potremmo essere tutti felici, sotto il cognome di Lee.»

Felici... al sicuro.

«Non desidero la protezione di un mafioso. Ancora meno quella di un uomo come lei» interviene Rais, facendomi sgranare gli occhi ed accelerare il cuore.

Con un solo cenno stavolta è lui a rivolgermisi: mi osserva con quegli occhi rotondi, decisi, invocandomi di non perdere questa battaglia. Mio padre stava cercando di colpirmi nel mio punto più debole, gli altri, l'amore, l'idea di una protezione che non sono mai stato del tutto in grado di offrire ma è proprio l'oggetto di questa controversia che mi supplica di resistere.

«Contento che tu sia dei nostri, spacciatore... quanto coraggio per un uomo che un tempo supplicava la mia protezione.»

«Non ho mai supplicato.»

«Giusto, andare a letto con William ti bastava come protezione. È questo che intendo: depravazione.»

Le parole di mio padre... no. Le parole di Richard Lee riempiono l'aria come un veleno, tirando fuori la spinosa questione tra noi irrisolta eppure... mi accorgo ad un tratto di non provare niente. Di non covare gelosia o rabbia per aver condiviso il mio amore, capendo dal suo sguardo quanto potesse essere considerato un gesto folle o disperato. Magari nemmeno desiderava quello che William era solito fargli, usandolo come sfogo per punirsi del male che era certo fare tramite il commercio di droga oppure dando al biondo il solo compito di fargli provare qualcosa.
Rais era un uomo diverso, prima della nostra relazione. A suo modo era maligno, fragile ed incredibilmente arrabbiato. Terrorizzato alla sola idea di instaurare un legame, fuggendo sempre dalla parte opposta rispetto a quella da cui potesse nascere...
Ed ora lo guardo. Lo guardo e vedo un uomo nuovo.

Vedo un uomo che non scapperebbe da quella riunione di dipendenza tra anonimi se fossi io a chiederlo. Lo stesso uomo che aveva iniziato la cura del metadone per dimostrarmi di essere migliore di una mia delusione. Di volere e di meritare il mio amore... e così era stato.
Quest'uomo non griderebbe, non mi ferirebbe, non lotterebbe con forza per scappare da ogni pressione ma mi bacerebbe ed io lo ricambierei.

Figlio del vento... lo è ancora. È ancora un nomade privo di una casa ma proprio come a Gareth una gliene era stata offerta: il South Side è un luogo sufficientemente grande da poter ospitare la meraviglia di nuovi cuori.

Per la persona che è adesso è per ciò che si è dimostrato riesco ad accorgermi che qualsiasi patetico stratagemma di Lee non valga. Per questo motivo riesco a procedere con lucidità, avanzando risposta per un'affermazione rimasta sospesa.

«Sì, sarebbe assurdo. Io non sono come William, nonostante quanto tu creda io possa esserlo.»

Dall'altra parte dell'interfono mio padre assimila una simile frase, prima di tornare con una delle proprie, in un lento sussurro.

«Stai distruggendo il mio mondo, ragazzino.»

«Tu hai distrutto il mio già da tempo» affermo, posando il filtro della sigaretta più vicino alle labbra.

«Non posso lasciartelo fare.»

Questo è certo.

Nell'aria una consistente nuvola di fumo si palesa dinanzi i miei occhi, rendendomi ancora una volta invisibile la visione della sala.

«Ricordi il gioco delle tre carte?» Domando, consentendo al suo successivo silenzio di poterne palesare la risposta. «Ho imparato a detestare quel gioco da quando ho scoperto il tuo imbroglio.»

Rivedo il veloce movimento delle carte tra le sue mani ed il nascondiglio di quel sette di cuori nella sua manica destra.

«Credo si sia trattato sempre di questo, in fondo. Del tuo modo di confondermi. Mostravi dinanzi ai miei occhi una realtà che sapevi non essere sincera, distraendomi con i tuoi trucchi ed i tuoi giochi di magia ma era solo fumo. Fumo negli occhi.»

La nicotina si condensa nel stanza, dando il permesso alle iridi di acquisire una scusa per le loro lacrime.

«Rifiuto la tua offerta, padre. Continuerò ad essere l'uomo che sono e questo mi consentirà di non cadere nel tuo stesso sbaglio.»

«Sei un uomo coraggioso, Francis, ma solo con il coraggio non si vince una battaglia.»

«Nemmeno dichiarandola conclusa.»

Avvicino lento la mano alla tastiera del telefono e applicando pressione su un bottone, nel silenzio che ne consegue, metto fine alla chiamata.
Nell'operazione sento gli occhi di Rais addosso ed è in questo istante che il mio bracciale allenta.

Sento la pelle di cui è composto scivolare lungo la mia finché non arriva a posarsi sul tavolo in un decadimento lento divenuto una sorta di addio.

Non è più possibile tornare a casa.

******

L'alba insorta nel nostro mondo ha donato una luce nuova alle cose. Era apparsa diversa, grazie ad essa, l'espressione sul volto di ogni poliziotto presente: pareva come se di colpo dominasse la volontà di averla vinta, una buona volta.
Dove vi era la resa generata dall'orrore, dalla stanchezza era giunta la rinascita e questo era stato reso possibile con il solo sopraggiungere del sole.

Quante cose possono cambiare al mondo se gli uomini, in prima persona, imparano ad influenzarsi positivamente tra di loro? Quanto bene potremmo generale con una sola, minuscola, scintilla in grado di ardere tutto quanto?
Lotto per questa idea che romanticamente si era manifestata nell'alba ma che ritengo possa venire ospitata in tutti i cuori in grado di accoglierla.

«Dove stai andando?» Mi domanda la voce di Rais, non appena raggiungo le porte d'entrata.

Ormai il sole ha passato il suo mezzogiorno per cui sarebbe insolito, visto il compiersi degli eventi che ancora stanno avendo luogo, ma normale andare a riposare. Deve essersi domandato il perché non lo stia portando con me.

Per tutta la notte, a seguito di quella chiamata, noi e gli altri agenti presenti abbiamo aperto il fuoco della battaglia e non c'è stato un solo investimento a nome dei Lee che il nostro fuoco non avesse carbonizzato.
Avevamo fatto guerra aperta su tutti i fronti ed avevamo messo fine ad una notevole parte di sofferenza che quel cognome provocava. Non ancora abbastanza.

Per questo motivo le persone alle sue spalle ancora lottano spedendo squadroni armati nei vari luoghi designati ma mentre loro agivano, destreggiando ordini, io rimanevo nelle retrovie a fissare con sufficiente distanza le conseguenze che simili azioni avrebbero provocato.
Ormai ho imparato fin troppo bene il concetto fornito dalla vendetta. Il mio mentore mi aveva spianato la strada ed aperto l'alternativa verso la sola scelta possibile.

«Sto andando da Gareth, dopodiché torno qui alla centrale. Vuoi venire con me?»

Nelle nostre orecchie è ancora presente la conversazione avuta con mio padre, l'infimo modo che ha escogitato per metterci l'uno contro l'altro tirando fuori il verme dentro la mela, la cruda gelosia.
Anche Gareth fa parte di essa ma sono pronto a distruggere anche questa soglia, lasciandogli però la scelta di abbatterla lui ancor prima.

«No. No, ti aspetto qui ma ti prego... stai attento.»

La bocca mi si increspa in un piccolo sorriso. Le nostre mani, intrecciate tra loro, si distendono nel vuoto quando compio minuscoli passi per allontanarmi finché la distanza non diviene tale da rendere sempre più flebile la percezione dei suoi occhi lungo la schiena.

Nel cortile dell'oratorio vi è un sottofondo di risate, proveniente dalla moltitudine di bambini e mi domando per quale motivo non avessimo scelto prima un simile orario per i nostri incontri.
Riempie il cuore di bontà udire la loro allegria e dona una ragione per continuare a lottare, nonostante tutto.

Gareth è in piedi poco distante da quel coro di grida: osserva tutti loro con le mani nelle tasche e la schiena appoggiata ad una parete in ombra del sagrato, pieno di attenzione nei loro riguardi.
Credo che sia stato quel suo modo di fissare le persone, già dal principio, a farmi scoprire che genere di uomo lui fosse. Non ne ero rimasto deluso.
Gareth è attento, paziente, astuto ed un milione di altre cose che una persona rimasta bloccata ad una sua semplice conoscenza non potrebbe comprendere.
Sono fiero di averlo avuto al mio fianco e di poterlo vedere ancora, a poca distanza, con quel suo sguardo.

Accorgendosi di me, sposta l'attenzione sul mio arrivo continuando a tacere finché non mi sono fatto abbastanza vicino.

«Che cosa devo aggiungere ai tuoi appunti, stavolta?»

«Più niente» confesso, stringendomi nelle spalle.  «Ormai si gioca a carte scoperte.»

«Che cosa è successo?»

«Ho parlato con il nostro nemico...» espiro, lasciando disperdere nel vento la mia voce.

«Quindi che cosa intendi fare?»

Resto in silenzio dinanzi a questa domanda troppo complessa per poter essere emessa ad alta voce, provocando una sua seconda richiesta dall'aria di una spiegazione.

«Per quale motivo siamo qui?»

«Volevo dirti grazie, Gareth. Per essermi stato vicino ed avermi fatto da spalla. In quel distretto è impossibile fidarsi di un qualcuno.»

«Ma non è solo per questo, vero?»

Ha sempre provato il bisogno di anticipare le cose. Di avere sempre tra le mani il finale di una situazione, indagandone prima ancora le dinamiche per comprendere come potesse finire...

«Volevo dirti che è probabile che Carlail ti avesse richiamato per ridarti l'incarico e che a mio avviso tutto ciò non è sbagliato. Puoi avere avuto una ricaduta, come dice il medico, ma sei un bravo poliziotto e dovresti tornare al servizio al più presto.
Quando Carlail mi diede il permesso di entrare in polizia ero solo un bambino particolarmente precoce, bravo nel risolvere determinati casi perché possedevo la lucidità esterna necessaria per comprendere a quali indizi potermi rivolgere.
Anche tu la possiedi per cui sappi che non dovresti rimanere nelle retrovie ma avanzare.»

«Non sarò mai migliore di te.»

«Già lo sei perché sai quando fermarti» affermo, ricordando le parole del signor Lee quasi fossero state incise nella mia mente. «È una caratteristica che ti invidio molto. Sai quando fermarti prima di raggiungere l'eccesso per cui spero che ti sia utile per quando tornerai dal tuo periodo di congedo.»

Gareth non mi risponde ma con quei suoi occhi intensi continua a fissarmi, tanto da costringermi ad avanzare la falsità di un sorriso.

«Ho un ultimo incarico. Ti ho portato una cosa.»

Sotto il suo sguardo, recupero la presa dell'oggetto rimasto tra il mio braccio ed il corpo per tutto il tempo e lo direziono verso di lui.

«Il libro che leggevi durante l'accademia?»

Non è solo questo e lui lo sa. Lo ha sempre saputo che cosa rappresentasse... quale persona impersonasse.

«È tuo, adesso. Prenditene cura» sussurro, accorgendomi che delle lacrime si stanno formando al bordo degli occhi. Le combatto mantenendo un sorriso che rivolgo nella sua direzione. «Mi è molto caro.»

A seguito di queste parole, lotto affinché l'egoismo mi consenta di avere almeno la forza di sollevare le suole di queste pesanti scarpe da terra. Me lo concede con uno sforzo immane, con una sofferenza che mi ricorda di come l'animo, nonostante sia tutto perduto, continui a lottare e desideri con forza mantenere ciò che gli appartiene.
L'avidità è l'emozione più immorale della natura umana.

******

I miei passi sono incapaci di rompere l'idillio del loro abbraccio. Scivolo con lo sguardo lungo i loro corpi stretti all'interno di questo minuscolo divano, sorridendo per la pace che ancora sembra governarli.

Megan riposa tra le sue braccia e mai prima d'ora mi era parsa tanto felice. Di colpo, mio fratello sembra essere un uomo nonostante i suoi tredici anni.

Inclino la testa, cercando nel loro intreccio l'espressione di lei e commuovendomi di come il suo volto assomigli a quello della mia piccola strega, che non vedo da un sacco di tempo. L'ultima volta che ho parlato con Amy era stata la sola in cui ero riuscito a presentarle Rais, un momento di pace dentro la tempesta.

Noto il lento sbattere delle ciglia di lei, a causa dell'arrivo di un raggio di sole, per cui mi allontano da questi miei primi posti con prudenza, tentando di non introdurmi nella loro vita ma riuscendo a vedere l'istante in cui anche mio fratello si sveglia, accorgendosi della presenza di lei. Restano a fissarsi in silenzio e sembrano comunicarsi un sacco di cose, quasi come se tra loro stesse avendo vita una discussione di cui il resto del mondo non può essere reso partecipe e che proclama la sconfitta di Caleb dal momento che pochi istanti dopo Megan si solleva dal suo giaciglio, recuperando le sue cose. A passi lenti, senza sollevare la testa da terra e senza così potersi accorgere della mia presenza, raggiunge la porta della nostra casa in modo da poter tornare nella sua. Di colpo, anche lei mi appare come una donna nell'incertezza che possiede nel voltarsi, per un'ultima volta, verso mio fratello prima di andarsene.

Caleb si è messo a sedere con le mani affondate nei neri capelli, non può notarlo ma viene colpito dalla violenza di quella porta che lentamente si chiude, nell'agonia del suo addio.

Lo zaino di mio fratello è abbandonato poco lontano. Dovrebbe andare a scuola, così come fa presente l'orologio appeso al di sopra della porta della sala, ma sembra essere l'ultimo dei suoi problemi. Con le spalle inflesse verso il basso, tenta di reggere l'addio appena ricevuto ed emesso senza alcuna voce. Non posso essere certo di cosa si siano detti ma mio fratello non ha mai reagito in questo modo per nessuno. Per la prima volta... riesco a vederlo fragile.

«È molto bella» mormoro con sincerità, rivedendo dinanzi agli occhi la tristezza sul suo volto perfetto. «Te la sei scelta bene.»

Il volto di mio fratello si dirige nella mia direzione nell'istante stesso in cui mi accendo una sigaretta, stringendo una tazza di caffè nella mano, sondandomi con il suo sguardo imperturbabile prima di giungere alle proprie conclusioni.

«Non l'ho scelta e di certo non voglio che sia la mia ragazza» sibila fuori, tornando con lo sguardo diretto di fronte a se forse nel tentativo di mascherarmi l'espressione che questo ospita.

Sorrido, in maniera arresa della sua testardaggine.

«Stai mentendo di nuovo, Caleb.»

«Non hai un lavoro a cui tornare tu?»

«Sono appena rientrato e vi ho visti abbracciati. Esco da un turno di sedici ore.»

«Già, si vede.»

Già, penso con un mezzo sorriso, posando nuovamente la sigaretta sulle labbra e riflettendo di come una simile provocazione potesse provenire anche dalla bocca di Amy. Lei non vorrebbe che lavorassi troppo.

«Davvero non ti piace? Se ti piace non dovresti esitare a dirglielo. Anche se non l'hai ancora capito è stata una delle prime lezioni che ti ho lasciato, mai mentire. Non porta altro che guai.»

«Nostro padre non la pensa allo stesso modo, secondo lui alle volte è meglio mentire, ci fa sentire desiderati, no?»

Udire simili parole mi fa contrarre lo stomaco e fuoriuscire quel poco fumo che avevo immagazzinato, costringendomi a fissare altrove e non negli occhi di mio fratello per poter celare tutto l'odio che i miei ospitano.

«Lascialo perdere nostro padre» sibilo fuori, perdendomi nelle considerazioni del poco che abbiamo ottenuto in questi giorni prima che mio fratello, sollevandosi dal divano ed avviandosi verso la sua stanza, non attragga una mia nuova domanda. «Dove vai?»

«A prendere le cose per la scuola, tra un'ora iniziano le lezioni.»

«Mamma mi ha detto che ti stai impegnando» affermo con un sorriso, nonostante sia una bugia il dire di averle parlato. Eppure non potrebbe essere altrimenti con un ragazzo come lui. Sembra essere diventato ancora più diligente e attento in ciò che fa.
Sono venuto in questa casa a quest'ora sapendo di poterlo incontrare da solo, senza la presenza di quei genitori che gravano su di noi come maledizioni. Nostra madre è la mia e nostro padre è la sua. La sfortuna ci benedice con un bacio.

«Sì, ultimamente mi sta piacendo.»

«Bene, mi fa piacere ... e come amicizie? Come si chiamava quel ragazzo, Ian?»

«Insomma, cosa vuoi Francis? Non abbiamo mai parlato così, che vuoi sapere e perché tutto questo improvviso interesse?»

Ha ragione ad esordire così: le sue parole mi fanno comprendere di come sia divenuto un estraneo a questa famiglia, a lui, nonostante fosse l'ultima cosa che desideravo essere.
Tristezza e amore guidano le mie parole in una richiesta di resa.

«Ma non è niente, non ti scaldare tanto, volevo solo sapere cosa combinava il mio fratellino, se stava sulla giusta strada e stesse bene...»

«Va tutto bene, Francis, niente di cui tu ti debba preoccupare.»

Lo dice con rabbia, per mascherare il suo palese disagio nell'essere così esposto in mia presenza, ma è in grado comunque di riportare tranquillità nel mio cuore.

«Mi fa piacere.»

Poso la tazza ed il pacchetto semivuoto delle sigarette sopra al tavolo, attirando per un attimo il suo sguardo sui miei gesti, prima di accomodarmi ad una delle poltrone finendo di fumare.

«Ho sempre voluto il meglio per te, fratellino, anche se tu eri totalmente contro. Vorrei te lo ricordassi, quando non sarò lì a dirtelo.»

«E come posso dimenticarmelo? Sei talmente fastidioso che troverai comunque un modo per continuare a ripetermelo ogni giorno, nonostante tu sia chiuso in centrale» ribatte arrabbiato ed in parte anche confuso dal mio strano atteggiamento.

«Me lo auguro...»

Gli occhi verdi di mio fratello mi scivolano addosso, ricambiati dal verde dei miei, ed è in questo istante che mi accorgo che qualcosa in lui è mutato: qualcosa nella sua anima.
Non posso essere certo che questo non dipenda dalla giovane Megan ma ad un tratto è come se Caleb avesse scoperto la dolcezza e mi stesse fissando con malinconica sofferenza per la mia situazione fisica.

Adesso è davvero diventato uomo.

«Devo andare. Cerca di non incendiare casa con quella sigaretta» bofonchia, voltandosi di spalle una volta recuperato lo zaino e andandosene.

«Vedrò come fare» sussurro, al posto che è rimasto vuoto dopo il suo abbandono.

Poso la nuca all'apice dello schienale, rimanendo a fissare il soffitto.

Se questo posto bruciasse allora si estinguerebbe tutto il male. Le fiamme arderebbero il cemento fino a provocarne il collasso ed il male verrebbe ricambiato per ciò che siamo stati costretti a subire.

Afferro un posacenere e lo poso su un bracciolo della poltrona, prima di ritornare nella posizione precedente e chiudere gli occhi.

Quanto dolore abbiamo subito e quante perdite...

Il mondo ruota su se stesso nell'approccio del ricordo, ridestando alla mente volti e frasi mentre il mio corpo grida, a tratti, picchi di dolore osseo per poi far annegare la sofferenza in un altro mare.

Ricordare ogni cosa è impossibile eppure la mente rievoca la visione di molte facce che mi erano vicine prima che il fuoco imparasse ad ardere l'affetto, consumando la nostra terra ed i nostri cuori, allo stesso tempo...

«Sei qui.» Una voce mi parla, costringendomi ad aprire gli occhi ed accorgermi che oltre il suo viso il mondo manifesta l'ombra della notte. «Ti ho cercato ovunque.»

È preoccupato, lo vedo. Lo sento dal modo in cui una sua mano si solleva in cerca della mia, stringendola.

«Scusami.»

«Mi avevi detto che saresti tornato alla centrale.»

«Non mi sono sentito bene ed ho deciso di riposare un po'» mento ma la sua preoccupazione gli impedisce di accorgersene.

«Ancora quei dolori?»

«Ho anche avuto qualche vuoto di memoria, durante tutta la giornata.»

Rais mi osserva con palese attenzioni per le mie condizioni fisiche senza però dimostrarmi la sua paura. Ha perso la paura già da tempo.

«Vedrai che riusciremo a sconfiggere questa malattia. Sul serio, Francis, sono convinto che potremo farcela!»

Sorrido del suo entusiasmo, meravigliandomi di quanto il suo cuore possa essere bello.

«Sembri essere molto convinto...» Non c'è bisogno che me lo confermi. I suoi occhi sono in grado di farlo a sufficienza. Per questo motivo scopro di avere le forze per porgergli una nuova domanda. «Ricordi che cosa ti dissi un giorno, riguardo alla tua moto?»

«Che saremo potuti partire quando avrei voluto se la situazione si fosse fatta troppo pesante.»

«Perché non mi hai mai chiesto di andarcene?» Sorride dinanzi la mia strana richiesta, ma l'esasperazione mi porta nuove parole. «Qui intorno è puro caos, sofferenza, tristezza, morte. Perché non mi hai chiesto di venire via?»

«Perché tu non avresti mai davvero desiderato scappare ma lo avresti fatto solo perché ero stato io a chiedertelo. Perché il South Side è la tua casa. Perché, se c'è una cosa che mi hai insegnato prima ancora di quanto fosse facile amarti è stata di non fuggire, specie davanti alle emozioni e agli eventi troppo importanti. Sono scappato per un'intera vita, Francis. Prima di te non avevo mai trovato qualcosa per cui valesse la pena lottare davvero.»

Le sue parole sono tanto belle da farmi venire le lacrime agli occhi. Sono costretto a sedermi, chinarmi in avanti e prendermi la testa tra le mani per regolare il mio pianto ma non prima di riuscire a vederlo sorridere.
China la testa contro la mia costringendomi ad aprire gli occhi e sollevare una mano in modo che quest'ultima accarezzi le ossa fragili del suo collo come ha fatto milioni di volte. Quelle due lunghe ossa di quella sua nuca sui quali i miei occhi si sono posati ogni notte durante il periodo della loro prigionia e disintossicazione.

Ho amato quella nuca. La sua spoglia testa. La morbidezza della sua bocca mentre esorcizzava la sofferenza per poi evocare disperata il mio nome.
Ho amato tutto di ciò che abbiamo avuto e la bellezza di riaverlo indietro in questo momento riesce a scaldarmi il cuore.

Sei tutto ciò che amo, Rais, penso, posando la mia fronte contro la sua e poi spingendola dolcemente affinché si inclini e permetta tra di noi un bacio.
Le nostre bocche si toccano con pazienza, si accarezzano, si amano e si curano a vicenda, lasciando lo scorrere lento della lingua procedere come ha fatto milioni di altre volte. Quanti baci, quanti respiri rotti contro... ripensare a tutto questo mi provoca sofferenza.

Con dolcezza metto fine a questo bacio, prendendomi degli istanti per poter rimanere ad occhi chiusi a gustarmi l'amaro sapore della verità. Dopodiché mi allontano da lui quanto basta per riuscire a sorridergli ed essergli di conforto.

«Grazie» sussurro, senza parole da dire per poter reggere questo nostro confronto. La mia voce ne vorrebbe dire di diverse. Il corpo vorrebbe correre ben più lontano ma è la mente che governa su tutto e lei sola mette a tacere tutto il resto.
Schiarisco la voce e con la punta di pollice ed indice scuoto il pacchetto delle sigarette davanti ai nostri occhi. «Sono ancora troppo stanco per alzarmi, ma ho finito le sigarette... potresti comprarmene altre? Il tabaccaio è due strade più avanti.»

«Dovresti smettere con tutte queste sigarette, lo sai? Anche la tua è una dipendenza e dalle dipendenze si può guarire» commenta, rialzandosi in piedi con fierezza e sorridendo con astuzia, nella sua morbida bocca. «Tornerò qui in un lampo, prima che tu te ne accorga.»

«Mettici il tempo che ti occorre» affermo, vedendolo già pronto per dirigersi verso l'uscita.
Osservo lo spirito ballerino che assume il suo corpo al fine di arrivare a quella meta, stregato dalla leggerezza che lo governa.

«Ah, Francis! Dimenticavo una cosa» mi dice, una volta aperta la porta e rimanendo sulla soglia.

Nonostante la distanza ci fissiamo negli occhi, stregati dalla bellezza di questo istante.

«Ti amo.»

Percepisco con chiarezza il momento in cui la mia bocca si incurva in un morbido sorriso sincero, sollevando gli angoli verso l'alto tanto da consentire anche al cuore di farsi più leggero.
Rais analizza il risultato al quale le sue parole hanno dato vita prima di sfuggire allegro verso il suo compito.

Lotto contro l'aritmia mentre ritorno con il corpo appoggiato allo schienale della poltrona, chiudendo gli occhi al fine di godere di questo istante.

Ritorno alla realtà, infiniti minuti dopo, quando un suono metallico e ripetuto si interfaccia come unico rumore all'interno di questa casa.
Aprendo lentamente gli occhi so già di cosa si tratta.

Il sorriso scompare mentre la mia testa si rende rigida nel poter osservare di fronte a me l'uomo che ho atteso per tutte queste ore... e lui è proprio seduto di fronte a me, con una pistola in mano.

William indossa la fondina ascellare dalla quale pende un solo revolver. L'altro è nella sua mano, vittima dell'ipnosi generata dalle sue dita nel far ruotare il tamburo del caricatore, in modo da inserire un proiettile dopo l'altro.
Indossa abiti eleganti, abiti che non gli avevo mai visto. Sicuramente un completo di marca e scarpe lucide, evidenti nel distanziamento dei piedi mentre rimane seduto a gambe aperte, gomiti posati sulle cosce, mani che fanno compiere dei giri ai bossoli uno per volta.

William mi guarda e non c'è alcuna forma di gioia o di rivincita del suo sguardo. Non è entusiasta di questa mia scelta compiuta con coraggio, perché la vendetta si ripaga solo in un modo... e per mettere fine alla sete di sangue, secondo il loro codice d'onore, questa è la sola scelta plausibile.

Parlare sarebbe inutile, adesso. Non abbiamo niente da dirci. La differenza rappresentata da noi stessi rende evidente quanto le scelte ci abbiano resi opposti.
Lui immobile sicario ed io... sacrificale vittima.
Ma è davvero lui ad uccidermi se le mani, senza che possa realmente accorgersene, ancora mi tremano?

Dei passi si interfacciano in questo quesito, dando modo alla figura di mio padre di comparire alle sue spalle.
Gli abiti che anche lui sfoggia non sono meno eleganti e gli offrono la bugia di un'aristocrazia mentre resta alle spalle del suo biondo sicario.

«Folle... folle ragazzo» sussurra mio padre, fissandomi con una sorta di tristezza. Tornare in questa casa, sapendo quanto fosse tenuta sotto controllo poteva avere solo una spiegazione che persino il signor Lee ha compreso: è sinonimo di un sacrificio che sono pronto a compiere.

«William» lo richiama suo padre e la testa del biondo si volta di lato, in attesa come il segugio più fidato. «Voglio che sia tu a farlo.»

Essere riuscito a raffigurarmi nella mente per filo e per segno ogni sviluppo di questa scena mi porta a sorridere in maniera celata mentre William si alza dalla propria postazione e mi viene di fronte.

Osservo nei suoi occhi, fronteggiando l'orrore che forse molte sue vittime devono avervi visto attraverso, riuscendo a pensare solo ad un dato di fatto: lui non sa che siamo fratelli.

«Un colpo, William. Dritto in fronte» lo incentiva Richard Lee, dandogli coraggio per la mossa successiva.

Continuo a fissare William negli occhi, sfidando la canna del revolver mentre mi si posa sulla fronte.
Guardo William negli occhi e nell'istante ricordo ogni allenamento svolto all'accademia.

Ancora una volta, non è lui a vincere. Mi sono fatto trovare. Gli ho concesso quest'apparenza di vittoria quando in verità sul trono vi è ben altro ed è la forza di un'idea, la scintilla che può divenire fuoco se generata in terra favorevole.

Che William dia il via a questo incendio. Che possa rendersi responsabile delle conseguenze. Loro non riescono a vederlo ma quello che accadrà dopo che avranno premuto quel grilletto, oh... quanto dolore e quanta forza che riesce a possedere quel futuro.
Occorre solo una piccola pressione, in modo da far scaturire la fiamma... ma William si ricorda di una frase dettagli molto tempo fa.
"Hai ancora una scelta."

«Io non posso farlo» sussurra, guardandomi negli occhi ed infrangendo la mia ironia perché al posto di essa si interfaccia il rispetto per quel nemico che, fino all'ultimo, mi è stato alleato.

Perché noi siamo fratelli, William. Siamo fratelli...

«Buono a nulla! Dà qui!»

Ma il legame tra fratelli è nulla se reciso dal male.

Richard afferra il revolver e lo punta di nuovo alla fronte. Osservo la sua scelta, riflettendo sulle persone che siamo... ed è così che il mio nemico capisce di dover abbassare l'arma, puntandola al cuore.

Non è mai stata una prova di intelligenza ma di amore, di legami, di storie. È per quello che so nascerà da questa morte. Per le vite che immagino questa mafia tenga in conto di risparmiare. Per la rivoluzione che so che prenderà vita, una volta che quel grilletto sarà scattato... eppure è così difficile rinunciare a tutto.

"È tuo, adesso. Prenditene cura. Mi è molto caro."

Ti prego, Gareth, proteggilo. Non aveva che me al mondo ed io lo amo, lo amo più di chiunque altro, tanto da temere la morte, tanto da desiderare di non essere qui ma di essere fuggito altrove.
Ti prego, Gareth.
Ti prego, abbiamo solo vent'anni e la morte è così orribile, la morte porta via ogni cosa.

Ti prego... fa che il suo cuore l'accetti, dammi il coraggio per farlo!

Chiudo gli occhi davanti alla bocca della pistola ed è solo un attimo che dietro le palpebre rivedo il sorriso di Rais. Rivedo tutti loro. Amy. Cedric. Ercole, poco più distante. Lèa. Halima. Issa. Samuel. Nerissa.
Ci sono tutti e sono qui, con me. Mi guardano sorridendo e sono fiamme. Vive fiamme che lottano per un'idea dentro questo mondo ostile. Lottano per la libertà.

«Nessuna rivoluzione ha vita senza patrioti che si sacrificano» mi fa presente Amy, puntando il dito verso la raffigurazione della rivoluzione francese, presente a tutta pagina. «Quelle persone sono davvero piene di coraggio per sacrificarsi ad un'idea.»

Il cuore rallenta nella propria paura, accolto da un mare di ricordi.

Spingo con forza il corpo di Cedric all'indietro, esausto di questa sua continua lontananza dagli affari che riguardano la nostra vita.

«Non sei stanco, eh?!, di fare finta che tutto questo non ti importi! So che non è così, so che ci tieni quindi dimostramelo, urlalo!» grido nella sua direzione mentre la bandiera che avevo sfoggiato durante la manifestazione interrotta cade a terra, in un purpureo rosso che è sinonimo del sangue che ci scorre nelle vene.

Nei suoi occhi vedo una fiamma accendersi. Una fiamma capace di incendiare un'intera foresta.

I muscoli del corpo si rilassano e all'improvviso provo il sollievo di non percepire più tutti quei dolori che la malattia, restringendoli, causa. All'improvviso un'immensa stanchezza scende su di me, dandomi modo di ritrovare la pace.

«Credo proprio che tu e mio fratello stiate bene insieme» afferma Halima, colorata di tutti i suoi colori preferiti e con un turbante in testa mentre sceglie la frutta a questo mercato rionale.

Mi sorride, mantenendo il cestino verde smeraldo affianco al corpo per poi dirigere lo sguardo verso il soffitto e ben oltre, verso il cielo.

«Sai, un giorno spero anche io di diventare abbastanza forte da poter decidere per me stessa, in modo da poter scegliere l'uomo dei miei sogni ed anche la donna che voglio essere.»

Il respiro esce più lieve dalla bocca, scivolando lungo le labbra mentre ancora gli occhi mi privano della vista.

«Non l'ho ancora terminata e non ha ancora un titolo» mi confessa Issa, maneggiando la sua tromba e lasciando nell'aria ancora il suono della bellissima melodia generata dalla sua arte. «Però giuro che glielo trovo!»

«Questa terra ha ancora così tanto da offrire! Campi sterminati che si perdono fino all'orizzonte, lo vedi Francis?» Ercole mi indica il termine del raccolto con la punta di un dito, arrivando fino al sole.
Mi chiedo fino a che punto possano giungere le sue ambizioni. «Un giorno riuscirò a dare vita a questo luogo e ti prometto che sarà un posto pieno di vita!»

«Non vorrei molto, solo una vita tranquilla» mi confessa Samuel appoggiato al muro del fronte opposto della casa a cui è solito fare la guardia.
Lo sconosciuto che vi è nascosto all'interno è troppo distante dalle nostre confessioni.
«Direi di aver avuto avventure per una vita intera! Ora vorrei solo un po' di pace... ma già so che non sarei in grado di abbandonare la polizia!»

Sorrido delle sue ultime parole, nei miei ricordi, prima che un volto si interfaccia su tutti.

«Noi ce la possiamo fare, Francis. Insieme. Se c'è un modo per poter lottare insieme lo troveremo» sussurra Rais, stringendomi il volto tra le mani.

«Ti amo... » sussurra, sull'ingresso della mia casa.

Apro le palpebre e fisso Richard negli occhi, in modo che possa rendersi conto di cosa è pronto ad uccidere.
Può anche colpirmi al cuore con quel proiettile ma i miei affetti, le persone che vi sono all'interno... loro continueranno a sopravvivere.
Non finisce qui, perché questa volta... sono io che ho vinto.

Il proiettile fuoriesce dalla canna e colpisce al centro del mio cuore.

P.O.V.
William

Fisso con orrore la scena che mi scorre dinanzi, vedendo l'istante in cui il proiettile entra nel suo corpo, rimanendovi per sempre.

Il silenzio segue il frastuono di quel colpo, dando un ipotesi di vuoto.

Francis è morto... sorridendo.

«William, William! Guardami!»

La voce di mio padre mi sta richiamando, ma sembra lontana. Non capisco perché lo faccia, perché le sue mani mi scuotano con questa forza e nell' incoscienza mi rendo conto che le mie tremano.

Non avevano mai tremato. Erano sempre state precise, affidabili.
Le mani di un cecchino.
Le mani che non hanno avuto la forza per premere quel grilletto.

Non sono stato io! Non ho ucciso Francis! Non io, lo giuro!

«William!»

Ogni cosa si arresta di fronte all'ira di mio padre e mi costringe a fissare negli occhi l'uomo macchiato di sangue.
C'è sangue ovunque, il colpo era troppo vicino.
Troppo vicino, gli si è incastrato nel petto! È morto sul colpo!

«William, guardami. Questo momento è decisivo per te, devi ascoltarmi bene. Devi fare una scelta. Una sola.»

La sua mano libera dalla pistola ed insanguinata si tende verso Francis con certezza, dando voce ad un uomo che non l'ha più.

«Poco fa non sei riuscito a sparargli ed ora lui è morto. È morto, William. Se non gli avessi sparato io che cosa sarebbe successo, eh? Un delirio, ecco cosa!
Devi rinunciare a questi sentimenti, William.
Adesso, devi rinunciare alla tua debolezza.»

Non riesco a capire che cosa vuole da me, non riesco a staccare gli occhi da Francis eppure non è la prima persona che vedo morire.

Ma è il primo uomo. E non in un termine genetico.
Francis è il primo vero uomo che abbia mai conosciuto.

«Ci hanno dichiarato guerra, che cosa avrei dovuto fare?!» Replica mio padre, gridando la sua angoscia. «Hai visto da solo che cosa ha fatto la polizia questa notte, sei stato presente nel constatare i danni che ci hanno inflitto!»

«Lui era disarmato e tu gli hai sparato» sussurro ma le mani di mio padre mi scuotono le braccia ancora più forte.

«E quindi, William? Noi siamo assassini e quell'uomo era nostro nemico» afferma, tenendo ancora il dito puntato. «Lo capisci, non è vero?»

«Sì.»

«Dimentica i sentimenti, William. Sopprimili tutti. È il solo modo che hai di non soffrire e diventare invincibile.»

Il solo per non soffrire...

Fisso il corpo di Francis crocifisso nel patibolo di quest'agonia e la mente affronta il proprio oblio, decidendo la dannazione.
La debolezza aveva condotto Dalia alla morte, aveva condotto Francis alla morte ed io non posso avere il loro stesso destino.

I sentimenti sono una debolezza per cui... li bandisco dal mio cuore e nel vortice buio dentro al quale finisco dimentico per sempre me stesso, senza rendermi conto della scintilla nata all'interno di quella stessa oscurità. Una debolezza che non potrò mai sopprimere.

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