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95- Sacrifici d'amore

P.O.V.
Hasim

Esistono molti mestieri difficili da scegliere, nel corso di un'intera vita, ma ritengo che fare il padre sia il più complesso tra tutti. Probabilmente sono arrivato a pensarla in questo modo non avendo mai avuto una figura di riferimento alla quale aggrapparmi, o decidere di imitare, ma credo che effettivamente il concetto di donare di per sé amore sia qualcosa di estremamente complesso ed invidiabile se posseduto da una persona capace di non lasciarne trasparire lo sforzo.

I miei figli, mia moglie, appartengono ad una vita che non sto vivendo, lontani come sono chilometri da me, eppure non ne sento la mancanza. Detesto non essere riuscito ad amarli come avrei dovuto e riuscire, così, a diventare un uomo completo capace di non giacere più nelle retrovie ma di gustarsi la bellezza della prima scena. Su quella linea d'avanzata stazionano gli eroi che non hanno un volto ma solo un contorno, solo una coordinazione di movimenti e gesti in grado di renderli identificabili.

Chi riesce nell'intento di proteggere si assicura di non venire premiato. Ecco ciò che non funziona nella mia logica guidata dall'egoismo eppure esiste un vincitore ed è seduto sulla panchina presente in soggiorno. Anche lui, all'apparenza, sembra non curarsi di ciò che possiede o in alternativa pare non farci molto caso, volendo preservare il più completo anonimato per ciò che ogni giorno si prende carico di svolgere. Ma chi di noi non conosce ogni suo sforzo? Basterebbe solo guardarlo durante la concentrazione che lo avvince all'ora di punta, quando tutti sono andati via lasciandolo da solo in un campo intento a lavorare, per poter comprendere dove finisce il fisico sforzo ed inizia la testardaggine dell'uomo. La concezione di stare lottando per qualcosa, per un'idea, in grado di sopravvivere solo se guidata dalla tenacia.

Tra i molti contrasti caratteriali che ci vedono agli antipodi ritengo che questo sia il maggiore di tutti poiché, da tutta una vita, non ho fatto altro che correre dietro comandi o prese di posizione in grado di condurmi sempre, in maniera quasi inevitabile, verso una strada sbagliata.

Credevo di essere così padrone di me stesso ed ecco che mi accorgo come possa essere solo lui l'unica vera persona libera tra di noi, il che è affascinante quanto detestabile. Spinge la mente a provare fastidio ed ammirazione al contempo, il che è spossante.

«Stai uscendo?» Gli domando e la testa di Ercole si solleva solo per un attimo dall'intreccio dei lacci, alla sua scarpa destra, per potersi accertare della mia presenza a pochi passi. Confermarla è un ulteriore fastidio in grado di fargli arricciare le labbra in una sorta di disgusto perché anche lui non mi sopporta. E questo, per paradosso, è il solo motivo per cui in certe occasioni persino la sua figura tanto perfetta riesce ad apparire ironica.

«Sì, sto uscendo» mi riferisce, poco prima di rendersi conto di essere effettivamente soli. «Dove è la tua guardia?»

«Ti riferisci a Gareth? Fuori, a parlare con Lèa.» L'espressione che ne consegue sul suo viso riesce fa nascere una risata sul fondo della mia gola. «Rilassati, è un tipo apposto. Può sembrare antipatico all'inizio, taciturno com'è, ma con il tempo ti accorgi che è facile da capire... ed apprezzare.»

«Lo stesso non si può dire di te. Tu sei rimasto antipatico.»

«Se c'è una cosa che stimo di te è la tua schiettezza» affermo, continuando a rivolgergli un mezzo sorriso mentre lo noto procedere nella sua vestizione. «Ma non è sufficiente per farci andare d'accordo, temo. Credo che fosse già scritta, la nostra diatriba intendo.»

«Tu pensi?» Domanda con scetticismo, liberando dalle asole i bottoni della camicia per poterla vestire dalle maniche. «Io ho iniziato ad odiarti da quando hai messo gli occhi su Lèa, ovvero dal primo giorno... mi sbaglio?»

«Lèa è una donna bellissima» affermo, preparandomi con anticipo allo sguardo pieno d'odio che Ercole mi rivolge ma non posso mentire. Non ho smesso di pensarlo per un istante, dunque affermare altrimenti sarebbe una bugia. «Continuo a crederlo, sì, ma non è importante ormai perché lei ha scelto te.»

«Pensi che sentirtelo dire possa rendermi più tranquillo?»

«Non è importante che cosa comporta, si tratta della verità.»

Noto che i movimenti di Ercole si fanno più lenti mentre i suoi occhi rimangono inchiodati a terra, sfuggendo a me nell'unico tentativo che possono avere per allontanare qualsiasi sorta di emozione.
In questi ultimi anni abbiamo avuto più di una volta incontri simili, ma non erano certo confessioni e non avevano questo sapore di reciproca resa. Si trattava, per di più, di frasi imbevute di cattiveria e di ironia maligna. Non ho mai pensato potessero essere sincere ma ora, in questo momento, con la luce dell'alba timida nell'entrare in questo soggiorno e in un silenzio che davvero ci rende soli impariamo ad essere noi stessi, due perfetti antipodi in grado, però, di tendersi a vicenda la mano, nonostante l'incertezza che li pervade.

«Non avevi torto nel credere di essere l'unico a capire che cosa stesse passando Lèa, mentre era ferita. Non sbagli ancora nel pensare di essere la sua valvola di sfogo quando i problemi si fanno troppo pesanti. Vi ho visti parlare ed ho visto come Lèa ti si rivolge. Credo siano stati quei momenti a rendermi geloso.»

Già, quei momenti. Quei pochi istanti che ho vissuto a contatto con la parte più sincera di lei.
Da sempre sono stato catalizzatore di tutta la sua rabbia, la barriera contro cui infrangere la sua empatica onda d'urto quando i problemi divenivano troppo letali, e mi riusciva bene. Riuscivo a tirare fuori tutto il peggio di lei ed assorbirlo nel mio corpo senza che potesse del tutto rendersene conto. Da quando l'ho ferita altro non ho fatto che immagazzinare, il più possibile, tutto il suo male affinché non la sconfiggesse.

Sì, quegli scontri erano intensi ed in qualche modo erano amore.

Sorrido nel ricordarli, consapevole però che quello che io ritenevo essere amore per Lèa non era altro che uno scambio di reciproco odio. Forse un giorno saprà ammettere a sé stessa tutta la miscela di emozioni che erano in grado di celare ma si tratta di un processo lungo, riguardante solo noi. Ercole, per la prima volta, non è il protagonista di questa triste storia.

«Volevo chiederti scusa» sussurro, portando stavolta io per primo gli occhi a terra ma vedendo di sfuggita la sua attenzione ridestarsi alle mie parole. Anche la sua schiena si irrigidisce e la piccola spazzola, imbevuta di brillante soluzione con cui era prossimo a ripulire le scarpe, si arresta tra le sue mani inanimi, pendendo dalla stretta di due flebili dita in grado di divenire ancora più morbide, arrese, non appena il loro proprietario cede la sua premura a qualcun altro, ovvero... a me.

«Ho solo detto che se in grado di capirla. Non che avresti avuto una possibilità con lei.»

Sorrido alla risposta acida, collocandola all'interno di ricordi di discorsi passati, cercando allo stesso tempo di ripristinare parte della serietà necessaria per poter procedere con nuove parole.

«Non mi riferivo a lei, ma a quello che ho fatto. Di recente sono venuto a conoscenza della storia dei tuoi genitori e del perché, di conseguenza, tu sia tanto legato a questo posto» espiro, trovando il coraggio di guardarlo di nuovo negli occhi proprio come ho fatto il giorno in cui Lèa mi aveva confessato di conoscere la mia colpa nei suoi riguardi. «Mi dispiace di aver portato distruzione nel tuo mondo. Mi dispiace per quegli incendi, il fumo, il dolore e tutto ciò che ho causato. Non volevo contaminare il ricordo dei tuoi genitori né causare tutto ciò che ho causato. Te lo dico adesso, a distanza di anni, perché vivendo al tuo fianco ho compreso l'entità della mia colpa. E sono qui... per chiederti scusa.»

Essere padre significa amare incondizionatamente i propri figli, il mondo che si è costruito per loro, vuol dire essere eroi e fingere che non possa pesare... ma essere figli, a questo mondo, significa imparare ad accettare le conseguenze, i disastri e capire come conviverci.

Ercole si solleva in piedi, ergendosi dinanzi a me. Non è mai stato sufficientemente alto da potermi fissare dritto negli occhi, nonostante la sua notevole statura, eppure finendo nel suo sguardo mi rendo conto di essere al cospetto di un uomo senza età. Il figlio di una terra che non ha mai smesso di sanguinare e che, consapevole di tutto il male, ora acconsente a tendermi la mano.

Solo questo, nessuna parola di troppo. Nessuna presa di giro o nessuna tremante, o gelida, affermazione di perdono.

"Siamo alla pari", questo vuole dirmi. Uomo ad uomo. "Ed è per quello che hai fatto, per esserci stato, per essere divenuto un supporto alla donna che hai ferito ma che entrambi amiamo... che ti perdono."

Stringo la sua mano nel silenzio di questa realtà, perdonato di uno sbaglio che mi è pesato come petrolio da troppo tempo sulla coscienza.

P.O.V.
Nerissa

Vestire per molti anni caratteristiche di un ruolo che ti è stato attribuito comporta una modifica indelebile al tuo carattere. Da sempre sono la sorella maggiore, la persona che si occupa che ogni cosa vada per il meglio, che i piccoli stiano bene, che la loro salute continui a rimanere forte.
Nello sguardo di Tommy rivedo quello di mio fratello, Marcus: mi sta fissando dal basso, con quella sua cartella caricata su entrambe le spalle, in un'espressione che pare chiedermi se stiamo entrambi facendo la cosa giusta e allo stesso tempo assicurandomi che, qualsiasi sia la risposta, lui non perderà mai la fiducia in me. L'amore dei bambini è tanto spropositato da essere inconcepibile. Ogni loro emozione lo è, perché quando amano amano troppo forte, quando odiano lo fanno al punto tale da essere discriminatori ed è impossibile rendersi conto dei limiti che possano avere. Prego affinché quelli di Tommy siano abbastanza lontani da farlo resistere, psicologicamente quanto fisicamente, a tutto ciò che avverrà.

«Devo essere sicura che mi hai capito, Tommy. Dimmi che cosa farai.»

«Scenderò dalla macchina, non appena ti soffermerai al terzo semaforo e poi correrò veloce verso la stazione dell'autobus per andare al South Side.»

«Proprio così, ed una volta che sarai arrivato dove andrai?»

«Alla stazione di polizia, da Francis Dawson.»

«Bravo piccolo, proprio così. Gli consegnerai tutti i documenti che hai nello zaino e gli dirai che mi conosci, anzi che conosci anche Attila. Promettimi che dirai tutto questo a lui soltanto.»

«Te lo prometto, ma perché non puoi venire con me? Mi avevi promesso che mi accompagnavi!»

Aveva ragione, lo avevamo promesso entrambi... ma Samuel non ha mantenuto la sua parola e si è ritirato da questo piano una volta consegnatemi le prove che ci occorrevano. Scorrendo le trafile di pagine sono riuscita a comprendere come il suo lavoro di agente sottocopertura sia stato pulito e preciso, al massimo delle sue intuizioni e conferme logiche. Grazie al suo sforzo, Francis riuscirà a salvare tutti quei bambini ed incastrare i colpevoli... ma allora perché qualcosa, in tutto questo, non torna? Perché Samuel è sparito ed ha deciso di non salire con noi su quella macchina che ci avrebbe riportati alla polizia? La risposta è una sola e riguarda una situazione che ancora non si è conclusa. Per questo motivo, una volta assicuratami la messa in salvo del piccolo su uno di quegli autobus, mi sono promessa di raggiungerlo in modo da porre fine a tutto.

«Hai ragione, piccolo mio. Prometto di tornare da te, una volta che avrò sistemato tutto. Tornerò con Attila ma tu devi assicurarmi che rimarrai con Francis, o con la persona alla quale ti affida, per tutto il tempo. Devi stare al sicuro, è fondamentale.»

Tommy annuisce, forse rendendosi palesemente conto della mia angoscia e mai come adesso sono grata dell'intelligenza che questo piccolo riserva.

«Bravo... bravo, Tommy. Ora aspettami in macchina, arrivo subito da te.»

L'esitazione lo avvince, ma solo in un primo attimo. Lo vedo voltarsi più volte lungo l'androne di questo palazzo prima di raggiungere la macchina lasciata da me aperta e parcheggiata di fronte all'ingresso, nella bugia di accompagnarlo a scuola.

Resto a fissare la sicurezza con cui Tommy afferra la cintura di uno dei sedili posteriori e poi il modo con cui i suoi riccioli castani vengono illuminati dal sole, dietro al vetro del finestrino, assieme al sorriso che mi rivolge una volta che ha trovato posa. Lo ricambio e così parto a percorrere, per l'ultima volta, i corridoi di questa casa che mi hanno privata dell'aria.

Le guardie presenti lungo questa mia traversata mi spiano come hanno fatto per tutti questi mesi, valutando la velocità delle mie mosse e l'agitazione che governa al di sopra di esse. Scorrono addosso il mio corpo i loro vigilanti occhi ma non fanno niente, rimanendo con le mani posate in un intreccio vicino alla fondina legata in vita. Mi consentono di procedere fino alla sala verso la quale sono diretta, la stessa in cui trovo Paul seduto ad una delle poltrone con un bicchiere in mano. Ha lo sguardo perso, trafitto dai mille pensieri e preoccupato. Consapevole, mi rendo improvvisamente conto di quello che ci sta succedendo intorno.

Accorro fino a lui e mi inginocchio dinanzi il suo trono. Sollevo una mano ed accarezzo una delle sue, in modo tale che mi guardi.
Gli occhi del dottore scendono lenti fino a me, macchiati da una sorta di nostalgia che pare ripercorrere tutto il tempo che abbiamo trascorso insieme dal giorno in cui mi aveva trovata e condotta fin qui per poi giungere all'inevitabile presente. Quel momento in cui, senza parole, ci fissiamo l'un l'altro in un insieme di suppliche che ormai è trascrivibile in un silenzio in grado di evincere tutti gli eventi che ci hanno sconfitti.

«È andato da lei, non è vero?» Rivolgo al dottore la mia domanda, certa come sono che capisca che cosa intendo e che possa sentirsi tradito, proprio come sono io. Anche lui deve aver amato Dalia, in un modo tutto suo e particolare. L'ho capito dalle foto condivise con lei, dal sorriso sincero mostrato alla telecamera... ed ora siamo soli, sia io che Paul, afflitti da un dolore che ha il retrogusto di una perdita. Dove sono scomparse le nostre metà? Quanto male possono fare a noi e a loro stesse, essendosi private della ragione?

«Ti prego, Paul, parlami...»

«Stanno per sposarsi» sussurra, scorrendo l'attenzione lungo il mio volto ed i miei occhi. Quello sguardo... Samuel lo aveva sempre interpretato come attrazione, devozione, la stessa che il dottore aveva per Dalia, ma può essere davvero così? Io non sono in grado di tradurlo, ma c'è qualcosa in lui che lo costringe a parlare solo con me dei tormenti che stiamo condividendo, in modo tale da vomitarli e svuotare i cuori.

«Dove? Dove devono sposarsi?»

«C'è una chiesa, al termine della camminata lungo la costa. Ha pareti bianche ed un tetto blu cobalto, una croce di metallo vicino all'entrata... deve essere lì che Dalia lo aspetta.»

«Ti ringrazio.»

La mia mano si serra, lieve, più forte contro la sua. Rialzandomi sono pronta ad andarmene ma lo avverto ricambiare la stretta, provare a trattenermi. Non vorrebbe farmi andare e nei suoi occhi leggo un milione di diversi scenari, vedo l'ipotesi di trattenermi con la forza che potrebbe aver avuto il primo giorno che ci siamo conosciuti, l'approccio irruento di un uomo calcolatore ma affatto in grado di controllarsi, sostituita però adesso dalla resa di un uomo che decide, infine, di svincolarsi dalla mia prigionia e lasciarmi andare.

Le nostre mani si separano e ciò che è stato parte del nostro rapporto si rompe per sempre nella perdita di contatto tra quelle mani. Si infrange nel vuoto e si perde all'interno di un milione di silenzi che non siamo stati in grado di vivere.

Se fossi stata una donna diversa, sarei rimasta. Se fossi stata come Dalia, allora, la mia vita sarebbe mutata notevolmente: vivendo la loro vita piena di malvagità avrei imparato ad amarla, beandomi della mia maestria e delle mie doti chirurgiche da troppo tempo rilegate all'oblio. Avrei riscoperto il piacere del controllo, della bravura, della perfezione di se stessi e forse mi sarei innamorata persino del carattere contorto di Paul... ma io non sono lei e nel mio cuore, grazie alle mie costanti battaglie, è stata abolita qualsiasi tipo di malvagità e egoismo.

Ho lottato per rimanere pura in tutto questo e mi ha supportato il mio amore per Samuel, quella stessa ancora che ha aiutato anche lui a non vacillare. Per questo motivo mi domando perché il nostro amore, considerato così forte in tutta questa tempesta, sia stato messo da parte senza esitazione, dinanzi alla vendetta. Mi chiedo come sia stato possibile per Samuel decidere di non rinunciare a quest'ultima battaglia, prendersi la rivincita contro quella donna che ha fatto a pezzi il suo passato, mentre noi, io e Tommy, eravamo già pronti su un automobile per poter andare incontro ad un presente più roseo.

Qualsiasi cosa sia stata, giustizia, il ricordo di un vecchio amore, vendetta, speranza, costringe anche me a continuare a lottare per non lasciarlo solo e vincere, finalmente, contro tutto il resto.

Monto in macchina nella postazione del guidatore ed inserisco la chiave, fissando dallo specchietto retrovisore il sorriso tranquillo che Tommy mi rivolge.

P.O.V.
Samuel

La sabbia, cuore di questo campo di atletica, è come una tela bianca sulla quale, goccia di sudore dopo l'altra, viene dipinto lo sforzo della mia battaglia. Non voglio arrendermi. Il finale, l'ambito traguardo, è tanto vicino da farmi sorridere nell'ipotesi di raggiungerlo.

Una mano, però, tesa in avanti da un braccio rigido come l'asta di una bandiera impedisce il mio procedere e deride la mia stanchezza. Appartiene ad un paio di occhi che mi sono mentori, celesti ed ironici mentre si intromettono nelle mie scelte.

«Sei troppo impulsivo. Certe volte occorre scegliere con lucidità che cosa è meglio fare, quale strada percorrere» mi fa presente ma io non gli presto attenzione, fissando oltre la barriera delle sue spalle l'ambito premio di questo confronto.

Notandolo, Carlail mi sorride nella sua divisa di generale, senza lasciar trapelare l'orgoglio per quell'iracondo cadetto di cui ha deciso di prendersi carico.
Attorno a noi il resto dei soldati si esercita con rigore, secondo schemi precisi che però non li lasciano progredire né avanzare. Se tutta questa strategia funziona, allora perché nessuno di noi ha ancora superato questa prova di intelligenza e forza? Perché il premio, tanto vicino agli occhi ma distante dal proprio palmo, è ancora presente alla fine di questo campo?

Posso raggiungerlo con stratagemmi ma temo che sia la logica dell'impulso a prevalere, un insegnamento in grado di dirmi che in certi momenti si è costretti a mettere a rischio se stessi per un bene superiore.

«Decidi, soldato: testa... o cuore?»

La logica comporta macrosistemi di cause ed effetti, rallentamenti e probabilmente mancate riuscite.

Il premio è proprio sul fondo di questo campo, perché non posso prenderlo?

Aggiro il braccio del mio istruttore e corro lontano da dove la logica si aspettava che accorressi, certo che se esiste ancora un tentativo per vincere questo risiede nei miei insuccessi.

Noto Carlail, con la coda dell'occhio, visibilmente sorridere. Prima d'ora non glielo avevo mai visto fare in modo tanto sincero ed è in questo preciso momento, in cui lo osservo mostrandomi felice di rimando, che mi accorgo che anche lui avrebbe fatto lo stesso.

La pianta del piede si posa sulla pedata di questo ampio gradino che anticipa la spoglia e silenziosa chiesa, facendomi rendere conto di essere il solo ad avanzare.
Mente o cuore?

Il sorriso di Dalia si sovrappone a quello di Carlail. Angelico e allegro, da dietro quel piccolo dolce rubato dalla vetrina della nostra pasticceria, in grado di trasmettermi tutta l'allegria di questo pomeriggio infinito di risate e sorrisi. Di amore, nella sua sfumatura più sincera.

Dall'alto soffitto della cattedrale, volte ogivali in grigia pietra pesano sulla mia testa come una sentenza divina, buie nella loro assenza di cromatica illuminazione presente solo nel rosone alle mie spalle. La luce lo proietta a terra ed è così che l'attimo dopo il mio ingresso sto camminando su quel caleidoscopio di colori abbaglianti, dati da sfumature rosa e dorate, prima di poter procedere verso il centro della navata.

Ai lati delle panche, freschi mazzi di fiori bianchi pendono dalla stretta di fiocchi di satin argenteo a illuminare il loro candore. I passi, invece, ad un tratto sono attutiti da un lungo tappeto bianco che conduce all'altare. Osservo la punta delle nere scarpe contrapporsi alla perfezione pallida di questa moquette, sentendo l'eco di una giovanile risata nelle orecchie.

«Ma perché non ti arrendi, bel moro? Fa parte del tuo carisma di atletico uomo pieno di fascino? Come il tuo nome? Attila...» mi prende in giro lei, ridendo con la testa abbandonata all'indietro in una gioventù che ha un che di spensierata privazione di obblighi. «Che razza di nome è, mi spieghi?»

Al centro di questo giardino, in una sorta di labirinto confinato di pareti di siepi sempreverdi e nel silenzio di una solitudine condivisa, potrei dirle la verità, confessarle di esserle nemico, ammettere i nostri fronti opposti... ma Dalia mi sorride ed è come se mi supplicasse di non ferirla.
Mente e cuore.

Tento ti illudere me stesso che è stata la logica a preservare una mia confessione incauta, ma gli occhi si soffermano su quegli occhi resi lucidi dalle troppe risa. Su quella bocca rosea, inviolata, che ancora riesce ad essere felice in un mondo che è sinonimo solo di atroce sofferenza.

Dentro questa chiesa il silenzio è spettrale. Lascia intendere a che cosa abbia condotto questa partita persa e mai vinta tra mente e cuore posti in contrapposizione.

Dalia è a pochi passi dall'altare, vestita con lo stesso abito da sposa del nostro primo matrimonio. Testa china, braccia distese lungo i fianchi, incapace di continuare a fingere che tutto questo possa non avere un limite.

Procedo con lentezza fino a raggiungerla, rendendomi partecipe di questa cerimonia che non ha né invitati né preti, né canti né sorrisi ma solo il suo vestito da sposa, solo il velo che ricade lungo le sue spalle inclinate verso terra quasi che quel pizzo fosse stato ricamato nel dolore.

«Ho provato ad avere un figlio con te, ma non mi è stato concesso» sussurra d'un tratto, non appena sono abbastanza vicino per sentirla. Analizzo il suo profilo chino verso terra, la morbidezza delle sue guance dopo che sembrano aver accolto un profondo pianto e la curva del suo naso, lievemente arrossato, mentre si infrange verso il vuoto, circondato da carezze di piccoli ciuffi di biondi capelli.

«Ricorderai quella notte, l'ultima che abbiamo trascorso insieme. Mi hai presa con violenza, dentro al mio letto.»

Chiudo gli occhi dinanzi la dura crudezza delle sue parole, ripensando a quell'attimo in un accuratezza spietata di dettagli. Quando le palpebre assumono il coraggio di separarsi di nuovo per poter vedere la sua resa, Dalia mi sta fissando con una finta allegria.

«Dentro di me stavo pregando che tu non stessi pensando all'infermiera, che fossi solo con me mentre concepivamo nostro figlio ma è stato tutto vano... il mio utero è sterile» sussurra, facendo cadere a terra il mazzo di fiori che teneva nella mano sinistra, la sola che mi è visibile, a terra per poi posarla sul suo ventre. «Non ho potuto avere nemmeno quella piccola parte di te, con me.»

«Dalia, hai pianto?» Domando ed i suoi occhi sgranano alla mia assurda richiesta dettata solo dal cuore, non dalla mente.

«Credevi non fosse possibile? Credevi che io potessi essere solo un'egoista ragazza pronta a vendicarsi per ciò che le hai fatto?»

«No... non sei mai stata solo questo...»

«Ed è questo che ti ha fatto credere di poter vincere, non è vero?!» La sua voce si solleva di tono, al termine di quest'ultima frase, riecheggiando nella navata spoglia di questa chiesa austera. Dopodiché noto come la sua bocca si deformi, al ricordo o nella percezione di un'idea... «E' stato questo a farti credere di poterla amare di fronte ai miei occhi in maniera tanto spudorata...»

Un malessere mi trafigge, rendendo cielo ciò che poco prima era terra.

«Dalia...»

«Zitto! Tu non dovresti parlare! Eri innamorato di me, te lo ricordi?»

I suoi occhi, tornati ricolmi di lacrime, abbinati a quel bianco vestito presente solo nel nostro passato mi fanno tornare ad essere sincero, in un modo in cui durante queste settimane mi ero proibito di essere.

«Sono della polizia» sussurro.

«Lo so.»

«Abbiamo delle prove in grado di incastrare tutti, Dalia. Tutti, ma non te... tu sei così brava...»

«Un tempo mi amavi...»

«Puoi ancora redimerti, Dalia. Confessa ciò che hai fatto alla polizia ed avrai uno sconto di pena sul carcere.»

«... ma tenti ancora di cambiarmi...»

«No...»

«Che cosa ti piace in lei, mh?» La domanda fa nascere di fronte ai miei occhi il volto di Nerissa, la confusione che l'aveva avvinta questa mattina mentre le lasciavo tra le mani quelle prove che avrebbero messo in prigione tutti. «Dimmelo, che cosa ami in lei? La sua allegria? Il suo coraggio? Ne avevo anche io, di entrambi, ma tu me li hai portati via.»

«La sua purezza» sussurro, vedendo gli occhi di Nerissa sollevarsi verso di me con quell'amore che per troppo tempo era stato costretto alla prigione di iridi silenti.

«Quella è stata la prima cosa che mi hai strappato.»

Ora è Dalia a fissarmi con una visione distorta di quello sguardo, a suo modo piena d'amore ma macchiata di così tanto rancore da rendere la purezza illeggibile. Forse la colpa è davvero solo mia, per averla tradita, per averla resa la donna che adesso è: una pericolosa, affascinante, donna in cerca di vendetta per un rapporto che non è riuscita a vivere e che l'ha cambiata per sempre, in maniera inevitabile. Avremo potuto sposarci. Vivere felici e lontani dai problemi della vita vera... aveva sempre amato illudersi mentre io ero sempre vissuto in equilibrio tra cuore e logica.

«Non posso permettere che tu fugga, Dalia.»

«E che cosa intendi fare? Mandarmi in prigione mentre ancora indosso questo abito da sposa?»

La gola mi si secca ed il fiato diviene impossibile da lasciar sfuggire via. Dal grembo, la mano di Dalia torna a dondolare, inanime, accanto al suo fianco. «Mi hai mai davvero amata?»

Dentro di me tento di fornire una risposta per questa domanda. La mente prova a ripercorrere ogni emozione vissuta con lei, portando così alla luce l'ammirazione per quel sorriso gentile che la sua ingenuità mi aveva rivolto, la sua purezza al di sopra di tutto il male causato dalla sua famiglia e dai loro soci, la sua tristezza non appena mi allontanavo da lei, il suo malessere non appena credeva di non essere abbastanza per me... ho vissuto di Dalia attraverso l'amore che provava per me, ho lottato per metterla in salvo ed ho combattuto, una volta dichiarati nemici in una battaglia che ci vedeva contrapposti, così come sto combattendo ora per averla dalla mia parte, ma l'ho davvero amata?

Ancora una volta, Nerissa si interpone tra di noi, ricordando come l'amore faccia cambiare e dia forza alle persone.

Se davvero l'avessi amata in maniera tanto folle come amo Nerissa, se davvero avessi creduto in lei allora sarei diventato parte stessa del suo male, avrei cambiato lato della battaglia e non avrei lottato affinché lei, che più mi amava e più era legata al mio cuore, raggiungesse con forza il mio, il più giusto.

Notando la direzione dei miei pensieri, Dalia getta la testa all'indietro con sconforto, gridando dalla bocca un'agonia nata alla stregua di un ringhio. Azione che mi dona il tempo sufficiente per afferrare la pistola dietro la mia schiena e tenerla di fronte a me...

Dalia mi imita di colpo, ruotando il colpo con prontezza e mostrandomi la sua arma nascosta nella mano che per tutto il tempo mi era stata celata.

Arma contro arma, a dichiararci nemici eterni di un conflitto che il mio cuore, prima ancora della mia mente, non è in grado di accettare.

«Ed eccoci all'epilogo, Samuel...»

«Abbassa l'arma, Dalia, non voglio ferirti.»

«Lo hai fatto già molto tempo fa.»

«Devi seguirmi alla centrale e confessare. Sarò dalla tua parte, assisterò a tutti gli interrogatori, mi assicurerò che tu possa avere la pena più lieve.»

«E vivrai così, sereno e tranquillo, la tua storia d'amore con l'infermiera?»

Inclino la testa di lato in una supplica che la lascia sorridere, dimostrandola inclemente nel procedere con le proprie idee. «Prima tu, poi Paul... vi siete innamorati entrambi, che cosa sciocca. Ma la purezza, in fondo, vi ha attratti da sempre, proprio come può attirare solo i cuori marci.» Resto in silenzio, di fronte a quella verità di cui ho sempre sospettato. «Tu non sei dalla parte dei buoni, Attila. Te ne sei reso conto da tempo, per questo motivo sei venuto qui da me...»

Il completo assenteismo di questa cattedrale pone inevidenza il fatto di essere da sempre stati soli all'interno di questa relazione tossica. Nel vivere il nostro amore non c'erano stati schieramenti, almeno finché la realtà non si sarebbe messa di mezzo, per questo motivo essere di fronte al suo sguardo, solo a capeggiare la sua intelligenza, è il ricordo più forte che potessi avere del nostro passato. 

«Sapevi che non avrei accettato di scendere a compromessi con una testimonianza e sei venuto lo stesso...»

«Vuoi la tua vendetta, Dalia. Allora avanti, spara.»

«Ti stai sacrificando... dandomi quello che voglio... perché, allora, Samuel? Perché questo non può essere amore?» Un angolo della sua bocca sorride in maniera tetra e mutando nella disperazione provata in precedenza. «Stai provando a sfidarmi, poliziotto?»

«Nessuno di noi due merita di essere felice, lo sappiamo entrambi. Per cui avanti, finiamo questa storia qui, nella chiesa in cui avremo dovuto sposarci.»

«E che cosa ne penserà la tua ragazza?»

La violenta forza di quella domanda è emblema di tutta la sicurezza che mi sta avvincendo in questo momento, la sola parte di me che spera davvero Dalia si possa redimere in modo da uscire da qui sani e salvi, ma se così non fosse... 

«Sarà più felice, senza di me. Al sicuro rispetto a tutto ciò che è stata costretta a vivere.»

L'ho trascinata in tutta questa storia... ma senza la mia presenza, al suo fianco, dopo la vendetta che permetterò a Dalia di prendersi, mi auguro che il dolore sia in grado di proteggerla. Che possa esortarla a vivere lontana da questa realtà e a Dalia di non sollevare un solo dito su di lei, avendo già ottenuto ciò che da tempo desiderava.

Potrei persino abbassare questa arma, dal momento che non sparerò, ma temo che possa essere il solo modo per tenere in gioco la sua. 

«Non c'è altro futuro, per noi?»

Inclino la testa in una supplica, affinché smetta di credere ancora a questo amore in grado di farci a pezzi. L'ho fatta diventare io tutto questo, ho nutrito io la sua vendetta e lei, nel frattempo, ha accresciuto il mio odio, mi ha reso iracondo, violento, troppo impulsivo e mi ha fatto credere di stare sbagliando. Di lottare per una causa distante anni luce dalla realtà. Per cui non merito la purezza di Nerissa, non l'ho mai meritata. Il suo amore per me è troppo, nonostante adesso voglia vivere solo per esso. Ma non c'è futuro per un masochismo senza riserve, nessuna speranza di poter tornare le persone di un tempo dentro l'illusione di un unione felice.

Dalia ha ragione: il grembo è vuoto. Il nostro amore è morto ed è incapace di risorgere, per questo la prego di mettere fine a tutto.

«Spara, Dalia. Chiudiamola qui. Prenditi la tua vendetta.»

Dai suoi occhi cadono amare lacrime, nascoste tra i suoi capelli colore dell'oro mentre il suo sorriso maligno manifesta la donna che ancora si costringe ad essere. Pistola tra le mani, corpo rigido rivolto verso di me, sguardo fisso, corpo immobile. Scorro gli occhi lungo il candore di quell'abito, notando come sia diverso sul suo corpo adesso.

«Non hai mia capito una cosa, Attila. La persona che più ama non è in grado di sparare.»

Noto l'indice fare pressione sul grilletto della sua pistola e odo il colpo automatico dello scatto. Il mio corpo reagisce in maniera autonoma e ricambia senza che lo voglia. Preme il grilletto per tutti quegli anni in cui, sottopressione, Carlail mi ha insegnato come ricambiare la violenza e sparare, lascia volare nell'aria il proiettile ed è solo un attimo dopo che questo si incastra all'altezza del cuore di lei, macchiandole in una lacrima scarlatta l'abito bianco.

Nel silenzio della chiesa, dinanzi ai miei occhi, il corpo di Dalia si ammorbidisce in una frazione di secondo. Le braccia si distendono lungo i fianchi, la pistola le cade dalle mani, i capelli scivolano lungo il suo volto sospinti dal contraccolpo dell'arma e sul suo viso... la sua bocca mi sorride.

Noto solo quel sorriso, prima che la chiazza di sangue si allarghi su tutto il petto come la corolla di uno scarlatto fiore.

Ho sparato, contro di lei, un solo proiettile che ha colpito all'altezza del cuore, scalfendolo ma senza centrarlo del tutto, in agonia sanguinea che è esempio del nostro amore tormentato.

Seguendo i miei pensieri, gli occhi di Dalia scivolano fino alla sua pistola suggerendomi di afferrarla. Lo faccio, ruotando il bossolo dei proiettili per verificare l'erronea partenza dei suo colpo e mi accorgo della completa assenza di cartucce.

«Ti amo, poliziotto. Ti amo in un modo con cui tu non saprai mai amare» sussurra, lasciandomi disperso all'interno del suo sguardo sorridente. Cade a terra, sconfitta dalla sofferenza, e l'istante stesso accorro fino al suo declino. 

Mi chino dinanzi a lei, prendendola tra le braccia e tentando di tamponare la sua ferita. Le mani lottano contro l'errore catastrofico che hanno compiuto ma è tutto inutile. Il sangue scorre, continua a zampillare e macchia le nostre vesti cerimoniali, le nostre anime, maledicendoci per sempre.

Tento di prenderla tra le braccia deciso a condurla nel più vicino ospedale quando odo un profondo colpo di pistola, dal fondo della sala. Il suono si dirama tra le pareti spoglie e l'attimo dopo un profondo calore mi raggiunge all'altezza del costato.

Mi accascio in avanti, finendo sul petto di Dalia, come ho fatto molte volte nelle notti in cui ci siamo amati, mentre lei chiude gli occhi.

P.O.V.
Nerissa

Corro senza fiato fino all'entrata della chiesa. Lotto contro me stessa e contro il tempo per poter arginare la catastrofe di un errore che condannerà Samuel a perdersi per sempre. Non la sposerà, di questo ne sono certa, ma le crederà, tenterà di convincerla ad arrendersi, sperando che il suo cuore possa preservare ancora qualcosa di puro in sé, ma non è così, Dalia è persa per sempre. Il dolore l'ha portata ad essere una donna perfida, incapace di rendersi colpevole delle proprie gesta, per cui temo un epilogo folle. Temo che questo dolore che avverto al centro del petto possa essere un maligno presagio.

Spalanco i pesanti portoni della chiesa e giungo all'interno, venendo circondata dal buio. Pareti spoglie rendono echi i miei respiri concitati ed un soffitto di travi in legno, dal rustico stile romanico, intrappola la mia voce nel raggiungere il soffitto.

Una chiesa vuota, priva di decori celebrativi e di figuranti, mi fa rendere conto della realtà: non è il luogo giusto ed io ho perso qualsiasi sorta di sfida contro la provvidenza.

P.O.V.
Samuel

La scheletrica ossatura delle volte gotiche richiama alla mente l'immagine di un'insieme di nervi e filamenti interni al cervello. Reticoli di pensieri sui quali concorrono ipotesi del perché ora mi trovi disteso, di schiena, lungo il pavimento gelido di questa cattedrale, del perché il fiato sia rotto dal dolore, del perché un bossolo di piombo sia al centro del mio corpo, incastrato tra le mie membra in modo da farmi contorcere dall'agonia, prima che tutto si renda chiaro.

Delle dita premono a fondo sulla ferita, facendomi gridare dal dolore e spalancare gli occhi che la sofferenza aveva socchiuso, rendendo traslucide le volte che mi separano dal cielo.

Ora la realtà è concreta, tramite la fisica reazione al dolore, e mi costringe ad osservare il corpo di Dalia che ancora agonizza al mio fianco, senza il sussulto concitato del respiro. Le sue labbra sono bianche ed anche i suoi occhi hanno avuto la premura di socchiudersi per dimezzare l'agonia durante questo distacco ma ancora una volta non posso raggiungerla perché qualcun altro si mette tra di noi.

La mano che aveva affondato nella ferita ora mi afferra per la calotta degli abiti e mi costringe a dirigere la testa all'indietro, per poter osservare il suo volto. Ero certo di non aver mai visto la verità che celava ma mai avrei immaginato che fosse possessore di tanta rabbia così a lungo covata.

«Perché?» Sussurro senza forze, rendendomi conto di come l'afflusso di sangue scivolato via dal mio corpo mi abbia reso incapace di articolare un'intera frase.

«Per via di quel bacio» mi risponde Paul, fissandomi nel gli occhi con una ferocia priva di eguali. «Dalia si era resa conto di tutto, sapeva della tua piccola infatuazione ma io non avevo mai creduto che fosse sincera e tantomeno ricambiata. Ma la scorsa notte... avevo appena finito di parlare con i miei uomini quando vi ho visto baciarvi. Avevate orchestrato tutto nei minimi dettagli, persino lei aveva pensato come tradirmi...»

«Nerissa non ti ama, Paul. Ama me ed anche io la amo» sibilo senza respiro ed in risposta la sua mano si serra con più violenza attorno al colletto della mia maglia. Mi solleva per poter essere accostato maggiormente a Dalia che ormai sembra aver del tutto perso il contatto con noi.

«Quale destino simile, Dalia. Amati da chi non ci ricambia» sussurra il dottore verso di lei, osservando la bellezza della sua figura morente. «Ti avrei salvata dal grilletto di quest'uomo, tesoro, se solo non mi avessi venduto alla polizia. Si tratta di affari, lo capisco, per cui non te la prendere. Mi occuperò del tuo ragazzo per un po', vedrai... ti ho lasciata libera di avere la tua vendetta ma ti è mancato il coraggio. Ora tocca a me sistemare dei conti in sospeso.»

La sua mano si serra ancora più forte attorto alle mie vesti e mi strattona via, fino a trascinarmi di peso lungo la navata della chiesa, lasciando una lunga scia di sangue lungo il pallore della moquette.

P.O.V.
Halima

Certe volte il cuore sa quando è il tempo di cessare di battere, accorgendosi dell'istante in cui la realtà è in grado di distorcersi per sempre.
Da piccola avevo paura che i mostri della terra del mio racconto potessero arrivare a trovarmi, a seguito delle bugie dette ai miei genitori in un istinto di indipendenza menzognera, ma mai avrei pensato che sarebbero stati in grado di fuoriuscire dai miei incubi con una simile voce baritonale e avanzare calpestando i sogni che, con forza e fatica, nel tempo avevo coltivato.

«Haaalimaaa!»

La schiena riceve la sferzata della sua irruenta voce. Le mani si arrestano da ogni azione che stavano compiendo ed il terrore mi avvolge come il nero dell'iride di un pozzo.

«Halimaa, vieni subito qui, lurida cagna!»

L'acqua che trascinavo dal pozzo fino a casa, nella nostra città natale, aveva un retrogusto acre, come se persino essa fosse stata per sempre contaminata dal malanno dell'epidemia che aveva travolto tutti, giovani e piccoli, senza distinzione.

Ora nelle orecchie non sento più il lento gocciolare di quella sorgente d'acqua ma un terremoto ritmico di passi che accorre fino a me, in modo da proteggermi.

Il corpo di Amy è il primo a farmi da scudo ed io vorrei urlarle di scappare via non appena Tabanzi carica lo schiaffo che raggiunge violento la sua guancia. Conosco la pesantezza di quei colpi, conosco la violenza di quelle mani. La malsana introduzione che apportavano nella mia carne non appena scivolavano al di sotto delle vesti, con maggiore irruenza dell'epidemia.

Amy crolla a terra, prima di fiato. Una scia di sangue scivola via dalla sua bocca irrogando la terra ma nel suo sguardo c'è pura ferocia, le sue mani, spalancate contro questo raccolto, sono pronte a darle la spinta necessaria per farla sollevare e tornare a contrattaccare quel mostro che è riuscito a violare il nostro luogo sicuro con troppa irruenza. Non ha bisogno, però, di tornare a lottare perché Cedric si interpone di fronte a lei e, proprio come era successo per me con lei, riesce a farle da scudo e stavolta anche innescare l'affondo nel torace di Tabanzi che, con il respiro rotto, retrocede appena sui suoi passi.

E' solo un attimo che sulla scena sopraggiungono anche Ercole e Issa, il secondo dei due con uno sguardo di fuoco.

«Lasciatemi questo bastardo» sibila, prima di caricare un colpo che viene interrotto dalla voce di Tabanzi. Dal modo con cui solleva la testa sorridendomi, nei suoi occhi cupi e neri, senza preoccuparsi del resto.

«Voglio solo lei. Mi appartiene.»

«Te lo scordi che ti appartiene» sibila il mio fratello acquisito, caricando contro il ventre di lui un colpo di ginocchio che lo piega a terra in un moto di risata. Come in una scena dell'orrore, però, l'uomo dei miei incubi non è solo e presto lo raggiungono gli stessi ragazzi del campetto dinanzi ai quali ho finto con la complicità di Marcus. Il più alto del gruppo, con lo stesso occhio nero con cui l'ho visto giocare alla partita, guarda fisso a me come a ricordarmi dell'errore che ho fatto ma non ci è dato il tempo di pensare.

«Amy, resta in disparte!» Sento gridare da Cedric prima che uno dei ragazzi innesti il primo attacco nei confronti di Issa che, per un soffio, riesce ad evitare l'affondo del coltello.

Vorrebbe prendere parte allo scontro ma il grido di Cedric era stato tanto categorico da farla retrocedere e tornare di fronte a me, a farmi da scudo.

La rissa parte nell'istante stesso in cui Amy si para di fronte al mio corpo e dalla collina vedo scendere Gareth, il poliziotto di guardia a mio fratello.

Giunge in un attimo all'interno del gruppo e sventa l'attacco, quasi del tutto invisibile, di un ragazzo nei confronti di Cedric. Il poliziotto manda a tappeto questo e poi si occupa del più alto della comitiva mentre il resto del gruppo trova il proprio nemico contro cui combattere. Issa viene tarchiato da due ragazzi alti la metà di lui ma possessori di coltelli taglienti mentre Ercole e Cedric sono schierati di fronte a Tabanzi, per impedirgli di raggiungermi.

«Ercole!» Grida la voce di Lèa, discendendo lungo la collina con espressione sconvolta dinanzi all'orrore che sta prendendo vita dinanzi a noi. Alle sue spalle, mio fratello Hasim sopraggiunge con espressione interdetta, facendo scivolare gli occhi da Issa, a Tabanzi, a me.

Supera Lèa e con una spinta del palmo la costringe a ricadere all'indietro, a non rendersi parte dell'intera faccenda, mentre lui discende di fretta la collina raggiungendo il secondo avversario di Issa.

Tabanzi, invece, osserva i suoi nemici con placido interesse e conserva i loro pugni, pronto a ferire me attraverso la barriera dei loro corpi.

«Hai aperto le gambe per un ragazzino, Halima? Ti facevo più furba di così!»

«Halima, non starlo a sentire» mi chiede Ercole mentre Cedric bracca il mio incubo e Amy mi tiene stretta per mano.

Ridendo, gli occhi del nigeriano diventano più neri nell'unione con i suoi abiti eleganti e tradizionali di quella cultura corrotta, sporcata da tempo da ideologie arcaiche.

«Non avevamo un accordo, tu ed io? Avevi promesso che saresti diventata mia moglie a quel pozzo, non te lo ricordi?»

«Di che cosa sta parlando, Halima?» Mi domanda Amy, ma io non ho alcun fiato per poter respirare.

«Bastava solo che i tuoi fratelli vivessero bene, giusto? Il tuo amato Gyasi e quell'ignorante di Hasim... quanto eri pronta a sacrificare per vedere la tua famiglia felice?»

Erano state parole guidate dal terrore. Mio fratello Gyasi stava perdendo sempre di più il rispetto dei miei genitori, divenendo il figlio che era sempre stato, mentre Hasim si stava lasciando guidare da cattive compagnie. Non gli avevo proposto niente, non erano state mie quelle prime parole avanzate... ma la sua voce le aveva sussurrate, un giorno, mentre ero china a recuperare l'acqua del pozzo, mentre la sua mano, ignobile, scivolava come non aveva mai fatto prima d'allora nelle mie vesti, dandomi un connato di vomito.

«Era stata una provocazione la tua, non è vero? Quegli abiti... quelle parole... ti avevo solo chiesto di rimanere vergine ed invece tu che fai? Ti metti con un altro uomo e ti assicuri che io lo venga a sapere. Un'altra provocazione, Halima. Eccoti la mia risposta.»

«Brutto figlio di puttana» sibila fuori Ercole, colpendolo su uno zigomo ma venendo poi spedito al tappeto. Tabanzi prova a procedere di un altro passo ma Cedric si interpone tra noi. Tabanzi lo fissa con un timore affatto celato, non essendo stato in grado di proteggersi dai suoi pugni. E' un tipo arrabbiato, Cedric, un ragazzo che per molto tempo ha covato l'odio sotto pelle e che ha imparato a colpire forte, quando serve. Che ha compreso ogni stratagemma per proteggere la sua casa ed io ho permesso a degli estranei di entrarvi. E' mia la colpa, per questo motivo trovo il coraggio di articolare delle parole.

«Non sono mai stata tua. Non ti ho mai promesso niente.»

All'udire la mia voce, gli occhi di Tabanzi si riscuotono da un profondo bagliore. Ho risvegliato la sua attenzione perché per quanta obbedienza richieda non ha mai voluto avere a che fare con una bambola di pezza. E' un uomo contorto, un uomo che sono riuscita a scrollarmi di dosso, quel giorno, solo nella menzogna di una richiesta nata dalla paura.

«E quelle parole, Halima? Non vuoi che i tuoi fratelli stiano al sicuro?»

Mio fratello Gyasi è morto, per cui il mio modo di difenderli era stato del tutto vano.

Hasim manda al tappeto il suo avversario e si interpone, in un attimo, tra Cedric e Tabanzi, con uno sguardo tanto serio da far correre i brividi.

«A noi stessi ci pensiamo noi, il resto non ti riguarda.»

Tabanzi, ora, è sorridente più che mai. Volta la testa in direzione dei suoi alleati che sono retrocessi di qualche passo, creandogli uno scudo alle spalle così come il resto di noi ha fatto nei confronti di Hasim. Solo loro due sono in testa ai rispettivi schieramenti per cui è facile scorrere gli occhi sui rimanenti avversari, valutando le loro condizioni.

Tabanzi non se lo risparmia, analizzando i primi due che gli sono di fronte.

«Parla un uomo privo di una mano che viene difeso da una ragazza con mezza faccia bruciata. Sbaglio o sei stato tu a causarle quel guaio? Te lo aveva ordinato William, non è vero? Un uomo carismatico...»

Due schieramenti, due nemici. Ma di colpo tra di loro si solleva la pistola di una terza fazione che raggiunge la tempia di Tabanzi.

«Quel nome non è ben accolto qui, eviterei di pronunciarlo con ammirazione» afferma Gareth, tirando indietro la sicura dell'arma.

«Poliziotto?»

«Sì.»

«Devi aver lavorato con Dawson, allora. Per William quell'uomo è una sorta di fissazione.»

La mano di Amy si serra più violenta contro la mia, tentando di non far trasparire l'angoscia che prova.

«Tra poco lo conoscerai. Ti porto alla centrale.»

«Mi dispiace, poliziotto, ma odio obbedire alle regole. Hasim mi capirà bene» afferma, ed è solo un attimo, solo uno, prima che la comitiva di ragazzi bracchi Gareth tentando di privarlo dell'arma. Il tempo sufficiente a Tabanzi per estrarre la sua di pistola da dietro la schiena e puntarla verso Lèa, la prima di noi che gli è di fronte.

L'angoscia mi sale lungo tutto il corpo di fronte a tutte queste armi di morte in mano a criminali e polizia, nel marasma di un momento che non mi ha concesso di vedere l'ultima mossa che è stata svolta: anche Issa aveva un'arma, la stessa con cui nel bosco mi aveva insegnato a sparare proprio nel caso dell'arrivo di questo mostro, e mio fratello ne era cosciente. Hasim, per tutto questo tempo, non ha distolto lo sguardo da me solo per un attimo, proteggendomi con l'attenzione che, in tutti questi anni, il suo egoismo e la sua testardaggine gli hanno impedito di osteggiare.

Ed è così che, anche lui, ha privato Issa dell'arma, lasciandola scivolare via dal nascondiglio alla cintura nella quale la celava e la sta puntando, in risposta, verso la testa di Tabanzi.

Il nostro nemico, accorgendosene, arriva a sorridere mentre il resto di noi non sa che fare: Ercole è immobile a fissare la canna della pistola puntata contro Lèa, Amy è in piedi dinanzi a me nella stessa traiettoria di quell'arma tanto da generale l'attenzione di Cedric verso lo stesso punto focale. Solo Issa, in un momento di lucidità, riesce a liberare il poliziotto dagli altri ragazzi e permettergli di tornare libero.

Hasim, invece, non si muove di un passo tenendo l'arma ancora puntata.

«Hai mirato nella direzione peggiore che potessi scegliere» afferma mio fratello, vedendo come l'arma punta al mettere in fila, in un solo colpo, me, Lèa e Amy al tempo stesso.

Il punto debole della difesa ed anche il solo in grado di far scattare tutti i presenti sull'attenti.

«Abbassa l'arma, Tabanzi» afferma Gareth, ritornando rigido nella sua postazione mentre Issa si occupa di rendere incoscienti il resto dei presenti.

«Ma prima ancora, puntala in questa direzione» afferma Hasim, spostandosi nel cercare il foro d'uscita dell'arma.

Si pone di fronte a Lèa, non appena si rende conto della reticenza dell'uomo, arrivando a fargli scudo con il suo corpo.

«Non fare il pazzo» sibila lei, facendo sorridere mio fratello.

«Che cosa c'è? Ora ti preoccupi per me?»

«Hasim...» sussurro io, pregandolo di farsi da parte.

«Hai due pistole puntate alla testa, Tabanzi. Abbassa l'arma a terra ed inginocchiati.» Prosegue con il dire il poliziotto, provocando il fastidio nell'uomo.

Hasim prova a spingere Lèa ad allontanarsi dalla traiettoria dell'arma, ma come stregato Tabanzi continua a muoverla di conseguenza, quasi nel desiderio di scheggiare quella metà del volto rimasta intatta. La stessa che anticipa la mia presenza lungo la traiettoria.

Il suo arrivo mi aveva fatta cadere a terra ma ecco che trovo le forza per tornare in piedi. Le gambe divengono più decise nei movimenti, la mia mano perde il contatto con quella di Amy affinché sia priva della rovina della mia.

Intrappolo gli occhi in quelli di Tabanzi, lo provoco come ama dire lui, affinché possa seguire non mio fratello, né Lèa, ma me con l'arma e con lo sguardo ma è solo il secondo dei due a muoversi.

Intrappolato dalla mia espressione, si accorge di quanto bene io sia protetta dalle persone che mi sono intorno.

Abbassa l'arma, la posa a terra e su quel terreno si inginocchia.

Gareth agisce con cautela, compie il giro attorno al suo corpo nella maniera più possibile lenta, raggiungendolo alle spalle mentre le ginocchia sono inflesse per raggiungere il terreno.

Gli occhi di Tabanzi sono nei miei, però. Lo noto. Noto l'attimo in cui quel bagliore torna nelle sue iridi ridestando la sua furia.

Afferra l'arma in un attimo e la direziona verso Lèa. Un battito di ciglia è il tempo durante il quale si odono due colpi d'arma da fuoco. Due sparati nello stesso istante, a poca distanza l'uno dall'altro.

Tabanzi cade a terra, trafitto da quei due colpi di proiettile scaturiti dalle armi di Gareth e Hasim allo stesso tempo.

Durante quell'atterraggio, già privo di vita, il tempo si arresta e gli occhi di tutti osservano quella caduta. L'istante in cui un sangue, che immaginavo essere nero nella stessa cromia del suo animo, scorga a terra colorando copioso, in una macchia scura, la terra che ha assistito a questa scena. Dopodiché noto gli occhi di mio fratello Hasim rivolgersi a me.

Mi sta sorridendo. E' felice che io sia viva e che non sia stata ferita da tutto questo orrore. Mi accarezza con gli occhi, nello stesso modo con cui era solito farlo da bambino, dopodiché osserva Ercole, proprio di fronte a me.

«Scusami per aver macchiato ancora una volta di sangue la tua terra» sussurra, prima di cadere giù, seguendo il declino di Tabanzi.

Gli occhi si sgranano alla vista della sua ferita al fianco sinistro, il lato che ha tentato di proteggere Lèa fino all'ultimo respiro.

Mio fratello cade ma non nel sangue del nostro nemico: cade tra le braccia di Lèa, in lacrime per ciò che quel pazzo ha compiuto, stringendolo contro il suo corpo nel tentativo di impedirgli di andarsene.

Accorro fino a loro, mi inginocchio dinanzi al mio secondo fratello, con lacrime che il terrore non lascia uscire. Mio fratello se ne rende conto, per questo motivo solleva una mano e mi accarezza una guancia.

«Non volevo che ti facesse niente» sussurra. «Per molto tempo sei stata tu a proteggermi, ora volevo farlo io. Volevo proteggere entrambe» continua a dire con voce bassa, sollevando ora gli occhi su Lèa mentre questa gli sorregge la testa.

«Ti ho fatto molto male, piccolo agnello. Non ti chiedo, davvero, di perdonarmi. Promettimi solo che d'ora in poi sarai in grado di difenderti da bestie come me.»

La testa di lei si abbassa fino ad incontrare la sua fronte, in modo da parlare a stretto contatto con la sua pelle in un mormorio udibile solo a noi.

«Hai smesso di essere una di quelle bestie già da molto tempo.»

Hasim sorride ed io mi chino lungo il corpo di mio fratello, stringendo il suo corpo mentre il sangue continua a sgorgare dalla sua ferita troppo profonda, troppo grave, troppo ravvicinata.

La voce tremante di Ercole tenta di parlare con un ambulanza mentre il resto di noi si riunisce intorno all'inevitabile. Cedric, Amy, Lèa, Issa, Gareth, Ercole dall'alto... siamo tutti qui, vicini a lui, uniti a formare un unione che per molto tempo la sua solitaria malignità aveva rifiutato, in silenzio a renderci partecipe di un riscatto che ha la firma della più complessa ed articolata storia d'amore.

P.O.V.
William

La morte era spesso stata raffigurata con abiti scuri e l'emblema di una falce, accompagnata da gong furenti in grado di scandire la puntualità di una tarda mezzanotte. Mai avrei pensato che potesse manifestarsi negli occhi di un bambino o che si presentasse in una completa assenza di suono.

Riconosco il piccolo Thomas non appena giunge alla centrale, richiedendo la sola presenza di Francis con un sorriso che pare correre da un orecchio ad un altro.

Francis arriva fino a lui, ascolta le parole che ha da dirgli e che conosco fin troppo bene, prima di porgergli un importante resoconto di fascicoli dove sono certo essere presenti tutte le necessarie prove.

Inizio a correre prima che la mente lo comandi, uscendo dalla centrale e raggiungendo l'auto di pattuglia affidata per il mio turno. Sfreccio lungo le strade senza pensare alle regole, ai semafori, ai divieti. Lascio volare le gomme sull'asfalto affinché possano raggiungere quella meta mai stata troppo lontana ma che ora pare distare chilometri ed ore intere di un diverso fuso orario rispetto al South Side finché non riesco a raggiungere quella polvere rossa che è caratteristica della nuova città.

Penso alla scenario peggiore, allo scenario peggiore, e svolto violentemente la macchina in curva affinché possa procedere secondo una nuova direzione dell'itinerario.

Non ho dimenticato quella chiesa, quella strada, il modo per raggiungerla ma il cuore batte lo stesso sufficientemente veloce da impedirmi qualsiasi tipo di autocontrollo non appena raggiungo il luogo.

I portali di quell'edificio sacrale sono spalancati alla luce del sole ed anticipano nella loro proiezione luminosa la traslazione a terra del cromatico rosone, posto come benvenuto alla nascita filare delle panche riccamente addobbate.

Campanule bianche sono avvolte attorno a nastri argentei, ad unire l'un l'altra le sedute, ma il tappeto bianco che accompagna l'arrivo all'altare rompe l'illusione di quell'apparente clima di festa tramite la sua lunga scia di sangue lungo la quale i miei passi rallentano.

Attila, probabilmente, era stato trascinato via da un'ulteriore vendetta ed aveva lasciato, persino nella morte, sola quella donna che ora giace a terra con lo sguardo rivolto al soffitto, le labbra dischiuse dalle quali filtra lento il fiato e una ferita all'altezza del petto dalla quale scorre, copioso, il sangue.

Corro fino a lei e la stringo tra le braccia. La esorto, con tutto me stesso, a rimanere in vita ma il mio abbraccio ridesta la sua attenzione solo fino alla soglia di un mezzo sorriso, avendo riconosciuto il mio odore dal profumo che tanto beffeggiava se presente in una stanza.

«William... sei qui...»

«Dalia, avvolgi le mani intorno al mio collo. Ti porto da un medico.»

«Paul se l'è portato via...»

«Chi? Attila?»

«Occupati di lui, William, non deve fargli del male...»

«Non proteggerò Attila, Dalia.»

«Non ti chiedo di farlo, ma non risparmiare Paul...»

«E' stato lui a spararti, o Attila? Dimmelo. Dalia, dimmelo.»

«La sai già la risposta» mi dice, in un mezzo sorriso privo di rimpianti. Getto la testa all'indietro, in uno spasmo gravato dall'assenza di aria per questo improvviso affronto che Dalia sembra aver fatto al nostro mondo. Una donna come lei, compiere un errore del genere...

«Perché?» Sussurro, chinandomi verso la donna per cui per molto tempo ho nutrito rispetto, a caccia delle giuste risposte. «Perché, Dalia? Ti avevo fornito le prove. Sapevi che lui ti tradiva. La vendetta era più importante della tua stessa vita?»

«Non la vendetta, William, ma l'amore» mi risponde, fissandomi dritto negli occhi affinché possa crederle. Non riesco a farlo, eppure in lei non vedo più solo quella donna forte, in grado di sottomettere qualunque rivale. In lei vi è una fragilità che raramente lasciava trasparire ma che ora appare quasi come, ironicamente, una sorta di forza. «Ascoltami, William. Voglio che tu mi ascolti con attenzione, perché probabilmente saranno le ultime parole che da me udirai.» Espira, toccandosi la ferita in modo da trattenere in corpo quel poco sangue che ormai le è rimasto.

Fisso con orrore la scena, non volendo credere a come, solo adesso, tenti di aggrapparsi alla vita in modo da poter pronunciare queste ultime parole rivolte solo a me.

«L'amore, William, è un emozione bellissima. Fraterno o romantico che sia. Non importa quanto la vita voglia renderci dei mostri o delle macchine incrollabili . L'amore è l'unica cosa che ci impedisce di essere solo degli spietati assassini perché ancora in possesso di qualcosa di buono. E' una debolezza, William, ma anche una forza. Potrà non sembrarti, adesso, ma senza l'amore per Attila sarei morta da tempo. Devi credermi, William, ed ascoltarmi quando ti dico questo: lasciati sconfiggere solo dall'amore, muori per amore, impara a vivere solo per quello. Il resto ti sembrerà niente a confronto ma il lottare ti terrà aggrappato alla vita. Non perdere te stesso e non diventare solo ciò che tuo padre ti chiede di essere... lui ha smesso di amare già da troppo tempo e ha perso se stesso. Tu sei un uomo diverso, tu... sei William» afferma in un sorriso, forzando la presa delle sue mani adesso sulle mie vesti. «Un folle, maniaco e strano ragazzo con un cuore. Decidi con cura a chi affidarlo. Decidi, tu solo, quando è tempo di usarlo e nessuno potrà mai controllarti. Né i tuoi nemici né tuo padre, mai.»

La presa di Dalia si fa sempre più debole, fino a ricadere sul suo petto mentre i suoi occhi, ora, si disperdono nell'immensità della cattedrale.

«L'amore ci fa sentire vivi» sussurra, poco prima che i suoi occhi si chiudano per sempre ed il respiro svanisca, assieme al battito del suo cuore.

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