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92- Amarsi

"In questo piccolo spazio
In una piazza così grande
La mia vita mi sorprende
E mi riempie di domande

E tu non hai risposte
Ma sorridi al momento giusto
Da farmi incazzare e poi dal niente
Ridere di gusto

Mi fiderò delle tue labbra che parlano
Che sembrano mantra e non ascolto nemmeno
Mi fiderò delle tue mani la notte
Che mi portano in posti che non conoscevo

Mi fiderò del tuo coraggio più del mio
Quando per paura l'ho nascosto pure a Dio
Mi fiderò, ma non sarà senza riserve
Temere di amare o amare senza temere niente."

Mi fiderò - Marco Mengoni/Madame

P.O.V.
Amy

Certe persone tendono ad aspettarsi qualcosa dopo un gesto rivelatosi difficile da compiere. Io ho imparato a non farlo, a non rimanere ferita alla vista di quel lato del letto spoglio nonostante l'intimità che credevo di avere raggiunto con lui.
Cedric non si è più fatto presente dall'ultima notte in cui siamo rimasti sotto le stelle a parlare, trattatasi ormai di molti giorni fa.
Potrebbe essere definita codardia la sua, quel terrore di non lasciarsi la possibilità di vivere qualcosa di bello nella paura che possa ferire, eppure sarebbe peggiore l'ipotesi che stesse facendo tutto questo per convincermi di avere ragione. In fondo, potrebbe anche solo volermi dimostrare quanto ancora possa aver bisogno della sua approvazione mi stia creando delle aspettative che lui non vuole arrivare a realizzare.

Nonostante la facilità con cui siamo tornati a parlare, mi sono resa conto che la rabbia continua ad essere latente al di sotto delle nostre parole, quasi una sorta di meccanismo di autodifesa in grado di ricordarci, costantemente, quanto l'altro sia riuscito a farci del male. Non voglio privarmene del tutto e mi auguro che nemmeno lui voglia farlo, perché in qualche modo è come se ci ricordasse costantemente, anche, di non poter mai più rimanere dei soli e semplici amici.

Ecco la verità del segreto che celo: desidero non essere una qualsiasi, né venire declassata a semplice amore liceale tra dei banchi di scuola perché per me lui non lo è stato. Il suo modo di amarmi è stato tanto maturo da sconvolgermi e cambiarmi più di qualsiasi altro.

L'esperienza di Wood, al confronto, non era niente se messa a contrapposizione con il rispetto che mi riserva Cedric.

Sono davvero preparata all'idea che se ne vada per sempre?

Mi sollevo da questo giaciglio e mi avvicino alla finestra della sua stanza in modo da continuare a vederlo immerso nel contesto coltivato, con il sole a bagnargli di piccole gocce la fronte ed il colletto della maglia.

Tiene le mani sui fianchi, una gamba appena in avanti ed ha il torace smosso da un respiro rotto, causato dalla fatica.
Quando volge lo sguardo poi lo fa in modo lento ed ecco che poco dopo i suoi occhi sono rivolti a me, muovendo la testa appena all'indietro per poter raggiungere la vista di questo primo piano. Serra le labbra, attenuando il ritmo del respiro mentre continua a fissarmi. Le mie dita, nel frattempo, accarezzano la liscia stoffa bianca di queste tende in modo da scostarle dal vetro e sognare di accarezzare la sua pelle.

Cedric ha gli occhi più seri e più profondi che io abbia mai visto, specie mentre rimangono concentrati su di me dimenticandosi del resto.

Avanti... Sali, lo supplica la mia mente costretta a vivere in una stanza che ospita il suo odore ma non la sua presenza, la sua vita ma non il suo tocco, i suoi sguardi ma non la sua voce...

Dirige la testa verso terra provocandomi uno squarcio al centro del petto, dovuto anche alla smorfia che vedo insorgere sulle sue labbra quasi stesse subendo lo stesso dolore.

Sì... questo è da codardi.

«Amelie... posso entrare?»

Ormai ciò che avevo da osservare aveva deciso di chiudere per sempre i battenti di un'autorizzazione per cui allontanarmi da questa finestra non può essere considerato tradimento.

Inoltre, ora c'è Lèa ad attendere in questa stanza ed ha uno sguardo dolce, paziente.

Il nostro legame si sta rafforzando, forse avendo compreso quanto il nostro amore si nutra in egual modo di cuori testardi.

«Scusami, indosso ancora il pigiama.»

«Stai bene? Non dovresti camminare.»

«La ferita non mi fa più male, riesco a muovermi tranquillamente per la stanza.»

Motivo in più per il quale Cedric non era tornato a farmi visita. Avrebbe aspettato che stessi bene per poter partire ed ormai la promessa di quell'addio volteggia nell'aria furente. Anche Lèa ne è consapevole, assieme a tutti gli altri.

«Se è così allora immagino non sia un problema organizzare per questa sera la cena di ringraziamento per i fondi che ci sono arrivati.»

«Questa sera?» Domando, in preda al panico. Lèa ne comprende il motivo.

«Ormai è deciso ad andarsene, Amy... non possiamo fare altro per convincerlo. Ho provato a parlarne anche con Ercole... l'unica opzione che ci resta è poter lasciargli un buon addio.»

«Quindi è tutto finito?» Sussurro, rivedendo l'espressione con cui era tornato a rivolgere la testa verso terra.

Lèa, invece, mi fissa con una sorta di tenerezza e preoccupazione. Desidererebbe fare qualcosa per me, lo capisco, ma non può farlo. L'unica persona ad esserne in grado sta per allontanarsi per sempre, lasciando una situazione irrisolta.

«Magari un giorno tornerà. Non sei stata proprio tu a parlarne? Magari a causa della "maledizione del ritorno".»

Rimango immobile, trafitta dalla paura nell'immaginare che con lui una simile leggenda possa non funzionare. In fondo è ben cosciente di che cosa si lascia alle spalle, affetti divenuti parte di una famiglia, eppure ciò non lo arresta lo stesso. In qualche modo tra le parole di Lèa sembra nascondersi l'incubo di una frase che temo: "non tutte le storie d'amore sono a lieto fine". «Ti innamorerai ancora, vedrai» sussurra, non appena capisce che le lacrime stanno per cadermi dagli occhi.

Muove anche un passo nella mia direzione, forse nel tentativo di abbracciarmi, ma le mie parole l'arrestano pronunciandosi in una richiesta.

«A che ora è la festa stasera?»

«Alle nove... decoreremo con alcune luci degli ulivi e metteremo dei tavoli. Niente di troppo formale ma diversi di noi hanno preparato qualcosa e dovrebbe bastare.»

«Ci sarò» affermo, cercando un tono deciso per poterla rassicurare. La bocca si tende persino nella falsità di un sorriso.

P.O.V.
Halima

Dovrei stare attenta alle azioni che compio, specie perché avverto un inquietante paio di occhi fissi su di me e pronti ad azzannarmi con le loro parole, se solo muovo un passo falso.

Sorrido, continuando a separare tra loro i vari piatti in plastica, creando così una piccola piramide più accessibile a tutti, non appena serviremo le prime portate.

«Sei distratta» pronuncia la voce di Issa alle mie spalle ed ammetto che avrei dovuto prevederlo. Mi osserva da troppo tempo per non essersene accorto eppure credevo di avere fatto tutto con la giusta calma.

«Non è vero» controbatte la mia testardaggine e lo avverto chiaramente ghignare.

«Stai servendo i coperti al contrario.»

Dannazione, questo è vero. Nonostante ciò non mi perdo di fiducia e in fretta correggo il mio stesso errore, dirigendo verso il basso i piatti che ho suddiviso.

«Perché? Da queste parti voi non fate così?»

«Non prendermi in giro e vedi di dirmi la verità.»

Il cuore mi batte forte, tanto da non credere di sopportarlo. Rifletto su come assomigli alla sensazione che possedevo poco prima di provocare un piccolo danno o tradire le regole stabilite in casa mia. Credo possa trattarsi di euforia o paura di una autorità più grande in grado di rimettermi in riga.

Qualsiasi cosa sia ricordo a me stessa che Issa non è come mio padre e mia madre e la cosa è resa già di per sé palese visto il mezzo sorriso che ora ospita il suo viso. Voleva fingere di essere autoritario ma per quanto la sua altezza svetti al di sopra delle altre, incutendo una sorte di tacita riverenza, il suo carattere ne disintegra la credibilità.

Penso che sia stato proprio questo di lui a infastidirmi nei primi tempi; la sua ironia provocava alla mia rabbia del fastidio non indifferente ma presto ho imparato a capire la sua importanza poiché senza sdrammatizzare all'interno della vita risultano visibili solo i problemi ed Issa ha escogitato il modo perfetto per non farsi schiacciare da essi.

Quindi che cosa fare? Ammettere ciò che sono arrivata da sola e con coraggio a compiere o preservare il mistero per vedere fin quanto regge il suo autocontrollo?

Vorrei riuscire a mantenere il mistero ma trattandosi di lui mi è impossibile farlo.

«Ho baciato Marcus.»

L'interesse sale alle stelle, lo vedo dal modo con cui si appoggia con i fianchi alla tavola e stringe tra se le braccia alla stregua iconografica di un vecchio genio della lampada.

«Davvero? E ti e piaciuto?»

«L'ho fatto solo per attirare gli uomini di Tabanzi.»

«Questo mi sembra molto sciocco.»

«Ho l'approvazione di Francis.»

«E da quando tu e lui parlate?»

Rimango in silenzio non potendo dare una risposta precisa. Avverto chiaramente come stia analizzando la reazione alla sua provocazione ma non c'è niente di male nel chiedere. Da quando ci siamo conosciuti io non faccio altro che porgergli delle domande ed aspettare le sue più precise risposte. Lo vedo davvero come un mentore e forse la cosa ha imparato a non dispiacergli.

«Ci siamo incontrati per caso. L'ho visto a lavoro da Marcus e non ho potuto non rivolgermi a lui.»

«E come ti è sembrato?»

«Era ferito, ma non gliene ho chiesto il motivo.»

«Questo non è molto da te.»

«Con lui capita sempre. Credo che sia perché riesco a darlo per scontato.»

«Un errore che facciamo tutti» ammette, divenendo più serio adesso. «Facciamo affidamento su di lui, gravandolo di un peso che finge di non sentire. Forse, avvertirlo riesce persino a farlo stare bene. Le persone che non basano tutta la fiducia su di lui e tentano di farcela da sole il più delle volte non finiscono bene.»

«Ti riferisci a mio fratello?» Domando, vedendo poi spostare il suo sguardo. «Non ne avevamo mai parlato.»

«Aspettavo che fossi tu a tirare fuori l'argomento per prima.»

«Non questa sera. Questi festeggiamenti saranno finalmente un momento di pace per tutti noi. Non voglio cattivi pensieri.»

Forse si sta pentendo di aver tirato fuori l'argomento ed avere alterato il mio umore ma era inevitabile farlo. Sentivo di dovergli confessare di Francis già da questa mattina ma tra i preparativi di questa cena ed il resto mi era stato impossibile.

Ad ogni modo questo adesso è poco importante. Ci saranno momenti migliori per tornare a parlarne, perché io ed Issa rimarremo uniti. In questo credo sul serio.

P.O.V.
Gareth

Prima d'ora non lo avevo mai visto tanto concentrato. I suoi neri occhi nella notte è come se fossero calamitati verso le più oscure tenebre generate dagli alberi più distanti, privi dell'illuminazione artificiale e rischiarati solo dal calare della notte.

Mi domando che cosa stia cercando con lo sguardo verso quell'infinito niente e perché abbia avanzato proposta di sederci su questa piccola collina per poterlo analizzare.

«Non vuoi unirti ai festeggiamenti?» Gli domando mentre noto da lontano il resto dei suoi affetti più cari continuare la preparazione di quelle ampie tavolate, vedendo compresa tra essi anche la donna che l'ho trovato più volte a spiare. Mi chiedo se sia suo quel foulard che Hasim tiene costantemente stretto al proprio polso, avendone però la quasi totale certezza da come tenda a nasconderlo non appena lei arrivava a farsi più vicina.

«No, preferisco rimanere quassù. È una bella vista, poliziotto, non hai di che lamentarti.»

«Mi domando solo il perché di questa distanza e dell'altezza.»

«Sei un poliziotto, potresti arrivare ad intuirlo da solo.»

L'ho fatto, ma se desidera che confessi ad alta voce le mie supposizioni eccolo accontentato.

«Li stai tenendo sotto controllo.»

«Si, è così.»

«Per quale motivo?»

«Desidero che siano al sicuro, il che è abbastanza comico, non credi? Dopo tutto il male che ho fatto loro... però guardali, hanno abbassato la guardia. Solitamente i nostri nemici amano colpire proprio nei momenti in cui siamo più deboli, essendo consapevoli di quanto traumatico un loro intervento possa essere. Ho paura che la scelta di mia sorella possa ripercuotersi su questa serata.»

«Ti riferisci alla sua provocazione? Conosci i Lee molto bene.»

«È solo prevenzione la mia, ma voglio che questa serata si preservi come quella che è: una boccata di ossigeno. Mi sento meglio a rimanere quassù.»

Non trovo altri motivi per discutere ulteriormente, in fondo questa altezza avvantaggia anche la mia serenità mentale. Controllare ogni cosa all'interno di una festa è tanto impossibile da rendere per scontata l'ipotesi di compiere degli errori ed inoltre la zona di vedetta che ha scelto, confesso, ha una vista superba.

Afferro un pacchetto di sigarette e ne picchietto l'estremità, facendone uscire la prima di molte che accompagneranno la serata. Hasim segue il gesto e silenziosamente ne sorride.

«Anche tu fumi?»

«Temo che Francis mi abbia attaccato il vizio.»

«Un po' gli somigli ma non troppo. Avete lo stesso modo di atteggiarvi, gli stessi silenzi ma come carattere siete totalmente diversi. Il che è una fortuna altrimenti avresti già le mie mani alla gola.»

«Non pensavo che un uomo come Francis potesse avere tanti nemici» constato, incastrando il filtro tra le labbra e partendo a caccia dell'accendino.

«Perché? Perché è un tipo amabile? La sua intelligenza mi da suoi nervi.»

Adesso sono io a sorridere dinanzi l'effettiva possibilità che un evento simile potesse accadere. Io non ho mai provato né invidia né rabbia per la velocità dei suoi pensieri ma ne ho sempre fatto un'arma, attendendo il momento in cui me li avrebbe offerti in dono nell'istante in cui mi sarebbero stati più utili.

«Ma non è solo questo» confessa a un tratto, rimanendo a fissare dinanzi la continuazione dei preparativi. «Credo di non averlo ancora perdonato per avere amato mio fratello.»

Rimango in silenzio capendo l'importanza e la difficoltà di una simile confessione, trovando poi le parole per combatterla.

Direziono lo sguardo verso il foulard che tiene al polso e lo indico con la punta di un dito. I suoi occhi scendono fino ad esso, attendendo forse parole sfrontate e piene di prediche che però da parte mia non arrivano.

«Credevo tu fossi uno dei pochi in grado di capire che non si ha controllo del proprio amore. Puoi non perdonarlo ma dovresti essere in grado di comprenderlo.»

Ho imparato a conoscere Hasim abbastanza bene da poter anticipare i meccanismi della sua mente: quando un qualche discorso lo colpisce, attende alcuni minuti per poterlo assorbire, strategia che si crea la persona che con le parole non vuole essere violenta, per poi decidere come contrattaccare in difesa del suo animo che non accetta di essere scalfito. La maggior parte delle volte decide di usare l'ironia, ma credo che sia un cambiamento nato in questi ultimi tempi. Ha l'aria di essere stato uno violento, prima, ed anche diverse informazioni lo confermano eppure si sta adeguando ad avere nuove armi per contrattaccare.

Immagino che lo abbia imparato da quell'uomo grande e grosso che fa da tutore alla sorella, il che è la sola cosa ad essere davvero divertente visto il suo conclamato disprezzo.

«Parli come un libro stampato» dice infatti, diffamando un'altezzosità che non ho dichiarato. Stavolta è lui a sollevare una mano ed a indicare con un dito il pronunciato dosso a metà del mio naso aquilino. «Quello te l'ha provocato un amore complicato?»

Sorrido della sua arguzia, decidendo di affidare a questo sconosciuto, pronto a divenire un affabile conoscente, parte della mia verità. «Ho sempre amato gli spiriti combattivi.»

«In questo siamo uguali, poliziotto» mi dice, tornando a fissare il termine di questa vallata. «Davvero uguali.»

P.O.V.
Amy

Note di una musica allegra mi raggiungono dalla mia entrata in scena su questo enorme giardino nel quale siamo riuniti. Con esse anche il rumore di fragorose risate e scambi di opinione, qualche presa in giro ed il suono di fraterni colpetti sulla schiena.
In questo gruppo di persone noto per prima Halima, con un lungo abito viola da festa che ricordo appartenere all'armadio di Lèa, pur non appartenendole di stile. È bellissima, con i capelli ricci raccolti, il collo illuminato dai diamanti che concludono l'attillatura dell'abito che lascia scoperte le spalle e le scapole ponendo in evidenza anche i suoi denti bianchi, delle scarpe con il tacco ed un trucco da paura. Sembra pienamente una donna, spalleggiata da Issa alto due metri che alle sue spalle non è meno elegante, imitandola anche nel seguire lo sguardo che la bella nigeriana rivolge verso di me, sgranando i suoi occhi rotondi.

«Sono senza parole» la sento dire, il che mi fa sorridere. Issa, invece, mi osserva con compiaciuto senso di orgoglio ed inclina la testa indietro per potermi guardare da capo a piedi con la dovuta calma. La mossa lascia creare lungo il suo volto un'ombra trasversale, generata dalle lampade appese tramite dei lunghi fili ai nodosi rami di questi ulivi.

«Sei bellissima, Amy» mi dice il dolce gigante con sguardo intenerito dal mio imbarazzo.
Vorrei che con me ci fosse Francis, mi farebbe da spalla, sarebbe l'amico in grado di supportarmi in un momento tanto difficile. Non è la prima volta che ci penso: dal suo ritorno non vorrei fare altro che correre da lui ed abbracciarlo ma mi sono trattenuta, volendo far capire a Cedric che ora è lui la mia priorità. Il mio migliore amico saprà comprenderlo, impegnato a tutto tondo in un lavoro che sembra sfinirlo ma questo non cambia il fatto che adesso vorrei indietro il nostro legame, così da avere indietro la garanzia rassicurante dei suoi verdi occhi.

«Grazie, non volevo essere da meno. Anche voi siete bellissimi.»

A dimostrazione di cio, Issa interviene con una mossa degna del migliore cortometraggio, pizzicando con pollice ed indice i bordi della sua giacca per poi stringersi nelle spalle con fare compiaciuto.
Ad ognuno di noi era stato richiesto di vestire particolarmente elegante, per rendere cerimoniale questo contesto all'interno di uno scenario quotidiano.
Per questo motivo Issa ora indossa un tre pezzi completamente nero, con al di sotto una camicia del medesimo colore. Ha saputo personalizzare il tutto, però, tramite il capello dalla rigida visiera dal nero velluto ed una serie di catene al collo, attribuendo dei pendenti alla fibbia dei pantaloni.
Insieme, sono un duo da mozzare il fiato.

«Allora è questo il famoso vestito? Issa me ne ha parlato tanto! Ercole era proprio in difficoltà nello scegliere!»

Halima si accosta a me, camminando senza fatica sui tacchi fino a raggiungermi e passando in rassegna l'abito che, sotto la dorata luce delle lampadine, appare di un rosso ancora più caldo.
Addosso ho il regalo di Ercole per il mio diciottesimo compleanno, l'abito che Cedric non era riuscito a vedermi addosso. L'ho messo per lui. L'ho fatto perché Cedric mi ha confessato che quella notte avrebbe voluto raggiungermi.

«Sì, è proprio lui.»

«È davvero bellissimo, Amy. Sei splendida.»

Le sorrido con dolcezza, non riuscendo del tutto a crederlo.
Quando gli occhi che brami si allontanano da te, allora è difficile continuare ad avere una propria autostima.

«Sono in ritardo? Siete già tutti qui.»

«Non ti sei persa niente. La cena è un buffet ma credo che Ercole stia per dire qualcosa.»

Con il mento indica la postazione in cui il nostro amico si trova: tra le grinfie di una Lèa intenta ad aggiustargli il colletto pieno di grinze e vicino al tavolo dove viene servito lo spumante.
Anche loro, in due completi abbinati, fanno la loro figura sulla tonalità di un celeste spento quanto elegante.
La scena svoltasi per Halima si ripete: con casualità, Ercole volge la testa di lato per favorire le accurate attenzioni che Lèa gli rivolge, finisce per vedere me e sgranare gli occhi.

Arrossisco visibilmente, non essendo abituata a tutte queste attenzioni ma contenta che sia lui a donarmene. Sono contenta della fierezza con cui guarda me ed il suo regalo, accompagnando lo sguardo con un sorriso tanto dolce quanto sincero.

Stringe la mano a Lèa per un momento, abbandonandola dopo quel breve contatto ed avvicinandosi verso di me, concentrato.
Prima d'ora non lo avevo mai visto tanto elegante.

«Se qualcuno non te lo ha ancora detto te lo dico io: sei uno schianto, Amy.»

«Il merito è solo tuo.»

«Non direi, ma sono contento di avere fatto centro.»

Diverse persone appartenenti al personale ci passano vicino e rivolgono saluti a lui per primo: è un ottimo capo ed un bravo organizzatore che, cordiale, sorride a tutti loro tenendo le mani in tasca, forse per non far vedere il suo nervosismo ed apparire disinvolto.
Focalizzo lo sguardo sui bottoni allacciati fino al colletto della sua bianca camicia, cercando l'apatia per poter tornare a parlare.

«Lui non c'è?»

Un sussurro. Una sorta di tacita richiesta di assoluzione. Mi sento al centro della scena, con tutti questi sguardi contro non essendo la più elegante ma la meno abituata a questo genere di vestiario, eppure tra quegli occhi non ci sono quelli che vorrei, non ci sono i soli a non farmi sentire un manichino ma una donna.

«Arriverà. Sta solo tardando.»

Afferma Ercole e quando sollevo gli occhi verso la sua espressione noto che questa è direzionata verso la villa e la finestra del corridoio del primo piano.
Non riesco a vedere niente laggiù a causa dei rami, della lontananza e del buio ma è come se Ercole sapesse che oltre tutti questi ostacoli lui fosse laggiù, distante da noi ma parte stessa dei rumori della festa.

P.O.V.
Cedric

L'acciaio di questa ringhiera è freddo a contatto con i miei palmi ed il paesaggio al buio delle colline e dei monti si presenta in una sorta di eterno incubo.
Più in basso, verso gli ulivi, i rumori della festa reggono il sottofondo a questo silenzio della casa e rischiarano l'oscurità con le loro luci e risa.

Riesco a distinguere Lèa e qualcun altro, riesco a vedere l'eleganza e l'allegria di simili festeggiamenti mentre resto al buio con alle spalle un corridoio vuoto ed il suono di quel proiettile a fendere l'aria incastrandosi nella orecchie.
Chiudo gli occhi, tentando di annullarne il rimbombo.
Qui dentro si soffoca.

Slaccio il papillon ed i primi bottoni della camicia, sperando che questo basti ad immagazzinare il respiro.
Il vento notturno in risposta mi si abbatte contro in una brezza leggera. Mi ricorda che la stagione è la stessa dei miei incubi e che in qualche modo la vita riesce a ripetersi.
Questo corridoio, questa festa così vicina e allo stesso tempo lontana... io in bilico tra una scelta.

Tendo il corpo all'indietro, piegandomi verso terra e stirando così i muscoli delle braccia mentre le mani rimangono salde alla ringhiera.
Una gamba piegata in avanti, una tesa indietro, il dualismo di una scelta.
Una sola domanda, la stessa di quella notte: lei sarà presente quando arriverò?

Dannazione, credevo che un fuoco simile potesse estinguersi, diramato dalla violenza del tempo e di un'età mutata ma fa ancora male. Non affievolisce e mi vede ancora lottare con me stesso e con ciò che provo.
La mente, malefica, ripristina il ricordo dato dalla dolcezza di quel bacio bramato assieme alla disperata pressione della sua lingua contro la mia.

Raddrizzo la schiena di colpo, tornando ad osservare il paesaggio. Cerco la pace mentale che mi possa essere sufficiente a riprendere il controllo di me stesso.
Niente è cambiato: parteciperò a quella festa e poi abbandonerò la città. Non c'è altro modo per dimenticarmi di lei e di questo posto, per arrivare ad un disinteresse che riesca ad essermi amico, pur non potendo far altro che preservare per sempre il ricordo di quel violento bacio.

P.O.V.
Amy

«Volevo ringraziare tutti voi per il meraviglioso lavoro che avete svolto. Non sono molto bravo a parlare, tanto meno a fare discorsi, lo sapete tutti ma visto che il mio socio sta tardando ad arrivare sono costretto» esordisce in una piccola risata Ercole e divertendo il pubblico che fino ad ora si era chiesto dove fosse Cedric.
Il terrore che possa andarsene questa notte, senza far sapere niente a nessuno, mi impedisce di unirmi al coro di quelle risate.

«Siete stati insuperabili nel portare onore alla Garcia! Dico sul serio, la competizione vi invidia e si domanda che cosa accidenti può essere in grado di spingervi a lavorare in tempi avversi, sotto climi ostili e fuori da ogni vincolo d'orario. Forse si immaginano chissà quali paghe a tre zeri! No, non è tempo di discutere gli aumenti con me, sto facendo un discorso serio.»

Un altro piccolo coro di risate. Ercole sa cavarsela meglio di quanto creda con le persone ed il motivo è il bagliore dei suoi occhi in grado di donare veridicità alle sue parole.

«È perché siamo una famiglia. Ecco svelato il vero mistero, ed in una famiglia l'uno è in grado di capire di cosa l'altro abbia bisogno. Non potranno mai portarcelo via, tutto questo.»

Un brivido corre lungo la mia schiena.
Veloce, scivola lungo la spina dorsale e mi costringe a volgere la testa appena indietro per poter confermare ciò di cui ero già certa.

Cedric, appoggiato con la spalla al busto di un albero, mani nelle tasche e la camicia sbottonata, intento a guardare me invece che Ercole.

Tra le mie mani, il bicchiere in vetro dello champagne è condannato ad una vita labile vista la debolezza che di colpo mi raggiunge, causata dall'intensità dei suoi occhi.

Non avverto più la voce di Ercole o il coro di risate, sento solo i suoi occhi dal viso scivolarmi lungo il corpo, soffermandosi sulle curve che l'abito rosso pone in evidenza ed a seguito l'improvvisa nota di silenzio.

«Finalmente sei arrivato.»

La frase, pronunciata da Ercole, fa eco ai miei pensieri.
Cedric è costretto ad avvicinarsi a quel palco creatosi dallo spazio vuoto attorno all'oratore con un bicchiere in mano.

Rimango del tutto priva di fiato vedendolo avanzare tra le altre persone, guadagnandosi anche lui un ricolmo calice.
Le suole lucide delle sue nere scarpe marciano con naturalezza sulla terra che riporta il suo cognome, lasciando risalire lo sguardo lungo i suoi neri pantaloni eleganti, la cintura in pelle e la bianca camicia inseritavi all'interno, avente le maniche risvoltate.

Non è più quel ragazzino con l'enorme giacca in jeans e lo sguardo disinteressato, il passo calante e le spalle abbandonate ad un declino di insoddisfazione perenne.
Ora la sua schiena è rigida, il suo sguardo concentrato ed una mappatura di vene è presente sui suoi avambracci, mettendo in evidenza il risultato dei suoi sforzi all'aria aperta, accentuati anche dalla pressione muscolare contro quella camicia.

Raggiunge Ercole e sorride appena, picchiettando un dito sul calice presente nella mano del braccio disteso lungo il fianco mentre l'altra rimane nascosta nella tasca, ad imitazione dell' oratore al suo fianco.
Scorre gli occhi suoi presenti distrattamente e poi torna su di me, che già lo stavo fissando.

«Non ho molto altro da aggiungere a questo discorso che non un semplice grazie e l'augurio che possiamo rimanere sempre così uniti.» Conclude Ercole con un tranquillo tono di voce, per poi rivolgersi a Cedric in modo da lasciargli la parola. «Tu hai qualcos'altro da aggiungere?»

«Sono solo contento di essere qui, con tutti voi» si pronuncia, tendendo poi verso l'alto la mano con il calice. «Un augurio: che i mesi che verranno possano essere più propizi, per tutti noi.»

«Alla salute» termina Ercole, consentendo all'intero gruppo il gesto consueto di portare il calice alle labbra.
Non mi unisco e Cedric lo nota. Resta a guardarmi mentre lascia scorrere il contenuto di quel fragile bicchiere lungo la gola, dopodiché la musica riprende e la conformazione circolare da platea si sfalda.

Piccoli gruppi si ricompongono e nel mio sono presenti Blake e Halima. Acquistando una forza interiore che credevo essere perduta riesco ad inserirmi nei loro discorsi, rispondere alle loro domande e rendermi partecipe delle loro considerazioni.
L'attenzione visiva, però, è tutta rivolta a quel gruppo che fortunatamente è alle spalle di Halima, dandomi così la falsa scusa di stare guardando lei, nell'eventualità di venire scoperta: Cedric, Ercole e Lèa formano un piccolo cerchio, distante da tutti gli altri, al quale poi si unisce anche Issa che costringe sua sorella a danzare.
Restano da soli i due proprietari di questa società, con sguardi assorti ed espressioni serie, frasi secche quasi sibilate.

Cedric è il più scostante tra i due ma anche Ercole non appare così amichevole quanto voglia far credere. Anche lui è cambiato molto, ha imparato a dissimulare e a guadagnarsi l'attenzione dell'altro con frasi mirate.
Vedo Cedric volgere la testa su lui di colpo, distraendosi dal continuare ad osservare Issa e Lèa danzare per poter sentire con attenzione quello che l'altro, in un mezzo sorriso, ha da dirgli.

«Lèa è totalmente folle, ha organizzato una discesa dopo cena lungo la collina, fino a raggiungere la radura. Il primo che vincerà avrà un mese di paga anticipato» ci fa sapere Blake, ghignando alla sola idea.
In fondo, anche lui era stato assunto per gli affari economici della Garcia e quindi pagato dalla società secondo le ore di un normale lavoratore e non di libero professionista. Quello stipendio deve fargli gola, pure nella consapevolezza di essere caduto più in basso rispetto alla retta garantita dal ricco padre.

«Se è così dovrò togliermi questi tacchi. Quei soldi sono una bella ricompensa e poi odio perdere» riferisce a entrambi Halima, iniziando a togliersi la scarpe ed indirizzandomi poi un tacco contro.«Tu non muoverti da qui, sei ancora ferita quindi vedi di non dimenticartelo.»

«Non avevo comunque intenzione di farlo» riferisco con sincerità, avendo già elaborato nella mia mente la prospettiva peggiore generata da quel semplice gioco.

L'intero gruppo che si sfalda e Cedric che utilizza il momento di completa solitudine per montare in macchina ed andarsene.
L'ipotesi non è tanto remota. Ho visto degli scatoloni, questa mattina, abbandonare la villa ed immagino che siano stati finiti di caricare nella sua macchina.
Devo prendere le chiavi dell'auto ed impedirgli di andarsene all'insaputa di tutti. Voglio un confronto, anche di fronte al resto delle persone, anche in pubblica piazza ma ho bisogno che non se ne vada via in silenzio. Il contrario di quello che mi aveva chiesto di fare lui, quando si era accorto che fossi tornata.
"Basta che quando te ne vai tu non faccia alcun rumore".

«Bene, meglio così, perchè quelle ferite non guariscono del tutto da sole» la sento dire mentre arriva a piedi scalzi a toccare l'erba. Godo con compiacenza delle sue mosse preparatorie a quella grande corsa, riuscendo a rimanere divertita mentre l'espressione di Blake si fa sconvolta.

«Addirittura fai stretching?!»

«Sono una piccola ragazza di appena diciotto anni, con ragazzi e uomini grandi il doppio di me. Fammi esercitare almeno, no?» La sua voce è tanto falsa e cantilena da creare del fastidio in quella di Blake.

Attendo che siano sulla linea di partenza, scattanti in posti di blocco vicini, e che Lèa annunci l'inizio rimanendo anche lei in stallo sulla sua postazione per poter essere certa di rimanere da sola.

Dopo il grido di partenza, Lèa scherzosamente butta a terra Ercole che si rialza in un solo colpo, lottando per catturarla e fargliela pagare, tra le risate, piuttosto che vincere.

Appena mi rendo conto che non vi è presente alcun altro mi muovo veloce in direzione della casa, andando a recuperare le chiavi dal mobiletto nelle quali sono presenti.

Durante il nostro viaggio sono stata al volante almeno una ventina di volte, rendendomi conto di quanto fosse rilassante essere alla guida di un auto tanto sicura.
Il primo pensiero è di tornare alla guida e andare lontano per distrarmi dai problemi. Solo un paio d'ore, il tempo di ritornare per il termine della festa.
Il secondo è quello di esaurirne la benzina e perdermi nel niente, sì, ma non dandogli modo di ricaricarne dell'altra visto il ponte vicino di festa e guadagnandomi così un fine settimana di ritardo.
La terza, la più drastica, nascondere quelle chiavi sapendo essere l'unica copia.

Ruoto attorno alla prima e alla terza opzione, facendo primeggiare il desiderio di tornare seduta sui quei sedili, motivo per il quale vengo spinta dall'incoscienza a raggiungere il parcheggio destinatole.

L'automobile svetta nel contesto dato dalla presenza delle altre vetture per la sua vernice lucida e nera, in grado di riflettere la lontana luce affissa alla casa che la illumina frontalmente.

Ecco un nuovo pensiero: l'idea di poter verificare la presenza di quegli scatoloni sui sedili posteriori e nel bagagliaio, in modo da avere una conferma della sua imminente partenza.

Recupero la chiave tra le mani e mi avvicino alla portiera del guidatore nella speranza di non essere vista nello sporgermi alla ricerca di quegli oggetti nell'auto o sui sedili. Sto per aprirla e montare quando una voce, d'un tratto, mi arresta.

«Che cosa ci fai qui?»

In un immenso déjà vu, sobbalzo sul posto e mi volto, con la luce bianca sopraelevata che proietta la mia ombra e lui è di fronte a me, proprio come la prima notte in cui mi trovò vicino al magazzino con Ercole all'interno, intento a capire la natura di quel piromane che danneggiava la terra.

Era il nostro primo incontro dopo il primo bacio, al quale era seguita la prima lite nata dal suo disinteresse.
Ed ora mi sta fissando nello stesso modo di allora: con confusione, curiosità ed in un qualche modo con una sorta di rabbia.
Nel nostro passato, la provava perché ero riuscita a baciarlo solo nel desiderio di rendere geloso Wood.
Ora le cose sono diverse eppure in un certo qual modo non sono mai cambiate.

«Niente, tu che cosa ci fai qui?» Rispondo inconsciamente, generando la medesima risposta del nostro passato e consentendogli di avvicinarsi con un sorriso che è minaccia di pericolo.

«Credevo fossi in grado di imparare dai tuoi stessi sbagli ma a quanto pare anche io ero nel torto...»

Dirigo il mento verso il cielo, spavalda nel volergli sentire confessare una verità che do per certa.

«Che cosa. Ci fai. Qui?»

«Ho visto che ti allontanavi e ti ho seguita, ecco tutto. Ora prova tu.»

Non stava andando alla macchina? Non voleva andarsene via?
Un profondo conforto buca la mia tensione lasciandola sgonfiarsi, svuotandomi il petto ed ammorbidendomi le rigide spalle.
Cedric lascia scivolare i suoi occhi da me alla macchina e sembra capire tutto da solo, in maniera perfetta.
Si avvicina con serietà, un tempo avrebbe sorriso, fino ad arrivare ad un solo passo di distanza da me che, nel frattempo, sono arrivata spalle alla portiera per poter reggere con lui il confronto.

«Pensavi che me ne sarei andato via? Stanotte

Era così assurdo pensarlo? Ad avvertire il suo tono pare di sì, eppure era l'occasione perfetta per dire finalmente addio al mondo che tanto detesta.

«Ho sbagliato a credere che ne fossi capace? Minacci di andartene da dei mesi ed ora che è tutto in ordine, ora che ogni questione è chiusa, sarebbe il momento perfetto!»

«Dammi quelle chiavi, Amelie.»

Sgrano gli occhi, nel terrore che il mio discorso lo abbia convinto. «No, che non te le do.»

«"Mesi che minaccio" ed ancora non sei preparata a questa eventualità?»

Non rispondo, il che lo fa maggiormente arrabbiare. Le sue narici si allargano ed entrambe le mani si posizionano ai miei lati, contro la portiera, per garantirgli di fissarmi più da vicino negli occhi.

Il pensiero che anche lui desideri solo montare al volante ed andarsene per schiarire i pensieri mi raggiunge solo adesso nel notare il suo stato d'animo.
Ma non ne faccio parola. Lo guardo semplicemente, riuscendo a reggere il suo sguardo che nel tempo si fa sempre più profondo.

Sì, questo è il modo con cui mi ha fissata mentre ancora non era parte integrante della festa ed è uno sguardo tanto intenso da mandarmi le vertigini.
Riesco a sorreggerlo fino a che la voce non torna tra di noi e mi costringe a far scendere gli occhi verso le sue labbra.

«Hai messo quest'abito per me?»

Il fiato mi si azzera, ma riesco a pronunciare un: «te lo ha detto Ercole?» che porta i suoi occhi a scivolare sempre più in basso.
Persino la sua bocca si socchiude appena, facendo passare la lingua a malapena visibile contro l'interno dei denti inferiori in una mossa dall'alto contenuto erotico.

«Ti sta bene» dice sommessamente, tornando a serrare la bocca e dirigendo gli occhi su di me.

È insostenibile, non riesco a respirare per cui mi volto in modo tale da salire in macchina ma una sua mano mi ferma, costringendomi a tornargli di fronte e continuare a parlargli. Vuole la verità.

«Desideravo che tu lo vedessi» prima di andartene via ed abbandonarmi per sempre.

«Ti ha raccontato che sarei venuto da te, quella notte...»

«Lo avresti fatto?» Sussurro nel desiderio di sentirglielo confessare.
Non dice una sola parola, continuando a fissarmi con quello sguardo profondo che mi trafigge più di una lama finché non arriva a farsi più vicino.
Troppo più vicino, ad un solo respiro e dopo... nemmeno a distanza di esso.

La sua bocca si posa sulla mia e poco mi raggiunge la sua lingua. Avverto il cuore salirmi alla gola, le labbra impreparate a quel tocco e poi l'intero corpo che si abitua alla familiarità della sua presenza.

Dalla portiera, le sue mani mi scivolano addosso ed anche le mie lo tengono stretto. Eravamo uno di fronte all'altra proprio in questo modo, sul ciglio di una strada, quando mi aveva detto che non mi avrebbe mai perdonata ed ora ci stiamo baciando contro quella stessa macchina, in maniera incalzante, appassionata. Tanto struggente da provocarmi delle fitte al basso ventre.

Cedric si allontana, rimanendo a fissarmi con uno sguardo velato e poi recupera la stretta di una mia mano.
In un attimo mi sta trascinando via.

Ho il cuore vittima di uno scompenso e la mente troppo in confusione per potermi accorgere della strada che stiamo percorrendo.
Quando riesco a farlo mi rendo conto di essere diretti verso casa di suo nonno e di stare per raggiungerla.
La villa era proprio alle nostre spalle, ma lui mi aveva trascinata fin qui... Come fa a capirmi così?

Era ciò di cui avevo bisogno, io e lui mescolati ai ricordi di un tempo. Questo bacio che inizia sul ciglio dell'ingresso e prosegue mentre la porta si chiude alle nostre spalle facendoci raggiungere il corridoio.
Ora non è più una portiera ma una parete a sorreggermi mentre le sue mani mi scivolano addosso, continuando a sfiorami, a stringermi.

«Ahh!» Gemo sulla sua bocca spalancata contro la mia quando raggiunge un seno e lo afferra al di sopra del vestito. Mi sembra di impazzire sentendolo così ma il suo sguardo è serio, convinto di ciò che sta facendo, tanto da mandarmi al delirio.

Mi costringe ad allontanarmi dalla parete solo per sdraiarmi di pancia sul materasso.
Avverto chiaramente le labbra umide e secche quando contro le lenzuola si infrange il mio respiro. Percepisco la sicurezza e decisione delle sue mani che si introducono sotto il mio vestito, sfilandomi i neri slip.
Sono pronta all'estenuante passione che gli immagino imporre in questo contatto dove lui ha il controllo ed io nemmeno posso vederlo in viso quando d'un tratto, tra le mie gambe, al centro del mio corpo avverto la pressione della sua bocca e la dolcezza delle sue labbra intente in un bacio.

Urlo, soffocata, una protesta contro le lenzuola ma non serve a niente perché non invoca alcuna sua forma di pietà.

I colpi della sua lingua si fanno più incalzanti non appena le mani arrivano ad afferrare i nudi glutei ed in un attimo di lucidità mi domando come siamo potuti arrivare qui se solo un attimo fa stavamo parlando.
Inginocchiato oltre il termine di questo letto, con la faccia affondata in me ha optato per una nuova forma di discussione che ci privasse dell'aria.
Lo schiaffo del suo palmo contro la natica destra arriva senza che io me lo aspetti: mi porta a gridare e a contrarmi, tanto da rendere più ardua l'avventura della sua lingua.

«Cedric» sussurro, senza la certezza di aver emesso alcun suono ma lui lo ha sentito perché le sue mani si stringono con più forza attorno ai miei glutei e la sua lingua arriva a farsi più violenta.

Non sono in grado di comprendere se questo sia un sogno o un tormento: alla sua lingua si uniscono due dita della sua mano, togliendomi ogni tentativo di dichiarare una protesta. Non l'avrei comunque emessa.

Vengo in pochi istanti, con le sue dita ancora in me e la sua lingua a viziarmi.
Si allontana solo una volta certo di avermi sfinita, lasciando un nuovo schiaffo sull'altra natica in grado di farmi gemere.

Ruoto la testa in tempo per vedergli ammirare, rialzando in piedi, il risultato del suo intervento sancito con del rossore sul mio sedere, prima di disfarsi del resto dei bottoni della sua camicia.
Tremando, riesco a sedermi e finire il lavoro, venendo ricompensata con un bacio che accompagna la discesa dei suoi pantaloni e boxer fino a terra.
Mi prende tra le braccia e mi solleva, partendo ad abbassarmi la zip dell'abito mentre si siede, sostenendosi me addosso, con le spalle alla testiera del letto.

Ecco fatto. L'abito rosso scivola del tutto via oltre la mia testa mentre rimango seduta su di lui.
Stavamo solo parlando...
Ma non mi lamento di un simile sviluppo perché con le sue mani a stringermi le natiche ed avvicinarmi a se avverto la tensione del suo corpo, il modo con cui mi desidera.

Inizio a compiere piccole mosse con i fianchi, strusciandomi su di lui in maniera lenta. Le sue labbra si separano, la testa volge appena all'indietro dandomi modo di potergli rubare un nuovo bacio.
L'attrito diviene più spinto, tanto da farci tremare e lasciar scaturire dalla sua bocca una sorta di gemito. Erano anni che non sentivo questo suono! Ed è erotico da morire, tanto da costringermi a cambiare di poco posizione per poter ospitare il suo corpo dentro di me.

Gli occhi di Cedric sgranano, avvertendo l'inizio di quella pressione, così come le sue mani arrivano a stringermi più forte e la sua bocca si spalanca.
Non voglio altro che amarlo fino in fondo, cavalcando il suo corpo fino a raggiungere lo stremo delle forze.
Arrivata ad accoglierlo con interezza ruoto veloce il bacino, gustandomi il suo gemito strozzato.

Continuo in questo modo a sufficienza da avvertire una pressione al basso ventre, sempre più intensa, inevitabile.

Cedric si scrolla il mio corpo di dosso, costringendomi a giacere supina al suo fianco mentre entrambi abbiamo il respiro rotto.
Osservando il soffitto, distesa nuda al di sopra di queste lenzuola, riesco solo a pronunciare una flebile domanda.

«Perché?»

«Perché in quel modo mi piace troppo.»

Ruoto la testa verso di lui, priva di vergogna nell'essere tanto esposta nonostante i suoi occhi mi stiano osservando dall'alto.

«Non hai mai preferito quella posizione» constato, ricordando ogni minima cosa di noi, nonostante il tempo passato.

«Immagino che vederti rivendicarmi abbia un aspetto diverso per me, adesso.»

All'udire queste parole tento di nuovo di guadagnarmi la mia postazione ma le sue mani bloccano i miei polsi, il suo corpo si allunga sul mio.

«Non riprovarci...»

Stavamo solo parlando, ma dietro ogni frase nella mente di entrambi c'era solo questo. Puro bisogno di appartenersi: quella resa che ha il suo corpo quando con la fronte si posa sulla mia.

«Prendiamocela con calma» sussurra, per poi discendere con la bocca lungo il collo, raggiungendomi quindi i seni.
Sporgo la testa indietro mentre i suoi denti graffiano e la lingua rende la pelle tanto umida che la brezza leggera del suo respiro si tramuta in corrente gelida.
Gli permetto di tornare con la bocca tra le mie gambe, regalandomi ulteriore tormento, finché in un grido di protesta per ciò che non ho del tutto ottenuto cado sfinita tra le sue braccia. Non ancora del tutto vinta.

«Che cos'altro ti piace, adesso?» Sussurro nel silenzio di questa stanza e al di sopra del letto che ha visto la prima sfumatura del nostro amore.
Non aveva tutta questa sfacciataggine ma nella sua purezza era perfetto. Quello che ci è rimasto è tanto distruttivo e vorace da far tremare gambe e cuore.

«Dovresti chiedermi piuttosto cosa non mi piace... credo niente.»

«Che cosa posso fare per farti felice?»

È questa la domanda che mi pongo da tempo, in una sfumatura che prima d'ora non aveva assunto alcuna nota sessuale ma siamo arrivati anche a questo ed era inevitabile. La forza dell'attrazione non nega l'approdo tra le coperte ed infondo questo è il luogo dove ci siamo più amati.

Mi sollevo a sedere ed osservo la meraviglia del suo corpo nudo, i cambiamenti che hanno dettato modifiche a quella pelle, notando poi come i suoi occhi sembrino brillare al tocco della mia mano lungo di essa.
In fondo, in Cedric è rimasto ancora la bellezza del ragazzo leggibile di un tempo che non trema più ad un nostro contatto ma che lo attende con uno sguardo negli occhi di pura fame, di brama. Sono gli occhi di un uomo nell'affetto di un ragazzino per cui mi domando che cosa anche in me sia rimasto, se sono modificata tanto o sono rimasta la stessa.
Ciò che è uguale è la bellezza di solcare con dei baci la sua pelle fino ad arrivare al suo sesso.
Lo prendo tra le labbra con lentezza, gustandomi l'attesa che lo riempie di aspettativa.

Scivolo, mi ritraggo e lotto con la sua resistenza con tutte le mie forze. Quando le sue mani affondano nei miei capelli per trattenermi, dentro di me urlo di vittoria. Poco importa il principio di connato che mi raggiunge poco dopo, restringendomi lo stomaco e dandomi la sensazione di non respirare.
Cedric allontana di scatto le mani, liberandomi, ed è in quel gesto che noto il loro leggero tremore.

«Scusami, non volevo costringerti a niente, non volevo farti male... ho solo... ho solo bisogno di te.»

Rimango ad osservare negli occhi l'uomo che mi ha appena confessato parte del suo innegabile amore mentre continua a tremare, mentre mi guarda nel terrore di obbligarmi altro. Ma mi vuole ed io voglio lui. Per questo chino di nuovo la testa e lo accolgo di nuovo tra le labbra. Non mi allontano né esercito alcuna protesta contro le sue mani.
Lo conduco fino al delirio e attendo che si sfoghi in me.

I respiri rotti di Cedric... quel modo che ha il suo petto di fremere dalla velocità dell'eccitazione rimanendo teso, compatto.
Vi lascio scivolare la mano, attirando i suoi occhi. Destando l'istinto di prevaricare su questa battaglia che lo conduce a ribaltare i nostri ruoli.
Ancora una dolce tortura: la sua bocca e le sue mani, il suo respiro addosso. Vorrei il suo corpo. Vorrei il suo corpo e tornare ad essere completi, ma me lo nega. La mia voce ne grida l'ingiustizia, protesta perché questa notte desidera avere parte di tutto.
Sveglia la sua eccitazione, gli ricorda quanto desideri lo stesso nonostante lo neghi.

«Solo un poco» mormora, voltandomi su un fianco mentre sono percorsa dai brividi a causa del suo modo violento di ricompensare la passione che tanto adoro. «Solo per poco» lo avverto sussurrare più a se stesso che a me prima di ritornarmi dentro e farmi urlare.
Distendo all'indietro una mano di colpo e riesco ad afferrare un suo braccio al quale mi aggrappo mentre i colpi continuano con benedetta violenza.

Non appena capisce che sono al limite mi costringe a baciarlo, uscendo da me per strusciarmisi contro e provocarmi in un altro modo, al fine di venire insieme.
Troppo più tardi capisco quanto sia stata una mossa da codardo.

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