91- Puramente al femminile
P.O.V.
Ercole
Poche altre volte ero riuscito a gustarmi il sapore dell'alba, men che meno con una vanga tra le mani. Stanotte non sono riuscito a chiudere occhio per la prima volta da molto tempo. Da quando, nello specifico, le prime volte ho iniziato a dormire nello stesso letto di Lèa. Una dolce compagnia che in un iniziale periodo mi aveva lasciato disteso in orizzontale con gli occhi sbarrati a fissare il soffitto.
Spero un giorno di avere con lei una famiglia o di coltivare con lei quella già esistente. Valerié è come una nostra figlia, in tutto e per tutto. Ci ama come dei genitori e noi amiamo lei, per questo motivo vorrei mostrarle con tutto me stesso cosa possa esserci di buono qui. La stessa cosa vale per la figlia di Frederick che mi è stata affidata, Brianna. Sono due ragazze molto dolci e vicine di mente e di età. Sarebbe egoista chiedere di più ma un giorno vorrei vedere una vita nata con le nostre sembianze.
Attratta dai miei progetti sul futuro o forse dalla fredda aria che sembra scivolare al di sotto dell'imposta delle finestre di quella casa che ho alle spalle, Lèa si avvicina a me e sorridendomi mi abbraccia da dietro, scivolando con un lento bacio lungo il mio collo.
«Non dirmi che sei ritornato timido in mia presenza...» Non sono mai riuscito a comprendere come i nostri pensieri riuscissero a procedere tanto in simbiosi eppure non è la prima volta che capita. «A che cosa stai pensando davvero?»
«È una bella alba, non ne vedevo da tempo» rifletto, avvertendo il rosa acceso del cielo riflettersi su di noi, dopo aver abbandonato l'arancione della sua sveglia.
Lèa la fissa con me ed in un istante è come se entrambi ragionassimo su un periodo futuro, molto più lontano a questo, dove rivederci però nella stessa posa ma con capelli molto più bianchi. È rassicurante, avvertire il corpo che invecchia ma il sostegno della terra, di un altro corpo con essa, a dare il medesimo supporto resta.
«Posso farti una domanda con assoluta sincerità?»
Sapevo che mi avrebbe posto persino un affermazione del genere. Prima d'ora non avevo mai compreso quanto fosse affidabile garantirsi un rapporto stabile ed imparare a conoscere una persona tanto bene da nutrirsi della sua anima.
«Vuoi sapere perché sto combattendo così tanto affinché Amy e Cedric tornino insieme?»
«Non è semplice sostegno affettivo. Tu hai bisogno che le cose si aggiustino.»
Nella tranquillità di questo giorno nuovo i nostri cuori sono selvaggi e liberi nel librarsi nell'aria per poter vivere il proprio amore puro, preso con la giusta calma. A Lèa devo così tanto ed ogni giorno, ogni ora, non posso far altro che ringraziare la forza e la grinta che la spingono a lottare per tutti noi.
«Immagino che la cosa possa associarsi ai miei genitori e alla loro morte. Non sopporto che questo posto veda altra sofferenza, né che sia la terra a pagarne il prezzo. Ristabilita la situazione tra di loro credo che ogni cosa possa tornare alla normalità.»
«E non hai mai pensato che questo non fosse l'unico cammino per un uomo come Cedric?» Resto in silenzio, ascoltandomi ciò che la mia alleata, suggeritrice, amante, mi bisbiglia in un orecchio per non svegliare il sonno dei piccoli pettirossi sugli alberi. «Non fraintendermi, anche io penso sia bravo... ma in lui c'è molto di più, oltre questa terra. Possiede un carattere diverso rispetto al tuo ed ha bisogno di canoni rigidi, di una sorta di controllo. Devi essere preparato all'idea che se ne vada ed accettarlo, se si tratta del suo bene. Ormai non manca molto tempo.»
Inclino la testa per poter posare la bocca sul braccio di lei che mi tiene stretto all'altezza del petto e la avverto sorridere di quel piccolo gesto posto come ringraziamento. Sa sempre cosa dire, lei, come insegnarmi il modo giusto di amare.
Sì, la bellezza del nostro rapporto si articola nell'interfacciarsi con il tempo e le varie sfide che questo ci propone. Chi avrebbe mai pensato che saremo riusciti a stare insieme sul serio? Io no di certo, specie i primi tempi nei quali, all'interno del fienile dove si svolgevano la maggior parte dei nostri incontri, abbassavo la testa e giocavo con qualche spiga al solo scopo di non lasciarmi intimorire dai suoi occhi.
Non siamo mai stati un amore folle quanto uno cauto, attento ai particolari. Un amore emozionale. Quelli atroci non vanno d'accordo con i nostri cuori e li lasciamo a coloro che possono essere ritenuti i più forti. A quelli che scelgono l'adrenalina all'emotività della vita.
P.O.V.
Samuel
Non posso credere che non sia venuta al capanno. Le avevo chiesto una sola cosa, con voce rotta. Desideravo vederla al di fuori di tutte quelle telecamere che ci osservano dagli alti soffitti di queste case affrescate d'odio per poter avere un momento che fosse solo nostro. Ma no, lei non si era presentata e a parlarmi di ciò che non avevo potuto avere era stato proprio Paul questa mattina, dinanzi il tavolo adibito a colazione, dicendomi quanto era stata premurosa Nerissa ad intrattenersi a parlare con lui queste notti...
Vedo rosso, la testa mi scoppia. Mi sarebbe piaciuto urlare in faccia a quel farabutto, rovesciare il tavolo e con esso tutta quella fastidiosa colazione da re che ogni giorno le cameriere presentano su quella tavola per poi dire, sorridendo, che Nerissa non era la donna che credeva. Che mi ha baciato, è dalla mia parte e desidera me, non lui. Non il suo squallido accento inglese e la sua compostezza degna di un lord andando in malora.
Detesto quando si parlano. Detesto le occhiate che lui le rivolge ed il fatto che Nerissa mi osservi di rimando come a dire che tanto mi spetta per tutto ciò che le faccio passare in presenza di Dalia.
Sarebbe inutile dire come non si tratti della stessa cosa e temo che molti altri, oltre a noi, siano arrivati ad accorgersene.
Ho bisogno di parlare da solo con lei, per un solo minuto. Su una terrazza, in giardino o davanti gli occhi sconvolti di Paul. Non mi importa. Ho bisogno di restare da solo con Nerissa un unico minuto per poter chiarire tutto.
Il perché non si sia presentata in quel capanno, per prima cosa, in modo da domandare poi il perché ci provi tanto gusto ad infliggermi dolore quando permette a Paul di fissarla in quel modo squallido. Finendo così per supplicarla di smettere perché non riesco a concentrarmi sulla missione, ascoltare con attenzione una conversazione importante o baciare la mia finta futura moglie al cospetto della sua presenza o meno in queste situazioni. È sfibrante, specie dal momento che credo di desiderarla più di quanto mi desideri lei. Altrimenti sarebbe venuta da me, la scorsa notte.
Ardo di rancore e rabbia a braccia conserte e schiena contratta, posata sul cancello d'uscita in ferro di questa immensa proprietà. Notandolo, in un primo momento gli occhi di lei sgranano per poi riassumere compostezza. Afferra con più decisione la mano del piccolo e si avvicina con corpo insolitamente rigido al cancelletto di uscita, fingendo di ignorarmi.
«Guarda che sono proprio qui» sibilo fuori con veleno, constatando la sua gola deglutire ed i suoi passi arrestarsi.
«Ti ho notato» la avverto appena dire a bassa voce, tanto da non renderlo udibile alle presenti guardie. Di loro non mi interessa. Quello a cui sto pensando è la similitudine di una simile frase con ciò che ci eravamo detti, l'unica volta che siamo riusciti a baciarci.
«Allora avresti potuto salutarmi» commento, non ricevendo alcuna argomentazione in risposta. Abbasso gli occhi ad appena un metro da terra per rivolgermi all'ometto intento a fissarmi con candore. «E tu piccolo? Nemmeno tu vuoi salutarmi?»
«Sembravi arrabbiato, mettevi paura.»
Ghigno. Una mossa che spinge il piccolo maggiormente verso la consapevolezza di quanto il mio volto possa davvero incutere timore se adombrato.
«Sono arrabbiato, ma tu non c'entri niente. Dovresti salutarmi, sei una delle poche persone che riescono davvero a farmi felice» confesso, ragionando con me stesso a quale categoria invece appartenga lei.
«Adesso dobbiamo andare» taglia corto l'infermiera, tentando di tirare la mano del piccolo e riuscendo a fargli muovere qualche altro piccolo passo.
«Dove?»
«Ho avuto il permesso di Paul di mandare Tommy a scuola.»
Sollevo le sopracciglia all'udire simili parole. «"Paul"? Non "il signor Bennett"?» Intimorita, solleva gli occhi verso di me e perde qualsiasi sorta di gelida compostezza avesse cercato di assumere.
Sono contento che il nostro bacio abbia cambiato almeno questo: non riesce più ad essere composta ed indifferente nei miei riguardi il che è una fortuna perché detestavo il ligio soldatino che pareva essere certe giornate. Così integerrima e intoccabile. Ora, per lo meno, è sincera e permette al mio rancore di essere sostituito dal desiderio che mi provocano le sue labbra, pur continuando a mescolarsi con la furia che ancora alberga.
«Vi accompagno io.»
«Possiamo prendere l'autobus.»
«Ma io ho una macchina.»
All'udire ciò il piccolo saltella febbricitante sul posto facendo vibrare d'entusiasmo il braccio di Nerissa che viene scosso e provocando un mio sorriso, alquanto affilato.
Comunico ad una delle guardie i nostri intenti, dopodiché faccio strada. Con il pulsante di apertura permetto che salgano in macchina, rimanendo ad osservare il timido incespicare del piccolo su di un auto troppo alta e fulminando con gli occhi Nerissa dinanzi la sua scelta di sedersi ai sedili posteriori. Richiude la portiera e opta per la scelta che meno stuzzica la mia rabbia.
«Sai anche già dove andare?» La avverto sibilare al mio fianco, mentre sto destreggiandomi con la cintura senza avere messo in conto quanto detesti lei e Nerissa odino allo stesso modo essere comandate.
Bene, in questo modo saremo in due ad essere arrabbiati.
Inserisco la chiave e la retromarcia, posando il braccio dietro il suo sedile e vicino alla sua testa per ruotarmi indietro, nonostante non ne abbia bisogno.
«Non ho parlato con Paul quindi non posso saperlo.»
«Smettila» sussurra, tentando di mettermi in guardia prima che la voce del piccolo intervenga.
«Ha fatto qualcosa di male lo zio Paul?»
«Una colazione troppo abbondante questa mattina» riferisco, ricordandomi il modo con cui aveva fatto scivolare gli occhi lungo il corpo di lei. La mano mi si restringe in un pugno. «È un tipo avaro, dovrebbe cercare di contenersi.»
«Tu sei il primo che non si contiene» mi rimprovera lei e per fortuna abbiamo già perso l'attenzione del piccolo che con sorpresa guarda il mondo al di fuori del finestrino, sconvolto da come la velocità dei motori ci abbia portato in un attimo fuori da quell'incubo di casa.
Ho ancora la mano vicino alla testa di lei, ed il corpo sporto nella sua direzione tanto da poter percepire il profumo che si è messa questa mattina.
«Non mi sembra di essermi scontrato contro nessuna resistenza» metto a segno il mio colpo e gustandomi la sua mancanza di fiato apro il palmo della mano rimasta sul volante, lasciando che sia solo quello a toccare il manubrio non appena esercito la giusta rotazione in grado di farci cambiare strada.
Ottenere una macchina e poter girare indisturbato per la città non era stato facile ed era occorso molto tempo, ma ecco il mio nuovo acquisto sulle note dell'indipendenza: ho imparato a conoscere queste strade tanto bene, in pochi giorni, da farle mie e nella certezza di non essere seguito ero riuscito a lasciare anche qualche messaggio per la centrale, con ricchezza di particolari. Ormai i collaboratori intorno a Dalia e Paul sono del tutto bruciati e non occorrerà molto a Francis, tramite le prove che ho fornito, per capire come incastrarli, specie la coppia di sposi che ha dato inizio a tutto questo massacro infantile. Immaginando la via che avrebbe potuto percorrere il mio protetto, ovvero quella delle forniture di materiale chirurgico, sono stato attento alla coppia di sposi e ad ogni loro azione, spostamento o conto monetario che potesse avere Paul al momento. Qualcosa sono riuscito a trovare per poterli incastrare una volta presi tramite mandato, ma niente che possa ferire Dalia. Niente di niente. Nessuno straccio di prova, né qualcosa che ricollegasse Paul a lei. In questo insieme di menti contorte aveva svolto il lavoro più pulito di tutti e forse, accorgendosi delle mie azioni maligne, era già scappata più lontano di dove potessi raggiungerla perché non posso più seguirla, non ora che c'è Nerissa con me ed è invischiata in questa storia.
«Aspettaci qui, oltre con la macchina non puoi passare» la sento dire ma la scuola è ancora lontana e la percorrenza delle strade, specie il ritorno una volta lasciato il piccolo, si mostrano essere l'occasione perfetta per poter confrontarmi con lei.
«Vengo con voi.»
«Non ce ne è bisogno.»
«Certo, puoi fare tutto da sola... ma io vengo con voi.»
Non la aspetto replicare. Scendo dall'auto ghignando da solo per l'espressione feroce che osteggia il suo viso e che nemmeno tenta di celare accorgendosi del mio sguardo. Muta nei connotati solo una volta costretta a scendere dall'auto per aiutare il piccolo a fare lo stesso. Dopodiché lo usa come scudo tra di noi, imponendo con voce squillante argomenti che sappiano escludermi. Faccio finta di non badarci e tengo le distanze, controllandoli da poco lontano e facendo scivolare lo sguardo sul restante contesto. Poche abitazioni e così tanti negozi... mi domando se non sia stato un canone di scelta per Dalia anche questo, non volendo scontrarsi con l'immagine di una famiglia perfetta.
«Cerca di fare il bravo e stai attento a ciò che ti dice la maestra.»
«Se qualcuno ti prende in giro, tu picchialo» intervengo io, vedendomi indirizzati contro a seguito due paia di occhi sconvolti ma venendo rimproverato solo dal possessore dei più piccoli.
«Non si usano i pugni.»
«D'accordo, ma non cercare di essere troppo accondiscendente. La gente si accorge quando menti e tenta di fregarti, non appena ne ha l'opportunità» faccio presente, rimando a fissare Nerissa negli occhi al suono delle mie stesse parole.
Non mi attenderà di certo la calma non appena quella campanella suonerà per cui posso solo aspettarmi che il piccolo Tommy abbia un destino diverso rispetto al mio.
L'infermiera lo saluta con un piccole pacche sulla schiena, per poi cedere a un bacio che desidererei fosse anche a me indirizzato.
«Avanti, ti aspettano.»
In effetti lo fanno. Un gruppo di maestre pare soggiornare sul portone di ingresso come uno stormo composto da avvoltoi. Non mi sono mai piaciute le scuole, tantomeno le regole. Altro motivo per cui sono più che felice, poco dopo, di allontanarmi da qui.
Ripercorriamo la strada fatta all'andata ma ora non c'è più alcuna distanza, tanto che certe volte il braccio batte contro quello di lei.
«Avanti, dimmi quello che accidenti vuoi dir-»
La arresto prima che possa continuare, prendendola per un braccio e trascinandola in una via secondaria. Il buio, dato dagli alti tetti, ci garantisce la completa ombra ed invisibilità.
Scontrandosi con le spalle contro una superficie tinteggiata di nero, i capelli di Nerissa sembrano disperdersi nel contorno facendo risaltare solo i suoi occhi rotondi, la sua pelle chiara e la sua morbida bocca che mi richiama alla stregua di un canto.
«Perché non sei venuta da me la scorsa notte? Ti aspettavo al capanno, lo sai bene.»
«Tutto qui quello che volevi chiedermi?»
Stiamo respirando la stessa porzione d'aria, vicini con i corpi e con i pensieri tanto da mandarmi dei capogiri, specie non appena i suoi occhi scivolano alla mia bocca.
«Non volevo che ricapitasse questo» sussurra, con un abbandono che mi fa andare fuori di testa.
«Nemmeno io lo volevo, ma ora sì.»
«Davvero non lo volevi?» Espira, muovendo scomoda la schiena lungo la parete per poter reggere il confronto con la vicinanza del mio corpo che si sta approcciando sempre più al suo. «Allora che cos'era quell'invito nel capanno? Un luogo dove saremo rimasti soli, senza nessuno a controllarci.»
«Avevo davvero bisogno di rimanere solo con te per una notte» le dico, allo scopo di farle percepire come la mia disperazione possa farsi concreta. Tra tutto ciò che sto vivendo e la disperazione di un compito che non arriva ad essere portato al termine, volevo solo lei, una sera, anche solo al mio fianco. Solo Nerissa, ecco l'illusione di un'altra vita. Pensasse cosa volesse, se quella notte ci saremo sentiti in vena di amarci non mi sarei ritratto per coscienza.
«Non potevo farlo» mi dice, faticando sempre di più a trovare le parole senza venire distratta dalla sua voglia di baciarmi.
«Per questo motivo hai preferito rimanere da sola con Paul, una sera dopo l'altra? Perché non potessimo rimanere da soli? Per paura?»
«Non voglio lasciarmi distrarre e non dovresti volerlo nemmeno tu. Sta diventando sempre più difficile mentire, specie al piccolo.»
Ancora un microscopico passo ed ecco il mio petto toccarle il seno. Posarvisi contro, in una pressione leggera.
Meno sguardi addosso, ecco quello che intendevo la scorsa notte. Essere da soli così, per alcuni minuti, senza pensare ad altro che a noi stessi.
Un uomo dovrebbe pur trovare modi per non impazzire, specie se il ricordo di lei è tanto violento. Mi chiedo che cosa penserebbe se venisse a sapere che ho fatto l'amore con la mia futura moglie pensando solo a lei. Forse venirne a conoscenza non l'avrebbe condotta a quel capanno ma avrebbe reso le sue notti più tormentate, esattamente come ormai sono divenute le mie.
«Vuoi ritrarti?» Le chiedo, ponendo una sfida alla sopportazione. Fino a dove mi permetterà di spingermi? In fondo è divertente vederla dibattersi.
Scivola via da me con respiro rotto e torna alla luce del sole, sotto il viale principale. Ho bisogno di alcuni minuti prima di riprendere a seguirla, istanti in cui mi sforzo di capire che cosa si dibatta nel suo animo.
Rimango a distanza di pochi metri, proprio come lungo la traiettoria in direzione della scuola, vedendola procedere a testa bassa, assorta nei suoi pensieri. Ad un tratto, il suo sguardo si focalizza però su qualcosa e si irrigidisce. Seguo con gli occhi quell'interesse notando un piccolo negozietto di giocattoli infantili ed un bianco peluche lasciato fuori dalla vetrina.
«Abbiamo sbagliato strada, dobbiamo tornare indietro» la sento dire, facendo retrofront e costringendomi a seguirla.
Oppongo resistenza.
«Non importa, possiamo passare anche da qui.»
«No, invece.»
La sua resistenza alla mia tranquilla richiesta è un campanello di allarme e quasi per caso arrivo a sollevare lo sguardo verso i tetti delle case. Forse, il mio desiderio era solo quello di essere certo che i fronti di questi edifici potessero appartenere a quelli collezionati dalla mia mente e che ci avrebbero indicato di essere sulla strada giusta ma ecco scontrarmi con qualcos'altro. Due paia di scarpe, uno da donna ed uno da bambino, appesi sopra un filo.
Mi scrollo di dosso le sue mani ed avanzo in direzione di quel peluche, sentendo troppo tardi i suoi passi raggiungermi.
Ruoto l'orso in ogni direzione, accorgendomi di una sutura con cerniera lungo la schiena. La apro e vi affondo le dita, riemergendone con un foglietto minuscolo.
È di Francis! E la aggiorna di non essere stato in grado di adempiere ad una sorta di missione di salvataggio.
Inferocito, volto la schiena verso di lei e sollevo la carta a mezz'aria.
«Questa. Cos'è?»
«Non ne ho idea, l'hai presa per primo tu» mi dice spavalda, facendomi chiedere quando lo sia diventata.
«Collabori con Francis?»
Ecco che, solo adesso, si rende conto di essere priva di alterative. Detesto l'idea che possa averla toccata di rifilarmi una bugia. Come può riuscire a farlo? Sapendo quello che insieme stiamo passando, sapendo quanto detesti che si intrometta in simili affari.
«Ti avevo chiesto di starne fuori» ringhio.
«Non potevo farlo.»
«Ha provato a rimettersi in contatto? Come è iniziato tutto questo?»
«Che cosa?» Sussurra. «Ci aveva già provato lui?»
Era a questo che mi riferivo: in sua presenza riesco a commettere solo passi falsi.
«Voleva coinvolgerti da tempo. Ho fatto in modo che non potesse riuscirci.»
Il suo schiaffo mi arriva senza alcun preavviso. Si abbatte sulla mia guancia con una ferocia incalcolabile.
«Se ci sei dentro tu ci sono dentro anche io!» Mi urla contro, generando tutta la mia dose di rabbia.
«No, invece!» Grido in risposta, tornando eretto ed abbandonando la mano posta a trattenere il rossore della guancia.
«Sì, invece!»
«No! Finché ci sono io tu non dovrai correre nessun rischio! Non posso permetterlo!» La mia voce perde di colpo intensità, tradita dall'anima che cade a terra in un contraccolpo dato dalla realtà. È lei che Nerissa sta aspettando, il vero motivo per cui non posso fare tutto questo, mischiare il lavoro con l'amore, e non si tratta solo di uno sbaglio del passato ma di qualcosa ancora di troppo vivido nel mio cuore. «Carlail ha perso un figlio di otto anni, durante una sua missione. Ha commesso un passo falso e rivelato ai nemici la sua debolezza» confesso, sentendo la tensione trafiggermi come aghi lungo tutto il corpo. «Non hanno esitato a ucciderlo sotto i suoi occhi. Non se l'è mai perdonato.»
Prima d'ora non lo avevo mai detto a qualcun altro un simile segreto ad alta voce, ma ecco qui la verità: Carlail confida in me, come mio mentore e si aspetta che non ripercorra i suoi stessi sbagli, che finalmente metta tutti noi al sicuro dalla spietatezza di questi assassini ma sono minacciato nella riuscita di una simile decisione da una piccola donna postasi di traverso tre me e la mia perdita di emozioni.
«Non sarò come quel bambino e ti aiuterò a vendicarlo. Lavoreremo insieme, non più contro ma uniti.»
Non posso accettarlo, né rischiare di metterla in pericolo tanto. I suoi occhi, però, sono più agguerriti di quanto lo siano stati fino ad ora e minacciano con superbia la loro riuscita.
«Se non accetterai questo fatto farò in modo di riuscirci da sola e ti terrò fuori dai giochi.»
La mia colpa potrebbe essere quella di innamorarmi sempre di ragazze troppo forti, ma non avrei immaginato che lo scontro pronto ad avvenire fosse puramente al femminile.
P.O.V.
Halima
"Cerca di essere rilassata e non fare la stupida. In questo casino ti ci sei messa da sola, prova almeno a fare le cose per bene".
La voce di Issa è spietata nella mia testa e mi comanda di mantenere il controllo.
Avere amico un uomo come lui significa accettare di essere messa al tappeto con poche semplici frasi, anche se in certi casi risulta persino divertente.
Che cosa si sta aspettando che faccia, nello specifico? E che cosa si aspetta Marcus?
Quello che è certo è che se stessimo trattando di aspettative tradite capeggerei la conversazione e la concluderei con la stessa spietatezza che può avere un assassina avente anni di professione.
«Perché mi guardi in quel modo?» Mi domanda lo sciocco ragazzo che, riportando delle bibite fresche a fronteggiare questo caldo, giunge fino a me con espressione sorpresa dalla mia temeraria arroganza.
«Non pensavo che avresti parlato a Francis di me.»
«E di che cos'altro, sennò?»
«Preferirei che in futuro me le comunicassi, certe tue scelte.»
«Per che cosa sei arrabbiata, Halima? Ci ha dato una buona pista, no? Lui aiuta noi e noi aiutiamo lui, niente di più.»
Stappo la lattina con la pressione delle unghie, sentendo la bibita effervescente librarsi in piccoli schiocchi dalla bocca dell'apertura.
«Preferirei comunque che mi avvertissi prima di farlo ancora.»
Già, lo avverto sorridere. A suo modo è irritante.
«Hai capito che so essere insistente. Non è male come prima considerazione, per dei futuri fidanzati» mi prende in giro ed è così che per soffocare una risposta aspra affogo le parole nella bevanda zuccherata, avvertendo i suoi occhi addosso nello sporgermi all'indietro.
Il sole è tanto cocente da farmi scendere un rigagnolo di sudore lungo il collo.
«Posso farti una domanda?»
«Certamente.»
«Perché hai scelto me?»
Sono stata un'ingenua a rispondere tanto prontamente, ma la colpa è della mia età.
«Sei stato il primo a cui ho pensato» confesso e non c'è una goccia di menzogna impigliata tra le mie corde vocali.
Marcus mi osserva quando ecco che il gruppo arriva.
Ci troviamo seduti ad una panchina del campetto da basket, lontani diversi metri dal canestro e nascosti sotto un imponente albero ma ancora sufficientemente in vista da non passare inosservati agli occhi di questi estranei.
«Credo che siano loro.»
«Francis ti ha allegato anche una loro foto?»
«Per la verità sì. Il capogruppo si chiama Latif e la banda gli "Yatara". Sono collegati a Tabansi e quindi eccoti le tue spie servite su un piatto d'argento. Ora puoi fingere di essere perdutamente innamorata di me e comportarti da perfetta fidanzata?»
La bocca di Marcus si approccia ad un sorriso sinceramente divertito e con la coda degli occhi riesco a notare i giocatori notarlo.
Non sono preparata alla sicurezza nascosta nella carezza della sua mano, specie non appena prende ad accarezzarmi il viso.
Ho ricevuto simili incoraggiamenti solo da mia madre, per poi scoprire quanto poco potessero essere sinceri perfino quelli.
«Calmati, sei troppo nervosa. Finirai per insospettirli o peggio ancora per disinteressarli.»
Cerco di seguire i suoi consigli ma le sue carezze fanno tutto tranne che rilassarmi per cui, disperato, Marcus finisce per sospirare di sconforto. «Sono un ragazzo bianco, Halima, che si approccia ad una ragazza di colore senza che sia lei a volerlo, circondato da ragazzi di colore e in una parte del South Side dominata solo da loro. Quelli mi pestano a sangue se si accorgono che qualcosa non va, lo sai?»
Scoppio a ridere nel constatare quanto per lui il razzismo funzioni anche al contrario ed è la mia risata a spingerlo a sorridere, rivelandomi come il suo sfogo altro non fosse che una battuta anche per lui, una sorta di bluff.
Ecco perché l'ho scelto: perché riesce a farmi sentire una ragazza normale. Certe volte, il mondo mi ha esclusa dal resto con una cattiveria senza eguali.
«Allora ci tieni alla mia vita...»
«Sei davvero assurdo, lo sai?»
Dopo pochi istanti notiamo, con accurata attenzione ai minimi particolari, che il gruppo sta giocando sempre più vicino a noi, senza preoccuparsi di spedire la palla in rete.
Vogliono sentire quello che abbiamo da dire, dunque è ancora meglio di quanto pensassi: sanno chi sono, probabilmente perché, come detto da Francis, conoscevano entrambi i miei fratelli ma se la fortuna mi assiste sono consapevoli anche della mia importanza per Tabansi. Questo li renderebbe pronti per riportare, per filo e per segno, tutto ciò che stanno per udire, dando anche conferma a Francis di una continuità del loro rapporto con quel magnante del petrolio.
«Che cosa dirai ai tuoi genitori di noi? Pensi che mi accetteranno?» Parte con il dire Marcus, sfruttando il momento perfetto dato da una ricevuta da parte di uno dei giocatori per iniziare il nostro gioco della menzogna.
«Dovranno farlo, ormai stiamo insieme.»
«E se diranno di no?»
«Allora non potranno fare niente di fronte al fatto compiuto.»
L'espressione del giocatore che ha udito il nostro scambio colloquiale sembra farsi confusa, quasi a chiedersi il soggetto del nostro confronto...
Ma cos'altro se non un futuro matrimonio?
Noto gli occhi del ricevitore sgranare all'idea, venendo poi costretto ad abbandonare la sua postazione per far continuare il gioco.
Attendiamo l'immobilità di un nuovo ricevitore giunto all'apparenza con casualità fino a noi per poter riprendere a parlare.
Le mani di Marcus ora toccano le mie, giocano con le mie dita accarezzandomi lente.
«Ieri notte è stato bello» mi dice, sollevando gli occhi verso di me ed inchiodandomi con l'intensità del suo sguardo.
Per un attimo mi manca il fiato e arrivo a chiedermi cosa sia successo realmente ieri notte.
L'ho aiutato durante il suo volontariato con coperte e cibo per i bisognosi e durante quell'azione le nostre mani si erano toccate, ma diversamente da adesso. Era stato un contatto lento eppure accennato che aveva lasciato prevalere poi il mio imbarazzo.
La nostra discussione dovrebbe vergere all'illusione di una notte passata insieme ma è possibile che in realtà Marcus non stia pensando proprio a quel momento? In quel caso mi starebbe dicendo che, nella sua semplicità, era stato bello.
«Mi piacerebbe che tu tornassi da me di nuovo, un'altra sera.»
Arrossisco di colpo ed abbasso lo sguardo mentre le sue parole assumono significati impliciti ed espliciti al tempo stesso.
«Anche a me è piaciuto» sussurro, di rimando. Forse troppo piano per il nostro ascoltatore ma sufficiente per essere udito da Marcus che mi sorride in modo sincero.
«Questo mi rende molto contento.»
Ci sa fare con le ragazze. Un po' me lo aspettavo.
È un ragazzo più grande e di bell'aspetto, sicuramente deve averne corteggiate parecchie prima di me e noto solo adesso come il pensiero arrivi ad infastidirmi.
«Solo quel piccolo problemino iniziale» affermo, avvicinando pollice ed indice tra di loro ad indicare la giusta dimensione del problema «ma tranquillo, può capitare a tutti.»
Il pensiero di un suo passato corteggiamento che era arrivato a ferirmi ecco che decide di vendicarsi con una punta di acidità. Conduce Marcus ad un ghigno feroce che non mi sarei mai aspettata fosse in grado di fare.
«Direi che poi ho recuperato alla grande»incassa la sconfitta per poi recuperare un altro punto dal suo orgoglio ferito, esortandomi a tornare sincera dinanzi il cospetto della nostra condivisa notte.
«Sì, sei stato molto bravo.»
"Va tutto bene? Senti del freddo? Se hai bisogno posso portarti un altro piatto della nostra minestra appena preparata. Non puoi saperlo ma questa cuoca è migliore della precedente!"
Queste erano state le sue parole la scorsa notte ad un senza tetto che era venuto da noi e che si vergognava a chiedere dell'ulteriore cibo.
Chi pensa che le persone senza una casa siano prive di dignità, allora sbaglia di grosso. La maggior parte di loro si sente solo debole e ferita.
«Hai mai amato nessuno, prima di me?»
Perché me lo sta chiedendo?
Fare arrabbiare in questo modo Tabansi non è la giusta soluzione, perché mettere in gioco il cuore è su tutt'altro livello.
«Non direi, no.» Confesso, ad ogni modo, per poi verificare la concentrazione di Marcus nell'udirlo.
«Per me è lo stesso, sai? Non faccio altro che ringraziare il destino per averci fatto conoscere.»
Quali sono bugie e quali verità?
La partita di basket continua ma a un tratto la mano di Marcus si solleva con lentezza e si posa sulla mia nuca. Il suo volto si avvicina, si inclina... e la sua bocca finisce per posarsi con dolcezza sulla mia.
Una scarica di calore mi percorre tutto il corpo, partendo dalla testa e concludendosi ai piedi. Non riesco a sostenerla ma si annulla del tutto non appena la sua lingua parte ad accarezzarmi.
È totalmente diverso dal bacio con Issa perché avverto il tormento di un batticuore atroce. La sua lingua è morbida e si muove con gentilezza ad accarezzarmi la bocca. Non riesco a resisterle ed una sorta di istinto mi spinge a sollevare le mani per poterle affondare tra i suoi capelli ed avvicinargli la testa, ricambiare il suo tocco, farmi altrettanto avventurosa.
L'istante dopo ci stiamo baciando senza vergogna, privandoci del fiato, senza importarcene niente di come possiamo apparire all'esterno.
Non credevo che fosse stato bravo e che baciare fosse così bello, eppure lo è... e mi piace da morire.
Quando Marcus inclina la testa di lato, cambiando direzione alla sua lingua, come un feroce pugno mi si abbatte nello stomaco e da quel contraccolpo scaturisce una sorta di calore più intenso, concentrato.
Respirare con il naso non mi basta più, ho bisogno di usare la bocca, riprendere coscienza di me stessa... riesco a farlo allontanandomi leggermente ma non avrei mai pensato di produrre come un piccolo lamento, una sorta di mugolio, in protesta a questo abbandono.
Un po' me ne vergogno.
Ho il cuore che batte come un tamburo ed una confusione in testa che non può essere generata solo dalla paura delle conseguenze a cui abbiamo dato vita.
Specie perché il mio corpo reagire per istinto quando il suo torna ad avvicinarsi, pronto ad un bacio che però non arriva perché Marcus si è accostato al mio orecchio destro in modo da sussurrare una frase che possa essere inarrivabile all'udito degli ascoltatori.
«Non mi dispiacerebbe se fosse vero...»
Ora sì che mi sento svenire, ma Marcus potrebbe non essere qui a sostenermi.
Lo vedo alzarsi e gettare nell' immondizia le nostre lattine vuote, attardandosi nei passi e in una lentezza che per tutto il resto delle azioni compiute nella sua vita non rispetta.
P.O.V.
Dalia
La chiamata che mi raggiunge al cellulare riceve la mia esitazione, prima di ogni altra reazione.
«Pronto...»
«Mi avevi promesso che avrei avuto lei!» Esordisce la voce furibonda di Tabansi.
Sapevo che qualcosa sarebbe andato storto, alla mia partenza.
«E l'avrai» riferisco, con impazienza ed irritabilità per questa interruzione non gradita all'interno della mia giornata.
«Ormai è tardi per le tue false promesse. Alcuni dei miei scagnozzi l'hanno vista in compagnia di un altro uomo.... erano intimi.»
«Che cosa importa? Presto la avrai solo per te.»
«Ma non sarà più pura! Non lo capisci?!»
Osservo di fronte a me l'esempio della purezza infranta quale migliore rappresentazione delle sue parole e non posso fingere indifferenza nè continuare a mentire.
«Sì» affermò ed oltre l'interfono la sua voce è un ruggito.
«Il nostro accordo è terminato. Ritiro i camion e tutte le forniture messe a disposizione.
Il notaio si occuperà del resto in giornata.
Da adesso in poi sei sola, Dalia.»
La chiamata termina su queste sue parole, ma non mi sconvolge. In fondo, sono stata sola un'intera vita.
Il mio vecchio abito da sposa, appeso all'armadio della mia disabitata e prima casa, me ne offre conferma, urlando tutto il suo dolore con una voce che dalla mia bocca non scaturisce.
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