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88- I re del mondo

P.O.V.
Wiliam

Non riesco a credere a ciò che Dalia ha fatto. Alle prove che sono presenti proprio sotto i miei occhi, trascritte e riportate con una dedizione tale da provocare il mio smarrimento, ma non è la sola cosa a sconvolgermi. Francis ha richiesto il mio coinvolgimento, all'interno di questioni riguardanti la mia famiglia.

Comprendere il suo gioco è impossibile come pensare di sapere predire il futuro. Qualche superpotere, però, temo che possa averlo, essendosi appena manifestato dai miei pensieri alla realtà.

Seguo con gli occhi il suo veloce spostamento lungo l'asse principale del corridoio, notando Rais alle sue spalle. Ticchetto l'unghia del pollice, nascosto dietro il pugno della mia mano, contro il più centrale dei denti, cercando in quel ritmo una stabilità mentale che mi possa consentire di vedere qualcosa chiaramente, all'interno di questo macello.
Dalia che denuncia Paul, Francis che si fa amichevolmente più vicino, Rais che mi osserva come se avesse appena rivelato tutto di me al suo innamorato. Gli avrei promesso che avrei ucciso Francis, se solo lo avesse fatto.
Non mi chiedo se ne sarò in grado ma se saprò riuscirci: quel demone dai capelli troppo scuri sembra cavarsela in ogni situazione che implica un mio coinvolgimento. Ha avuto persino un confronto con Dalia, uscendone straordinariamente tranquillo.
Quali assi nasconde nella tasca?

«Non vieni?»

Ha incrinato le sopracciglia, bloccandosi nella mia direzione. Quando quelle due linee, superiori ai suoi acuti occhi, quasi si toccano ho capito che non c'è da aspettarsi niente di buono: indicano il sospetto, in questo caso per la mia lenta reazione.
Senza pensarci ulteriormente chiudo la cartella e mi sollevo in piedi, arrivando vicino ad entrambi e notando dall'alto la differenza di altezza ottenuta a confronto con Rais.

Francis non mi da modo di cedere ad alcuna riflessione maligna perché parte a camminare con maggiore calma in direzione dello studio di Carlail.
Rais, ancora una volta, segue la sua schiena come un bravo cagnolino che non ne tradisce il possesso, senza dimostrarsi sorpreso della mia presenza.

Chi è sorpreso è il capo della polizia, ma in un attimo sembra riappacificarsi con la vista di noi tre riuniti.

«Siete incollati insieme, per caso?»

«Capitano, ha mansioni per me e per Davies?»

«Dove è finita la tua divisa, Francis?»

«A casa. Nella lavatrice.»

«Presto te ne procurerò un'altra. Non mi piace che tu giri per il distretto senza indossarne una. Dovresti essere in ordine, proprio come Davies.»

«Sì, signore, vedrò cosa posso fare» mormora in un sorriso Francis e di colpo capisco come il suggerimento del capitano sia già passato dall'essere ignorato.
Credevo ci tenesse al nostro ruolo qui. La divisa dovrebbe essere un elogio, per quanto Francis non ami glorificarsi.

«Potreste occuparvi della banda Yatara.»

«Parla della banda di tredicenni accusata di spaccio e di disordine pubblico?» Domando sconvolto, avendo letto di loro. Tra tutte le cose che stanno capitando qui...

«Esattamente, proprio loro. Ieri notte sono stati avvistati vicino alla palestra comunale. Attaccavano briga con chiunque, hanno persino causato dei feriti gravi.»

«Mi dispiace capitano, io resto alla centrale.»

La mia frase fa voltare, incuriositi, tutti i presenti ma è il capitano a porre le domande. «Per quale ragione, Davies?»

«Già, William, perché?» Lo spalleggia Francis, incrociando le braccia al petto e guardandomi con curiosità. «Hai di meglio di cui occuparti?»

«Non lo abbiamo tutti? Stiamo parlando di rimettere in riga dei tredicenni che non possiamo nemmeno rinchiudere in un carcere» commento spaesato dinanzi l'inutilità della nostra azione. Davvero la polizia si fa carico anche di questioni tanto inutili quando ci sono casi ben più importanti?

«Non dirmi che sei entrato in polizia solo per sparatorie e rapimenti...» commenta con finto divertimento Francis, ma è il suo ragazzo a tagliargli l'ironia, rivolgendosi al capitano.

«Conosco quella banda, quindi andrò con loro.»

«Era ovvio che tu li conoscessi...»

«Sarà al sicuro, Carlail.» Rassicura Francis, trovando la serietà che perde nello sbeffeggiarmi. Il capitano sembra rifletterci, per poi cedere con una mossa della testa. La soddisfazione di Francis rimane evidente, perfino quando torna rivolto verso di me.

«Allora, sarai dei nostri, fratello

Era una cosa nostra, per questo Rais alza lo sguardo preoccupato verso di lui mentre rimane alle sue spalle. In quell'espressione è contenuta tutta la sua impossibilità di garantirgli una sicurezza ma mi accorgo, in poco meno di un attimo, di non voler fare del male a Francis, almeno di non essere costretto a farlo.
Mi infastidisce e destabilizza, disorienta i miei piani come quello di rimanere in centrale ad investigare su quanto la polizia sappia di Dalia e di me, pur non avendo fermi i tratti somatici del mio viso che possano spingere ad un riconoscimento. A quanto pare, però, dovrò occuparmi di alcuni tredicenni.

Rivolgo la testa indietro, tornando eretto con la schiena e la risposta del mio senso di sicurezza è sufficiente per Francis che, tornando con lo sguardo verso Carlail, cede ad un suggerimento su dove trovarli.

«Da quello che sappiamo passano i pomeriggi al campo da basket. Immagino li troverete lì.»

Non appena mettiamo piede fuori dalla centrale, l'afa e il calore di questa infermale città ci raggiungono togliendoci il respiro. Il sole trafigge spietato dall'alto del suo cielo, facendoci dimenticare la frescura dei condizionatori all'interno degli uffici.
Gli altri due membri della comitiva non ne sembrano toccati e procedono spediti in una direzione a entrambi nota.

Ma certo, sono nati e cresciuti in questo luogo sperduto nel mondo ma io sono abituato ad altri vizi ed altre abitudini. Difficilmente cammino per le strade, percorrendole il tempo che mi occorre a raggiungere un obbiettivo. Questo mi ha sempre protetto da pallottole vaganti di gente particolarmente arrabbiata o in cerca di vendetta ma anche dall'afa, mi rendo conto in questo momento, detestando il sudore che dopo pochi minuti arriva a colare dalla fronte facendomi invidiare il fresco confort proveniente dai sedili inferiori della mia macchina con autista.
Ho sempre amato i modelli decappottati ma per averli bisogna cedere al rischio ed essere alla guida: il vento, dalle postazioni anteriori, è troppo forte per le orecchie e con le pallottole intrappolate nell'aria rischi di fare la fine di John Kennedy.

La spavalderia con cui Francis, ma soprattutto Rais, mi rivolgono le spalle continuando a procedere verso quello che immagino essere il campetto da basket con passo spedito quasi genera ironia nella mia mente ma il silenzio che ci affianca fa assomigliare questa scena, il mio sguardo immobile sulle loro schiene incoscienti, una ripresa documentaristica di un leone in procinto di azzannare due gazzelle.
Il pasto è succulento, nel suo essere del tutto ignaro, ma il caldo è tanto atroce da togliermi presto l'appetito della caccia.

«Non c'è un solo caffè aperto. Sono le quattro del pomeriggio» constato nell'osservare i negozi ai lati delle vite ancora abbassati nelle loro saracinesche, imitato da Francis.

«Qui i commercianti hanno ritmi loro. Perché? Desideri tanto atrocemente un caffè o stai solo provando a ritardare il nostro incontro con i ragazzini?»

«Non per un caffè, ma per un bicchiere d'acqua.»

«Ci sono solo i ristoranti aperti, a quest'ora» ringhia fuori Rais, desiderando tagliare la conversazione in un modo patetico. Se davvero non ha detto niente a Francis riguardo alla mia persona, ci sarebbe comunque da chiedersi il perché del suo palese odio nei miei riguardi.

«Pagherei il posto ad un tavolo di ristorante solo per bere un bicchiere d'acqua» affermo, rimanendo per un attimo con lo sguardo rivolto verso il cielo dopo che un lieve brezza ha fatto volare in massa uno stormo di uccelli da sopra un ramo.

«Questa è una considerazione da ricco» nota Francis, raccogliendo un informazione che ancora non gli avevo dato ma che è trasparsa.

«Fa solo troppo caldo» dico, generalizzando nel rispondere.

«Non abbastanza da impedire loro di giocare» commenta il vecchio tossico e la frase fa rallentare i passi al suo ragazzo.

Mi domando come il terreno del South Side possa essere così incoerente nella successione di vie: appena finita di percorrerne una principale, particolarmente ripida, eccoci giunti su un pianoro che si dilata a perdita d'occhio, quasi come se i viali principali fosse una spina dorsale tendente ad ingobbirsi e le vie laterali costole sviluppate su piani ad altezze diverse.

«Che cosa fai?» Gli domanda Francis, privo di note emotive nella voce. L'unica cosa che fa sta facendo l'altro, oltre ad osservarli, è passarsi l'orecchino destro circolarmente all'interno del lobo, dunque il moro deve aver notato qualcosa nel suo sguardo e aver previsto la spinta di una azione.
Francis può essere il solo veramente in grado di predire il futuro.

«Vado a parlargli, no?»

«Andiamo tutti insieme.»

«Uno spacciatore con due agenti di polizia?» Chiede con un mezzo sorriso Rais, in una tranquillità sopraggiunta nel non tenere in considerazione la mia presenza.

«Non ho la divisa.»

«Ma lui sì» commenta e come non detto, il tossico è ben cosciente di chi ha alle spalle... allora perché non ha lottato tanto affinché stessi lontano dal suo ragazzo? Si è già arreso al volere di Carlail, come siamo stati costretti a fare tutti noi?

«Non importa, andremo insieme.»

La scena dovrebbe intenerirmi, probabilmente, ma mi riempie solo di ironia. Non avevo mai visto Francis così concentrato su un'altra persona. Persino con Gareth aveva un proprio distacco, il che mi fa pensare, come già sospettavo, che non fossero sul serio amanti ma che comunque un certo legame c'è... perché Francis è in grado di generarlo con chiunque, persino con me.
Era bastato che mi chiamasse "fratello" per farmi arrivare fin qui.

Lascio che si muovano per primi per poi seguirli con un distanza data da una decina di passi. Noto il gruppo di ragazzini vestire abiti sportivi e larghi intenti, proprio come aveva riferito Carlail, a giocare sul loro campo da basket quasi fosse un trono.
Si arrestano solo alla vista di Rais. Dopodiché notano Francis. Poi me.

«Che cosa succede? Perché c'è uno sbirro con te?» Chiede uno dei ragazzi di colore in direzione di Rais. Ancora non riesco a vederli bene ma una volta che sono riuscito a fermarmi riesco a notare i capelli rasta, corti, del tipo ed il suo viso da infante. Per quanto possa essere alto, i suoi anni traspaiono fin troppo bene e non mi occorrerebbe niente prima di metterlo a posto.

«Tiene entrambi in custodia. Non è niente di importante ma è venuto qui per voi» mormora Rais ed in una sola frase riesce a riassumere varie situazioni: è in grado di chiarire il suo posto accanto ad una forza dell'ordine giustificandolo come una sciocchezza incapace di scalfire il controllo che, finge con loro, ancora esercita sulla città, dopodiché mette in sicurezza il suo ragazzo dalle occhiate ostili e condanna me ad inventarmi una difesa.

«Ci sono state delle lamentele nei vostri riguardi, da parte di alcuni cittadini» informo in modo automatico, ma il capo branco non sta a sentire. Per quanto le parole di Rais abbiano difeso Francis pare non essere stato abbastanza.

«Che cazzo ci fai qui, stronzo?»

«Non lo hai sentito? Sono con lui.»

«Il corpo di Usman si starà rivoltando nella tomba! Sparisci di qui, non devi metterci piede!»

«Calma, Latif» interviene un altro del gruppo, difendendo il suo amico dall'occhiata che gli sta rivolgendo Francis.

«Col cazzo che me ne sto calmo. Questo finocchio ci ha fottuti tutti alla grande! Sparisci di qui prima che chiami Hasim!»

Hasim. Maledetto, bastardo, cane.
Dunque gli stronzi si conoscono per nome. Sorrido, divertito dalla situazione creata.

«Per caso è di vostra proprietà, questo posto?» Arrogo il diritto di chiedergli, essendo il solo tra i presenti ad avere la possibilità di rispondere affermativamente ad un simile quesito. Vengo ancora una volta ignorato, visto come lo sguardo del nero, arrogante, capo branco si concentra sugli altri due.

«Se solo Gyasi sapesse che sei qui, ti manderebbe via a calci in culo.»

«Perché tu sai bene che cosa volesse, non è vero?»

«E tu lo sapevi, stronzo?!»

Una giornata calda come questa non dovrebbe essere aggravata con la furia di certe liti, specie se guidate da un gruppo di idioti che ricorda l'insubordinazione di un uomo che avrebbe dovuto prestarmi un ottimo servizio.
Avanzo tra gli altri due presenti e mi pongo dinanzi a loro, arrivando a parlare al capo degli stronzi ad un centimetro dalla faccia, per vedere se anche in questo caso è in grado di ignorarmi.

«Infuriarsi così per una situazione del genere...» lo prendo in giro, inclinando la testa e intrecciando le mani dietro la schiena. «In questo modo sembri tu la checca isterica.»

«Come mi hai chiamato?»

«Latif.» Lo riprendono ancora i suoi compagni di gioco. Niente da fare.

«Se continuerete a sentirvi i re del mondo, allora continuerete ad avere a che fare con me. Pensate che l'essere minorenni vi risparmi dall'essere dietro delle sbarre? Forse. Ma ho il potere di portarvi fino ad un tribunale ed assicurarmi che provvediate a tutte quelle ore di servizio sociale alle quali vi condanneranno. Deve essere divertente, sotto questo sole, spazzare a terra e raccogliere i rifiuti di altra gente.»

«Chi cazzo ti credi di essere invece tu, eh? Solo perché porti una cazzo di divisa... Non prendo ordini da un fottuto bianco come te!»

Ohh, se solo sapesse quanto poco ha a che fare il mio temperamento con questa divisa.
Sorrido all'idea che possa imparare a scoprirlo, tornando protagonista di quel documentario che mi vede belva affamata, pronta ad addentare la preda.

«Vuoi vedere sul serio quali poteri ha questa divisa? Vuoi vedere perché sarai costretto a promettere di non fare più casini? Perché sennò... un giorno... potrei tornare da te, ripetendo tutto questo.»

Separo le mani da dietro la schiena in un attimo e chiudo un pugno facendolo abbattere contro il suo viso. Cade a terra prima che gli altri possano accorgersene, dopodiché mi siedo su di lui e lo colpisco come una furia. Il suono del naso che si rompe mi raggiunge in poco meno di un attimo. Colpisco ancora, proprio contro la mandibola, vedendo la sua testa ruotare di lato solo per far uscire un rigetto di sangue. Dopodiché ruota ancora, da una parte all'altra. Gli scatti sono veloci, guidati dalle mie mani che non rallentano la loro danza.
Ma la vista è tanto aberrante e patetica da incentivare anche gli altri ad agire.
Afferro la pistola e la punto contro il resto della banda.

«Non muovetevi di un solo passo, altrimenti sparo a tutti quanti.»

Capiscono immediatamente quanto ne sia capace. In fondo, un agente di polizia che inizia a picchiare a sangue freddo uno di loro senza che questo abbia fatto niente per meritarlo, se non infastidire con uno spirito troppo certo di sé, non si vede tutti i giorni. Solitamente queste divise attendono almeno una mossa di resistenza, da parte del colpevole. Una sorta di tentativo di liberarsi come di dichiarare la propria innocenza.
Allora attaccano, soffocano, uccidono.
A Latif è andata fin troppo bene. Ha solo la faccia tumefatta e coperta dal sangue.
Al suo amico Hasim ho fatto di peggio, non avrebbe dovuto ricordarmelo.

Punto la pistola alla sua fronte e nessuno mi ferma. Né della sua banda, né della mia. Avrei creduto che a questo punto Francis avrebbe fatto sentire la sua voce ma o ha imparato a conoscermi fin troppo bene oppure era rimasto troppo infastidito dalle accuse rivoltegli.
Ad ogni modo, bene per la mia rabbia.
Si è sfogata su questo volto ed ora il mio sorriso la accompagna, avendo trovato il consenso verso la decisione più giusta nello sguardo dell'uomo sdraiato a terra.

Ripongo la pistola dietro ai pantaloni, maledicendo l'assenza delle mie fondine ascellari in cuoio marrone, per poi rialzarmi in piedi passandomi le dita insanguinate, essendosi tagliate in piccole fratture sulle nocche, all'interno dei capelli.
Vecchia abitudine, per una lunghezza che un tempo mi infastidiva in infiniti déjà-vu del genere.

Espiro con forza, scrollandomi le spalle così da distendere in nervi, dopodiché mi volto tornando agli altri due.

Rais ha uno sguardo triste, deformato all'altezza delle labbra, mentre fissa quasi con disgusto il nero disteso al suolo mentre Francis guarda direttamente me, la causa del problema. Non noto giudizio nel suo sguardo, se non un completo niente ma non ho tempo per analizzarlo.

«Vi aspetto alla centrale» riferisco, senza fregarmene di cosa possa pensare il resto della nera banda riguardo ai reciproci ruoli. Di Rais accudito dalla polizia e di Francis parte di essa. Hanno ormai imparato cosa significa attenersi ai propri compiti.
Mi era mancato questo rude ed efficace modo di farsi giustizia da soli.

P.O.V.
Francis

Resto ad ascoltare i passi di William che si allontanano, così come si attende la scomparsa di un mostro all'interno di un incubo, dopodiché il loro suono viene assorbito dalla voce di Rais.

«Non avresti dovuto permetterglielo.»

«L'ho fatto venire qui solo per questo» confesso, afferrando il pacchetto di sigarette dalla tasca dei pantaloni e gustandomi la prima sigaretta della giornata. Tenere sotto controllo William, occuparmi di tutto il resto, mi aveva fatto dimenticare simile vizio per poter rimanere concentrato su ogni cambiamento nell'aria. «Questi stronzi non parlano in altra lingua con me che con il sangue.»

Non vedevo Latif da molto tempo, ovvero dall'ultima partita fatta proprio qui, in squadre avversarie, ancora alla presenza di Gyasi. Erano stati loro due, assieme a mio zio, i principali mentori e miei iniziatori in questo sport ed un tempo ricordare tutto questo era divertente.

«Hai finito di rievocare i morti?» Gli domando, disprezzando il suo sguardo d'odio con tutto me stesso. Se davvero vuole sapere che genere di cose Gyasi avrebbero voluto che si evitassero, allora eccogliene servito un esempio. Detestava che litigassimo. Non ce lo siamo fatto mancare. «Perché siete tornati nel South Side? Non vi hanno ri accolti come si deve in Nigeria?»

«Non sono affari tuoi, il perché siamo qui.»

«Temo di si, invece» commento, espirando il fumo mentre resto a fissarli.
Come da nostro programma, è il turno ora di Rais di fare domande. Se le botte di William non li hanno convinti a parlarmi, allora mi auguro che gli permetta di farlo la loro conoscenza, e fiducia, in Rais.

«Avanti, Latif, digli che cosa è capitato.»

«Che accidenti volete sapere vuoi due, eh?» Domanda un ragazzo dinanzi a noi, rimasto sconvolto dall'intera scena. Sembra essere il più piccolo tra tutti e di lui non ricordo. Avendo la nostra stessa età, mia e di Gyasi, Latif giocava con noi e al tempo era accompagnato da dei ragazzi più grandi, brutte compagne. Forse le prime ad avere iniziato Gyasi alla droga.

«Latif, come conosci Tabansi?» Vado dritto al punto, tornando occhi negli occhi con il diretto interessato.
Vedo come sgrana i suoi, al nome di quell'orrendo essere.

«Tu che cosa ne sai di lui?»

Ho fatto le mie ricerche, dopo che Rais ha parlato con me del suo incontro con Halima.
Era stato incauto nel rivolgersi a lei tanto spontaneamente, riferendogli il suo nome ed il suo ruolo all'interno della polizia, ma mi aveva confessato di aver immaginato chi fosse dall'età e dai colorati vestiti che indossava. Gli avevo raccontato di lei, dei suoi bracciali d'oro, del suo volto, della sua età... si era trattato di un presentimento che, se mal risposto, lo avrebbe messo in un brutto guaio ma nonostante quanto mi faccia dannare, mi sono innamorato di Rais anche per questo.

Lui è un uomo istintivo, per quanto abbia da sempre provato a nasconderlo, spinto ad agire con il cuore in maniera anche violenta, mai con la testa. In un certo modo, dinanzi delle scelte, il mio completo opposto per quanto entrambi possiamo essere emotivi e meditativi. Direi che ci mescoliamo bene, logica e follia, ma certe volte vorrei si esponesse meno al rischio.

Un simile discorso riguarda anche Halima. C'era Dalia, proprio nell'altra stanza. Una donna pericolosa e subdola, complice se non fondatrice di quel piano che aveva spinto Hasim a dar fuoco a tutto. Inoltre, da quanto ritiene Halima, la bionda risulta anche in combutta con quel mostro di cui ho appena fatto il nome... Halima ci ha permesso di aggiungerlo alla nostra lista di criminali, dipingendo il profilo di un altro volto a quella cerchia di nemici.

Investigare su di lui aveva condotto a poche prove ma significative, come la sua provenienza nigeriana, della medesima origine della famiglia Usman, corredata da articoli che risaltavano il suo potere mediatico affiancati da altri che ne dichiaravano l'oscuro aspetto retrostante, di pura corruzione e malignità. Investigando sulla faccia più buia era venuto fuori molto altro ed è a quel punto che ho scoperto quanto il mondo possa essere piccolo o, ancora meglio, quanto possano essere semplici certi giri di affari.
In fondo, Latif non se la passava tanto male in Nigeria. Era figlio di un grande magnate del petrolio, professione esercitata anche da Tabansi e motivo per la quale i due erano divenuti amici, oltre che grazie ad una serie di particolari hobby comuni. Traffico di armi e reati di adescamento di minorenni, ai fini della prostituzione.

Avevo provato un connato di vomito mentre le parole di Halima passavano attraverso la voce di Rais, in una veridicità tale da trovare facile corrispondenza con le informazioni ricavate.
Halima non sapeva tutto, ma qualcosa... e quel qualcosa, sul mostro che questo Tabansi rappresenta, era stato sufficiente. Su di lui vagano sospetti, accuse cadute nel vuoto, processi di tribunali conclusi con una velocità tale, nonostante la testimonianza di alcuni accolti, da poter essere giustificata solo secondo la presenza di tangenti monetarie.

Ciò che mi spaventa è il ruolo che questa banda può avere con l'intera faccenda Tabansi.
Latif ha la mia età ma il resto, come riferito da Carlail, sancisce una media di tredici anni e non sembra del tutto consapevole di ciò che è spinto a fare. Sono convinto che le loro azioni vengano guidate dalla rabbia di Latif e che questa sia tanto cieca da essere guidata da qualcun altro. Proprio come era stato per Hasim.
La vita è una storia di condanne che sono costrette a ripetersi.

«Si tratta di un uomo molto potente e vive in Nigeria» taglia corto Lafit, ruotando lo sguardo per poter far uscire dalla bocca un altro grumo di sangue raddenso.
Deve avergli rotto, oltre al naso, persino qualche dente.

«Viveva, vorrai dire. Da poco si è trasferito qui, esattamente il giorno in cui siete tornati voi, stando ai media e a quanto detto dalle persone in paese.» Il nostro telegiornale locale. Certe volte i pettegolezzi salvano la vita a casi complicati come questo.

«Non abbiamo nulla a che farci.»

«Allora riferitelo ad Halima. Lui è tornato solo per sposare lei» sentenzia Rais, infastidito dalla menzogna che traspare dalle loro voci.

Per quel poco che si sono conosciuti, lui e Halima sembrano avere instaurato un rapporto sincero. Non ne sono sorpreso, perché si assomigliano molto.
Istintivi al punto tale da essere coraggiosi agli occhi di tutti. Mi domando che cosa trattenga il mio ragazzo dal rivelarmi chi sia davvero William e quale carta quello stronzo possa aver giocato per mettergli tanta paura.
Forse ha scoperto dei bambini all'oratorio, di Oliver o ha puntato su di me. Non posso saperlo, ma non voglio far scoprire a Rais quanto so. Voglio che questa falsa continui fino al punto tale da risultare credibile agli occhi di tutti i presenti, augurandomi che questo possa bastare per mettere in sicurezza l'uomo che amo.

Istintivo ed intelligente, ma l'acutezza della sua affermazione era nata da un nostro confronto.
Da quello che abbiamo potuto scoprire, Latif e la sua banda vivono senza un soldo, motivo per il quale si sono accese tante proteste in città. Il disordine aveva permesso loro di generare il caos sufficiente a derubare certi posti di importanti importi, senza farla passare come una rapina.

Non sono solo iracondi ma sono anche poveri: gli affari sembrano non andare troppo bene a Tabansi, dunque, essendo certa la presenza di un rapporto tra di loro, ma con la sua frase Rais ha fatto molto di più.
Ha insinuato il dubbio nelle loro menti che tutto ciò che stanno facendo stia andando a puttane, in una completa dimenticanza causata dell'effettiva lontananza dei desideri del loro capo dai loro.
Tabansi vuole solo Halima. Loro vogliono dei soldi. Tradire il loro capo sarebbe la scelta più giusta ma per il momento ci accontentiamo che vada in crisi, nell'istante stesso in cui Halima pizzicherà la stessa corda che lo manderà alla follia. Perché l'idea di non averla... può essere la sola cosa in grado, davvero, di fare impazzire un uomo come lui.

Un uomo che ha tutto. Soldi. Potere. Fascino, secondo i reporter presenti ai grandi gala dove lui era stato presente. Persino possiede un equipe di prostitute pronte a soddisfarlo... ma lui non vuole loro. Lui vuole, e qui il malessere era salito nel comprendere il suo malato interesse, solo la verginità di Halima.
Presa confidenza con Rais, Halima aveva finito per rivelarglielo.
Non posso sapere che cosa la mia amica inventerà ma è sempre stata brava a far andare su di giri le persone. Ne sono consapevole avendo visto in prima persona il suo modo, per quanto infantile, di difendersi nei confronti dei genitori. Per questo motivo sono certo che saprà cavarsela ma dovrò assicurarmi che possa rimanere lontana dalla questione quanto basta affinché anche lei possa mettersi in salvo.

«Tabansi è un uomo molto forte ed importante per voi, in Nigeria. L'ho capito questo... ma dovete stare attenti a che cosa implichi fare affari con lui. La sua presenza qui mette in crisi l'intero commercio» continua a dire Rais, vestendo il suo ruolo di padronanza di queste terre secondo le leggi del commercio illegale. Le sue scarpe sono state tolte dal quel trono che ne sanciva il potere ma il ricordo di lui era rimasto nella memoria collettiva, tanto a fondo da generare ancora un favorevole rispetto.

«La polizia lo sta cercando» riferisco io, permettendo a Latif di rivolgermi uno sguardo differente dal primo che mi aveva dedicato. Ora pare più attento, più consapevole. «Se scoprite qualcosa di utile, allora è il caso che veniate a riferirlo.»

Perché non sempre le battaglie si vincono colpendo per primi i re. Certe volte, attraverso l'ingegno, certe piccole pedine possono essere mosse fino allo scacco matto ed è quello che sto cercando di fare: togliere tutti gli scudi di protezione attorno a certe figure di spicco, rivoltare le persone contro di loro.
La strategia risulta preoccupante nell'ipotesi di essere stata anticipata da Dalia: sapeva come avrei agito e mi ha offerto il suo nemico, il suo più stretto collaboratore, su di un piatto d'argento. Ecco servito il mio pranzo. La stessa porzione che richiedevo da tutti.

Dalia mi avrebbe dato Paul, Halima e la banda Yatara mi avrebbero offerto Tabansi, Samuel la sua futura moglie Dalia, Rais il perfido Richard Lee, essendo stato l'unico a suo diretto contatto, Nerissa i coniugi Rivera assieme a tutti gli altri complici e con un po' di fortuna... io avrei messo in trappola William.

Questo era il piano che si tesseva, filo per filo, durante il racconto trasposto da Rais. Questo ciò che sono arrivato a desiderare.
Posso solo sperare che ogni cosa segua il proprio filo narrativo ma certe sfide sono costrette a cambiare durante il tempo di gioco, facendo mozzare il respiro agli osservatori dagli spalti, rendendo la partita accattivante ed estenuante allo stesso tempo.
Non ho mai amato le situazioni fuori programma.

P.O.V.
Halima

Prima che la vita si mettesse di traverso, mostrando ai miei occhi il loro terrore, io avevo uno scopo. O meglio, un traguardo. Sarei dovuta andare da una persona mentre percorrevo le strade della città. Prima che Tabansi mi trovasse e la paura tornasse a ballare violenta dentro lo spazio ristretto delle mie vene. Per questo motivo ora sono qui e l'ho raggiunta, chiedendogli, senza suppliche, quale genere di ruolo potesse sentire di avere dentro questa faccenda.

Ho sempre creduto che le donne forti non avessero bisogno di nessuno, innamorata dello spirito battagliero di certe eroine impavide e forse non ne hanno bisogno veramente ma certe volte essere comprese, amate, rispettate è qualcosa che può fungere da completamento e da supporto nella loro vita. Forse, è parte stessa della forza con cui riescono ad andare avanti.
In fondo, anche amare se stesse è una forma importante di amore e di rispetto. Rifletterle su di un altro significa trovarsi di fronte una persona valutata al tuo stesso pari, in grado di fare tutto ciò che fai tu ma facendoti provare, nei suoi riguardi, un'inaspettata ammirazione... perché tutto ti saresti mai aspettata da un altro tranne che ti sorprendesse.
Certe volte capita di essere maligne in certi pensieri, di odiare le persone o la vita per il retro attivismo a cui ti spinge ad assistere nei confronti di certe azioni ma poi è bello scoprire che la sorpresa è dietro l'angolo. Capire che avere un istinto tanto speciale come quello di sorprendersi nasce per consentire di non arrenderti mai.

Se fossi stata un eroina tanto impavida, da romanzetti rosa, non mi sarei mai appoggiata alla spalla di nessuno e avrei combattuto esanime fino alla fine.
Certi caratteri sembrano non avere mai avuto una ricaduta. Almeno non come quella che ho avuto io.
Sono una ragazza romantica e sento il bisogno di sapere che non tutto il romanticismo è andato perduto. Che esistono ancora uomini sinceri come mio fratello Issa che comprendono cosa possa davvero frullare nella mente di una donna in tutta la sua iperattività... ed è bello scoprire che esistono ancora.

Il modo con cui lui mi guarda... l'avevo vissuto solo attraverso voci di altri che me lo descrivevano ma non avevo mai avuto il coraggio, prima d'ora, di affrontare un simile sguardo tanto di petto.
Scoprire ed affrontare se stesse rende più forti anche dinanzi all'amore. Credo che sia il passaggio per vivere tutto in maniera più intesa e non sia solo il mero significato della vita, per quanto alcune combattenti siano riuscite a proclamare forte con la loro voci frasi urlate in momenti in cui erano soffocate. Per me vivere il mio essere donna, e libera, significa dare una possibilità a me stessa in un mondo, il mio vecchio mondo racchiuso tra le mura della famiglia Usman, capace solo di mettere alla gogna.

Dare una possibilità a me stessa... per consentirmi così di non provare rimorso nell'osservare dritto negli occhi un ragazzo che sembra avere da sempre conservato importanti dosi d'amore nei miei riguardi. Che bella sensazione, la libertà. Non smetterò mai di amarla, per questo motivo non desidero che lui se ne privi.

«Sei certo, Marcus? Non voglio metterti in pericolo in nessun modo. L'uomo di cui ti sto parlando è un tipo violento.»

«Credi non abbia mai avuto a che fare con casi difficili?» Mi domanda, scorrendo gli occhi loquacemente verso ciò che ci circonda. Il "rifugio", come lo chiama lui, di cui ha usufruito anche il mio povero fratello morto. Non c'è giorno che non mi ricordi di lui e non lo ringrazi per avermi resa ciò che sono.

«Sei bravo, l'ho capito ma non sono venuta qui solo per chiederti questo favore. Volevo parlare con te da tempo.»

«Sul serio? E di cosa?»

Credo proprio che il suo sguardo si stia illuminando. Birichino e birbante. Non avrei mai immaginato che fosse un tipo tanto scherzoso eppure è divertente constatarlo.
Parlando di riflessioni sul proprio passato e presente, Marcus sembra averne fatte a sufficienza da avere imparato ad avere a che fare con se stesso. Penso che sia ammirevole.
Non avevo ammirato nessun altro uomo che non fosse Issa.

«Sai, c'era una promessa in ballo...» parto con il dire ed il suo sorriso luminoso, bianco, rischiara le mie parole donando loro una lucentezza estrema.

«Con parole simili non mi prometti niente di buono.»

«Vuoi starmi ad ascoltare?» Chiedo, ridendo. «Dovevo aiutare due amici a ritrovarsi. Un ragazzo e una ragazza, per meglio dire. Erano amanti» le sopracciglia di Marcus si sollevano al suono arcaico del termine. Mi maledico in un primo attimo, dopodiché lascio perdere la sua ironia per procedere con il mio discorso. «Avevo promesso che se fossero tornati insieme, allora ti avrei parlato.»

«Ma ancora non mi hai detto per dirmi cosa...»

«Ci arrivo, dammi un attimo!»

«E loro si sono rimessi insieme?»

Storco la testa, dinanzi la pesantezza dei ricordi e ponendoli al confronto con la realtà. «Non ancora, non proprio...» almeno da quel che so.

«Allora facciamo che me ne parlerai una volta che si saranno messi insieme, se non occorre troppo. In questo modo manterrai la tua promessa» mi dice continuando a sorridere ed io mi domando come la pesantezza del discorso con il quale ho introdotto questo nostro incontro possa essere alleggerita da lui al punto tale da provocare come una mancanza di memoria.

Che cosa c'era prima di questo sorriso e per quale motivo devo mantenere quella sciocca promessa fatta con un uomo che non è più nel South Side?

Lascio perdere le motivazioni e continuo a fissare il bagliore di quel palliativo, resistendo con poche forze all'idea di rimanere per sempre qui, vicino a lui. Lo metterei in pericolo e non voglio, ho ancora bisogno del suo consenso. Sembra capirlo.

«Potrai dire di noi tutto quello che vorrai, non mi interessa che cosa ne penserà quell'uomo» mi dice, con una certezza che presto viene del tutto abbandonata dall'ironia. «Tutto quello che servirà per farti sentire al sicuro.»

Poche sono le caratteristiche di una agguerrita principessa: il credere a se stessa, il rinunciare a rafforzare le proprie capacità e l'amare... in ogni modo possibile, amare per testimoniare agli altri quanto farlo ci distingua dalle persone senza cuore. Amare e basta, la decisione più coraggiosa che possa esistere.

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