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87- La casa di Hansel e Gretel

P.O.V.
Nerissa

Sapevamo che sarebbe finita così, che tutto sarebbe precipitato inevitabilmente in un insieme di conseguenze delle quali non avremo più avuto il controllo.
Sapevamo, durante l'attimo stesso di quel bacio, che avremmo perso per sempre parte della nostra imperscrutabilità.
Lo sapevamo... ma che cos'è tutto questo?

Quasi mi è impossibile respirare. I suoi occhi sono troppo intensi, troppo fermi, nell' osservarmi per lungo tempo da dichiarare il mio completo stato di aritmia.
Non stiamo correndo alcun rischio visibile ma continuo a credere che la dovrebbe smettere. Non mi permette di concentrarmi su Tommy come vorrei ed è per questo motivo, principalmente, che afferro il piccolo in braccio in modo da usarlo come scudo.

«Avanti, Tommy. È il momento della passeggiata fuori» commento ma è il maggiore presente a non esitare nello scaturire in tripudio di voce particolarmente roca.

«Dove andate?»

«A prendere un po' d'aria.»

«Vuoi venire con noi, zio?»

Tommy non ha ben compreso il significato che non sono stata in grado di celare dietro le mie parole. Per questo motivo fisso il piccolo con preoccupazione, temendo che il nostro legame di reciproca e muta comprensione possa essersi del tutto rotto. Dopodiché osservo l'uomo, troppo silenzioso per questa giornata composta da piccoli gesti, che continua ad osservarci entrambi in silenzio, rivolgendo però solo a me le sue successive parole.

«Tu vuoi che venga?»

No... ho bisogno di respirare.

Un mancamento mi avvince non appena Samuel si solleva in piedi dal giaciglio che per ore lo aveva ospitato, afferrando il piccolo dalle mie braccia, facendolo scendere a terra in un coro di cristalline ed infantili risate per poi concludere la berla con una piccola pacca sul suo fondoschiena, in grado di farlo procedere in avanti.

«Non pensi di aver freddo così, caro Tommy?»

«Vado a cambiare la maglia!» Commenta subito il diretto interessato, procedendo in una corsa via dalla nostra vista. Siamo costretti a seguirlo a lenti passi ma raggiunto l'armadio, mentre Tommy si sta cambiando nella vista periferica dei nostri occhi, riparati da muri e ante spalancate in silenzio arriviamo a farci più vicini.

Lui continua a fissarmi, con in sottofondo il piccolo che fa un sacco di rumore al solo fine di togliersi quella bianca canottiera di dosso.
Vorrei ridere del suo modo comico di fare tutte le cose in gran fretta ma vengo distratta dalla figura di questo poliziotto che si fa sempre più vicino, in modo da potermi parlare in un sussurro.

«Riguardo la maglietta che indossi tu, invece, posso dire che ti sta molto bene...»

Immaginavo un commento del genere, avendo modificato appena il tipo di scollatura.

«A me piace il tuo profumo...»

«Questo mi rende felice ma dimmi... Ne indossi uno anche tu?»

Nemmeno mi da modo di rispondere, posa semplicemente la mano sul mio sedere e mi avvicina a sé. In un primo momento sussulto per quel contatto troppo spinto, degno della più avviata coppia sposata, per poi venire accolta dal calore che mi dona una sensazione poco dopo nel comprendere la nostra vicinanza. Ho sempre odiato gli uomini che sanno essere freddi e che fanno mistero di loro stessi, costringendoti ad elemosinare con miseria la loro attenzione.
Attila no, lui non fa così... e appare completamente distrutto a causa mia non appena inclina la testa lungo la pelle lasciata esposta dallo scollo, ispirando il mio odore direttamente da lì.
Un gesto naturale, possibile da costruire con una mossa di estremo erotismo ma non è quello che Samuel ha adottato. Non volontariamente, almeno.
Posando la testa stanca su di me mi dimostra quanto davvero volesse solamente respirarmi, in questa confusione che non è favorevole alla nostra pace.

I piccoli passi di Tommy ci raggiungono con la lentezza necessaria che occorre per distanziarci in tempo.
Troppo poco. Abbiamo rubato all'abitudine troppo poco.

«Va tutto bene?»

«Tutto bene, piccolo. Fai strada, io ti raggiungo presto.» Ho la voce frenata nell'esternare l'emozione. Il piccolo lo nota perché più di tutti noi è incline ad accorgersi di quanto l'affetto tenda a rarefarsi, alle volte nella fretta di concludere una situazione scomoda, senza preoccuparsi delle vittime che lascia al suo passaggio.

«Voglio che tu stia attenta, a tutto. Non esitare a chiamarmi se succede qualcosa di insolito.»

«Tua moglie non si insospettirà di tutte queste premure?»

«Lo farà senza dubbio, ma non è ancora mia moglie» mormora lui, lasciandomi assalita da una spiacevole tristezza.

«Ma presto lo sarà, non è vero?»

Ispira con forza l'aria dal naso, abbandonando ogni tipo di controllo avesse potuto avere finora in presenza di Tommy. Assomiglia ad uno di quei tori inferociti prima della corrida ma è davvero questo il suo superpotere? La rabbia?

«Abbiamo bisogno di un paio d'ore da trascorrere da soli» commenta ed una simile frase attrae la mia curiosità.

«E che cosa faresti in quel paio d'ore?»

«Tutto ciò che sarà necessario per essere certo di essere dalla stessa parte.»

Mh... è la stessa promessa o richiesta che ha fatto a Dalia, per entrare nelle sue grazie?
Sono troppo cattiva, persino per me stessa.

«Tommy ha bisogno di me, devo andare.»

«Dimmi solo che accetti, Ner.»

Non mi aveva mai chiamata così. Specie con questa disperazione.

«Che cosa dovrei accettare?»

«Ho bisogno di parlare seriamente con te per un paio d'ore. Ho bisogno di restare da solo con te per tutto quel tempo.»

«Non mi pento di niente, tantomeno di quel bacio...» ma vorrei tu metessi in ordine i tuoi sentimenti. Non mi da modo di riferirglielo.

«Allora dimmi di sì.»

«Sì» sussurro, venendo ricompensata da un suo sorriso molto più sereno. Davvero sono solo io a fargli questo efetto?

«Trova una scusa e raggiungimi domani sera, alle nove in punto, nel capanno del giardino di questa casa. Sai a cosa mi riferisco, non è vero? Bennet tiene una piccola casetta per gli attrezzi del giardinaggio...»

«Sì» espiro nell'immaginare cosa possa avvenire, e quanto le parole possano essere vicine, in quell'ambiente così angusto nel quale sono capitata una sola volta per sbaglio.

«Che dirai a Dalia?»

«Questo fine settimana è fuori per degli affari. Non mi ha voluto dire di che cosa si tratti, né mi ha permesso di chiederle di seguirla. Dovremo sfruttare la sua assenza per mettere a posto questa faccenda.»

«Quale faccenda?»

«Noi.»

Avvertire i pensieri cristallizzarsi è una strana sensazione. Quasi come se la tua mente si fosse di colpo arrestata. Non so spiegarne la sensazione ma ad ogni modo è spossante ed eccitante al tempo stesso.
Resto intrappolata nello sguardo di Attila finché il piccolo non torna tra noi.

«Siamo pronti, zia?»

«Sì... sì, piccolo, andiamo.»

«Divertitevi senza di me, ma non troppo» chiede ad entrambi il poliziotto, tornando a prendere posto sulla poltrona.
Mi domando cosa debba continuare a fare da solo, in questa casa. Non è la villa in cui vive con Dalia ma è casa di Bennett, e lui non c'è. Non ci sarà nemmeno il piccolo Tommy, tra poco meno di alcuni minuti, per cui come giustificherà la sua presenza? Per che cosa?

Non appena usciamo dalla casa mi accorgo di quanto le parole di Samuel possano essere indelebili non solo per me ma anche per una mente tanto giovane da non averne compreso il senso.

«Perché lo zio ci ha chiesto di non divertirci troppo?»

«Forse perché pensa che io e te possiamo fare qualcosa di folle» dico con tono divertito, stringendo con più forza la sua mano e sorridendogli per mostrargli allegria. «Magari era triste e un po' geloso per questo.»

«Avrebbe potuto venire con noi.»

«Credo di no, piccolo.»

«Perché?»

«Temo che avesse altro da fare.»

Le guardie attorno alla casa registrano la nostra uscita dal portone principale ma rimangono immobili, tenendo lo sguardo su noi. Anche uno sciocco si accorgerebbe di quanto assomigli ad una prigione questo posto, a causa persino del clima opprimente che si respira non appena l'aria viene privata delle chiacchere senza senso, emesse con voce squillante, da Paul al solo scopo di colmare il disagio che si avvertirebbe nella loro assenza.
Se solo non fossi stata resa partecipe dei fatti da Samuel, mi sarei comunque resa conto dell'influenza che può avere un famoso chirurgo come Paul e forse avrei supposto erroneamente una causa che potesse essergli minaccia. Magari non gli avrei attribuito simili colpe.

«Zia, ma che cosa fa veramente lo zio di lavoro?»

La domanda, da parte del piccolo, mi sorprende. «Hai idea di cosa faccia Dalia?» Scuote il capo con lentezza, evitando di ripetere la cadenza con cui, ogni volta, tenda a chiamarla "mamma". «Nemmeno io so che cosa faccia ma so che lavorano insieme, lei e zio Attila.»

La testa del piccolo torna dritta dopo essersi voltata verso la mia a caccia di risposte. Rimango ad osservarla per alcuni minuti, mentre camminiamo mano nella mano lungo questo sentiero di ghiaia, prima di trovare le parole giuste da dire.

«Piccolo, ricordi di quando mi hai detto di aver visto tutti quei bambini, assieme al signor Bennett?»

«Ma certo! I miei futuri amici!»

«Puoi portarmi da loro?»

Annuisce e decide di rivestire tutto il coraggio possibile, camminando spedito verso la nostra meta.
Poche volte ho avuto occasione di uscire dalla casa di Paul e di scoprire le strade che assomigliano ad un reticolo di vene in questa piccola città per cui mi sorprendo, in un primo istante, di riconoscere l'odore della salsedine del mare. I piccoli passi di Tommy ci stano conducendo sempre più lontano, verso un luogo isolato che sembra nascere al termine di un ricamo in pizzo di pallide onde e presto mi accorgo che è realmente così, con una sola eccezione del caso: la piccola casa che ospita gruppi di bambini felici e urlanti è affiancata da un giardino recintato di una rete metallica. Oltre i vuoti rombi di limpido cielo che questa crea si vede il mare abbattersi sulla costa, come una promessa di libertà intoccabile.

Occorrerebbe solo la spinta più forte di un'onda per liberare quei bambini per sempre ma nei loro sorrisi, scherzi e giochi, sembrano non voler sfuggire alla vita che si è creata loro intorno. Qualcuno li ha convinti che non valesse la pena farlo ed in un primo istante mi domando quale sia stato il prezzo per saldare la loro coscienza. Forse era bastato solo quello scivolo, o magari quell'altalena.

Un bambino più basso degli altri si avvicina alla rete, con i capelli illuminati dal sole a donargli riflessi oro. Mi accorgo che Tommy gli sta andando incontro non appena le nostre mani intrecciate vengono tese nel vuoto fino ad arrivare ad una loro rottura.
Percepirla mi riempie di dolore e paura, ma Tommy sembra stare bene ed essere felice nel ricongiungersi al suo amico.

«Ciao, Zac! Sono tornato, hai visto?»

«Sono felice che tu sia qui, io e gli altri ci chiedevamo che fine avessi fatto...»

«Va tutto bene, sono solo malato per questo non sono con voi. Nerissa si prende cura di me.»

Il mio nome provoca lo spostamento di due paia di infantili occhi verso la mia persona e capisco che stavolta tocca a me avanzare.
Tremante per le supposizioni che la mia mente ha già teorizzato, mi chino fino all'altezza del secondo bambino, intrecciando stavolta le dita alla rete per avere stabilità.

«Ciao, Zac. Io sono Nerissa. Perché ti trovi dietro questa rete? Hai fatto qualcosa di male, sei in punizione?»

Scuote lento il capo, proclamando il suo sincero dissenso. «No, anzi, mi diverto molto.»

«Da dove vieni?»

«Dall'orfanotrofio di Evergreen.»

Il cuore mi si stringe nell'udire il nome della mia città, unito alla vita in solitudine che traspare dai suoi occhi improvvisamente tristi. «Se non hai genitori, allora chi ti ha portato qui?»

«Era un uomo alto, un dottore. Io non sono malato ma ha detto che si prenderà cura di tutti noi.»

«Si chiamava Paul?»

Il piccolo ci pensa, per poi annuire. Espiro profondamente, con Tommy che continua a rimanere innocente silenzioso al mio fianco.
Dietro le spalle di Zac, invece, c'è il resto della comitiva di bambini che schiamazza. Non ci sono guardie all'orizzonte, nemmeno ai lati di quella che sembra essere la loro casa e che li grazia della sua ombra preservando la vista del mare.

«Quanti siete qua dentro? Sembrate tantissimi!» Provo a dire con allegria ma avverto un peso, all'angolo del labbro inferiore, a deformarmi la bocca.

Diviene straziante attendere la risposta di Zac che pare cercarla tra le nuvole del cielo, tenendo gli occhi sollevati in una sorta di conta rispecchiabile, poco dopo, nell'oscillazione delle mani. Per quanto tempo occorresse, non mi sposterei comunque di qui. Tanto impaziente di sentirlo parlare, appena la sua voce torna tra noi appare come una grazia vestita di maledizione.

«Cinquantasei!»

Ne sono stati uccisi trenta, stando alle informazioni di Samuel e di questa conta per differenza, e non abbiamo potuto fare niente.
Il mal di stomaco mi avvince, confuso da una sensazione di nausea che mi spinge a sfocare i contorni del viso candido dinanzi a me. La piccola mano di Tommy mi sorregge da dietro, stavo cadendo!, e preoccupato il suo volto si sporge ad osservare il mio.

«Va tutto bene, zia?»

«Sì... sì, piccolo, tutto bene.»

Solo dopo essersene assicurato, distoglie i suoi dolci occhi per tornare schiavo di ciò che si presenta oltre la rete.

«Che bello!! Avete i pennarelli per colorare!!»

L'esclamazione di Tommy non viene correttamente registrata dalla mia mente poco dopo che, sconfitta, continua a ripetersi quel numero fino alla nausea.
Ciò che temevo potesse realizzarsi si sta materializzando sotto i miei occhi: il nemico è divenuto troppo più forte di noi e chiude i nostri sogni dietro a delle grate. Per quanto idealizzi Samuel è pur sempre un uomo e non uno qualunque ma uno che cerca di rimediare, estenuamente, all'ipotesi di certi dubbi che possono costargli la vita. Capisco solo adesso la delusione sul suo viso certe notti, mescolate alla paura ed al rimpianto. Capisco come, in questo tragico caos, abbia visto in me un porto sicuro. Il posto di pace e serenità che cercava persino la notte del nostro primo bacio.

Lo sto scoprendo solo adesso, ma Samuel lo sapeva da un pezzo. Tutto sta andando in malora, senza che noi possiamo fare niente. Tutto si disintegra e noi... siamo solo costretti a rimanere a guardare.
Il folle gesto di avvelenare Tommy ora diviene significativo, per quanto ne avessi già compreso l'importanza.

«Tieni, ne abbiamo molti qui. In questo modo potrai colorare anche tu!»

Zac sta tenendo un pennarello rosso acceso in direzione di Tommy. Glielo vedo afferrare e voltando la testa verso il secondo dei due mi soffermo anche sull'insegna che riporta il locale alle sue spalle.
"Hansel e Gretel".
Già, proprio come la favola. Ne ho raccontate tante a Tommy ma queste non lo avevano risparmiato dall'orrore che lo attende dietro l'angolo e che, lui non può saperlo, è più vicino al suo amico di quanto creda. 

Che cosa posso fare? Come posso lasciare briciole di pane, affinché ciò che ho scoperto possa essere davvero utile?
Su chi posso contare?

Vendendo l'altro accogliere il suo piccolo dono, Zac sorride in modo sincero. Rimango intrappolata nella curva di quel sorriso ironico e pestifero per lungo tempo, prigioniera di un ricordo strano in grado di destabilizzarmi.
Dove ho già visto quel sorriso?

Persino gli occhi di Zac, a loro modo, hanno qualcosa di noto e non nel colore o nella forma ma nella particolarità dell'espressione che sfoggiano. Sembra un tipetto arrogante ma coraggioso. Orgoglioso nel dimostrare di avere fatto del bene ad un altro. La maglietta piena di piccoli buchi ma sfoggiata come una casacca del più robusto ferro, resiste ad ogni sorta di attacco.
Tommy, nella sua nera a maniche corte e nel suo spirito cagionevole ma grintoso, lo fissa sorridendo, fiero di aver trovato un amico come lui.

Non riesco a giustificare il paragone privo di risposte che la mia mente ha generato come un quesito.
Tento di non farci caso e torno eretta, afferrando la mano del mio protetto.

«Adesso dobbiamo tornare a casa, Tommy. Saluta il tuo amico.»

Agita appena la mano mentre l'altro la solleva. C'è tristezza nell'aria, tale da far rendere conto a tutti i presenti che la sola soluzione per annullarla sarebbe togliere questo divisorio per sempre e divenire parti di un unica realtà.
Ancora non ci è possibile.
Lotterò con tutta me stessa affinché questo avvenga.

Quei bambini, tutti loro, sono una mia responsabilità e so che, per quanto Paul non me lo abbia ancora richiesto volendo testare la mia fiducia, messa allo sbaraglio da una sorta di attrazione da parte sua, diverranno anche agnelli sacrificali su un tavolo da macello che vedrà le mie mani avvolte nel lattice.

Avendo studiato per due anni chirurgia, ho le basi per fare tutto ciò che Paul mi potrebbe domandare. Questo lo sa. Sono certa che conosca ogni cosa, persino il motivo che mi ha spinta ad abbandonare certi tipi di studi: la ristrettezza economica della mia famiglia. La povertà in cui vergiamo tutti noi del South Side in grado solo di richiedere che certi risultati vengano effettuati velocemente, non importa se bene, non importa se insoddisfacenti per la brama personale. Ho sempre amato aiutare le persone e fare l'infermiera non mi pesava, ma l'idea di salvare delle vite mi aveva sempre stregata. Nonostante la tensione in quei momenti in sala riuscivo a rimanere concentrata, nessun tipo di prurito o tremore, nessun tic. Era quello il mio luogo e presto Paul saprà tentarmi con quell'alternativa, dandomene una visione distorta.

Non avrei mai pensato di ritrovarmi in futuro, un giorno, dinanzi alla prospettiva di ricucire dei corpi morti.
L'ipotesi mi fa riflettere su come la vita metta di fronte all'alternativa maligna delle scelte e si ostenti a farti cedere ad un ipotesi di colpa. Se solo non avessi pregato tanto la mia famiglia per promuovermi certi studi, se solo non fossi stata la più brava del corso, se solo non avessi abbandonato... allora tutto questo forse non sarebbe successo, perché a Paul fa comodo una ragazza scheggiata a metà da una vita d'alternativa che non la soddisfa a pieno. Una capace,giovane ragazza, vestente un ruolo diverso da ciò che appare sulle carte ma in grado di essere utile in ben altri campi.
Non mi presterò mai. Non farò mai del male a quei piccoli.
Ed è così maligna l'idea di poter tornare in una sala operatoria a questa sola condizione...

Sono i valori a salvarci dalle cattiverie che il mondo fa nascere davanti, travestendole da ipotesi di vite migliori. L'ho imparato da un ragazzo, questo.
Me lo ha detto Francis, la sola persona che conosca che nella sua giovinezza abbia affrontato cattiverie fuori misura, vincendole.

Francis!

Abbasso gli occhi verso il piccolo che sto tenendo per mano, capendo solo ora quanto lui, insieme a Zac, mi abbiano ricordato Francis e Rais insieme. Merito del passato che accomuna questi bambini orfani a Rais e di tutti quei riscontri particolari che la mia mente ha generato.
Francis deve essere diventato un poliziotto, adesso. Samuel dovrebbe saperlo, il che vuole dire che potremmo avere una persona fuori ad aiutarci. Samuel lo sa?

Continuando ad avanzare con Tommy, alzo gli occhi verso il cielo, proprio come ha fatto Zac, e noto un sottile filo percorrere la strada trasversalmente, legandosi al cornicione delle finestre.
Il cuore torna a battere più veloce.

«Tommy, stiamo per fare un gioco» mormoro, fermando la nostra avanzata e rimanendo con i piedi ben piantati su questa discesa.

«Davvero? Quale?»
L'entusiasmo dell'informazione ha annullato ogni sorta di tristezza dal suo volto.

«Ora te lo dico, ma dovrai seguire le mie regole, altrimenti sarai squalificato. Mi hai capita?» Aspetto che me lo confermi, prima di continuare. «Bene. Dammi il pennarello.»

Allontano gli occhi da quel filo sul quale stendere i panni, chinandomi verso terra mentre il piccolo mi porge l'acrilico.

«Grazie. Adesso fai come me» gli dico, privandogli le mani di quell'inciampo che le teneva occupate.

Ancora una volta, attento, mi imita, sfilandosi al mio stesso tempo le scarpe e intrecciandole tra di loro con uno stretto nodo.
Quando mi rialzo in piedi, con la coda dell'occhio gli vedo far lo stesso ma ora dovrà accontentarsi di rimanere a guardare una mossa che non potrà imitare.
Intrappolo tra i denti il cappuccino in plastica ed apro così il pennarello rosso, dirigendone la punta verso il sotto di una suola.

56.
Il numero risplende come una condanna di morte e rimane lugubre nel suo messaggio persino sotto il brillante sole di cui viene illuminato, una volta che la mia testa si rialza.

«Sei pronto? Adesso dobbiamo tirare le nostre scarpe su quel filo. Il primo che vince dovrà iniziare a correre verso il mare. Aspetta!» Arresto la sua impazienza, assieme al suo braccio che si era teso nel compiere la necessaria mossa di slancio, riuscendo a guadagnare di nuovo parte del mio sorriso. «Devi promettermi che questo rimarrà un segreto tra di noi. Non sei ancora guarito, Tommy, per cui se qualcuno degli altri venisse a sapere che ti faccio correre e stancare mi sgriderebbe. Non una parola con Dalia, Paul e nemmeno con Samuel. Promettimelo.»

«Promesso.»

«Bene. Adesso lanciamo. Al tre. Uno... due...»

Appena la parola "tre" fuoriesce dalla mia bocca, le scarpe di Tommy si esibiscono in aria in un semiarco perfetto, degno del miglior acrobata di salto in alto. Finiscono impigliate al filo e poco dopo averlo verificato Tommy parte a correre in direzione delle onde.

Sorrido e tendo il braccio allo stesso modo, vedendo le suole virare in aria in un messaggio di salvataggio.

******

Venivo sempre sgridata, da bambina, per la mia insubordinazione. Mia madre detestava che lasciassi delle orme bagnate per casa, a seguito della doccia.
In un simile momento mi trovo ad immaginare la sua faccia arrabbiata e le sue braccia intrecciate al petto, in un anticipo di furia che si sarebbe resa più grave dalle sue parole arrabbiate. Non mi avrebbe concesso di fare un'ulteriore passo ma ora sono libera di procedere secondo una mia volontà, per quanto sia nuovamente una voce ad arrestarmi.

«Dove siete stati?»

Paul Bennett è seduto nel soggiorno e sfoggia una smorfia sconvolta. Ancora non si è reso conto di ciò che il buio cela ma avanzando, mano nella mano, io ed il piccolo arriviamo a provarglielo.
Gli occhi di lui discendono lungo di noi con la stessa forza che aveva l'acqua di mare nello scorrerci addosso, l'istante in cui eravamo riemersi dalle onde per tornare a riva.

«Ma che vi è capitato? Siete fradici e scalzi!»

«Abbiamo tolto le scarpe entrando» mormoro, avvinta da un brivido che mi percorre il corpo. «Eravamo usciti per una passeggiata. Non ho resistito ad avvicinarmi al mare e Tommy ha voluto imitarmi. L'impazienza era tanta che non ci siamo tolti nemmeno i vestiti!»

Simili parole sono state pronunciate con un tono di voce che non mi appartiene. Sono di una ragazzina svampita e priva di regole, la stessa che avrei voluto essere gli anni in cui ho conosciuto Samuel, addicendosi ad ogni modo all'età che tutt'ora indosso. Se solo non avessi questa tristezza in me, tutta questa preoccupazione, potrei ridere con una simile gioia e nella più completa sincerità anche di fronte a questo estraneo... ma la verità è che, per quanto mi creda, c'è un limite alla felicità da poter adottare da parte mia in questa casa ed è stato notevolmente dimezzato alla prospettiva di vita di quei ragazzi in trappola. Mi domando se in fondo, dentro di se, Paul non possa capire. Se sia capace di vedere come in realtà io stia fingendo.

«State entrambi tremando di freddo...» sussurra alla mia sorpresa, osservando i brividi di entrambi. «Vi siete divertiti ma credo sia meglio che vi cambiate. Tommy... vai nella tua stanza, una cameriera ti ha già preparato un pigiama pulito per dormire.»

«D'accordo... buonanotte» replica quindi il bambino, capendo il congedo appena ricevuto.
Paul sorride alla sua dolcezza, tentando di replicarla in un piccolo sorriso.

«Buonanotte.»

Entrambi rimaniamo in ascolto dei passi prodotti da Tommy lungo le scale. Il bagnato attrito della pianta dei suoi piccoli piedi contro il legno di ogni gradino, fin tanto che non raggiunge il pianerottolo e quindi il tappeto persiano che ne nasconde il suono. Dopodiché viene chiusa la porta della sua stanza.
Per tutto il tempo, Paul è rimasto fermo a fissarmi.
Una sensazione sinistra mi assale ma il chirurgo tenta in tutti i modi di cancellare la malignità all'interno del suo sguardo.

«Seguimi.»

Noto la sua marcia iniziare lenta e rivolgersi ad un ala della casa lontana dalle principali attrazioni, non venendo così considerata abbastanza dagli inquilini sotto questo tetto.
Che cosa c'era, di la?

Lo seguo al solo scopo di non infastidirlo, fin troppo cosciente di come mi sia impossibile rifiutare una richiesta priva del sentore di una domanda.
E proprio come era accaduto per le strade della città, non avrei mai ricondotto questi corridoi al sentore olfattivo di pericolo della sua stanza.

La porta che ha aperto per me rimane come una richiesta alla quale non sono convinta di voler cedere.
È il volto di Samuel a rendermi più pesante il passo: mi proibisce di avanzare, volendo tenermi fuori da ogni tipo di pericolo.
Da questa giornata ho capito come sia mio il turno di affrontarli.

Noto Paul sorridere non appena mi vede procedere.
Trascino il mio corpo infreddolito all'interno della stanza, tenendomi ben lontana dal letto. Spero che non lo noti.

«La cameriera si è occupata di lavare i tuoi ultimi vestiti puliti. Te ne presto di miei.»

Passo una mano su un braccio, per poter produrre del calore, mentre lo osservo andare alla ricerca del migliore tessuto per attutire i miei tremori.
Riemerge da uno degli scompartimenti del suo mobile in legno con un pullover blu scuro, dal taglio a vu all'altezza del collo. Per mia fortuna ad esso abbina anche dei pantaloni del medesimo colore ma appartenente ad una logora tuta.
Non sapevo che un uomo elegante come lui possedesse anche capi di praticità.

«Grazie.»

Non reagisce al ringraziamento. Piuttosto continua a fissarmi con un'insistenza tale che, per la prima volta, appare come una carezza.

«Sei davvero una donna bellissima, infermiera.»

Posso solo stringermi gli abiti bagnati con più forza addosso per illudermi in qualche modo che le mie braccia possano nascondere ciò che l'aderenza rivela.
Nel farlo, allontano anche lo sguardo e finisco con lo scontrarmi con una fotografia, posta in bella luce sul ripiano di una scaffalatura avente l'aspetto di un'antica libreria.
Ritrae Paul insieme alla bella bionda della casa. Prima d'ora non avevo mai visto Dalia sorridere tanto sinceramente, vestita della sua solita cattiveria e di quell'emozione di puro odio che riserva nella mia eccezione.

«Vi conoscete da molto?» Arrivo a chiederlo avendo notato la giovinezza dei loro volti e delle loro espressioni. La caratteristica austera, in ognuna di queste ultime, permane come la macchia indelebile che è, al pari, la ricchezza sfoggiata persino nelle loro vesti. Forse nessuno dei due ha mai conosciuto la vera povertà.

«Sì, è così, ma ultimamente non andiamo molto d'accordo.»

«Come mai?»

Paul sospira. Se avesse un bicchiere di champagne in mano in questo momento lo starebbe ruotando con mirabile lentezza ed ad esso avrebbe vincolato lo sguardo. Gliel'ho visto fare spesso, durante gli eventi o le serate in cui ci era capitato di uscire insieme, accompagnati sempre da Dalia e da Samuel, per cui ho catalogato il gesto come un'abitudine nata allo scopo di non far trasparire troppo la propria irritazione. Paul non sbaglia mai, nel concedere gesti o sensazioni perché è calibrato in ogni cosa. Sfortuna vuole che la sue buone caratteristiche non siano sufficienti per una donna come Dalia.

«Abbiamo avuto dei dissapori ma non è niente di cui dovresti preoccuparti.»

«Riguardano me?»

La richiesta lo incuriosisce. «Perché me lo chiedi?»

«Non penso di andarle a genio.»

«Dovresti?»

«Non dovrei?»

«Questi giochi non sono divertenti, infermiera. Ma per conciliare ogni dubbio posso assicurarti che Dalia non ha una grossa stima per te o ammirazione, per quel che importa. Da sempre è stata l'unica donna all'interno dello stesso tessuto familiare che ci siamo cuciti attorno: la tua presenza spinge a paragoni, sotto ogni ambito, ma Dalia non è una donna che ama essere valutata.»

«Non potrei eguagliarla, ad ogni modo.»

A seguito della mia affermazione, Paul mi rivolge un'altra lenta occhiata. Mi sento maggiormente nuda ogni volta che lo fa, incosciente sotto ogni punto di vista, ma non posso continuare ad essere messa da parte. Ormai è mio il compito di iniziare ad agire: tra di loro sta avvenendo una rottura e so fin troppo bene il potere che ho su Paul. Mi domando se sia stata la causa della loro discussione animata ma sarebbe troppo ridicolo. Solo un pazzo proverebbe qualcosa per me dopo avermi conosciuta così poco, per cui Paul non dovrebbe. Né potrebbe mai litigare con una sua vecchia amica per una cosa così sciocca.

«Sembri sinceramente crederlo ma non dovresti. Impara a darti un valore, ne hai molto... specialmente per me.»

Mio malgrado, credo di stare arrossendo. Lo capisco dal mezzo sorriso di lui e dal successivo tentativo di mettere le mani avanti per evitare di ferirmi ancora.

«L'ho capito, ami qualcuno. C'era malizia nella mia frase ma niente di maligno.»

«La ringrazio per il complimento.»

«Prego, Nerissa, non c'è di che. Sfortunatamente divento sincero quando si tratta di te. Non mento, ritengo che tu abbia un dono... riesci, solo guardandole, a redimere le persone da tutto il male che hanno compiuto. Parlarti, poi, è un piacere che ti distanzia dal resto.»

«Che genere di mali?»

«Vorrei essere una persona migliore, infermiera, anche solo per renderti orgogliosa di me... ma non lo sono, ho provocato molto dolore.»

Per la prima volta, da quando l'ho conosciuto, il dottore sembra sfoggiare uno sguardo rammaricato, diverso dai precedenti e per questo incredibilmente sincero. La sua figura, che risalta nella semioscurità della stanza, è in netto contrasto con il ritratto dato da quella piccola fotografia ed è per questi fatti evidenti che mi rendo conto di dover procedere con la giusta cautela, nel rispetto della sua fragilità.

«Tommy non la pensa così, le vuole molto bene.»

«Il piccolo ti somiglia molto, vede il buono dove questo non è evidente.»

«Ritengo solo che abbia bisogno di qualche figura che gli sia vicina.» La testa di Paul, per un attimo rivolta verso terra, si solleva in direzione della mia nell'istante stesso in cui la paura spinge il mio cuore a reagire ad un ritmo accelerato. Senza temerlo vado avanti con la mia considerazione. «Trascorre gran parte del tempo solo, la mia compagnia può non bastargli. Ha bisogno di confronti con ragazzi della sua età, bisogno di andare a scuola.»

«Non è ancora sufficientemente autonomo per andare a scuola.»

«Potrei parlare con le insegnanti e raccomandarmi come supporto momentaneo» assicurandomi che possa avere un futuro tranquillo, proprio come sto tentando di fare adesso, conquistandomi la benedizione di Paul.
Ma non ne sembra convinto perché nel cuore degli uomini regna sempre più feroce il male. L'ha detto lui stesso. Non c'è modo di guarirne eppure sono certa che possa scenderne a patti.

Samuel si sbaglia nel valutarlo come lo valuta: vuole tenermi al sicuro, essere certo di non farmi riporre fiducia in una persona sbagliata, proprio come aveva fatto lui, ma è la verità è che non assolverò mai Paul da tutte le sue colpe. Riuscirò, però, a distinguerne sempre l'identità, sperando di poterle utilizzare secondo il mio scopo.

«Credo che sia ancora troppo presto...»

«Allora permettimi di uscire con lui più spesso!»

Dovrei smetterla di avanzare richieste, me ne rendo conto da sola prima ancora che Paul mi rivolga contro un espressione confusa. Destabilizzata, forse, dalla forza con cui muovo le mie condizioni mentre vesto abiti tanto bagnati da essere trasparenti. Visibile nella pelle, nei tremori, posta sotto giudizio ad un uomo come lui, la scena che stiamo vivendo sembra essere intitolata in similitudine alla mia totale incoscienza. Tributo ad una divinità, o io stessa dea, dal modo con cui Paul mi guarda, sto continuando a far volteggiare le mie parole nell'aria con la sola speranza che possano essere udite.

«Non so per quale motivo ci siano delle guardie, fuori da questa casa, ma hanno preso l'abitudine di osservarci ogni volta che andiamo a fare una passeggiata. Mi ha fatto pensare che stessero facendo rapporto a lei, anche se è strano. Non siamo certo degli ostaggi, ma ad ogni modo avverto il bisogno di chiederle il permesso.»

Se questa fosse una favola, narrante cattive vicende scaturite da maligni antagonisti, allora io, sventurato carattere racchiuso in se stesso al bordo di una pagina mi troverei di fronte a richieste ostili, prive di tatto. Il Paul che ho conosciuto, spavaldo, arrogante, lascivo fuori misura, mi chiederebbe che cosa potrei dargli in cambio di questa semplice richiesta. Avrei paura nel negargli un desiderio, certa di correrne il rischio.
Se questa fosse una favola allora staremo vivendo un confronto capace di avvicinarci ad un epilogo ma non è così. Quella che stiamo affrontando è una svolta, il totale cambiamento di carattere dei uno dei personaggi principali che da cattivo diviene grigio, una sfumatura di se stesso, per finire egli stesso a rifugiarsi nell'angolo rimasto mio nascondiglio.

«D'accordo, infermiera. Permesso accordato.»

Molte cose mutano, ma il male non si cancella, perché il passato non può andarsene via.
Paul mi volta le spalle ed esce dalla stanza per  consentirmi di cambiarmi, mentre Dalia dall'alto piedistallo della sua grande fotografia rimane immobile a fissarmi, in un ultima sfida che mi lascia cosciente di chi sia il vero cattivo all'interno di questa storia.

P.O.V.
Samuel

L'odore acre di bruciato ancora mi riempie le narici, donandomi la visione di quel piccolo e rettangolare foglio bianco, intriso dalle parole di Francis, corroso dalla fiamma del mio accendino.
Adesso riposa in un cumulo di cenere, sulla ringhiera oltre questa finestra. Il vento lo porterà presto via, annullando tutte le sue richieste.

Nella segretezza del nostro codice, il mio astuto seguace pareva aver compreso troppo bene quali figure avessi intorno, senza analizzare però quale di esse dovesse risultare intoccabile.

Non posso permettere nessun contatto tra lui e Nerissa, non posso metterla in pericolo, non posso accettare. Le intensioni di Francis erano buone ma sprovvedute dinanzi al rischio che la esortava a compiere, così come ai miei sentimenti per lei.

Dovrebbe capire bene come un affetto possa nascere nelle situazioni più ostili. In fondo, per lui e Rais era stato lo stesso. Non avrei mai pensato di amarla, o che quel bacio disperato in casa sua un giorno si tramutasse in un desiderio, una tortura, da rivivere nonostante attorno il mondo sembri volere farti credere ad un problema maggiore.
Non lo sottovaluto, per questo non posso accettare di schierarla in prima linea.

La consapevolezza di provare qualcosa per lei si era mossa assieme alla paura che potesse capitarle qualcosa di male. Certe volte, mi viene da pensare che l'amore mio e di Nerissa sia nato dal terrore. Forse non è propriamente sbagliato. Essere terrorizzati è uno stato mentale che conduce presto a cercare la sola cosa che possa garantirti stabilità.

Risulta tanto sbagliato? Condurre una vita normale affiancato da una relazione stabile non dovrebbe essere tanto diverso. Le coppie affrontano i rischi ogni giorno, se non di questa portata. La differenza nasce dalla mia scelta lavorativa e dal patetico affetto che provo per le situazione difficili.

Quasi avesse captato questo mio pensiero, Dalia si materializza con passi stanchi ad un angolo della mia visuale, indossando solo un intimo nero di pizzo e passandosi una crema sulle mani, che sfregola tra loro. I capelli biondi sono sciolti dalla solita alta coda, per questo motivo li vedo correre affianco alla sua schiena quasi raggiungendole il sedere.

Non dice niente perché ama farsi guardare. Ama che io la guardi, nonostante i miei pensieri stanotte non siano per lei.
Forse l'ha intenso.
Getta la testa all'indietro non appena termina la frizione delle mani e si incammina fino al piccolo mobilino all'interno del quale preserva i suoi gioielli.
Si sfila tutto, tranne l'anello di fidanzamento. Lo tiene stretto al dito designato da quando gliel'ho restituito, ormai mesi fa.

Resto immobile a questa finestra, ruotato di lato per vederla compiere i gesti consueti. Interrogo ogni gesto, tentando di individuare in lui della rabbia. Niente. Niente di niente. Dalia è inaccessibile da troppo tempo o forse sono io ad aver perso la capacità di interpretarla.

Solo una cosa resta chiara, tra le richieste del suo sguardo ogni volta che ruota appena la testa per fissarmi, ed è una di quelle concessioni che necessitano lo schieramento del cuore. Mi chiedo quanto ancora posso offrirgliene.

Dalia si distende lenta lungo il letto, con la solita femminile seduzione che incanta e che scaturisce da lei in forma del tutto spontanea, seppure questa sera non sia involontaria.
C'è ancora quella richiesta, nel suo sguardo e nel modo con cui scorre lenta gli occhi lungo il mio corpo seminudo.

Avrei dovuto indossare la parte superiore del pigiama ma non lo faccio quasi mai. Poco fa avevo desiderato il gelido vento che caratterizza le notti di estate sferzarmi lungo la pelle come uno schiaffo. Lo avevo ricevuto ma sarebbe dovuto appartenere a Francis. Quel piccolo fuoco a cui avevo dato vita merita tutto il suo disprezzo anche se da tempo so di meritarmelo.
Francis è sempre stato migliore in ogni nostro confronto. Più leale. Più sincero. Più puro.
Gli ho fatto da mentore e gli ho insegnato la menzogna. Spero non l'abbia appresa. Spero che il suo amore ed il suo lavoro rimangano puri come non lo sono più da tempo i miei.

Dalia mi aspetta. Dalia mi sta incitando. E nei suoi occhi non rivedo più la magia di un tempo o l'unicità. Adesso riesco a scorgere il baratro di perdizione e di dolore nei quali abitano.
In qualche modo, sento di aver perso per sempre la buona ragazza che abitava in lei. Ha reso ineleggibile la sua anima, l'ha frammentata.
Della Dalia dei miei ricordi non rimane che il volto ma mai il suo sorriso, l'ingenuità... l'amore.

Dalia mi guarda ed ora sembra capace di uccidermi, estranea figura sostenitrice di cattivi pensieri. Le avrei consentito di farlo ma ora... vedo la delusione di Nerissa dinanzi una simile scelta di resa e non riesco a farlo.

Nerissa.
Non è la prima volta che il suo pensiero abita questa stanza ma stavolta concedergli di farlo ancora causa un acuta sofferenza.

Mi muovo lento in direzione del letto, tenendo gli occhi fissi su Dalia, certo di non potermi sottrarre. All'alba della sua partenza, Dalia mi sta sfidando a non farlo. Vuole sapere quanto a fondo sia capace di andare, smosso come sono da emozioni contrastanti che pare leggere.

Sfidanti, a questo duello, arriviamo a fronteggiarci e come prima mossa la mia futura moglie allarga le gambe. Lascio scorrere lo sguardo per un attimo verso ciò che l'assenza di pizzo rivela per poi passarla lungo la sua gamba, a caccia di un sentimento che mi spinga a reagire.

La pelle scorre liscia e setosa contro la punta delle dita. Arrivo ad intrometterle al di sotto della biancheria che non le sfilo di dosso. Gliene lascio scorrere un paio dentro ed osservo il suo viso in risposta.
Si deforma ad ogni contrazione interna dovuta ad ogni mia spinta. Si morde un labbro in una milizia malvagia in grado di porre in evidenza la sua completa attenzione verso le reazioni del mio corpo al suo, mentre gli umori che mi circondano le dita provocano suoni umidi, come di baci.

Rende chiara la mia colpa ponendo di piatto il piede sulla deformazione dei miei pantaloni, giocando a stuzzicarmi proprio come io sto facendo con lei.
Non sono divertito. Non provo nient'altro che tristezza e rabbia. Covo il desiderio che quei capelli dorati si trasformino in nero corvino ed il volto assuma diversi connotati. Vorrei essere altrove, ma non posso scappare. Anche le unghie di Dalia lo mettono in chiaro, passando attorno al mio capezzolo destro in un circuito di linee rosse accompagnate ad un tratto da una goccia di sangue.

Assetata a quella vista, si solleva a sedere quanto basta per passarvi la lingua ed assorbire la goccia di rosso scarlatto proveniente dal mio petto, come dal seno di madonne impure dal peccato o addolorate di divina castigazione. La sua lingua compie la condanna e la sua bocca la sugella, chiudendosi attorno al capezzolo e graffiandolo con un morso.

Dolore, lo provo all'istante, ma il mio corpo masochista non vuole saperne di essere indifferente e lei è cosciente di tutto questo, sa come giocare con me, conosce fin troppo bene le regole... forse ancora meglio di quanto faccia io.

La spingo con forza e con una mano sulla spalla, facendola cadere di schiena sul letto di colpo e separandola bruscamente dalla mia pelle che ne subisce il trauma.
Rimango a fissarla mentre mi abbasso pantaloni e boxer. Nemmeno un bacio. Solo lei distesa che, una volta nudo, mi costringe a salire su di lei.
Non le tolgo niente di dosso. Le scosto solo le mutandine e la penetro in una sola stoccata. Nessun romanticismo o gesto di resa profonda. Nessuna guardia abbassata. Questa rimane vigile specie in un contatto come questo che, per quanto desideri rimanere caratterizzato dal distacco rende più esposte le nostre anime e d'un tratto anche il mio livello di insopportazione.

Non posso, così. Non ce la faccio se mi è di fronte.
Provo a girarla ma Dalia si impone, non vuole che lo faccia. Ero andato avanti per poco fino ad ora, qualche spinta e qualche respiro rotto, il minimo che era occorso a renderlo insopportabile.

Non mi interessa se non vuole farlo: la costringo con la forza e presto è sottosopra. La sua schiena mi è rivolta ed i suoi capelli, sparsi tutto attorno alla sua figura, lasciano la pelle abbastanza scoperta da permettermi di sognare. Farlo, però, mi conduce ad una profonda crisi.

Divento più cattivo, abbattendomi contro di lei. La faccio mia con rabbia mentre la mente, preservando la dolcezza, mi illude di stare facendo l'amore con un'altra.
I nostri corpi, urtandosi, compiono suoni secchi e violenti. Ormai la mia rabbia è palese ma forse Dalia può interpretarla come dissapore dalla nostra ultima discussione, dall'idea di non poter partire con lei.
Me lo aveva impedito. Per giorni non avrò più sue notizie ma in passato era già capitato, ci sono abituato. Non è per questo che provo dolore e rabbia... spero non possa comprenderlo. Ma mentre continuo a muovermi dentro di lei, la disperazione che mi raggiunge solletica l'incoscienza e mi culla nel piacere all'idea del viso sconvolto di Nerissa ruotarsi, in risposta al nostro attrito.

Distesa di fronte a me, lungo questo letto, sostituendo questa figura che sto viziando e beandosi di un contatto che i nostri fugaci incontri non ci hanno permesso di avere.

L'inconscio genera automatico le forme nude del suo corpo che ho spiato troppo a lungo eppure mai abbastanza. Mi spinge a ricevere in automatico il suo odore, mescolato al sentore di sudore da questo nostro incontro.
Lo accarezzo lungo la sua pelle e mi accorgo, per una frazione d'attimo, di stare accarezzando Dalia. Ricaccio il pensiero all'istante, concentrandomi solo su quello che riesce a farmi bene.

Solo su Nerissa, poco prima che diriga il volto verso il cuscino, trafitta da piacere e da dolore.

L'intesa dell'attimo che stiamo vivendo è tanto forte da distruggere ogni mia forma di controllo: si abbatte su di me con forza ed intensifica ogni sensazione, trasmettendomi forti brividi che conducono alla conclusione ogni cosa.

Non avverto più niente mentre il piacere si abbatte su di me e quindi nel suo corpo. La bocca mi si spalanca e devo riunire tutte le mie forze per non far fuoriuscire da esse il suo nome... ma è lì, proprio come è il suo volto nella mia testa, dipinto del peccato che mi rende sporco e al tempo stesso intatto.
Dalia non mi avuto, per quanto possa ostinatamente crederlo, ma ancora, in questo momento in cui riposo sul corpo che ancora appartiene ai miei sogni, non sono suoi i miei pensieri. Per qualche istante ancora, ad occhi chiusi e con il respiro tremante, corpo immobile, mani ferme, posso permettermi di vivere una vita lontana mille miglia dalla realtà.

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