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85- Trappole di sangue

P.O.V.
Amy

In certe giornate i dubbi fagocitano parti della mia mente quasi stessero gustando il cibo più prelibato che potesse essere servito alla loro tavola, quell'atroce carestia. Certe volte combatto con forza contro me stessa per non lasciare che le domande si sostituiscano ad ogni cosa che avviene intorno, alla strada che sto percorrendo o al paesaggio oltre questi finestrini che è notevolmente cambiato.
Prenderle in considerazione vorrebbe dire lasciare loro troppo potere e consentirli di annullare la poca forza di volontà che mi è rimasta.
Non dovrei chiedermi niente. Non dovrei avanzare ipotesi... ma quello che ha fatto la scorsa notte è stato troppo strano.

Chiedermi di amarlo per poi allontanarmi, anche se la seconda delle due situazioni ha preso vita solo tramite il suo inconscio. Che genere di uomo è rimasto? Che cosa vuole?
Vuole me, solo per una notte, in modo da continuare a sopravvivere mentre pensa, con disperazione, alla Sasha che non può stringere a sé?

Mi domando quanto bene lei sia riuscita a fargli, concependo con chiarezza che qualunque quantitativo sia stato batte di gran lunga il male che gli ho inflitto io per cui è giusto possedere un suo ricordo e accompagnarlo ad un sentimento di tenerezza, di desiderio.
Cerco di interiorizzarlo, ma la verità è che non avrei voluto ascoltare la supplica di nessun altro nome dalle sue labbra.

Per l'ultima volta seduti ai rispettivi sedili, al termine di questo viaggio fatto di distanze sempre più accorciate e di colpo dilatate, mi accorgo di quanto ci siamo fatti distanti e di come la colpa possa essere solo mia.
Mi ero illusa che certe emozioni si sarebbero approfondite e che il dialogo avrebbe portato ad una soluzione pacifica ma a fianco non vedo altro che un uomo sconfitto dal dolore. Per certi versi, un estraneo.
Fa male concepirlo: scoprire di non averlo vicino a me quanto ritenevo lascia supporre che possa non essere io la scelta più giusta per garantirgli la guarigione che cerca. In fondo, non sono mai stata abbastanza.

«Siamo quasi arrivati» annuncio, nonostante non ce ne sia bisogno. Le campagne intorno sono fin troppo riconoscibili e lui le sta osservando da un po' senza emettere alcun suono.

Tra pochi minuti verremo raggiunti dai nostri amici ed il viaggio arriverà al termine. Non ci sarà niente di diverso, se non la sua partenza.
Nemmeno quella riesco ad interiorizzarla e giunti di fronte il cancello della proprietà mi pare inconcepibile.

Lèa avvista il nostro punto di sosta e solleva un braccio per avvertire di stare per recuperare da uno dei capanni il piccolo telecomando che decreterà il nostro ingresso. Con il motore in funzione, l'aria calda che entra dai finestrini, lo sfondo dei campi, della polvere, il basso volume dello stereo in sottofondo mi accorgo di avere un'ultima domanda, prima che la realtà torni violenta contro di noi e ci rubi la voce.

«Secondo te avremo potuto essere felici?» Gli chiedo, tenendo gli occhi fissi contro il ferro caldo del maestoso cancello pur avvertendo il suo sguardo addosso. Incandescente come lava e ancora tanto silenzioso da richiedere una mia ulteriore spiegazione. «Se non ci fosse stato Wood tra di noi, se non fossi tornata da lui, se tua nonna non fosse morta.»

Capisco che sia una domanda che necessita della valutazione di molti fattori, l'intricato meccanismo di un gioco di ipotesi, per questo motivo rimango sorpresa nell'udire la sua immediata risposta.

«Sì. Sì, lo saremo stati.»

Il batticuore mi comanda di fissare la certezza nell'uomo che ha emesso parole simili ed è così che rivedo in lui i ricordi di quelle giornate passate tra le reciproche braccia, al di sotto dello spesso strato di un piumone che ci occultava dal mondo.
Un violento contraccolpo mi investe e destabilizza, confondendo tutte le sensazioni di questo viaggio.

La nausea che mi raggiunge, una volta scesa dalla vettura, potrebbe essere giustificata dalla ritardataria percezione di tutte quelle curve che il viaggio ci ha fatto affrontare per delle ore, mescolate alla velocità con cui soprappensiero il mio piede spingeva sull'acceleratore, ma la verità è un'altra ed è generata dalla sua colpa.

Non ho molte armi con cui proteggermi dai suoi attacchi, feroci o benevoli che siano, per questo motivo sono sprovvista della voce dinanzi le domande di Lèa che ricevano una risposta univoca.
Momentaneamente soddisfatta, si allontana per raggiungere gli altri ed informali di noi. Questo da modo a Cedric di farsi più vicino, facendo aumentare il mio capogiro ed intrappolandoci dentro ulteriori attimi che continuano a rimanere solo nostri.

«Lo saremo stati, di questo ne sono certo, ma quelli che hai nominato possono non essere stati i soli ostacoli. Certe cose accadono per molti fattori. La colpa non è da attribuire a pochi di essi.»

«E noi non avremo modo di valutarli, giusto? Non ne avremo il tempo

Le sue sopracciglia si aggrottano, quali ipocrite! La confusione che regna sul suo viso è la regina suprema di ogni nostro dolore, o forse la sola innocente.

«Che cosa intendi?»

«Non importa, lascia perdere.»

Riesce ad afferrare il mio braccio. Vorrebbe trattenermi ma con una sola mossa riesco a privarmi della sua stretta, allontanandomi prima che arrivino altri ad interromperci.
Noto appena Ercole appoggiato con una spalla all'ingresso della villa, con una spiga di grano intrappolata nel gioco lento delle sue dita distratte.
Non mi fermo a parlare ma i suoi occhi seguono la mia ritirata, arrivando come a rispondersi da solo a certe domande che nel silenzio si era posto.

P.O.V.
Cedric

Detesto quando scappa via in questo modo, lottando con la stretta delle mie mani che vorrebbero impedirle la fuga. Quando tento di trattenerla ed intrappolarla per avere un confronto che possa dar voce alle frasi che tronca di netto.
Mi provoca rabbia, quasi come se andarsene decretasse un punto a suo favore ed io fossi costretto a correrle dietro ed alzare la voce per ribattere. Allora anche lei mi urlerebbe contro e non ci sarebbero vincitori. Solo quella tensione carica di elettricità che avverto ad ogni nostro confronto. Prova lo stesso?

Non dovrebbe essere mio il diritto di fissarla in questo modo ma gli occhi stanno scivolando sulla fine della sua schiena, sul modo con cui quei corti pantaloni le fasciano il sedere scandendo il solco perfetto che divide la sua muscolatura sferica.
Mi si secca la gola ed il cuore accelera. Mento a me stesso dando la colpa a questo atroce caldo, non accettando l'attrazione fisica che provo per lei. Per quel corpo ancora più esposto a miseri vestiti su cui troppo spesso attardo lo sguardo.

Ultimamente se ne è accorta eppure, al posto di rimproverarmi, era arrossita e aveva continuato a procedere dritto sui suoi passi, per quanto con maggiore esitazione.
Ricordare di quell'evento genera alla mente anche la fresca immagine di quel dipinto di sensazioni che era stata la notte condivisa con lei. L'ultima del nostro viaggio e la più atroce, carica di troppe emozioni.

Sono costretto ad abbassare lo sguardo verso l'insignificante consistenza della terra che porta il mio cognome, posando la mano che l'aveva afferrata su un fianco, in modo da impedirle qualsiasi altra azione repentina che consisterebbe nell'afferrarla di nuovo. Con le dita della mano che invece è rimasta immobile, osservatore più coscienzioso dell'intera scena, passo con forza sopra gli occhi tanto da vedere stelle filanti di luce dorata dietro le palpebre chiuse.

Non devo caderci di nuovo.
Quello che provo è solo desiderio, aggravato dalla mancanza di vittorie che ho ottenuto fino ad ora a causa del suo carattere schivo che mi manda in bestia. Quasi un gioco contro la pazienza: più la esortavo ad andare via i primi tempi e più si ostinava ad imporre la sua volontà, più cerco di imporre un contatto che possa essere atrocemente sensuale più è lei a dichiarare la vincita.

Mi ritorna alla mente quel gioco di mancato contatto tra le nostre labbra, all'inizio del nostro viaggio. Avrei dovuto capire da quel momento che l'intera tratta sarebbe stata un rischio ma avevo deciso di affrontarla. La parte spudorata di me dichiara di averlo fatto per semplice superiorità, quasi come se vincere quel gioco, che le buone maniere sedano, di supremazia e spudorata sensualità potesse in qualche modo acquietare la fame o rendere meno doloroso il mio addio. L'altra parte di me invece, la più sincera, confessa di averlo fatto solo per trascorrere del tempo insieme e andarsene via senza rimpianti.

Come può quest'ultima sopravvivere in pace, dichiarando funesta un addio che possa essere eterno, se lei continua a sfidarla in questo modo? Ero pronto a chiarire ulteriormente le parole che aveva vomitato, così da definire quanto tempo le sarebbe stato sufficiente per interiorizzare la fine del nostro rapporto ma arrivo a chiedermi se per Amy esista un simile quantitativo.

Da sempre è così battagliera, l'ho amata per questo. Provo tuttora simili sensazioni per questo motivo, in reazione a lei. Forse è davvero questo a mandarmi su tutte le furie; l'idea che nonostante tutto quello che ho passato sarei pronto a correrle dietro in un simile istante, fregandomene degli amici e di chi mi è stato vicino quando stavo male. Come può ricevere un simile trattamento, proprio lei, dopo quello che mi ha fatto? Ad ancorarmi è solo questo, la rabbia, ma sento come se stesse tremando. Vacillando.
La sensazione è tanto destabilizzante da farmi spalancare gli occhi ed accorgermi così che come un diavolo, o un piccolo folletto maligno pronto a succhiarti di dosso la linfa dei tuoi privati pensieri, Ercole mi sta ruotando intorno.
Le impronte per terra, nel loro solco, decretano l'inizio di un nuovo giro attorno alla scoperta della mia persona. Mani dietro la schiena, testa leggermente inflessa, assenza di sorriso.

Sì, un diavolo. Ancora peggio uno di quelli preoccupati e stanchi, tanto saturi di una situazione che conosce da più tempo di tutti loro vista la verità che ho lasciato ricadere sulle sue spalle.

«Andato bene il viaggio?»

Un tempo avrebbe accompagnato una simile inchiesta con l'ironia. Un tempo in cui la spensieratezza riempiva le nostre giornate e lui non era altro che il ragazzo taciturno e strano che passeggiava tra i campi. Che fine ha fatto quell'uomo? Il suo vero io si è manifestato alla luce del sole, non più privatamente ai miei occhi.
Ha le spalle più ampie, Ercole, una schiena che rigida consente la completa visione dello sviluppo del torace e del petto, nell'altezza notevole imprigionata per troppo tempo in un corpo ricurvo e timido.

La spavalderia gli si addice, sono contento che l'abbia imparata a vestire e che sia divenuto il padre che occorre a queste terre. Sarà lui la spalla a cui Amy chiederà conforto, una volta che avrà avuto il coraggio di chiedere da me quello che le spetta.

Deve aver provato pena per tutto questo tempo, è il solo sentimento che la giustifichi. Non voleva domandare niente all'uomo che aveva ferito e con il quale aveva provato a ricucire i rapporti. Dopo deve averla raggiunta la rabbia. Quella estenuante confusione mentale che come un vento si è inoltrata tramite le orecchie nel cervello di tutti noi, rendendoci più pazzi e più cattivi in certi casi.

«Non adesso, Ercole.»

«Ancora non la pianti di scappare?»

Dal fianco la mano cade esanime lungo il corpo, stupita anch'essa dalla ruvidezza della sua voce. Non mi ha mai mentito nel rivolgermi le sue emozioni ma nemmeno mi aveva mai mancato di rispetto. Credo che questa mutazione sia dovuta all'aver perso il mio assoluto e totale controllo su queste terre: possederlo dichiarava una gerarchia e posti sullo stesso pari, come desideravo da tempo che fossimo, siamo arrivati ancora di più ad essere l'uno il riflesso introverso dell'altro.
Da che siamo piccoli, le parole di Ercole sono state lo sfogo della mia anima per cui non è nemmeno strano che adesso, oltretutto, siano divenute così cattive e maligne. Come ho detto a Amy, la vita si costruisce secondo una concatenazione di eventi. Non è mai solo di uno la colpa anche se Ercole in questo caso non sembra pensarla allo stesso modo.

«Voglio andarmi a riposare, se me lo consenti. Sono stati giorni difficili e me ne aspettano altri altrettanto impegnativi» gli dico, incamminandomi verso casa ma venendo come al solito interrotto dalla sua voce in grado di prendersi i suoi tempi per ingannarmi sulla conclusione di una discussione.

«Lo immaginavo» dice solo, il che mi porta a sollevare gli occhi al cielo e sospirare, prima di tornare rivolto verso di lui.

«Che cosa immaginavi?»

«Stai andando verso casa di tuo nonno, non alla villa. Non la ritieni una vera casa, motivo per cui è divenuta un ostello per tutti i tuoi affetti. Ne capisci il valore ma non sai viverlo, il che è divertente perché hai sempre condannato Amy per il suo distacco.»

«Riusciremo mai ad avere una discussione che non riguardi lei?»

«Stai andando verso casa di tuo nonno, il tuo rifugio. Il solo posto che Zelda ti ha lasciato nel testamento ed il solo luogo che consideri casa. A che cosa tornerai quando avrai dei momenti difficili? Intendo, dopo che avrai fatto le valige e te ne sarai andato via di qui.»

«Ed io che mi chiedevo il perché non avessi ancora provato a convincermi a non partire... ecco che tutto ha il proprio tempo.»

«Ho sempre odiato quando ti metti a fare l'idiota. Sei intelligente, eri il migliore della tua classe. Addirittura eri più bravo di Francis... cosa non capisci nelle parole che ti ha lasciato in custodia tua nonna? Voleva che questo posto lo gestiste insieme, tu e Amelie.»

«Non posso farlo ma è giusto che questo luogo abbia ancora nella memoria un Garcia, e così sarà» gli dico, tenendo fisso il mio sguardo nel suo ora che si è fermato, così da poter parlare dal mio al suo cuore nel modo più sincero. «Sei mio fratello, Ercole, per quanto detesti il tuo non appoggiare ogni mia decisione.»

Gli occorre qualche attimo per rispondere ed il tono di voce è più docile.

«Alle volte i fratelli servono anche a questo, a capire dove l'altro sbaglia.»

«Non adesso, Ercole. Devo riposare.»

Riesco a sfuggirgli con dei passi lenti, i soli che accetta. Ad Ercole non sta più bene tutta questa rabbia e la frenesia, lo capisco. Vorrebbe solo un po' di calma e la otterrà una volta che me ne sarò andato. Allora di me non resterà niente, solo il ricordo di un cognome e l'inabitato splendore di quella vecchia casa tra gli alberi che mi sarò lasciato alle spalle per sempre, dimenticandovi tutti i ricordi caduti nella sua trappola.

P.O.V.
Ercole

Lo osservo andare via con la stessa apprensione che un genitore può mostrare verso suo figlio, anche se per lui non sono questo. Sono suo fratello. Lo sapevo da tempo. Siamo parti della stessa metà, due facce della medesima medaglia truccata. Per questo motivo il contatto con la parte oscura del mio cuore, materializzatasi nel suo corpo, rimane attivo e vittima dell'atroce vivisezione del mio sguardo, perché non posso accettare un simile comportamento infantile specie quando da parte mia sento che questi anni mi stanno irrobustendo.

Delle mani mi raggiungono da dietro ed una bocca morbida tenta di mettere a morte tutte le preoccupazioni che stanno rendendo rigidi i muscoli del mio collo.

«Che cosa ha fatto, stavolta?» Mormora lenta la sua voce, mentre con le dita percorre il mio torace.

«Non vuole saperne di restare. Ho provato in tutti i modi; tentando di capirlo, di ragionare come lui, percorrendo le scelte che aveva stabilito per me. Mi aspettavo, arrivati a questo punto, di riuscire a farlo ragionare ma ci vorrebbe un miracolo.»

«Hai paura di perdere il tuo amico, lo capisco. Cedric è importante per tutti noi.»

I miei occhi vengono catturati da altro, mentre Lèa continua ad accarezzarmi e lasciarmi dolci baci. Noto infatti la figura di Halima affacciarsi da una delle porte laterali della villa, osservarsi intorno e poi mettere con precauzione un piede fuori, venendo a capo di una fila di stentati passi, favorita dal giorno e dal sole cuocente che non lascia generare ombre. False o realistiche che siano.

«Non è solo questo, vedo pericoli in ogni angolo. Per questo provo paura.»

Se Cedric è la metà esatta delle mie frasi, Lèa è parte stessa di essi e condivide con me l'atroce sofferenza dei pensieri che mi hanno raggiunto.
Non occorrono più parole ma le mani si serrano con più violenza, cercando di tenere stretti i nostri corpi quale solo modo di garantire che tutto potrà procedere bene.

P.O.V.
Amy

Assottiglio gli occhi contro i raggi luminosi del sole per poter rimanere a fissare la manifestazione del coraggio di Halima, mentre procede a piccoli passi. Non aveva abbandonato la villa per settimane, impaurita dalle sue stesse mosse e dalla prospettiva di ciò che l'attendeva al di fuori ma ecco che sta camminando a piedi nudi contro il terreno della Garcia.
Immobilizzandomi per poter rimanere a fissare la magia di un simile evento mi domando come sia possibile che Halima così piccola nei suoi sedici anni ma così bella, così donna nelle scelte, possa progredire più di tutti noi mentre convive con i propri silenzi.
Il mondo si ferma mentre Halima matura e lo fa senza l'intervento di nessuno, con le sue sole forze, provocando un'ammirazione che è vertigine per le nostre anime intimorite.

Più di qualunque altro, però, lo sguardo di Issa sa essere carezza perché nell'ombra del fienile, appoggiato ad una piccola carretta, al di sotto del suo capello di paglia resta ad analizzare l'incantesimo di quello spudorato atto di coraggio e ne sorride, come può sorridere solo un uomo con il cuore pieno.

«Non è pericoloso per lei?» Domando io, piena di timori.
Potrei essere in futuro la madre peggiore del mondo, preoccupata ed ansiosa tanto da crescere i figli sotto una campana di vetro. L'ho sempre saputo ma mi consolava l'idea di poter scegliere per loro un padre che sarebbe stato l'esatto opposto e che ci avrebbe donato un equilibrio.
Ora provo una fitta al cuore al solo pensarlo, ricordando come abbia già fantasticato in passato su Cedric, attribuendogli un simile ruolo.

«Forse. Forse lo è, forse magari no. Occorre rischiare, non pensi? La giornata è tanto bella e luminosa da aver convinto Halima a sconfiggere la paura dell'esterno. Non hai idea di quanto mi faccia felice. Solo ora so che è davvero tornata a vivere.»

«Le vuoi molto bene, Issa.»

«Abbiamo la stessa pelle. Siamo la stessa cosa.»

La semplicità con cui lo dice, mantenendo il sorriso e dando un lampo di lucentezza alla sua pelle nera, è tanto commuovente quanto basilare. Non accetta repliche nella sua semplicità ed è grazie all'allegria di questo momento che quest'uomo grande e buono si lascia andare alle confidenze.

«Una volta mi ha baciato, lo sai? Niente di più strano. Non l'aveva mai fatto e me lo ha chiesto, non ho saputo resisterle. Era brava e tremava. Avevo capito quanto fosse fondamentale, per lei, in quel momento dimostrarsi donna ma entrambi abbiamo compreso anche la natura del nostro rapporto: le voglio bene come una sorella e lei ne vuole a me. Forse perché proietta in me il fratello che ha perso e forse perché io mi sono avvicinato a lei nell'esatto periodo in cui Lèa stava male. Non è importante, ma siamo fratelli, siamo uniti. Per noi è più forte di qualsiasi altro rapporto.»

«Ho sempre invidiato il rapporto tra fratelli e tra sorelle. Essendo figlia unica l'ho vissuto solo da lontano.»

«Ma sei cresciuta con Francis, no? E con Ercole. Lèa adesso ti vuole bene come una sorella ed Halima cova per te un'ammirazione profonda, più forte di tutti noi. Anche io ti voglio bene, per cui non ti senti protetta qui?»

Abbasso lo sguardo verso terra perché il candore di quest'uomo, la vista periferica della felicità e della riscoperta di Halima, gettano nel baratro il mio cuore avendogli attribuito un peso profondo. Al gesto accompagno la tortura delle mani, in una stretta in grado di concentrare il mio dolore in un solo punto, proprio come facevo da bambina.

«Non hai nominato Cedric» faccio notare, avendo una conta nel cuore che va in rapporto con il suo nome.

«Che cosa è lui per te?»

«Lo stesso di un tempo» sussurro, con la voce incrinata. «Il migliore dei miei amici.»

Continuerà ad esserlo per sempre perché è la persona che mi è più vicina, ed è il mio confidente, il mio amante e certe volte anche il mio rivale... o meglio, è stato tutto questo, in quella sfida continua che era la vita di una convivenza.

«Ed è arrivato anche più in ritardo degli altri...» commenta, in un tono di voce che dovrebbe suscitare la mia ironia senza essere in grado di farlo.
Sollevo la testa e sfido alla resistenza i suoi neri occhi, affinché possano dimostrarsi in grado di sorreggere il carico al quale lo invitano i miei.

«Sapevi che sta per andarsene?»

Annuisce piano, in una lentezza che è prudenza verso la mia fragilità.

«Tra un paio di giorni farà le valigie e se ne andrà per sempre. Mentre eravate via, Ercole si è inventato fin troppi stratagemmi per farlo restare e ha chiesto la partecipazione di tutti noi. Richieste per nuovi lotti da arare, trappole di protocolli, incontri con avvocati, addirittura una serata di festa per il suo addio.
Sei pronta per tutto questo, Amy? Non sarà facile. Cedric è un uomo difficile contro cui lottare.»

«Non sarò mai pronta di fronte alla sua scelta di andarsene. Potrà essere quello che vuole, ma non saprò accettarlo.»

Issa sorride attraverso la proiezione scura della sua zona d'ombra, accarezzandomi come una carezza poiché il mio viso, in questa privata porzione di mondo che ci vede soli, si è riempito di pietose lacrime. Smetterò mai di soffrire? Vivo in uno squilibrio di emozioni che mi costringono a dimostrarmi forte e invincibile di fronte a lui ma sincera e tremante dinanzi agli altri, il che è spossante perché non ho mai dovuto condividere con questa gamma di emozioni nello stesso istante ma forse è proprio questo che significa crescere.

«E questo è proprio ciò che lui non si augura. Puoi non rendertene conto, Amy, ma Cedric non è ancora pronto a vederti sul serio soffrire.»

La sua frase apre alla mente diversi scenari ed arresta il mio silenzioso pianto, lasciandomi tornare a percepire la pressione delle morbide labbra di Cedric contro la gola mentre sussurrava al silenzio della stanza una supplica, nascosta da troppe falsità.

******

Un esercito di combattenti con vanghe e cesoie di potatura alla mano è ciò che si prefigura dinanzi lo sguardo di un qualsiasi osservatore che stia passeggiando sul fondo della valle.
Issa è al mio fianco e la sua presenza mi da sostegno. Lèa si erge dall'altro lato, occupando il lato sinistro della mia visuale e completando con suo fratello lo scudo in grado di tenermi al sicuro dal mondo.
Lontani da questa protezione di solo qualche passo ci sono Ercole e Cedric che stanno discutendo tra loro. Issa non mi mentiva: Ercole sta facendo davvero di tutto per trattenere Cedric più del dovuto.

«Non mi ascolti. Ti ho già detto che quella parte di terreno è incoltivabile» afferma stanco il Garcia che, dopo aver riposato a seguito del nostro viaggio, la mattina di questa giornata si era trovato il suo spaventapasseri allegro e fin troppo gioiale nel richiedergli consigli che in verità, da fin troppo tempo, sembra aver smesso di udire visto come le frasi si ripetono, trattenendo in esse delle raccomandazioni.

«D'accordo, ed il campo che si estende fino a quell'oliveto?»

Cedric, in risposta, batte tra loro le mani per poi portare i palmi vicino alla testa; una sorta di resa che, esausta, non vuole più saperne di un confronto tra loro.

«Come non detto. Quel campo è coltivabile, va bene? Posso andarmene?»

Sembra essere la notizia che Ercole aspettava da ore, dopo averci fatto sudare sotto questo sole cuocente, perché la sua bocca si apre in un lento sorriso mellifluo.

«Se è lavorabile non vedo cosa ci trattenga dal metterci al lavoro. Siamo in cinque, potremmo sancire anche qui i primi tracciati.»

Cedric solleva le sopracciglia. «In cinque

Tento di non fare caso a come la stanchezza, mescolata all'atroce pressione di questo sole, lo renda tanto attraente. La fronte, infatti, è bagnata da piccole gocce di sudore mentre una maglia rossa a maniche corte mette in risalto la forma dei muscoli delle braccia  e la posa del corpo dimostri spavalderia, abitudine alla pendenza drastica di questo terreno che lui solo sta affrontando di spalle.

Le guance mi si arrossano ed il fiato se ne va via: devo guardare altrove per poter pensare lucidamente e non soffermarmi sul grezzo materiale di quei chiari jeans lunghi e stretti in vita da una cinta.

Ercole, invece, è fin troppo consapevole di dove il suo discorso possa mirare, decidendo con fin troppa strategia quali domande dell'altro evitare.

«E che mi dici di quello che raggiunge i cipressi?»

«Se ti confermo quanto di questo terreno possa essere utilizzabile, allora mi lascerai andare?»

Cedric ha scoperto il suo gioco, esposto fin troppo palesemente. Poco importa, però, perché Ercole ha guadagnato per tutti noi delle ore e mettendo in conto quanto poco oltre la pazienza dell'altro potesse dilungarsi sembra aver messo in conto la prospettiva di una momentanea resa. Per questo motivo continua a sorridere e lascia all'altro il compito di parlare.

«Anche quel terreno è okay, contento? Potete iniziare a lavorare ma non consideratemi dei vostri. Ho altro da fare.»

Delle valigie?
Vorrei chiedergli nello stesso spirito spudorato che Ercole ha avuto per questo tempo e con cui lascia dondolare avanti ed indietro la pala nel terreno, in un oscillazione che sembra quasi essere simbolo di tutto il lavoro da dover svolgere con un paio di braccia in meno. Poco importa al Garcia presente, però, perché lui ha altro da fare.

Richiamato dall'ostilità dei miei pensieri, Cedric sposta lo sguardo su di me ed io di conseguenza mi rivolgo altrove.
Mossa patetica ma non voglio cedergli la benevolenza di un mio sguardo. Se lo vuole, allora che rimanga. Questo è quello che mi ha fatto capire Issa, in un discorso che pone merito a tutte le sue abilità di truffatore: per avere ciò che si desidera si paga. Io, adesso, in cambio non chiedo altro che delle ore ma il furioso ragazzo di cui mi sono innamorata non sembra disposto a cedermele.

Vorrei maledire me stessa per quello che provo e dall'altra parte gridare, perché pare quasi che Cedric non meriti tutte le attenzioni che i suoi amici gli rivolgono. No, non le merita perché le persone non si abbandonano così. Vorrei urlarlo ma sento ancora la pressione dei suoi baci, assieme alla difficile convivenza che in questi giorni sto avendo con la confusione.

«Adesso vado. Non disturbatemi almeno che non sia importante.»

«Ma certo...» commenta ironicamente Ercole, senza poter godere dell'ascolto dell'altro che si allontana per mettere presto distanza tra noi e lui. Noto appena il nostro spaventapasseri strizzare un occhio a Lèa, prima che tutti noi possiamo metterci a lavoro.

«Amy, dove vai?» Mi ferma Issa, rimanendo immobile dinanzi la mia autonomia.

«Cedric ha detto che anche il campo che conduce ai cipressi è sicuro. Sto andando lì.»

«Stai attenta, da quello che so quella parte di proprietà non viene controllata da anni. Risale ai tempi del primo raccolto, quindi è delle prime generazioni dei Garcia. Non ti allontanare troppo e se c'è qualcosa chiamaci.»

Annuisco senza remore e decido di allontanarmi, avendo capito come i miei pensieri debbano beneficiare del completo silenzio e della solitudine. Ho bisogno di fare ordine e di chiarire ciò che sto vivendo al momento. Capire se il gioco di Ercole possa davvero giovarmi come un beneficio, non sapendo quali armi Cedric adotterà per controbatterlo.

Vuole la libertà, andarsene da questo posto, dimenticarci, l'ho capito. Al telefono con Lèa era stato diretto, non vedo cosa possa fargli cambiare idea.

I miei passi stanno percorrendo un terreno vergine, o per meglio dire nascosto dalla stratificazione del tempo, il che mi porta a discendere su un altro piano di quota rispetto a quello dei miei compagni. Rivolgendomi allo scenario che mi sto lasciando alle spalle mi accorgo di come il terreno abbia formato una piccola collina che mi isola e mi protegge dal resto di quel mondo che mi attende dietro essa. Anche qualche albero si aggiunge ad un simile gioco di momentanea invisibilità, celandomi con le sue foglie dalla visione aerea che mostrerebbe il mio corpo percorrere questo confuso labirinto.
L'erba alta, invece, nasconde persino la visione della chiusa suola delle mie scarpe bianche ed è così che, molto presto, in questo gioco di illusioni, di variazioni tra luce ed ombra, la mia mente rifugge in altri pensieri, vincolandosi in un isolamento incapace di essere creato dal miglior contesto territoriale.

Finalmente sola ho il diritto di fantasticare su un'altra vita, la prospettiva di un mondo che mi avrebbe raggiunta se solo avessi fatto delle scelte diverse, ed è così che ai miei passi, sempre più sicuri, si interfacciano quelli di Halima.
La rivedo, splendente di luce, condurre la sua benedizione del sole in un luogo che non le fa più paura.

Prego l'illusione generata dalla mia mente di lei di darmi parte del suo coraggio, o della bellezza che pareva possedere in quell'istante in cui, inconsapevolmente, tutti gli occhi erano su di lei.
Halima è una ragazzina in grado di covare una profonda ammirazione per me, mi è stato detto, l'ho verificato, per cui mi domando come sia possibile che ciò avvenga. Come abbia potuto scegliere, tra tutte le persone, proprio me, la ragazza che si caratterizza per la serie di errori e pessime scelte, percorrendo la strada che più la fa soffrire.

In senso letterale del termine.

Per un attimo la visione si offusca ed è solo quando il dolore mi percorre in una scarica elettrica che mi accorgo ciò che l'adrenalina, sul momento, aveva frenato sul nascere.
Un urlo di dolore si affaccia sulle mie labbra mentre mi accascio a terra ed in esso è contenuto il nome di Ercole.

Vedo così poco del resto, adesso. La sola cosa che percepisco è la pulsazione dolorosa all'altezza dello stinco destro, l'atroce caduta di lacrime di sangue che scorgano da quella che so essere una brutta ferita.
Capisco, nella freddezza di certi momenti in cui il dolore scompare per lasciar spazio alla realtà, cosa sia l'oggetto che l'ha causata e non ho le forze per muovermi.

In lontananza avverto dei passi veloci che riconosco come quelli del mio amico e nella loro frenesia percepisco la preoccupazione generata da quell'urlo sovraumano che ha abbandonato la mia bocca. Non sono i soli, però. Avverto anche le voci di Lèa e Issa in sottofondo, ma è Ercole per primo a prendermi tra le braccia.

«Amy, non muoverti. Non muoverti o rischi che peggiori» mi supplica la sua voce tremando e in quel tono non c'è niente dell'ironia con cui traeva in ostaggio Cedric.

Sento la gola secca e la fronte che sta sudando. La vista a tratti si fa nera, tanto è il dolore che mi percorre la gamba.

«La trappola...» riesco a sussurrare, accorgendomi così che anche le mie labbra si sono fatte secche. Quanto tempo è passato prima che i miei amici potessero raggiungermi? Forse mi sono allontanata troppo.

«Sì, Amy, è una trappola per volpi. Hai lo stinco intrappolato tra i denti.»

Trapassato, credo che sia il termine più corretto, riuscendo a dare un'occhiata verso il basso, ma Ercole è stato gentile e non voleva darmi preoccupazioni. Ora, infatti, sembra maledirsi di avermene parlato, quasi avesse potuto convincermi a tenere per sempre la testa indietro verso il cielo mentre Lèa è al telefono con il pronto soccorso.

Tra i tremori noto Issa immobile, rattristato di fronte alla visione di questa scena e forse pentendosi di avere scelto di farmi andare da sola. Lui è fatto così: ha l'istinto e il sesto senso di proteggere, avrebbe avvistato quella trappola da chilometri mentre io, tra i miei pensieri, non sono stata in grado di vederla neppure essendo sotto il mio naso.

Cerco di rivolgere a lui tutta la tranquillità possibile, rassicurandolo di stare bene nonostante i tremori di quel dolore continuino a persistere.

All'interfono la voce di Lèa si fa sempre più piena di angoscia ed è solo una volta aver carpito informazioni sull'arrivo dei mezzi di soccorso che la mia mente abbandona la presa attorno al cappio in grado di tenere sveglia la coscienza.

La corda ondeggia nel baratro della mentale incertezza e tutto si fa buio, lasciandomi alla percezione di un luogo dove non vi è più dolore che non sia la totale assenza.

******

Delle mani si stanno prendendo cura di me e come dei batuffoli di cotone imbevuti di qualche sostanza si stanno posano sulla mia ferita con una precauzione che tiene conto del mio dolore. Tamponano e si sollevano, poi riprendono la loro mansione.

Non ho le forze per protestare o anche solo per muovermi. Non riesco ad aprire gli occhi, temo che mi abbiano introdotto nel corpo dei farmaci.

«Dovremo farla riaddormentare» commenta una voce estranea e maschile, particolarmente vicina. Forse, si tratta del paramedico. «La pulizia della ferita può essere dolorosa, devo estrarre altre schegge.»

«Faccia come ritiene sia meglio, dottore.»

Ercole... la voce di Ercole.
Ercole, scusami per questo dolore, per queste preoccupazioni che ti sto dando mentre ti stai prendendo carico di tutto. Vorrei non essere arrivata ad essere un peso dal giorno in cui, all'improvviso, ero sopraggiunta nella tua vita chiedendoti di essere la mia spalla per poter riottenere parte dell'amore che mi ero persa.

Vorrei essere lontano, in un luogo che non provoca tutta questa sofferenza e presto torno ad esserlo.
Nell'istante in cui la mia mano si muove nel vuoto, sollevando un dito da quella che suppongo essere della carta assorbente stesa lungo la rigida stesura di un piano su cui mi hanno adagiata, il buio torna e ruba, furtivamente, la mia percezione e tutto ciò che era concreto. Mi rispedisce nell'oblio ed in quel vuoto precipita anche la preoccupazione delle varie voci... senza lasciarmi tradurre in esse la presenza di Cedric.

Cedric... dove sei?

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Non ho idea di quante ore siano trascorse dal mio ultimo contatto con la realtà ma qualcosa, attorno a me, è profondamente cambiato.
Mi accorgo di non essere più stesa su di un tavolo ma sopra il morbido spessore di un letto e di come, nonostante la sua presenza, il mio corpo non abbia tratto dal sonno il giusto riposo. I muscoli infatti sono tesi, indolenziti, ed è così che mi ricordo di come mi sia spostata da un lato all'altro nell'incoscienza della sonnolenza, generando spasmodiche fitte che mi hanno portato ad irrigidirmi e forse, solo nel sonno, ad urlare.

Prima d'ora non mi ero mai rotta niente, mai fatta male tanto gravemente ed è per questo che noto con accurata percezione di dettagli come la ferita sia percorsa da una serie di infinite punture di aghi, reazione dei nervi che non cedono a compromessi con il dolore e decidono di urlarlo con tutta la ferocia nella trappola nella quale li costringe il mio corpo. Inoltre, c'è di più: è come se sentissi il sangue continuare a zampillare feroce dalla mia ferita. Forse è solo un illusione, forse è la verità, perché delle mani si posano sulle mie spalle ed una voce mi sussurra prudenza.

«Per favore, non muoverti. Farai saltare i punti, Amy. Ho trattenuto il medico finché ho potuto ma se ne è dovuto andare. Ti prego... so che fa male...» Cedric! «... So che fa male, ma ti prego non muoverti.»

Lotto con il buio che mi imprigiona per poter vedere il suo viso: gli antidolorifici devono essere stati tremendamente forti vista la reticenza che hanno nell'abbandonare il mio corpo nonostante io sia sveglia. Li prego di andarsene, specie non appena Cedric mi stringe e la sua guancia sfiora la mia, facendomi accorgere di come la sua sia bagnata.

Per quanto tempo è stato con me? Che cosa ha visto del mio dolore?

«Mi hai fatto morire di paura» sussurra, sollevandosi e posando un lento bacio sulla mai fronte.

Credo che in futuro non riuscirò mai a ringraziare abbastanza il mio corpo per essersi reso partecipe, con lentezza, di questa stretta, arrivando ad aggrapparsi sempre con maggiore forza, tramite piccoli pugni delle mani, a quella maglietta rossa che sole poche ore prima gli avevo visto sfoggiare nella tranquillità di un'istante.

Proprio così, anche la mia vista sta tornando e grazie ad essa mi accorgo di avere la schiena contro una schiera di morbidi cuscini, il polpaccio riccamente fasciato e qualche goccia di sangue a sovrastare le candide bende.

Inoltre, la gamba sana che non è caduta nella trappola di quella dentata ferraglia è piegata tanto da permettere, al di sotto di se, la presenza del corpo di lui, seduto sulla sponda di questo letto ed ora sporto verso di me allo scopo di stringermi.

«Cedric...» sussurro, non potendo credere di averlo tanto vicino in questo modo sincero.
Richiamato dalla mia supplica, si sporge indietro per potermi fissare negli occhi. Nei suoi non trovo traccia di quel pianto che ho riscontrato sulle sue guance, il che mi fa pensare che sappia continuare a fingere bene ma che non ce ne sia più bisogno.

«Perché sei andata fino a lì? È pericoloso, come hai potuto non vedere le trappole?»

«Tu mi hai detto che non lo era» sussurro e lo vedo rabbrividire.
La paura della pericolosità delle mie parole lo spinge a reagire, intrecciandomi le mani attorno al viso affinché possa vedere lui e nessun altro. È quello che ormai faccio da fin troppo tempo.

«Non devi credere a tutto ciò che dico. Alle volte mento solo per difendermi» sussurra, appoggiando la fronte contro la mia e chiudendo gli occhi. Non è mai stato bello come in questo istante. «Sono stanco di vederti soffrire a causa di noi Garcia. Quello che mia nonna ha fatto a tua madre, quello che io ho fatto a te...» La sua voce è un sussurro, ma si spezza graffiata dal dolore. «Questa terra non fa altro che chiedere il tuo sangue, è come una maledizione.»

Replicare mi è impossibile perché credo parzialmente all'eventualità che una simile frase possa essere reale, ma non mi importa. Lo sto accarezzando, scolpendo la rigida e spessa muscolatura del suo collo, passando appena le punte delle dita nei suoi capelli.
Dannazione, lo amo così tanto...

«Promettimi che non ti farai più del male» mi chiede, fissandomi dritto negli occhi. «Dico sul serio, Amy. Non dovrebbe più competermi. Non dovrei più preoccuparmi di te.»

«E allora tu non farlo, no?» Commento in un mezzo sorriso. Noto la sfida nel suo sguardo, per quanto sia resa esausta. Pare dirmi, senza più forze, "credi sul serio che sia possibile?". La risposta sarebbe no e ne è consapevole persino lui, per questo non può fare altro che rifugiarsi in una rassicurazione.

«Promettimelo.»

«Io mi fido di te, so che tu non me ne farai.»

Le mie parole sciolgono ogni sua resistenza, lo vedo tramite l'emozione che passa nei suoi occhi, lo percepisco dal modo in cui la sua rigida postura cede, lasciando spazio ad una morbidezza che richiede tra noi una maggiore vicinanza.

«Mi fido di te» ripeto, rivolgendomi a quegli occhi dolci che ero stata in grado di vedere solo di sfuggita la nostra ultima notte. Sono gli occhi di un uomo che mi ha amata e forse che mi ama ancora.

«Per favore, non farti più del male, persino se la colpa è delle mie parole.» La disperazione con cui pronuncia una simile frase mi procura una fitta allo stomaco, seguita da un'immenso calore e mi domando se non fossero vere le parole di Issa, nonostante tutto ciò che io e Cedric ci siamo fatti.
"Non è ancora pronto a vederti soffrire".

«E tu non dovresti mentirmi, non a me. Ce lo eravamo promesso, ricordi?»

«Vuoi dirmi che per tutto questo tempo sei stata sincera?»

«Non lo hai ancora capito?» Commento ridendo tristemente alla vista della nostra situazione. Anche i suoi occhi scendono lungo la mia gamba fino alla ferita e la sua mano mi accarezza la pelle lasciata scoperta dai corti pantaloncini, dandomi l'impressione che non sia stata la prima volta.
Forse, aveva trovato conforto nell'accarezzarmi così, mentre stavo dormendo. Giustificherebbe il suo trovarsi già qui molto prima del mio risveglio.
Lo capisco perché è quello che anche io provo: immenso conforto in quel semplice gesto che scandisce la nostra vicinanza.

«Tu quando non lo sei stato?»

«Non lo ero quando ho parlato di quel terreno, volevo solo andarmene» parte stentatamente con il dire, continuando ad accarezzarmi e osservandone la ritmica movenza della sua mano.

«Sei tornata... ricoperta di sangue. Ercole ti stringeva tra le braccia, entrando nella villa. Io non riuscivo a muovermi.»

In un istante passa nella mente di entrambi il ricordo di quando era lui a stringere tra le braccia una Lèa ferita dalle fiamme del fuoco ed Ercole l'immobile osservatore dell'intera scena.
Cedric è stato vittima di quella stessa paura?

Se fosse capitato a parti invertite non saprei che cosa avrei fatto, come avrei reagito ma non sarebbe stato niente di facilmente superabile. Cedric è tanto incrollabile che l'ipotesi di vederlo ferito rende oscillanti le mie certezze, proprio come sta accadendo adesso.

«Non ero sincero quando ti urlavo contro di andartene. Ti stavo solo mettendo alla prova, per vedere se saresti rimasta.»

Di tutto questo ne sono pienamente consapevole ma sentire pronunciare simili verità dalla sua voce ha tutt'altro sapore, lo rende reale.

La sua mano si arresta ed i suoi occhi ritornano a me. Carpire l'intensità dei suoi pensieri non è difficile, ma non sono del tutto pronta a quello che sta per dirmi.

«Non lo ero quando ti ho detto di non saper perdonare» sussurra infine, rimanendo a questa ristretta distanza.

La spossatezza che mi raggiunge in un attimo è il risultato di una vittoria che sono riuscita ad ottenere e di tutta la stanchezza dovuta alle nostre continue lotte di resistenza. A che cosa sono servite? La verità mascherava emozioni più sincere, respiri che lentamente iniziano a farsi più vicini.

Rimango immobile mentre vedo la sua testa chinarsi lentamente, vittima di un batticuore che conduce il mio corpo all'attesa.
Non voglio fare niente che lui non desideri, non voglio sbagliare ma vorrei così tanto viverlo... è ancora possibile farlo?

Quando la sua bocca si posa sulla mia in una lenta carezza mi viene quasi da piangere. Non riesco a crederci e per alcuni istanti i miei occhi rimangono aperti allo scopo di verificare che sia davvero lui, che davvero abbia ceduto, arreso, e mi stia baciando, perdonandomi per tutto.

Arrivo a serrare le palpebre, poco dopo, solo per non lasciarmi sfuggire l'intricata rete di emozioni che mi avvolge e che si tramuta divenendo più violenta, appena l'oscurità mi raggiunge.

Sento il suo sapore, la morbidezza delle sue labbra, la sua lingua, le sue mani. Cedric sta tornando da me in un modo sempre più vorace, pur preservando la dolcezza.
Il mio cuore non riesce a sopportarlo e la presa delle mie dita tenta di intrappolare questo momento in eterno, facendo forza sulla sua schiena e sulle sue braccia. Lungo il collo e poi attorno al suo viso.

Ti prego, non ti allontanare. Non ti allontanare, desidero questo momento da anni.

L'impazienza però mi è nemica e mi porta a gemere di dolore a causa di una mossa troppo incauta che ha fatto forza sulla ferita.

Cedric si allontana alla percezione di quel lamento di dolore ed il bacio termina. Vorrei avere le forze per protestare ma non ci riesco, ho il cuore in gola.

Da dietro la mia schiena gli vedo afferrare uno dei cuscini e con delicatezza noto la sua mano sollevarmi la gamba ferita da sotto il ginocchio. Le sue carezze mi suggeriscono di appoggiare di nuovo il polpaccio sopra quel morbido supporto e lo faccio, senza togliere però le mani dal rigido supporto del suo petto, sul quale poco prima si erano fermate.

Respira con fatica, attraverso le labbra rosse. La sua mano non smette di accarezzarmi e non ha niente da chiedere non appena torna, stravolto e confuso, ad osservare il mio volto. Non ha niente da chiedere, può solo pretendere e per farglielo capire compio per prima io, stavolta, l'iniziale mossa, inclinando la testa sotto il suo sguardo affinché sia consapevole che sto tornando a baciarlo.

Prima che le bocche tornino ad unirsi, però, resta intrappolata nell'aria una sorta di attesa nella quale si avverte solo i battiti ritmici dei nostri cuori, l'impazienza, il fragile controllo della prudenza che è rimasta. Lui sfiora me ed io sfioro lui, con le labbra e con le mani. Impariamo a riscoprirci, portando i nervi al limite della loro tensione finché non diviene troppo.

Spalanco la bocca poco prima che sia la lingua a richiederne l'accesso e mi stendo, portandolo con me, così che non possa esserci un solo centimetro di distanza tra i nostri corpi.
Cedric si muove appena, trovando la posizione più comoda con cui evitare di farmi qualsiasi sorta di male, mentre continua a baciarmi febbrile su un'onda di desiderio rimasta celata per troppo.

Tradisce il tempo. Mastica i minuti, ed è solo quando le labbra iniziano a fare male che l'impazienza viene sostituita da una sorta di calma. La dolcezza si fa largo come una promessa e non so definire quale dei due momenti sia migliore perché ci appartengono entrambi.

Ho avuto il mio perdono sigillato in un lungo bacio ed il cuore corre impazzito dalla gioia. Il corpo non riesce a credere di sapere ancora riconoscere la conformazione del suo, nonostante tutti gli anni passati, ma è così, siamo ancora noi.
Vittime di maggiori silenzi, ma sempre li stessi.
Diversi, non appena il bacio termina e distesi lungo questo letto, cuore a cuore ed un intreccio di respiri rotti, rimaniamo immobili a fissarci.

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