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81- Incubo

"Un giorno dovrò spiegare i miei
incubi. Perché sono venuti. E
perché non se ne andranno mai
del tutto.
Dirò loro come li supero.
Dirò loro che, nelle mattine brutte,
mi sembra impossibile trarre piacere
da qualcosa perché temo
che possano portarmelo via.
E che in quei momenti
faccio mentalmente un elenco
di ogni atto di bontà che ho visto fare.
È come un gioco.
Ripetitivo.
Persino un po' noioso, dopo più
di vent'anni.
Ma esistono giochi
molto peggiori a cui giocare."

Suzanne Collins

P.O.V.
Rais

Di fronte a me ho l'uomo che è stato al mio fianco per tutti questi mesi, risoluto come è nello sfoggiare il suo solito viso calmo. Non ha fretta, sembra che il tempo per lui non sia affatto un'incombenza e come potrebbe esserlo, in fondo? Ormai ha perduto qualsiasi dovere che qualificasse un impegno. Me ne ha parlato in diverse notti, rilasciando le sue confessioni in un susseguirsi di sussurri perché avrebbe fatto troppo male vomitare l'errore di una vita finendo per giocarselo come l'ultima mano di una partita di carte.

Porta rispetto al proprio sbaglio, il che mi ha condotto a riconsiderare sotto un'altra ottica la mia decisione, intrapresa anni prima, di condurre una vita sonnambula, a metà tra uno stato di incoscienza ed uno di immensa sofferenza. Sono arrivato a rivalutare i miei sbagli e direi che non è cosa da poco, ma Damien non mi ha insegnato solo questo. Mi ha anche aiutato a capire quale valore possa esserci nell'attesa ed averlo al mio fianco aveva reso più accettabile la conclusione di quell'infinito apprendistato che Francis ha svolto come carica statale, arrivando così a farmi credere che l'essere stato in qualche modo "messo in pausa" mi potesse essere d'aiuto per divenire, infine, al pari dell'uomo che ho scoperto di amare più di quanto credessi.

Mai mi sarei immaginato una ricongiunzione come la nostra. Lo sfogo di una passione violenta, in una vecchia struttura che ci aveva visto rivali, ma così era stata perché quel momento di reciproco incontro l'avevamo voluto entrambi. Lo avevamo sognato, idealizzato, agognato in un modo tanto assurdo da apparire masochistico nella sferzata di atroce passione dataci dalla realtà. Il calore di quel ricordo ancora mi avvolge, nonostante l'apparente solitudine alla quale sono ridotto. La rudezza di quel bacio composto di agonizzanti fremiti mi raggiunge come uno schiaffo che mi desta dal torpore di colpo facendomi rendere conto dell'inadeguatezza che sto vivendo al momento.

Convivere con la sua assenza mi getta nel baratro del totale spaesamento ma a quanto pare a suo avviso non poteva essere altrimenti. Cerco di comunicarlo anche a Damien che con i suoi occhi troppo verdi, troppo brillanti e troppo simili a quelli ai quali sto pensando, azzarda la rivelazione di una sfrontata beffa che maschera una richiesta.

"Dove è mio nipote?"

Purtroppo credo di saperlo, per quanto sia facile per entrambi da immaginare. 

«Non ti sto domandando il perché ma il tempo durante il quale ti allontanerai da me.»

Pronunciare parole tanto ricche di rassegnazione e stanchezza fa più male di quanto ritenessi possibile perché mette in mostra il mio essere consapevole di come il richiedere ulteriore tempo, solo nostro, possa non essere una domanda fattibile nei confronti del mondo, affatto accondiscendente nel donarcela, ma mi basterebbe solo del riposo. Solo la rudezza di quel ritrovato bacio che ci aveva raggiunti al termine di una breve corsa.

«Non è nessuna delle ipotesi alle quali stai pensando: Carlail vuole solo che tu non sia presente mentre parliamo di uno specifico caso. Potrai rimanere in centrale, sotto il mio controllo, ma in alcuni momenti dovremmo stare divisi.»

«Perché non ritiene sia giusto integrarmi nel caso?»

Molte cose sono cambiate, il tempo è passato eppure eccoci di nuovo assumere abiti di avversari e di colpo capisco che non voglio più che sia così.
Chiusi all'interno di questo archivio, rischiarati solo dalla luce della piccola lampada presente, ci fissiamo negli occhi in un confronto che pone in evidenza più le nostre assonanze che qualsiasi caratteristica di discordia.

«Perché ha paura della reazione che potresti avere. Che, impettito, tu lasci la centrale per vedertela con loro da solo.»

«Ed è qualcosa a cui credi pure tu?»

«Sai essere impulsivo. Sai quanto mi piaccia.»

«Quindi non lo ritieni un pericolo?»

Tace, forse ripristinando nella mente quella conversazione che gli ho visto avere con Carlail.
«Credo che possa ferirti, questo sì.»

Rivolgo la schiena all'indietro, lasciando disteso un braccio su questo piccolo tavolo e permettendo così ad una mano di rimanere vicina all'intreccio delle sue.

Vicini ma lontani. Un grande aforisma. Potrebbe illudersi che niente sia cambiato ma vedo l'insegna di "pericolo" scritta a chilometri di distanza.

«Ed io credo solo una cosa: che abbiamo passato troppo tempo divisi.» Sorride, non potendo che darmi conferma. Per un attimo mi perdo. Quando acquisto la ragione, trovo anche la forza di porgergli un ulteriore domanda. «Se ti chiedessi di dirmi di cosa si tratta, me lo diresti?»

«Sì. Vuoi che lo faccia?»

Il mio sguardo lo sonda, a caccia di una soluzione che dia una rotta al futuro della vita che stiamo vivendo.

Non mi mentirebbe mai. La sua risposta veloce è stata solo l'esempio chiaro della montagna di bugie che ci circondano e che con forza stiamo provando ad allontanare, al solo scopo di rimanere puri.

«Immagino che se tu e Carlail avete preferito tenermi all'oscuro allora sia quella la scelta migliore.»

«Evitiamo solo di farti altro male.»

«Ma posso comunque restare con te, non è vero?»

Gongola di una simile frase, me ne rendo conto. Specie dall'ulteriore sorriso che svetta in viso e che mi dimostra il lato cattivo e arrogante di questo ragazzo, per la maggior parte del tempo, equilibrato.

«Vedo che ti manco...»

«Quanto ti farebbe gioire una mia ammissione?»

«Moltissimo, ma non cambierebbe niente. Carlail mi ha chiesto di dirti di rimanere a distanza, quest'oggi, sorvegliato per il momento da un'altra guardia. Puoi andare dove vuoi, nei limiti del possibile e nella completa sicurezza della scorta e della scelta di seconde strade, ma una volta terminato l'incontro che io e Carlail abbiamo tornerai da me. Si tratta solo di un paio d'ore, forse ogni giorno. Che ne dici? Accettabile?»

La mia mano non si è mossa di un solo centimetro e riposa ancora distante dalla sua. La mancanza di un simile salto esorta già la mia conseguente, ma esente, risposta. «Stai diventando egoista» mi fa notare, senza però alcun tipo di rimprovero.

«Hai mai la sensazione che, per quanto ti sforzi, niente possa essere abbastanza?» La domanda che porgo è talmente scontata nella risposta da permettermi di continuare. «Io l'ho avuta per tutta una vita, nonostante i traguardi che credevo di avere raggiunto, ed era un'agonia. Mi aveva costretto a cercare un dissuasore, qualcosa che potesse distrarmi da ciò che stavo vivendo.»

Sa benissimo a cosa mi riferisco, ha vissuto l'atroce abbandono che quelle sostanze hanno avuto nella disintossicazione del mio corpo per cui è in grado di capire la portata del problema ma c'è una cosa in Francis, una caratteristica, che può portare una persona a provare profondo amore per lui come profonda rabbia; non da mai niente per scontato, nonostante la visione di un finale all'apparenza già scritto. Lui mette in dubbio tutto e spera, in un modo disgustosamente combattivo.

«Si tratta solo di poche ore al giorno. Nel resto del tempo rimarremo insieme.»

Aveva dunque messo in conto la difficile sensazione nata in risulta a questo distacco? E se la risposta fosse sì, allora quanto aveva accettato di un simile lascito?

«Sei distratto» commenta Damien, sollevando ancora una volta gli occhi dalla partita di scacchi che stiamo svolgendo. Che strano passatempo, nessuno di noi due è bravo, di gran lunga preferiamo entrambi una partita a basket ma non ci siamo sottratti all'ipotesi di questo hobby nell'immaginare, come in effetti era stato, che la guardia posta come mia scorta potesse non unirsi a noi e rimanere fuori dalla casa, vista la rappresentazione che avremmo dato di tranquillità. Del resto quello che mi attende fuori, in agguato come un mostro feroce, si può dire notevolmente più pericoloso di questo uomo di mezza età che in un certo qual modo mi ricorda Attila. Francis ha trovato la sua guida ed io la mia, per quanto appartenga all'ironia fatta a persona e mescolata, per mano di un creatore alquanto crudele, ad una dose di arguzia che immagino sia ereditaria.

«Stavo pensando ad altro.»

«Carina la nuova guardia» prosegue nel dire, prima di muovere uno degli scacchi secondo una mossa all'apparenza studiata.

Damien possiede l'arte della strategia ma pare come avere dei limiti in merito allo sforzo da compiere per metterla in pratica. Se trovarsi al di fuori di una questione fosse un'alternativa, sono certo che non si esenterebbe dall'intraprenderla almeno che dal lato opposto, posti sul piedistallo dei trofei per cui vale la pena lottare, non ci fosse sua sorella, la mamma di Francis, e Francis stesso. Per loro prova un amore senza confini, motivo per cui sono arrivato ad apprezzarlo tanto.

Una persona che prova affetto per le persone buone non può esserlo che lei stessa. L'affermazione riguarda anche me? Lo spero senza vergogna, stanco ormai di essere dalla parte di coloro che vincono ma che non hanno cuore.

«L'hai notato? Un acquisto di tuo nipote, nientemeno.»

«Ma non dirmi...» replica divertito nell'attesa di vedermi compiere la mia mossa. Vorrei non sembrasse tanto la visita di un dottore al paziente di un ospedale psichiatrico. Qui, uno davanti all'altro, alle prese con le trappole in bianco e nero della ragione, potremmo facilmente assumere simili ruoli sotto il controllo del grande fratello che tutto vede senza intervenire. Inutile dire quale sarebbe la mia veste e quale quella di Damien. Devo ammettere che come ascoltatore si è rivelato perfetto, un'ottima fonte di consigli che non si è esaurita e mi ha stupito nell'ammissione dell'amore che covo e che non a tutti è noto. Ne era già a conoscenza, sì, e ciò implicava la completa fiducia che Francis aveva riposto in lui.

«Avanti, confessa, avete già litigato?»

«C'è tempo per farlo?»

«Voglio chiederti solo una cosa, Rais...»

In pochi continuano a chiamarmi con il mio vero nome. Perfino alla centrale le persone che lo conoscono sono costrette ad usare il mio pseudonimo nel rischio di orecchie indesiderate poste all'ascolto.

«Sei disposto a rivivere ciò che hai già superato?»

«Che cosa intendi?»

Muovo nella sua direzione uno scacco, l'alfiere, cosciente dell'instabilità e dell'audacia delle sue mosse.  Damien lo guarda con un cipiglio, interrogandosi sul fatto e forse rendendosi conto che in fondo questo gioco non ci è del tutto ostile. Sappiamo destreggiarci, il che è rassicurante.

«Quando abbiamo iniziato seriamente a parlare mi hai raccontato del divario che sentivi tra te e mio nipote. Me ne hai spiegato le cause, mi hai detto fino a dove pensavi di poterti spingere. A tuo modo eri distaccato, sentivi di non stare vivendo quello che avevi appieno... e la distanza non ha fatto altro che fartelo rendere maggiormente evidente. Dunque la domanda è: sei pronto a viverlo di nuovo? Poche settimane fa la tua risposta sarebbe stata no.»

Dimenticavo di riferire, al mio calcolo di pregi mentale, quanto Damien fosse bravo con le parole. Tanto in grado di riportarti sulla retta via quanto capace di farti preda della confusione, facendoti credere di averla persa. Un gioco, il suo, di piena illusione di coscienza: simula e stimola a parole stati d'animo che le azioni generano e poi ti conduce dinanzi a loro, facendoti vivere con costrizione il risultato a cui possono giungere.

«Non vuole che partecipi alle riunioni» replico con un sorriso, pronto a lasciarmi offrire da lui la soluzione al problema.

«E allora tu non farlo, ma non allontanarti da dove sei. Nemmeno mio nipote lo vuole ma crede che metterti sotto una teca di vetro sia la cosa più giusta. Sai, le persone che vedono Francis da fuori arrivano a notare solo l'amore che ha per la sua patria, la sua città, le cose che non vanno in lei ma chi lo conosce... nota quanto gli siano cari i suoi affetti, e tu sei uno dei più stretti. Nessuno di noi due ha idea di quanto questa situazione che ti riguarda gli stia mettendo paura. Non lasciare che la provi da solo.»

La partita non è conclusa ma sta per essere sospesa nel tempo, nel freno di un turno che chiede la giusta calma per poter essere ripreso. Forse finirà dimenticato e mi dispiacerebbe: stuzzica la mente in modo sublime.

«Da tempo voglio dirti una cosa, Damien, ma non so mai quando farlo.» Quegli smeraldi posti al fianco della pupilla, a far vece dell'iride, si sigillano su di me come un marchio eterno, impresso dal fuoco. «Grazie» sussurro, dopodiché mi alzo dalla sedia ed abbandono gli scacchi, uscendo a caccia della giusta strada che desidero percorrere.

P.O.V.
Francis

Prima d'ora non l'avevo mai notato ma le mani mi tremassero non appena ne arresti le azioni. Non ho idea di quando abbiano iniziato a farlo, eppure è così. Un leggero tremolio che si intensifica nel giro di pochi secondi.

All'interno dei giochi di luci chiaroscuri di questo archivio tento di metterlo a freno, tenendo le dita strette tra di loro. Lentamente si acquieta ma la mente continua a percepirne la vibrazione.

Forse, sto chiedendo a me stesso troppo?

Dinanzi le foto di questi bambini, poste come cavie da laboratorio nella schedatura che offre lo sviluppo di questo tavolo, non vedo che il volto di Teo e di tutti quegli orfani di strada ai quali ho dato un tetto, una protezione ma che al momento appaiono come dispersi in una condanna che non sono stato in grado di arginare.

Voglio metterli in salvo, tutti loro. Sono entrato in contatto con Samuel, nella speranza che possa dirmi fino a che limiti risulti possibile farlo, ma nell'assenza di una sua pervenuta risposta non rimane che anticipare questioni alle quali la mente si presta. Una sorta di tortura eterna che si prefigura scenari, alternative, complessi affari fino ad arrivare a soffocarmi.

Ho bisogno di uscire da qui. Di raggiungere la luce del sole sotto il quale forse le mani smetteranno di tremare.

Sfioro il braccialetto dono di Rais, notandone il consumo apportato sulla pelle, prima di decidere di allontanarmi seriamente da quelle fotografie.

Raggiungo il piano superiore del distretto ed esco per strada, afferrando il pacchetto di sigarette onnipresente nella tasca destra di ogni soprabito che indosso. In questo caso, della nera pettorina fornita in dono dalla polizia. Passo il filtro tra le labbra, evitando che la carta si attacchi con la saliva alla bocca, per poi incamminarmi nella direzione di un totale vuoto che possa garantire la mia resa.

Marcio a passi lenti privo di direzione, avvertendo, nel chiudere gli occhi, l'amaro sapore della bile all'ultimo sovrapporsi di immagini della mia mente che pone un confronto tra Teo, Caleb ed uno di quei ragazzini scomparsi in maniera atroce.

Ho allontanato Rais perché potesse non vivere tutto questo. I bambini sono sacri, rispecchiano nuove vite, sono il futuro, ciò per cui combattiamo, gli insegnamenti che doniamo loro... fare del male ad essi significa non avere onore e notarne la mancanza, in un'altra persona, dà la nausea. Questa è la realtà dei fatti.

Non c'è luogo verso cui l'avanzata dei miei passi può proseguire al fine di una dimenticanza, eppure ci va straordinariamente vicino non appena mi permette di notare l'assenza di rumore attorno.

Mi trovo in una piccola piazzola deserta, sulla quale affacciano solo pochi alberi, priva di panchine e di pavimentazione. Lo noto prima di tornare a chiudere gli occhi, lasciando ricadere la testa appena all'indietro per godermi il sole.

Non ci saranno molti momenti come questo in futuro, lo so per certo ma beneficiarne appare quasi sbagliato.

Il sole, però, mi riscalda gli abiti e perfora la spessa aurea di malumore che mi aveva avvolto, fintanto che non avverto in maniera impercettibile il piccolo suono di quello che sembra essere lo scatto di una sicura.

Socchiudo le palpebre ed il sole perfora anche la mia visione, dandomi modo di regolare la vista a questa dose incommensurabile di colori visibili oltre la nuvola che mi passa di fronte di nicotina. Getto la sigaretta per terra ed in un attimo afferro l'arma.

Mi volto. Tendo il braccio.

La pistola è posta di fronte all'uomo che nel silenzio, alla stregua di un cacciatore, mi aveva rivolto contro la sua sentenza ma che adesso sorride al centro di un'ironia, visibile oltre la canna dell'arma.

«Sempre in allerta, a quanto pare» commenta, lasciando scorrere le sporgenti labbra contro i denti troppo bianchi per quel rossore ma in tinta con la carnagione ed i capelli. Ancora troppo corti, militareschi, ma nel procinto di una vanità derivata anche dalla colorazione.

«E tu sempre sleale» constato, facendo rendere conto a entrambi di quanto possa essere una situazione già vissuta.

«Direi che è un mio marchio di fabbrica.»

Le pistole si abbassano all'unisono verso terra, complici nella presa di coscienza che la solitudine nello svolgere un simile gesto non le avrebbe favorite all'azione, ed è così che torno a vedere con completezza il suo viso. Sguardo all'apparenza angelico ma occhi dannatamente capaci di provocare dolore.

L'averli scorti a loro insaputa in una notte buia di tiro a segno, accompagnati da delle lacrime, li rende umani come non avrebbero mai potuto essere, ovvero possessori di un'anima oltre che di massiccia dose di cattiveria con la quale William ha sempre affermato di essere cresciuto.

«Che cosa sei venuto a fare, nel South Side?» Chiedo, suscitando la sua sorpresa.

«Cercavo te, non è ovvio? Ti avrei promesso che sarei tornato...» la sua voce si interrompe perché gli occhi hanno catturato un particolare, sulla mano che si è abbassata dopo essersi direzionata contro di lui: l'anello che porto al dito, il dono che mi ha fatto Samuel.

«Non credevo lo avresti fatto tanto presto. Per caso porti novità?»

Mi aiuterebbero a mettere da parte la mia dose informe di problemi, ma William sembra non prestarmi attenzione.

«Bell'anello.»

«Si tratta di un regalo.»

«Non lo avevi quando ci siamo conosciuti.»

«Perché mi è stato donato da poco. Di recente» chiarisco, nonostante non capisca i motivi per cui potrebbe essercene bisogno.

Alle mie parole, lentamente, il sorriso di William era sparito, sostituito dalla serietà.

«Ah, davvero?»

«Che cosa sei venuto a fare?»

«Ho preso una decisione. Ecco il motivo del mio arrivo.» Attendo il proseguimento delle sue parole, per quanto possano apparire stentate e cambiate di rotta rispetto all'ironia che aveva posseduto al suo arrivo. «So che il South Side cerca nuove reclute. Ho fatto domanda ed ora eccomi tra voi.»

Non so definire quali sentimenti arrivi a provare, perché non l'ho ancora capito a pieno. Immaginavo che non ci saremo persi di vista perché l'essere costantemente in sfida all'accademia era stato divertente. Scoprire di poter essere simili a dei fratelli pure ma cosa succede non appena la competizione si sposta altrove? Il lavoro non è motivo di svago ed in gioco ho troppe incostanti.

«Non credo sia la scelta migliore da fare. Ti consiglierei di ripensarci.»

«La tua espressione invece mi dice il contrario» nota astuto, facendosi beffa del mio momento di debolezza. «Sei preoccupato, i casi sono importanti... che cosa c'è, Dawson, hai paura di un po' di competizione? Fino alla scorsa settimana non la disdegnavi affatto.»

«Perché proprio il South Side?»

«Diciamo che ci sono delle questioni che mi costringono a rimanere qui. Niente che deve riguardarti, soldato.»

Sogghigno debolmente, essendo stato messo da parte in un modo patetico. Non mi lamento ma mi faccio avanti, per poter fissare il mio alter ego biondo con una sfida che non ha eguali.

«Potrai essere stato accettato, William, ma devi dimostrare di meritartelo. Il South Side non è per tutti e non è una sfida, non è un gioco. Agisci seriamente, dopodiché vedrò di capire quanto rispetto tu possa meritare.»

Perché nonostante ogni cenno di distaccato allontanamento, so che è questo che richiede ed il motivo per cui le nostre armi continuano a incrociarsi. Un legame non può essere dimenticato e domanda di essere vissuto interamente per poter venire valutato.

Lasciare le cose a metà non è nello stile di entrambi, così come vederle uscire dal proprio ordine.

Per questo motivo avverto come una stretta allo stomaco ed un giramento di testa quando, alle spalle di William, vedo avanzare Rais dritto verso di noi privo di guardia.

Aggiro l'uomo che ho di fronte in un attimo, per poter andare verso la fonte di molte mie angosce.

«Ti avevo chiesto di rimanere al sicuro dove eri, Ryan!» Affermo con una sfrontatezza che si ricorda della presenza di un estraneo sulla scena.

Rais non sta a sentirmi. Nemmeno pare notare il contorno perché avanza imperterrito, inviolato dal resto del mondo.

«Dovevo parlarti.»

«Dove è la guardia?»

«Lascia perdere la guardia e ascoltami» chiede, una volta che siamo arrivati di fronte e ci siamo fermati. Al di sotto della sua acconciatura confusa sembra svettare una sicurezza mai vista prima che per un momento mi strega e fa passare l'angoscia. Mi domando se le mani, in sua presenza, continuerebbero a tremare in preda a quel sentimento convulso. «Ho deciso una cosa» mi dice, ma di colpo la sua voce termina. Gli occhi sgranano. L'attenzione viene rivolta all'uomo alle mie spalle.

Mi volto nuovamente anche io, costatando che tra le mani tiene ancora la pistola e che forse è questo il motivo della paura di Rais.

«Non preoccuparti» gli dice William, tornando al suo sorriso che stavolta rivolge in direzione del mio ragazzo. «Ho rimesso la sicura.»

Sarebbe un azione alquanto incauta riferire che la mia nemesi non è pericolosa, perché è da incauti sottovalutare chi ti si pone contro, palesemente, in un atteggiamento di sfida ma non posso fare altrimenti che cedere ad un compromesso.

«Vieni avanti, vi presento.»

Non era stato mai tanto immobile come adesso. Rais sembra non volersi spostare di un passo ma tento di rassicurarlo dall'effetto della paura. I nemici sono vicini ma non si mostrano mai tanto alleati di un cameratismo che ha generato orgoglio e testardaggine al tempo stesso.

«Ryan, questo è William, ci siamo conosciuti nell'esercito e presto lavorerà con me in centrale. William, Ryan.»

Ed è per primo il biondo a tendere la mano ma questa pende nel vuoto, assieme al sorriso che aveva rivolto al primo che continua a rimanere immobile, pietrificato in una posa che adesso sembra aver annullato la paura, facendogli raggiungere il disgusto della stessa, seguita da una decisione.

Non gli importa di presentarsi a lui, di stringergli la mano o esordire in un finto accenno di sollievo che si può avere dinanzi una nuova conoscenza.

Si volta solo verso di me, vestendo un coraggio che è tessuto dalla materia della più pregiata raffinatezza, per poter essere risoluto nel dirmi ciò che gli eventi lo avevano costretto ad interrompere.

«Non voglio una nuova guardia del corpo. D'ora in poi non lascerò più il tuo fianco, qualsiasi cosa accada.»

P.O.V.
Rais

Era la notte di una cupa giornata di Dicembre, lo ricordo. Ancora non avevamo imparato a conoscerci ed eravamo solo dalla stessa parte della battaglia ma nello stritolio di ossa che si era trovato a rompere, nell'agonia di un corpo che aveva lasciato ferito e sanguinato sul marmo del suo soggiorno prima che le guardie lo trascinassero via, aveva esordito con una frase sibilata tra i denti in una missiva che non aveva destinatario, vista la nostra perfetta solitudine.

"Diventerò il suo incubo", aveva detto William nel vuoto.

In un primo momento credevo che promettesse l'inquisizione costante, ripetitiva, della tortura alla quale poco prima aveva dato vita, assicurando al vuoto, che aveva un collegamento diretto con l'orecchio dell'uomo che a pezzi ci aveva abbandonato, la certezza data dal ripetersi di quella difficile incombenza svolta poco prima, in una violenza guidata. Quasi fosse suo dovere l'assicurarsi che quelle ossa potessero non guarire.

Solo con il tempo mi sono reso conto a che cosa si riferisse.

Divenire un incubo è vestire i panni di un attesa eterna. Essere il mostro che aspetti che ti raggiunga da dietro ogni angolo, tirando un sospiro di sollievo nel non vederlo presentarsi ma cadendo nel tripudio dell'agitazione all'ipotesi di un futuro incrocio con una nuova via. Significa trasformarsi in tormento, vivere come un'ombra che infetta costantemente i pensieri e che quando diviene più piccola quasi appare indistinta, inesistente, ma che in verità è più che mai pronta per assumere dimensioni colossali nel porsi di traverso alla tua vita.

Ed eccola ritornata, qui, di fronte a me, la motivazione di ogni mia paura. Sfoggia un sorriso di bestia, mi tende la mano... ma la sua zampa ha artigli, la sua bocca affilati denti. Mi rivolgo alla salvezza, promettendole il mio amore.

Non avrei mai voluto abbandonarla, ed ora non lo desidero più che mai perché vedo riposare sulla sua spalla destra un demone dall'aspetto feroce che, silenzioso, durante la nostra conversazione spia istanti di vite che può sottrarre.

Come aprire gli occhi all'amore? Sono pronto a parlare, a urlare, a confessare, nonostante la paura perché sono stanco di vivere facendo nascondino con gli incubi, ma è la destinataria della mia ammissione per prima a interrompermi, sopraggiungendo con un tono di rimprovero.

«Che cosa stai dicendo? Non puoi. Non potevi nemmeno venire qui, devo contattare il poliziotto che ti faceva da scorta.»

Sapevo che avrebbe detto qualcosa di simile, che avrebbe continuato a ribellarsi quanto bastava a consentirmi una via di fuga.

Che ci provasse pure a chiamare dall'interfono offerto dal distretto e appuntato sul petto come sta facendo adesso, che lo facesse pure perché la mia idea non cambia.

Resto a fissare negli occhi William con una sfida che Francis ancora non è in grado di conoscere.

Avrei comunque dovuto immaginarlo che quando i passi dell'angelo si fanno più distanti, nel discutere con la piccola radio, quelli del diavolo si rendono più vicini, schiavi di un divertimento che non ha eguali.

Lo pone vicino al mio sguardo ma non al di sotto. Decide di preservare una certa distanza, all'apparenze, forse temendo ciò che Francis potrebbe essere in grado di vedere per quanto dovrebbe preoccuparsi di ben altro al momento, come la sua vita.

Noto il gesto lento che effettua nel riporre l'arma nella fondina ascellare, la sua fedele compagnia, a riposo al di sotto del marrone soprabito aperto, dopodiché pone una mano nella tasca di quest'ultimo assumendo una posa che mette in mostra la sua serenità.

«Ciao, Ryan, ne è passato di tempo.»

«Ne trascorrerà ancora molto altro, prima che possiamo tornare a vederci.»

«Lo credi sul serio?»

«Racconterò tutto a Francis.»

«Non ti conviene farlo.»

«Perché?»

«Perché altrimenti dovrò ucciderlo.»

Un altro genere di mafioso avrebbe tentato di usare strategie che implicassero l'arguzia. William no. Lui svolge il suo lavoro nella meticolosità di un sicario e mi è fin troppo nota l'esattezza della mira che può avere dall'arma che tiene contro il petto.

«Non ne avrai il tempo.»

«Che cosa ti da tutto questo coraggio, Rais? La lontananza da noi ti ha per caso privato della ragione? A cosa si deve questa fedeltà nei confronti della giustizia?» Mi domanda, facendo passare gli occhi tra me e Francis. Poi, la sua bocca si apre leggera e lo stupore lo raggiunge trafiggendo la sua anima con la punta infuocata di un arco, ardendo tutto. «No... non dirmi che è così che stanno le cose. Quasi non ci credo...»

«Non alzerai un solo dito. Mi hai capito, William?»

«Ora che è chiaro ad entrambi quanto la tua assoluta devozione vada ben oltre i confini di una semplice fiducia, possiamo tenere di conto della tua parte in tutto questo?»

«Lascia Francis fuori da questa faccenda.»

«Mai avrei pensato che foste tutti coinvolti... Ha l'anello di Attila, Rais. Anche questa una coincidenza?»

Il cuore mi batte tachicardico ma il volto tenta di mantenere la sua espressione immutabile, nell'approcciarsi dinanzi una sfida. «Si conoscono, questo è tutto. Tienilo fuori dai tuoi affari.»

«Ed in cambio, Rais?» Chiede, nel desiderio di farmi pronunciare la mia parte. «Che cosa mi darai in cambio per non uccidere il tuo uomo? Per non mettere a ferro e fuoco l'intera città? Sai che lo farei, mi conosci... sei uno dei pochi che sa di cosa possa essere capace...»

Avevo promesso a me stesso basta con le bugie. Mi ero detto che la mia anima sarebbe stata completamente esposta tra le mani di Francis ma ecco che mi trovo dinanzi un'altra menzogna veicolata dalla paura.

Quando l'avevo visto, giungendo fino a qui, alle spalle di Francis e con in mano una pistola ero morto in un istante, cadendo nel vortice del mio incubo. Avevo visto il mio timore realizzarsi con prepotenza ed è con lui addosso che fisso questo sicario. Mi sta chiedendo qualcosa, una sorta di pagamento e la merce che trasporta è l'ulteriore mancanza di fiato che possiedo, l'agonia di un rilascio, la preghiera di un uomo privo di fede.

«Voglio il tuo silenzio, Rais. Questo è il prezzo per la vita dell'uomo che stai proteggendo.»

Ed è in questo solo istante, con la voce di Francis in sottofondo a riempire l'aria in una serie di lontane richieste, che mi accorgo quanto la vita sia un insieme di esse. Di come lottare significhi trovare un modo per urlarle e proteggere voglia dire annullarle alla stregua di un respiro che tenta di tenere, a tutti i costi, viva la più bella anima in vita.

«Dobbiamo rientrare, il capitano ci aspetta» dice Francis di ritorno, interfacciandosi tra di noi.
William, invece, voleva una risposta che non sta ottenendo.
Cammino in avanti per primo ed avverto un principio di nausea nel sentire entrambi i loro passi a seguito.
Vorrei chinarmi contro un palazzo, nel vicolo più all'oscuro dei miei malesseri, e vomitare tutto il male che mi tengo dentro ma finirebbe per far appassire questo terreno fin troppo povero.

Ogni cosa è accaduta in un solo istante. Stavo correndo da Francis, pronto a rivelargli la mia verità, quando la vita mi aveva travolto con quella dose di problemi che marcia, assieme a noi, rimanendo alle mie spalle.

Arrivati vicino a Carlail, seduto ad una delle scrivanie della sala comune per poter sovrastare alla lettura di certi protocollati, la sensazione di nausea persiste, affiantaca alla sua attesa data dalla nostra triplice presenza.

Scorre infatti poco dopo gli occhi lungo tutti noi, soffermandosi su William per ultimo ma tornando a parlare con me.

«Ti è stato proibito camminare senza scorta. D'ora in poi, quando non è presente Francis con te, ti sostituirà una guardia fissa.»

«Non voglio un'altra guardia.»

«Adesso avanzi richieste?»

«Non lascerò Francis, tantomeno adesso. Se lo può scordare.»

Nemmeno mi interesso di dirgli ciò a cui avevo pensato, arrivando qui: il fatto che, anche se pesante e masochistico, avrei voluto conoscere i motivi del mio allontanamento alla centrale. Avevo risolto molti casi, avevo visto il male negli occhi eppure Carlail non lo aveva ritenuto sufficiente per farmi restare.
Capisco che sia possibile, se quest'ulteriore dose di male proviene da un cognome sul quale ho imparato a sputare saliva e sangue.

Carlail direziona lo sguardo verso l'incombente figura a pochi passi da me, esternando una richiesta che mi fa chiudere gli occhi.

«E tu chi sei?»

Avrei voluto che le nostre informazioni fossero state di maggiore aiuto. Che le prove non fossero scomparse. Che le telecamere fossero riuscite a catturare il suo viso. Con tutto quel carico di testimonianza non mi sarei ritrovato da solo a rabbrividire nell'essere possessore dell'unica verità, che ovviamente non viene espressa.

«Davies, signore. Sono una recluta dell'accademia, io e Francis abbiamo già lavorato insieme. Ho mandato richiesta per un posto in questo distretto e sono stato accettato.»

Prego la sventura affinché possa voltarmi le spalle, almeno per questa volta. Dimenticarsi di me e di questa città ci metterebbe in salvo.

«Lieto di averti con noi, Davies. Avevamo bisogno di nuove reclute e a quanto pare questa è stata un'ottima annata. Vedremo di procurarti una divisa.»

«Grazie, signore.»

«In quanto a te...» la rigidità del tono di voce del capo di polizia mi costringe a socchiudere di nuovo gli occhi, avendo compreso che mi fosse rivolta. «Ti voglio fuori da questo ufficio all'istante.»

«Non andrò dalla vecchia guardia.»

«Non dovresti causare ulteriori problemi, non credi? Ne abbiamo già abbastanza.»

Tra i denti, mordo debole l'interno di una guancia, frenando l'istinto di urlare e di scaraventare all'aria tutto. Resto immobile, inclinando appena lo sguardo per poter spingere più a fondo la lama delle parole capaci di squarciare la superbia sulla quale si fonda l'intero carattere del capo di polizia. «Se non posso rimanere con Francis, allora mi affidi ad una persona nuova» commento, per poi voltare la testa verso William. «Le reclute sono qui per questo, non è vero? Offrire protezione.»

La bocca di William si arriccia in un minuscolo sorriso invisibile ad occhi impreparati, eppure io lo vedo benissimo perché segna la mia prima vittoria. Gli altri possono non capire ma ho appena attirato a me l'uomo dal quale sono scappato per mesi.
Ho abbracciato il mio incubo, e l'ho fatto affinché potesse non nuocere più alcun male.

Da certi errori non si può sfuggire, ma si può fare di tutto per mettere in salvo ciò che non hanno rovinato.

P.O.V.
William

Eccoci giunto alla realtà dei fatti. Ad udire quella voce che per molto tempo aveva sibilato, in sottofondo, nelle mie orecchie consigliandomi prudenza.

"Non fidarti mai".
"Non credere a quest'uomo che ti sfida".
"Non cedere al tuo stesso inganno".

Avrei dovuto darle retta, ma sono stato incauto. La prima volta che avevo visto Francis, nella notte della morte di Zelda Garcia, che stringeva tra le mani una pistola, premendola contro la schiena di Taigar per proteggere quel cane di Hasim, avevo notato in lui qualcosa di austero e affascinante, una condizione che può comunicare solo con quella di pericolo.
La seconda volta, su terra militare, mi ero detto che tra me e lui esisteva qualcosa di troppo simile, una specie di legame che mi esortava a chiedermi quante caratteristiche della mia stessa vita lui avesse vissuto.

Poi l'ho conosciuto e mi sono scontrato con la forza del suo credo di giustizia. Avevo lottato, al solo scopo di fargli la guerra, ma era rimasto tutto un gioco. Mai avrei creduto che potesse accadere davvero eppure eccoci qui. Quell'anello, Rais tra di noi, ne è la testimonianza.

Non ero riuscito a connettere i fatti. All'accademia nessuno nominava il nome del soldato McGuire, i fascicoli non riportavano niente del suo rapporto con Francis ma quell'anello... avevo visto Attila passarselo tra le dita solo pochi giorni fa, notandone l'assenza nel nostro ultimo confronto. Ed ecco che è tra le dita di Francis in una sorta di congiunto passaparola di fedeltà eterna, di rispetto.

Ed inoltre... che cosa dire di Rais? Non avevo mai creduto sul serio che ci avesse traditi. Mio padre, invece, non essendo della stessa idea era rimasto addosso alle inchieste di polizia ed era riuscito a far sparire certe prove prima che raggiungessero il tribunale... ma mai avrei pensato che potessero essere anche sue. Di Hasim sì, persino di Taigar, ma Rais... è sempre stato una sottospecie di codardo, un ragazzo che fugge, che non lotta, alla costante ricerca di un posto che possa accoglierlo come si deve e che potesse chiamare casa.
Nel corso di tutto questo tempo è riuscito a cambiare in modo superbo.

Nemmeno trema più, la pelle mostra un aspetto sano... che fine aveva fatto l'eroina? Era la mancanza di essa a renderlo tanto coraggioso? E poi quei capelli... quasi mi viene da ridere. Non l'ho mai visto con un capello più lungo di tre centimetri in vita mai, a malapena lo riconoscevo. Strategia per non farsi riconoscere o semplice richiesta del suo fidanzato?

Francis, il suo ragazzo.

Ci sarà da divertirsi, me ne rendo conto.
Rais ha appena attuato una strategia per tenermi lontano da dove desiderassi essere ma che ci provi ancora a lottare. Ora che conosco i volti dei miei nemici sono più che mai pronto a dare battaglia, affinché il nome dei Lee non venga dimenticato. Né in questa stanza, né in questa polverosa città.

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