77- Il sapore delle ciliegie
P.O.V.
Amy
Per ognuno di noi il South Side è qualcosa di unico e privato, che può cambiare connotati vestendo il ruolo di una madre crudele ma comprensibile per Francis, di un appagante sforzo fisico per Ercole capace di dar forma ai sogni, di una spinta all'indipendenza per Halima, della melodica e romantica libertà per Issa, di un dovere ed un ricordo per Cedric, di un'uguaglianza per Lèa ma per me la mia città prende vita non appena scaturisce, nell'angolo più remoto e dimenticato nella quale la si poteva cercare, una gioia immotivata che genera un principio di infantile allegria.
Ed è su questi rami che mi trovo ad abbracciare un simile sentimento: persa tra le braccia di un ciliegio, mi muovo con la stessa precauzione che si potrebbe avere nello sfiorare la guancia di un anziano parente, al solo fine di raccogliere il risultato della sua profonda saggezza.
Pongo un piede di fronte all'altro, rimanendo in equilibrio su questo sostegno che mi distanzia tre metri da terra, per poter rimanere ad assaporare il dolce frutto che sono riuscita a cogliere dal ramo, immobile nel venire sfiorata dal respiro docile del vento.
Simili alberi da frutto non erano nemmeno immaginabili nel passato di questa società ma molte cose sono cambiate, si sono rinnovate, mostrando come la crescita personale possa essere sinonimo di sforzo quanto di ricompensa.
Perché sulla lingua il sapore tenero della ciliegia soggiorna alla stregua della morbidezza del più intimo bacio, donando una sensazione che ti fa come chiudere gli occhi, abbandonando tutto ciò che è presente intorno, per poter percepire sulla pelle la bellezza dei raggi di sole che filtrano attraverso la ballata delle foglie, accompagnati come sono da questa brezza estiva che ti lascia ad assaporare a pieni polmoni una libertà pura, unica.
Con la primavera molte cose cambiano, si trova una propria pace, le giornate si allungano, rendendo impossibile provare qualsiasi moto di tristezza.
Durante la scuola odiavo simili mesi perché avrebbero comportato infinite sessioni di studio ma ora non è poi così, ora sono libera.
Sorrido al pensiero, riaprendo leggera gli occhi mentre la ciliegia continua ad essere assaporata dalla mia lingua fintanto che il mio sguardo, nella distrazione di un attimo, non viene riportato a terra e quindi all'uomo che dal basso mi osserva.
Il cuore trema ed il sostegno di questo massiccio ramo non appare tanto solido da poter subire, immutabile, il battito accelerato che sta prendendo vita in me.
Cedric è ai piedi del fusto con uno sguardo concentrato, diretto in alto, verso me.
Mastico con difficoltà l'ultima parte del mio guadagnato frutto, percependo una vertigine non generata dalla lontananza dal suolo.
I suoi occhi mi scorrono addosso, lenti, passando dal piccolo rametto di ciliegie rimasto in una mia mano per poi discendere lungo la mia canotta bianca e gli short di jeans che vesto, lasciando nude la gambe concluse con scarpe in tela. Un vestiario troppo stropicciato e scomposto da essere passabile all'impeccabilità dei suoi abiti, leggeri ed eleganti, ma non è l'inadeguatezza la sola a raggiungermi dal momento che questa viene battuta da una sensazione immensa. Ancora più forte di quella generata dall'avventura tra questi rami.
«Sei tornato» sussurro, non potendo credere ai miei occhi. Alle volte in cui sono rimasta ad osservare l'ingresso alla Garcia nella speranza di vedergli superare quel cancello e quante erano state le delusioni, le paure, scaturite dalla sua assenza.
Vorrei scendere da questo ramo e baciarlo.
L'impulso, da sempre esistito, è stato aggravato dalla sua assenza in queste due settimane.
Sono cosciente che si trattasse di lavoro ma quando avevo scoperto della sua partenza avevo sentito chiaramente il cuore restringersi.
«Ciao» mormora, facendo nascere sul mio viso uno spudorato sorriso.
Faccio attenzione eppure mi muovo in velocità quando mi trovo a ridiscendere, in una conseguenza di slittamenti e punti di leva, fin tanto da raggiungerlo e mostrare il sorriso ancora stampato.
Cedric analizza quest'ultimo, facendo rimanere il suo sguardo incandescente nella direzione del mio.
«Allora? Come è andata?»
«Pensavo di raggiungere Ercole, in modo da parlarne. Ti unisci a me?»
Provo a ripetere a me stessa che non c'è niente di strano o di insolito. Questo è il nuovo Cedric: l'uomo che da appena un mese è tornato a parlarmi, sempre con maggiore frequenza eppure raramente, per avere in certe occasioni il mio punto di vista.
Il tema in comune a tutte quelle visite era stato il lavoro, ancora non sono riuscita a farlo ridere come tanto desidero fare o a parlare a cuore aperto di quello che sento provare per lui ogni giorno più forte, man mano che il tempo passa. No, non ho avuto il coraggio perché di occasioni ce ne sono state, eppure la sua passività e la speranza di poter sentire da lui per primo l'inizio di quell'argomento tanto difficile da affrontare, ogni qual volta mi tirava via dalle preoccupazioni, aveva innescato nelle mie giornate un meccanismo di rovina, una sorta di disfacimento, che comportava in se la concentrazione totale di tutte le mie speranze.
Sono presenti ancora, sotto il primo strato di pelle, pronte ad essere stuzzicate come nervi esposte ad una sua occhiata più lunga del solito eppure il loro contatto non genera alcuna forma di vita. Rimaniamo, sempre, due semplici estranei che in passato hanno condiviso qualcosa ma che ora non si trovano a condividere altro che un posto di lavoro.
Non so nemmeno se Cedric sia tornato a fidarsi. Temo proprio di no, nonostante questi inviti e quei miei vani tentativi di indagine messi a tacere sul nascere.
«C-certo.» Riesco a rispondergli, per poi vederlo voltarmi le spalle e fare strada. Ad ogni modo, quello che abbiamo adesso è comunque un progresso. Almeno abbiamo smesso di urlarci contro. Il vecchio Frederick ne sarebbe felice, sfortuna però vuole che se ne sia andato.
Rimango a pochi passi di distanza da Cedric quanto basta a vederlo procedere con serenità immerso nel suo mondo, vedendo una mia proiezione corrergli incontro e stringerlo da dietro. Maledetti pensieri inopportuni, diventa sempre più arduo limitarli.
«Sono passato poco fa a informali, dovrebbero già essere alla casa.»
«Sembri tranquillo» constato.
«L'incontro con gli impresari è andato bene.»
Fine della nostra conversazione, non ho più altro da chiedergli riguardo al lavoro, quindi posso solo avanzare una frase coraggiosa per la sua estraneità.
«Immagino che ora che sei tornato Issa e Halima debbano andarsene...»
«La casa è abbastanza grande per tutti e tre. Possono restare, se Halima ritiene di essere più al sicuro.»
Tre?
Sapevo che Sasha era partita con lui, in modo da affiancarlo e sostenerlo durante il viaggio preceduto dall'incontro con quelle persone capaci di spingere l'azienda fino ai massimi livelli. Credevo che sarebbero tornati insieme, che non fosse insolito per loro vivere in quella casa di famiglia... per noi non lo era stato e ci conoscevamo persino da meno tempo.
«Come sta?»
«Ancora scossa. Dovresti parlarle.»
La risposta mi fa deglutire. «L'ho fatto, quasi ogni giorno» da quando si è trasferita da te. Le ho parlato, le sono stata vicina. Le ho offerto un conforto e la rassicurazione che i suoi incubi altro non erano che illusioni, perché è al sicuro se rimane vicino a noi. «Ho creduto che un confronto con Lèa le fosse più d'aiuto, visto quello che Lèa ha già affrontato.»
Forse è la conversazione più lunga che io e lui abbiamo mai fatto negli ultimi mesi e riguarda altri.
«Non soffre di alcuna forma di tristezza o depressione, ha solo molta paura ma capisco che intendi. La verità, però, è che lei vuole te.»
«Mi domando perché, non sono niente di speciale...» affermo con sincerità, avvertendo però la pesantezza del silenzio che ne consegue. Non sarà lui a spiegarmene i motivi, forse potrebbe essere in grado di farlo Ercole ma lui no, mai e poi mai, perché le sue parole sono calibrate e non c'è lo spazio di alcun respiro in esse.
«Vuole te e basta. Non credo ci sia bisogno di altri motivi.»
Credevo che l'assenza di risposta pesasse... non avevo affatto considerato il macigno delle parole, eppure in qualche modo riescono a trasmettermi un brivido che è pura, ed incosciente, speranza. Come riesce a darle vita così facilmente? Pare quasi assurdo dipendere da lui così tanto ma ecco qui... questo è quello che sento.
Non appena entriamo all'interno della casa volgo subito l'attenzione alla piccola sala sulla sinistra nella quale ritrovo Halima in piedi, felice del mio arrivo.
Le vado incontro e la stringo tra le braccia, notando nonostante la fretta dell'azione quanto diventi sempre più bella.
«Ciao...» sussurra contro la mia spalla, stringendosi a me e mantenendo il viso voltato contro la mia scapola ed io, dall'alto dei suoi riccioli, sorrido e la ricambio più forte, rassicurandola di esserci.
«Dove lo hai lasciato il gigante?»
«Qui fuori, di guardia.»
«Ti sei spaventata molto ieri notte.»
«Credevo di aver visto un'ombra...»
E credeva che quell'ombra appartenesse all'uomo dei suoi incubi.
Nessuno di noi è riuscito a vederlo, mai, nemmeno Issa per cui non conosciamo affatto il suo viso se non grazie a quello che ci ha raccontato lei. Può non bastare, ma la guardia da molti mesi non si è abbassata nemmeno per un attimo.
Tabansi è un uomo potente ed è per questo motivo che tutti noi siamo convinti che sappia con esattezza dove si trovi Halima ma se è così... allora perché non sta facendo niente per venire a prenderla?
Forse è il mostro che lei stessa ha descritto, in grado di cibarsi più che di un diluito dolore di una paura che sconcerta, arrivando ad impennate di terrore, in minuscoli momenti mirati. Forse gode nel vederla soffrire così, giungendo a lei nei soli momenti in cui è sola, alla stregua di un incubo divenuto reale, eppure non possiamo non prendere in considerazione l'ipotesi che sia tutta una suggestione. Altrettanto più pericolosa ma in grado di darci una chance perché, in un simile caso, Tabansi non conoscerebbe la locazione di lei e non potrebbe venire a prenderla.
«Non preoccuparti, Halima. Sono sicura che non sia stato niente.»
«Cedric è tornato» sussurra, una volta sollevato il viso dalla mia spalla. «Ed è solo» commenta, per poi fissarmi negli occhi.
«Capisco che tu stia cercando di non farti vedere preoccupata da me, ma non focalizzarti su altro...»
«Davvero non ne vuoi parlare?»
«Mi sta aspettando, andiamo su insieme. Vuoi venire con me?»
«Posso chiamare anche Issa? Non me la sento di lasciarlo fuori.»
Volto appena la testa verso Cedric che lentamente annuisce, mostrandosi consapevole della situazione nonostante non fosse capace di udire. Ed ecco che Halima ottiene il suo consenso. Cedric sale per primo le scale di casa, seguito da me, Halima e Issa non appena riusciamo a ricongiungerci, fin tanto da arrivare allo studio al primo piano.
Rimango per alcuni secondi bloccata di fronte l'immagine del balcone con vista sulla proprietà, consapevole che è in questo corridoio che sua nonna è morta.
Lui, invece, non sta nemmeno guardando: entra semplicemente nella sala, lasciando aperta e bloccata la porta al fine di favorire il nostro ingresso.
Ercole e Lèa sono già dentro. Il primo dei due mi strizza l'occhio mentre l'altra mi dedica un sorriso che poi rivolge anche alla sensuale quanto silenziosa figura femminile alle mie spalle.
«Credo che sia un bene di esserci riuniti tutti, ho bisogno di parlarvi di diverse questioni» esordisce il Garcia presente, andando ad affiancare il suo socio alla pari, rimanendo in piedi dietro la scrivania.
«Di che cosa si tratta, Garcia?» Chiede Issa, prendendo posto ad una delle poltrone.
«Prima la questione degli affari: l'incontro è andato bene» ci dice, spostando lo sguardo da Ercole a me. «Gli investitori hanno acconsentito a coprire le spese della nuova irrigazione ed è così che rientriamo nuovamente nel budget. Ci sono stati imprevisti, litigi con le figure non troppo competenti di progettisti e lavoratori, ci sono stati dei ritardi ma eccoci qui: la nuova tecnologia di condotta dell'irrigazione eviterà il ristagno dell'acqua, non generando paludi, garantirà un ingresso potabile al pozzo e coprirà ogni centimetro di questa terra. Possiamo dare il via ai nuovi cicli di raccolto e sistemarci al meglio per questo inverno. Finalmente siamo coperti, al sicuro e non solo in questo...»
Rimaniamo tutti in attesa della prosecuzione di quel discorso che siamo coscienti si evolverà verso ben altri problemi, in una risoluzione che ci auguriamo possa essere positiva.
«Francis è tornato in città. L'ho sentito in paese e Carlail me lo ha confermato. Ormai è un poliziotto a tutti gli effetti e si occuperà del caso Lee alla centrale.»
Alla scoperta del ritorno del mio migliore amico le mani tremano e si stringono tra loro mentre un profondo sorriso cede il paragone solo con quello sul viso di Issa, felice quanto me di questo arrivo, quanto Ercole nonostante si limiti ad un mezzo sorriso ma mi accorgo presto come l'immutabilità sia presente sul volto di Halima e per alcuni istanti mi perdo nel ricordo di una ferita che non si è rimarginata. Sono ancora in conflitto, non lo avrei ritenuto possibile e questo fa tenere presente come non mi sia presentata, la prima volta che ci siamo conosciute, come la migliore amica di Francis ma come la ragazza di Cedric per non subire un suo allontanamento preventivo. Eppure ora siamo diventate amiche, dovrei convincerla a cambiare opinione su di lui perché Francis non merita alcun tipo di rabbia e colpevolezza.
Ha solo amato troppo, fin tanto da cadere nell'incoscienza di un errore.
Allontano lo sguardo e cado in quello di Cedric, in un'inconvenienza che è partecipe della rotta dei miei pensieri.
Un simile paragone è inevitabile, io e il mio migliore amico non siamo tanto diversi.
«Immagino che tu voglia concludere questo tuo discorso assicurandoci di sentirci liberi di andare a salutare il nostro amico» procede nel dire, con ironia, Issa, dondolando il corpo all'indietro sulla sedia mentre mantiene le mani strette tra loro ed il cappello in testa. Halima al suo fianco invece tace, con lo sguardo diretto solo in direzione di Cedric.
«No, volevo dire qualcos'altro e riguarda te, Halima. O meglio, tuo fratello.»
«Che cosa succede?»
Da quello che so, Hasim era rimasto nella casa di Issa nell'attesa di vedere Tabansi tornare. Per tutto questo tempo era rimasto pronto ad aspettarlo ma nessuno si era fatto presente. L'attesa era divenuta soffocante ed è per questo motivo che adesso non rimane che augurarsi una situazione a nostro favore.
«Niente di preoccupante, anzi. Se sei d'accordo, gli proporrò di venire a vivere in questa casa, così da essere al tuo fianco.»
«Ha rifiutato in passato, lo farà anche adesso.»
«No, se è per la tua incolumità. Poco fa vi ho detto dell'arrivo di Francis. Con lui sono arrivati nuovi cadetti e questo significa che finalmente il distretto ha la giusta dose di poliziotti. Tuo fratello verrà tenuto sotto controllo, Halima, da una guardia di polizia. Questo vorrà dire che finalmente il distretto funzionerà come deve e che tuo fratello garantirà la protezione ad entrambi, decidendo di starti vicino. Che cosa ne pensi?»
Da lontano, un rumore di passi sembra salire le scale ma non è tanto forte da sovrastare la voce decisa con la quale Halima decide di farsi avanti.
«Sì, può funzionare.»
«Scusatemi, sono arrivato in anticipo?»
Blake ci ha raggiunti stringendo tra le mani una valigetta, costretto nei suoi abiti eleganti ed in quel sorriso sfrontato che sofferma su di me, alla stregua di una provocazione.
Lo ricambio appena, spostando l'attenzione di Cedric che si mostra indifferente a quell'arrivo, quasi distaccato mentre abbassa la testa per poter concentrare l'attenzione su pochi fogli che si passa tra le mani.
«No, notaio, sei in perfetto orario. Abbiamo finito» afferma, per poi alzare nuovamente il viso e scorrere gli occhi su tutti noi. «Sono stati dei mesi difficili, la Garcia è cambiata molto ma grazie a tutti voi il risultato si è rivelato eccellente. Volevo ringraziarvi.»
«E congedarci per tornare a lavorare, capito» lo interrompe ancora una volta Issa, riuscendo a strappargli un minuscolo sorriso. Provo invidia per quel traguardo.
«Non è proprio così...»
«Sì, sì, abbiamo capito dittatore, ma questo posto è per metà tuo, hai diritto di comandare» continua a dire il musicista, alleggerendo l'atmosfera e dirigendosi verso l'uscita seguito da Halima.
Io, invece, rimango immobile al mio posto nonostante veda Lèa, a fianco a Ercole, sollevarsi dalla sedia.
«Ercole, ci lasci?» Sento appena dire a Cedric, volgendo la testa in direzione del suo amico.
Per tutta risposta, l'altro non si scompone dalla posa a braccia conserte che aveva mantenuto per tutto l'incontro e con gli occhi sollevati continua a fissare Blake con sufficienza.
«Credo che dovrei restare, invece.»
«Amy, non vieni?» Avverto Lèa domandarmi, a pochi passi da me ormai e con la testa appena inclinata come ad indicare la nostra uscita.
Né Ercole né Cedric si scompongono a quella richiesta non troppo celata della mia amica, che manifesta ancora la mia presenza sul fondo della sala, per cui Blake è solo quando enuncia in un sorriso le sue richieste.
«Se lei lascia la stanza, allora me ne vado anche io!»
«Sei un notaio, Blake, non un intermediario. Limitati al tuo ruolo» è la sola cosa che gli dice Ercole, dopo averlo fissato con astio, mentre Cedric continua a sistemare le sue nuove pratiche che poi abbandona per concentrarsi su di me.
«Tu vuoi restare?»
In un attimo, gli occhi di tutti i presenti si direzionano su di me, gettandomi nell'imbarazzo nonostante tenti di aggrapparmi, unicamente, a quelli inespressivi ma calmi di Cedric.
«Credo che sia meglio che esca...» sussurro, sollevandomi in piedi e fiancheggiando Lèa. Il silenzio consegue la nostra ritirata. Le porte, una volta chiuse, lo suggellano ed è così che mi ritrovo da sola con lei che esordisce in un lento sospiro.
«Ho sempre paura che si scannino, se li lascio da soli» commenta, generando un mio cipiglio.
«Ci sono problemi?»
A chiare lettere, leggo in lei l'esitazione ma la scaccia via prontamente, esibendo un sorriso.
«No, Amy, niente di preoccupante. Adesso andiamo, torniamo giù per il momento, se ci fossero intoppi saprebbero dove trovarci.»
Ed è la sua mano a incoraggiarmi a ridiscendere le scale, posandosi di piatto sul fondo della mia schiena, in un'esortazione che è come un obbligo in grado di allontanarmi sempre più alle porte che ormai si sono fatte distanti, ed oltre le quali non vi sono più silenzi ma parole, di colpo irraggiungibili.
******
Non molto tempo fa avevo avuto paura dei segreti che avrei scoperto Cedric celarmi, eppure ne ero emersa a mani vuote. Nell'archivio delle ricevute di finanza non avevo trovato niente. Nessun problema che non fosse il negativo di un investimento incapace di generare dei buoni frutti ma non mi sono data per vinta perché nell'aria aleggia un alone come di mistero, in grado di nascere persino nella mancanza di atmosfera di una stanza proprio come poco fa, ed è stata grazie a quella sensazione che sono in grado di recepire un senso di incompiuto.
Solo che non so in quale luogo cercare il mio finale. Se non è tra le ricevute dei pagamenti, il suo segreto, allora mi domando dove sia.
«Ti trattieni ancora sulla porta, bellezza?» Esordisce Blake uscendo, come avevo supposto, per primo dalla casa. Tra loro tre, infatti, è sempre l'unico in grado di districarsi in fretta dalla genesi di un ulteriore inconveniente lavorativo. Preferisce privarsi di qualunque opportunità che possa condurre ad un simile scenario, abbandonando di fatti in fretta ogni sala nella quale viene accolto.
«Volevo parlarti, Blake.»
«Non rifiuto mai la discussione con una bella ragazza, figuriamoci se si tratta di te...»
«Perché hai detto quella frase, poco fa? "Se lei lascia la stanza, allora me ne vado anche io"?»
Forse per il sole o forse per la concentrazione, ma gli occhi di Blake si strettiscono rilasciandomi un misero settaccio dell'iride, ridotta ad una fessura, avanzando quel sorriso furbo quanto serio in grado di renderlo del tutto privo di ogni maschera.
«Non ne avevamo già parlato, cara? Sostengo che il mio amico ti allontani troppo dalle questioni interne della società. In fondo, sei quella che ha più incarichi di tutti, qua dentro, no? Dovresti rivestire il ruolo di commercialista, ma si scopre che lavori i campi, gestisci e selezioni gli investimenti più economici e fai affari, in prima persona, con gli investitori che passano di qui per valutare la genuinità dei prodotti. Direi che hai rubato la scena persino a Lèa...»
«Ho parlato con quelle persone solo una volta, ed è stata una fortuna che sia riuscita a convincerli! Questo non vuol dire che Cedric debba includermi nelle sue riunioni. La Garcia è la società della sua famiglia e l'ha spartita con Ercole. Sono vicina ad entrambi almeno quanto Lèa, ho i suoi stessi diritti e limiti.»
«Io, invece, credo che tu sia tanto brava da poter dire di avere un talento naturale... tutti in quelle stanza lo pensano e anche fuori. Lo ritiene Léa così come il tuo ex ragazzo. Nessuno si farebbe problemi se fossi tu, per prima, ad affermare di volere restare. Persino Ercole potrebbe essere a favore. Ti vuole bene quanto tutti noi...»
Incrocio le braccia al petto, sostenendo il suo sguardo fin troppo malizioso a mio avviso. «Ah! Quindi tu mi vuoi bene?»
Sorride ma non abbassa mai lo sguardo. La sfrontatezza era la prima cosa di lui ad avermi colpito. «Il fatto che ci provi con te, non vuol dire che non nutra anche un sincero affetto di amicizia. Mi sei simpatica, Amy, in questi mesi ho imparato a conoscerti e concorderai con me affermando che andiamo d'accordo...»
«Certe volte lo facciamo, sì.»
«Ecco. A tutto questo mio affetto devi aggiungere però un semplice dato di fatto: sei bella ed il mio cervello di maschio va in pappa, dimenticandosi la correttezza, alla tua vista il che ci porta al punto cruciale della faccenda. Il mio bisogno di rimorchiarti costantemente, anche solo per venire ferito dal tuo rifiuto...»
«Ed io non voglio rifiutarti perché sei mio amico ma nemmeno desidero che ti schieri a mio favore così. Cedric potrebbe fraintendere e non voglio che lo faccia» affermo, stringendomi di più in me stessa per potermi tenere al sicuro dalla portata dei tremori che quel pensiero ha trascinato con se.
«Ma guardati... sei ancora innamorata persa. Cedric è davvero uno sciocco a non capirlo.»
«Può aver capito e non volerlo, ma ad ogni modo sono io a non desiderare ciò che ti ho detto, non quando lui è presente. Anche se fosse uno scherzo ingenuo, Blake, non mi fa ridere.»
«Sai» sussurra, abbassando gli occhi appena verso terra come se fosse afflitto da un dolce ricordo, «quando eravamo piccoli, io, Ercole e Cedric litigavamo spesso. Ercole perché si metteva di mezzo, il problema eravamo io e Cedric. Ho sempre voluto quello che gli apparteneva e riuscivo ad averlo ma è solo crescendo che ho capito che l'invidia poteva essere tramutata in altro.»
Resto in silenzio, costringendolo a tornare con gli occhi fino a me per poter guardarlo bene mentre avanzo la mia risposta.
«Non sono un oggetto, Blake. E non sono neanche più sua. Non devi provare invidia di alcun tipo e non devi tramutarla in ironia. Forse non lo sai ma anche quella è in grado di ferire.»
«Ricevuto, Reiners...»
Ed è proprio a queste ultime parole che noto Cedric uscire dal portone di ingresso seguito da Ercole. Solo per una frazione di secondo sofferma lo sguardo su di noi, poi tira a dritto verso la sua strada.
«Dove sta andando?» Sussurro, più a me stessa che al notaio che mi è di fronte.
«Alla macchina, dovrà guidare per dei giorni dal momento che è necessario ottenere la certificazione del collaudo per poter procedere alla messa in funzione delle macchine. Le procedure comunali durano troppo, per cui ha deciso di occuparsene da solo.»
Che cosa? Di nuovo? No!
Avanzo senza nemmeno pensare, lasciando il notaio alle spalle e procedendo nella direzione di lui, sempre più vicino al parcheggio.
Quando lo raggiungo sono priva di fiato ma animata da una profonda convinzione.
«Lascia che ti accompagni» espiro, vedendolo poi voltarsi con lentezza verso di me quasi a valutare la sincerità della mia richiesta. Nel frattempo, recupero parte del respiro.
«Poco fa ho detto che Francis è finalmente tornato a casa. Non vuoi andare da lui, piuttosto?»
Di colpo ci rivedo vicino alle sponde del mio lago, nel ricordo di quel giorno in cui avevo confessato al mio amico la nostra relazione. Non si aspettava che avrei scelto lui, rispetto a Francis. Che avrei preferito il nostro amore rispetto all'amicizia eterna che mi lega a Francis eppure lo avevo fatto, incredibilmente. Mi ero affidata a Cedric. Sono pronta a farlo di nuovo.
«Sarà ancora qui quando torneremo, no? In fondo si tratta solo di pochi giorni.»
Pare calibrare la mia risposta, mantenendo lo sguardo serio e concentrato su di me. «Se è quello che vuoi...»
Non ha idea di quanto lo voglia. Potrebbe concepirlo dal mio sorriso ma si volta prima di poterlo vedere con completezza.
Per la seconda volta in questa giornata mi trovo a fare i conti con la sua schiena che mi cammina di fronte, eppure a differenza di poco fa noto qualcosa di diverso. Lo vedo inclinare il collo, quasi nel tentativo che le ossa producano un piccolo schiocco o che i muscoli possano essere in grado di distendersi, mentre le spalle sono rigide mentre i passi marciano più lenti.
Dovevo immaginarmelo: è appena tornato da un viaggio, per cui è stanco, non può subito guidare. Mi interpongo tra lui e la portiera del guidatore in meno di un attimo.
«Dammi le chiavi. Sei troppo stanco per metterti alla guida.»
Sgrana gli occhi, sorpreso dalla mia affermazione. «Sai guidare?»
«Ho imparato da tempo.» Non indaga quando l'abbia fatto, consapevole di come il solo momento in cui sono rimasta sola sia stato a seguito della nostra rottura, per cui io non mi pronuncio oltre, tendendo unicamente in avanti la mano per poter afferrare il mazzo di chiavi.
Me le cede, per poi compiere il giro della sua auto sulla quale ho voluto montare dalla prima volta che l'ho vista.
"Amore, ho ancora le chiavi della macchina!"
La voce di Sasha torna nella persecuzione di uno spettro che ancora non ha lasciato la mia mente, nonostante il tempo che è passato, tanto da farmi supporre che certi traumi non si dimentichino facilmente.
Già, penso, voltandomi verso Cedric mentre prende posto al sedile del passeggero, certe situazioni feriscono.
Torno diretta con l'attenzione verso il manubrio, rimanendo folgorata l'attimo dopo sulla bellezza degli interni. Da fuori la macchina nera è elegante e sobria ma all'interno mostra una vasta esposizione di accessori dei quali, in gran parte, non conosco la funzione.
«Sicura di saperla mandare?»
Vuole davvero giocare al gioco della fiducia? Metto in moto e procedo, rendendomi conto quanto in realtà sia facile prendere dimestichezza con questa novità.
La sicurezza, però, arriverebbe fino ad un più alto rigore se solo non avessi Cedric tanto vicino.
Lo vedo afferrare il telefono, con la coda dell'occhio, in modo tale da portare all'orecchio la chiamata di un numero che poco dopo gli consente di tornare a parlare.
«Lèa, sto per arrivare al cancello principale e c'è Amelie con me, andiamo via insieme. Puoi aggiungere qualche tuo vestito alla sacca? Non ho idea per quanti giorni ci tratterremo.»
Mi domando quanto sia distanza la nostra meta e complicata la fine del viaggio ma a quanto pare quando si parla di burocrazia ed egualità, nel South Side, non si passa mai per la via più breve.
Procedo lenta per poter dare il tempo a Lèa di preparare il tutto, finendo poi per soffermarmi dei minuti dinanzi il cancello, in un silenzio condiviso, fin tanto che non vedo la mia amica accorrere con il borsone da viaggio designato, abbastanza piccolo da passare per il finestrino aperto.
«Grazie, Lèa.»
«Lì dentro c'è tutto, compresa tutta la pratica del contratto mentre qui c'è il vostro pranzo. Fate attenzione lungo la strada.»
«Meglio di una mamma» commenta lui, mostrando il secondo mezzo sorriso della giornata. Mi maledico di nuovo, non essendo stata in grado io di generarlo.
«Avete entrambi bisogno di rassicurazioni, quindi non lamentatevi.»
«Grazie, Léa» ripeto in modo da rendere tranquilla l'agitazione che l'affligge dinanzi tutte le situazioni scomode ed è grazie a queste nuove certezze che può avanzare con gli ultimi appunti da viaggio.
«In questo libretto invece, Cedric, troverete il nome dell'ostello che ero già riuscita a prenotare. Si trova a metà strada, spero coincida bene con il tempo del vostro viaggio.»
«Mi chiedo che cos'altro avessi organizzato se ti avessi dato maggiore anticipo» commenta, passandomi la busta con il pranzo poco dopo che ho messo la macchina in folle, così da poter recuperare le ultime direttive cartacee di Léa.
Scruto all'interno della busta, notando abbastanza panini da poter sfamare un esercito e sopra di esse una scatola confezionata delle nostre ciliegie capeggiare su tutto.
La estraggo e posiziono tra i due sedili, poco prima di voltarmi per poter abbandonare la busta sui sedili retro.
Nello stesso momento, Cedric compie la medesima mossa ed è così che in un istante che viene immobilizzato nel tempo arrivo tanto vicina al suo viso come non lo sono stata da mesi. Non tanto da sfiorarlo, da toccare in una carezza la sua bocca, ma a sufficienza da farmi ricordare la morbidezza di quelle labbra, rivedendole tanto da vicino nel loro rossore ed immobilità che ha un che di peccato.
Torno seduta al mio posto, sentendo il cuore battermi troppo forte e consapevole che da qui a poco mi troverò ad arrossire.
Volto la testa per impedirgli di vederlo, osservando il mondo fuori dal finestrino mentre lui, dopo una minuscola immobilità costretta dalla mia presenza, si procura di mettere a termine l'operazione che stava per compiere, finendo con lasciare un ultimo saluto in direzione della nostra amica.
Afferro una ciliegia, mentre il cancello si apre nell'autonomia di un comando impartito, per poi intrappolarla tra i denti in un morso lento a suggello dell'attesa alla quale sono costretta.
«Ti piacciono sul serio» lo sento commentare al mio fianco, una volta che la strada si apre a noi nel profilo di un infinito orizzonte.
Non ha davvero idea di quanto mi piacciano.
Bạn đang đọc truyện trên: Truyen247.Pro