7- La guardia notturna
P.O.V.
Amy
Ormai è impossibile nascondere la preoccupazione che ha preso dimora dentro di me da trenta lunghi minuti. Ercole è al mio fianco e non dice niente ma ogni tanto mi fissa, come per verificare se con questi passi infiniti, avanti e indietro, non mi sia allontanata troppo dalle sue previsioni.
Vorrei correre di nuovo verso l'ingresso del bosco e raggiungere Francis, vedere come sta e stringerlo forte. Quello che prova è come se mi passasse attraverso: nonostante la distanza che mi impedisce di vederlo so come si sente, so che adesso probabilmente si è steso al suo fianco e temo che qualcosa, l'elaborazione di un lutto che non aveva ancora del tutto concepito, lo porti a un collasso inaspettato. Come uscirà da quel bosco? Già lo so, farà finta di nulla per non farmi preoccupare ed è per questo che vorrei così tanto entrare. Rendermi partecipe di un momento di fragilità mi consentirà di fare i conti con emozioni dalle quali, solitamente, tenta di tenermi lontana ed è tenero che ci provi ma non voglio questo.
Non voglio camminare allo stesso passo del mio migliore amico in silenzio, non sapendo cosa dire per guarirlo.
Mi muovo nella sua direzione ma la mano di Ercole si posa sul mio avambraccio e mi trattiene. Solitamente buono, il suo sguardo adesso mi intima di non fare un altro passo e so che ha ragione, ma non riesco a convincere anche il mio cuore a desistere.
«Non andare.»
«Ha bisogno di me» gli dico, vinta dalla disperazione ma non riesco a convincerlo.
«Ci sarai dopo per lui, adesso ha bisogno di rimanere solo con Gyasi.»
«Ho paura, Ercole» gli confesso, lanciando uno sguardo a quegli alti alberi dalle quali chiome il vento fa cadere una cascata di foglie. «Quando tornerà da me farà finta che stia andando tutto bene quando so che non è così.»
«Vorrà dire che ci sarai quando non sarà più in grado di fingere e cercherà il tuo supporto. Adesso ho bisogno io di te.»
Corrugo la fronte senza capire, e la forza che mi spingeva verso Francis mi invita a desistere per ascoltare quello che ha da dirmi Ercole.
Gli vedo prendere un profondo respiro e sento la presa, sul braccio, allentarsi fino a diventare nulla. Non ho alcuna idea di quello che sta per dirmi ma deve essere qualcosa di terribilmente serio se è stato capace di far scendere sul suo viso un'aria tanto tetra.
«Sei cresciuta tra i nostri campi, non è vero? Prima di fare la domestica in casa d'altri, tua madre lavora nella Garcia Coltivazioni, è giusto?»
«Sì, Ercole, è così ma cosa...»
«Stamani mattina ho visto che veniva appiccato un incendio. Sta succedendo sempre più di frequente e voglio capire di che si tratta.»
«Qualcuno sta bruciando il nostro raccolto?» Domando, senza comprendere la motivazione di un'azione del genere e Ercole scuote lento la testa.
«Non il raccolto, ma la terra. Stanno rendendo incoltivabili grandi appezzamenti di terreno e voglio capirne il motivo. Potrebbe essere semplice delinquenza ma se si trattasse di qualcosa di più grosso dovrei avvertire Cedric e...»
«Cedric?» Lo interrompo, ancora più confusa adesso. «Ha iniziato a lavorare nella società?»
«Si occupa dell'industrializzazione quindi ha il controllo sull'acquisizione dei fertilizzanti e di tutti i prodotti per lavorare il terreno. Temo che i piromani usino parte di quei prodotti per far prendere fuoco ai luoghi.»
«Perché pensi questo?»
Si stringe nelle spalle, controllando per un momento che Francis non si sia ancora liberato dalla trappola di quel labirinto di alberi.
«Ho notato che mancano spesso molti reagenti, al momento della semina e del raccolto. Le quantità dai furgoni, però, sembrano essere regolari, ho visto Lèa che li scaricava. Questo vuol dire che se sono stati rubati sono stati presi in un secondo momento dal magazzino.»
«Vuoi entrare nel magazzino dell'industria? Stanotte? E perché hai bisogno di me per farlo? Conosci questi luoghi tanto quanto li conosco io.»
«Forse, ma per entrare in quel magazzino ho bisogno di un'altra persona che faccia da palo e che conosca il territorio per uscire da li e capire dove possano aver portato la merce rubata. Allora, ci stai?»
Esitando nel rispondere, perché questa impresa mi sembra giusta ma straordinariamente pericolosa, trattandosi di una proprietà privata, allontano lo sguardo e vedo Francis camminare nella nostra direzione.
Ha uno sguardo distrutto e i capelli in disordine. A testa bassa gli vedo sollevare entrambe le mani per rimetterli apposto e quelle lunghe dita pallide si intrecciano al nero ondulato della sua cute. Le spalle larghe, inflesse in giù, sono evidenziate dalle spalle imbottite del suo cappotto preferito così come i passi stanchi sono resi più lenti dai pesanti scarponi. Francis è una macchia nera, intervallata da un bianco troppo pallido per i pochi centimetri di pelle scoperta, e firmata da un assottigliato e assassino verde quando solleva gli occhi tristi verso di me.
Lo capisco subito, ha pianto, e il cuore precipita in caduta libera quando vedo dei residui di terra sui suoi abiti. Prima che possa farsi troppo vicino e possa porgersi delle domande torno ad Ercole, e cedo alla sua richiesta.
«D'accordo, sono con te. Ti accompagno ma prima occupiamoci di Francis.»
«Va bene.»
Il mio migliore amico sta camminando nella mia direzione con un'espressione che mi supplica di non chiedergli niente. Devo inghiottire le lacrime e fingere che vederlo in questo stato non mi provochi alcun tremore e cedo, data la sua sempre più limitrofa vicinanza, all'abbraccio che sembra desiderare. Apro lievemente le braccia e Francis ci finisce dentro, stringendomi con forza a sé, in risposta.
Troppo alto al mio confronto, tiene la testa dritta sovrastandomi mentre io rimango vittima del calore del suo torace. Con la fronte premuta contro il suo collo avverto sulle labbra la ruvidezza del suo maglione di scadente lana mentre con le unghie mi aggrappo, da dietro, alle maniche del cappotto.
«Shh, va tutto bene, Francis, sono qui» sussurro, temendo persino che non mi senta ma la mia voce ha il desiderio di calmare entrambi, come il nostro contatto.
Francis non dice niente ma non è necessario che lo faccia. Non lo è mai, in effetti, ci capiamo con molto meno.
Stringo a me l'uomo che amo di più al mondo dopo mio padre e provo ad assorbire in me tutto il suo dolore, perché so bene quanto ne abbia già incanalato.
Dolcemente, si allontana mostrandomi quanto il suo sguardo, focalizzatosi su qualcosa di più distante, sia rimasto asciutto e mite come quello di chi ha già affrontato il peggio.
«Amy, voglio parlare con Carlail.»
Mi irrigidisco di colpo, sorpresa da questa richiesta. «Che cosa vuoi dire a Carlail?»
«Voglio fermare lo spaccio di droga nel South Side. Poco fa avevo detto a Issa di voler trovare l'uomo che ha venduto la droga a Gyasi e lo voglio ancora... ma voglio anche fermare del tutto quel traffico, in una scala di azione più amplia. Gyasi non era l'unica persona che ne abusato ma, con l'aiuto di Carlail, possiamo augurarci che sia l'ultima.»
Queste parole mi inquietano, e riscontro ogni drastico problema al termine di ogni frase ma Francis mi sorride, con il desiderio di rassicurarmi.
«Piccola strega, non è la prima volta che collaboro con la polizia.»
«Lo so, ma adesso...»
«Adesso non c'è niente di diverso, e se tutto andrà bene chiederò a Carlail cosa fare per entrare a tutti gli effetti in centrale.»
Sì, sì, adesso sorrido perché Francis lo sa, non desidero altro per lui. Ha vestito i panni del detective per anni, come libero consulente cittadino, ed ha fatto superare al South Side molte difficoltà. Non gli spetta altro ruolo che quello ed è il momento che gli venga riconosciuto.
«Adesso sei felice, eh?» Mi prende in giro lui, con un sorriso dolce che leviga le difficoltà.
«Solo se mi prometti che starai attento.»
«Lo farò, promesso.»
«Allora ti accompagno da Carlail.»
Annuisce debolmente e compie i primi passi nella direzione della città lasciandomi poco distante a fissare la sua schiena tesa e il tessuto del cappotto stirarsi quando infila le mani dentro le tasche, incedendo a testa alta.
******
C'è stato un tempo nel quale, in piena notte, io, Francis e un gruppo numeroso di amici passeggiavamo per i campi per raggiungere il nostro lago. Ci lasciavamo andare, con della musica, a balli di gruppo stentati che erano accompagnati da grosse risate, da discorsi più o meno seri e da novità piacevoli o peccaminose che non potevamo certo dire, di fronte ai nostri familiari.
Era un clima di festa ma adesso, con Ercole, vince una forma di silenzio che strizza l'occhiolino all'attenzione, al rimanere in allerta di ogni piccolo suono.
Abbiamo superato le coltivazioni da un pezzo ed ormai siamo vicini alla proprietà privata dell'industria Garcia. Entrambi non possiamo che sperare che nessuno arrivi a farci domande o che, quantomeno, il piromane non abbia deciso di rubare proprio a tarda notte.
«Ercole?»
«Che cosa c'è, Amy?» Risponde in un sussurro lui, continuando a procedere lungo questo sentiero di ghiaia.
«Chi pensi che sia, a fare tutto questo?»
«Una persona troppo annoiata. L'industria Garcia è in vetta alle vendite ma mi auguro che nessuno sia tanto disperato da fare un atto del genere.»
«Quindi non è niente di serio» gli chiedo conferma, cercando di convincermi così a proseguire.
«Niente di serio, Amy, rilassati.»
Cerco di farlo ma il fastidio è causato da una concatenazione di diversi fattori: lo stare per fare un'azione a tutti gli effetti illegale, il giorno in cui il mio migliore amico si è proclamato nuovo sostenitore della giustizia, in un'ora tanto tarda da essere inspiegabile e lo stare incedendo tra questi campi, pieni di piante urticanti, con i vestiti indosso da stamani ovvero una gonna rossa al ginocchio e una maglietta.
Fortuna che indosso costantemente scarpe chiuse di tela, altrimenti a quest'ora avrei già le dita a pezzi mentre il mio compagno di delinquenza, che tra queste spighe ci è cresciuto, ha il vestiario perfetto per affrontare un safari nel pieno dell'Amazzonia.
«Siamo arrivati. Entriamo dal retro» lo sento dire, e dietro di lui si manifesta il profilo austero del magazzino dai toni del grigio, con telecamere appese e luci di emergenza.
Dio, stiamo sbagliando eccome ma se il fato gira a nostro favore tra uno o due anni potremo avere un amico in polizia in grado di farci fuggire dal carcere. Ecco, sto già riflettendo su un illegale raggiro.
«Seguimi.»
Certo che lo seguo, ormai non potrei fare altrimenti. Ci siamo dentro insieme e poi il pensiero che qualcuno sia bruciando la nostra terra mi manda su tutte le furie. Voglio capire cosa sta succedendo almeno quanto Ercole ma ho metà del suo spirito di iniziativa, quindi per fortuna si occupa da solo a entrare dalla porta di uscita.
Non so come ne sia venuto in possesso ma ha una doppia della chiave e in un attimo siamo dentro la stanza di raccolta, con la fortuna che queste luci a neon non funzionino attraverso sensori di movimento.
Ercole accende una delle torce elettriche che sono presenti sul ripiano in alto dello scaffale di destra e mi domando come faccia a conoscere tanti di questi particolari. Dovrebbe occuparsi solo dei campi ma sembra già essere stato qui, per giunta di notte.
Non ho modo, adesso, di chiederglielo.
Lo seguo passo dopo passo vedendo il cono bianco-azzurrino della luce artificiale illuminare i recipienti verdi di alcuni prodotti con sopra riportati i nomi delle sostanze e un milione di altre avvertenze. Devono essere i fertilizzanti.
«Sono questi?» Gli domando a bassa voce e nella semioscurità della stanza. Riesco a vedere le ciocche dei suoi capelli oscillare nell'assenso che mi offre la sua tenta che ciondola così come fa il suo sguardo assorto.
«Sì, sono questi.»
Non capisco bene cosa stia facendo quando mi rendo conto, a un tratto, che sta contando. Ad un certo punto sospira, mostrando una sorta di afflizione.
«Cosa c'è?»
«Sono tutti» mi informa scontento. Lo osservo senza capire.
«Allora? Non è meglio così?»
«Non abbiamo finito, vieni con me.»
Siamo arrivati da pochi minuti ma, nel camminare accucciati nella semioscurità per non farsi vedere dalle finestre a nastro presenti sui portoni meccanici di questo posto, sembra di esserci da un quarto d'ora.
E nonostante la conoscenza che sembra avere di questo posto, i contenitori di cui Ercole parla si mostrano sempre più difficili da trovare. Impieghiamo molto tempo, con sussurri stentati che lanciano ordini reciproci, a cercare in ogni pancale presente in questo posto. Ne riemergiamo a mani vuote ma Ercole non sembra darsi per vinto. Io, invece, vorrei solo uscire di qui.
Un rumore attira a un tratto la nostra attenzione. Proviene da fuori e sono dei passi.
Ercole volge di scatto la testa verso di me e capisco di colpo di dover mettere in pratica il mio ruolo da palo.
Dare a Ercole il tempo sufficiente per continuare a cercare, pur passando per un'ingenua se serve.
Mi avvicino alla porta dalla quale siamo entrati e rimango per un attimo ferma, con la mano attorno alla maniglia.
Lancio uno sguardo a Ercole che mi incoraggia a proseguire perché non può succedermi, sembra dire, niente di male. Le persone mi conoscono e infondo, essendo la figlia di un'ex dipendente licenziata ingiustamente, mi trattano con rispetto.
O meglio, con i guanti di velluto. Non vogliono che avanzi alcun tipo di richiesta ai Garcia quindi ecco ad Ercole la vittima perfetta da immolare.
Prendo un profondo respiro e un po' lo maledico ma poi assumo coraggio, e ruoto il pomello della porta.
L'aria fredda dell'esterno mi affina in un attimo i sensi e, dopo aver chiuso l'infisso dietro di me, rimango in silenzio. Uscendo avevo avvertito dei passi ma adesso sembrano essere del tutto scomparsi.
La guardia potrebbe essersi allontanata del tutto ma per esserne certa devo verificarlo di persona ed è così che mi avvicino allo spigolo più vicino del fabbricato, oltre il quale avevo avvertito i rumori.
I miei sembrano risuonare nella notte, nonostante stia avanzando in punta di piedi.
Arrivata all'angolo del capannone sporgo appena la testa, per scoprire che mi aspetta. E resto sorpresa e delusa quando mi rendo conto che nessuno è presente. Forse è meglio così, in questo modo posso tornare da Ercole e dirgli che la guardia si è allontanata... ma mi sto sbagliando.
Fissando a terra noto che una luce è proiettata contro la mia schiena e mi coglie in fallo in maniera perfetta, proeiettando la mia ombra in una gigantografia che è comunque più piccola della mia colpa.
Non sono molto brava come criminale ma so assumermi la conseguenza dei miei errori ed è per questo motivo che mi volto lentamente, se pure a testa bassa, avvertendo appena la luce della torcia spengersi.
Solitamente sono sincera, e onesta da ogni punto di vista ma c'è Ercole con me e non voglio metterlo nei guai. È un ragazzo orfano che vive con due nonni, che si preoccuperebbero terribilmente se il loro protetto compisse qualcosa di grave o illegale.
Sto ragionando, dunque, sulle parole da dire quando una voce interrompe ogni mia lucubrazione.
«Amy?»
Sollevo la testa, colpita come sento di essere da un fulmine scagliato dall'apice del cielo.
Cedric è di fronte a me, con la torcia spenta in mano, e nella notte scarsamente illuminata riesco comunque a scorgere i suoi jeans blu scuro abbinati a delle scarpe bianche di tela, una maglietta bianca e il giubbotto nero in pelle. I capelli castano chiaro mossi sono confusi sul capo ma la luce li rischiara donando la sfumatura ambrata che possiedono anche i suoi occhi, sorpresi di trovarmi qui.
Al contrario mio, per quanto stupito, ha una posa rilassata mentre io mi torturo le mani, consapevole di avere sulle gambe i segni dell'ortica. Il suo sguardo scende veloce, lungo le cosce ed oltre la gonna, e lo nota. Arrossisco di colpo, presa dalla sorpresa e dal timore di apparire tanto un disastro, e nella confusione avanzo una domanda sciocca.
«Cedric... che cosa ci fai qui?»
«Che cosa ci fai tu qui, io ho il turno di notte.»
«Io... ti stavo cercando.»
Lo pronuncia la mia bocca, prima ancora che il cervello lo pensi, ma capisco di aver fatto una mossa perfetta. Non gli lascio il tempo di chiedermi niente, non che con lo stupore che manifesta sembri intenzionato a farlo, e proseguo lungo il sentiero che sembra già aver generato la mia mente.
«Provavo a raggiungere casa tua, non sapevo che avessi iniziato a lavorare alla ditta.»
Sembra credermi, e nonostante la distanza lo vedo deglutire, mentre abbassa lo sguardo.
«Perché sei venuta, Amy?»
Nonostante la schifosa situazione nella quale sono, quelle labbra contratte mi attraggono e come un vento caldo mi colpisce in pieno l'arsura emozionante di questa mattina. Ricordo come mi ha toccata e non è strano, adesso, volerlo di nuovo.
In fondo, sono curiosa di emozioni che non avevo previsto e voglio approfondirle, capirle.
Abbandonando ogni forma di timidezza che mi aveva avvinta quanto era stata colta sul fatto, avanzo nella sua direzione attirando nuovamente il suo sguardo. Avere quegli occhi addosso è come essere attratti verso qualcosa che non ti sai spiegare e che governa i tuoi passi quando, uno dopo l'altro, si avvicinano sempre di più a lui.
Cedric non si è mosso per un istante ma ha continuato ad osservare il mio lento incedere, forse per anticipare l'attimo del mio ritiro... ma è troppo tardi, non voglio farlo.
Continuo a fissarlo negli occhi quando arrivo fino a lui ed il mio respiro lento si scontra con il suo mento, nello sporgere le labbra.
Voglio baciarlo e non mi ero mai accorta di quanto desiderassi farlo prima di questo istante. Abbiamo condiviso l'aula a scuola per così tanti anni e non ci siamo mai parlati, ho vissuto ogni dibattito che ha inscenato con Francis, nonostante si trattasse di monologhi fatti di frasi arrabbiate che il mio migliore amico gli scagliava contro, e ora eccoci qui, a pochi centimetri di distanza.
Sollevo il corpo sulle punte, appena, per annullarli del tutto e sto per riuscirci quando Cedric volge la testa di lato. È come ricevere un pugno al centro dello stomaco e mi fa precipitare di colpo verso terra.
Che assurda sensazione. Mi sento ridicola, e questo rifiuto del tutto ingiustificato dall'uomo del quale mi sarei dovuta fidare, affidare, mi fa salire le lacrime agli occhi come una mocciosa.
Cedric mi guarda, e non sembra compiaciuto della furia con la quale i miei occhi pieni di pianto scintillano ma nemmeno distoglie lo sguardo, rendendosi partecipe di tutte le mie emozioni.
Questo non capisco, perché sembri desiderare sempre come un contatto con me, una sorta di connessione, se poi lo rifiuta in questo modo. Cosa sono per lui? Una ragazzina da testare, per vedere fin quanto è possibile spingersi prima di diventare odiosi? Ci sta andando terribilmente vicino adesso.
«Quindi non ti è piaciuto» commento, riferendomi al bacio di questa mattina, e non posso fare a meno di mettere tra di noi una piccola distanza, evitando di abbassare la testa per non mostrarmi debole.
Cedric non si muove di un passo, rimanendo nella stessa posa nella quale si era fermato trovandomi.
«No.»
Ecco. Adesso sì che mi sento ridicola. Pur non volendo farlo stringo le braccia al petto per tenermi insieme, per mascherargli il tremore delle mie mani e nascondergli la parte del mio corpo che posso celargli. Dannazione, devo sembrare una bambina ma fa freddo ed ho l'impulso irresistibile di correre via.
«D'accordo» dico, muovendo un altro passo all'indietro. Dovrei fermarmi. «Se è così, allora, dovremo finirla prima ancora che...»
«Ho agito troppo in fretta» mi interrompe, con voce calma quasi non si stesse intromettendo nel discorso con il quale stavo per mettere fine a tutto. «E non era me che stavi baciando», prosegue.
Queste parole mi fanno spalancare gli occhi e tremare di timore. «Che intendi?»
«Ti stavi vendicando di Wood attraverso me, non è vero?» Non riesco a rispondergli, sapendo che si tratta di parte della verità e così rimango in silenzio, lasciandogli il tempo di proseguire. «Non c'è niente di male, puoi farlo, il nostro accordo non vieta niente. Stiamo provando a vedere come va se stessimo insieme. Puoi pure vendicarti del tuo ex attraverso me ma non ci ho pensato quando mi sono avvicinato a te, ed era il nostro primo bacio. Per questo, non mi è piaciuto.»
Non ho mai conosciuto una persona schietta quanto lui ed è difficile rapportarlo ad una come me, in un discorso dentro il quale posso racchiudermi nel silenzio se qualcosa, di non detto, può infastidirmi. Di solito con gli altri faccio così, resto in silenzio. Lo fa molto anche Francis, anche più di me ed è per questo che tra i due devo essere io a cavargli di bocca le parole. Ma nessun dialogo che abbia mai avuto si è mostrato tanto spontaneo.
Pare, quasi, che Cedric non stia tentando di nascondermi niente ma che sia io, piuttosto, a non voler porgere delle domande per non rimanere ferita delle risposte. Forse è così. La delusione provata al suo categorico "no" me ne offre conferma.
Decido di giocare ad armi pari, dunque, e lascio scendere in campo la verità.
«È stato così, in un primo momento, stavo pensando a Wood. Ma poi tu mi hai baciata di nuovo...»
La mia voce si disperde nel ricordo, e la mente mi ripropone con vivida chiarezza il ricordo di quella bocca, ma a Cedric la frase non basta.
«E...?» Mi esorta, ed io provo a farmi forza. Lascio uscire la frase successiva in un solo respiro.
«...E non ho più pensato a lui» confesso, lasciando posto al silenzio.
Cedric mi osserva e non ho idea di che pensieri stiano passando nel suo sguardo. Con la semioscurità nemmeno riesco a capire se quel breve bagliore che, solitamente, gli illumina gli occhi possa essere presente. Ha gli occhi più brillanti e vivi che abbia mai visto. Mi domando che ironia potessero possedere, quando era piccolo e incline alle marachelle. Forse la stessa di questi anni.
«Vorrei baciarti di nuovo anche adesso.»
In un primo momento credo di essermela sognata, una simile frase, ma i suoi occhi, l'allerta nella quale in automatico si è messo il corpo, mi dice che non è così.
«Scordatelo» gli dico, ma Cedric ha iniziato a camminare lento, un passo alla volta, verso di me.
No. No, adesso non voglio! Non dopo che mi ha detto che non gli è piaciuto il nostro bacio. Poco importa la questione di Wood, non gli è piaciuto quindi non può di certo chiederlo adesso, dopo le strane emozioni che mi ha portato a sentire.
Sciolgo le braccia e cammino all'indietro piano, come per sfuggirgli, ma ancora una volta non riesco a separarmi dal suo sguardo.
«Perché no? In fondo, sei venuta qui, stasera, per incontrarmi.»
Troppo, troppo vicino. Il suo mezzo sorriso ed eccolo, ora lo vedo, il bagliore dei suoi occhi ed io sono troppo distratta per accorgermi che la direzione con la quale Cedric mi sta facendo retrocedere fa parte del suo piano. Pochi istanti dopo avverto la parete del capannone dietro di me, vicina all'ingresso della porta, e il suo corpo caldo quasi aderente al mio.
È come avere una fonte di calore ossidrico affianco in una notte gelida, con le gambe nude che mi tremano per il freddo, ma allo stesso tempo preferirei morire assiderata.
Cedric sembra partecipe del mio stato d'animo ed è divertito dalle mie espressioni infuriate ma queste non gli vietano di posare una mano contro la mia guancia, trasmettendomi brividi di calore, e arrivare a parlarmi più vicino mentre inclina la testa.
«Lo sai? Un giorno io e te dovremo imparare a parlare come due persone normali. Direi che è il caso di iniziare a uscire insieme, non pensi?»
Me lo domanda facendosi sempre più vicino, ed io che lo aspetto sulle labbra mastico la fitta di una delusione al basso ventre quando si sposta più di lato, terminando la frase vicino al mio orecchio trasmettendomi il suo fiato caldo per poi posarmi un bacio lento lungo il collo.
Chiudo gli occhi, intrappolata tra quella bocca e la sua mano, e tremo per l'abrasione di quel calore che mi trasmette. La sua bocca è tenera, il suo corpo è caldo e un leggero strato di saliva sulla pelle contrasta il tutto quando entra in contatto con il freddo della notte.
Gemo di frustrazione e Cedric si accosta di nuovo, lasciandomi un secondo bacio molto più lento e molto più in basso, tra la fine del collo e la clavicola.
Questa volta non rimango inerme, e stregata dal suo calore sollevo le mani gelate e le introduco sotto la sua maglietta. Adesso è il suo turno di tremare. Per il contatto con la mia pelle sui suoi fianchi? Lungo le costole per ridiscendere verso, leggera, gli addominali? O per il freddo delle mie mani?
Lo sento gemere debolmente e quel suono è come il gong a metà di una parata.
Cedric si allontana e fissa le mie labbra con quello sguardo difficile da sostenere che già gli ho scorto, languido e deciso a raggiungere la mia bocca, per un bacio troppo lento.
No. Ribadisco, non voglio farlo. E quando si fa sufficientemente vicino sono io a scostarmi.
Lo sento sorridere sulla mia pelle ma poi mi lascia un altro bacio, all'angolo delle mie labbra...
Un capogiro mi avvince e il cuore va in tachicardia, non perdendosi però il contatto ancora più ravvicinato con il suo petto quando si accosta al mio orecchio per sussurrarmi una lenta frase.
«Andiamo dentro, stai tremando.»
Forse la lussuria, nel modo in cui ha pronunciato una simile frase, era del tutto voluta al fine di stordirmi e ci riesce, mi trascina lontano mentre sfiora con la punta del naso la mia pelle, in una carezza lenta tramite la quale cerca di ricongiungersi alle mie labbra.
Non so con quale tipo di percezione riesco a recepire il movimento della sua mano destra, rimasta libera, e aprire gli occhi. Con la vista angolare di questi capisco che la sta posando contro la maniglia della porta, mettendo in atto la proposta che non aveva aspettato di sentirmi accettare e d'un tratto ricordo il motivo per il quale sono qui, e mi irrigidisco.
«No!» Grido, facendogli raddrizzare la testa di colpo.
Mh, forse troppo entusiasmo, ma avevo dimenticato che Ercole fosse dentro.
Cedric mi fissa stupito e, per fortuna, la distanza che si è intromessa tra i nostri corpi mi porta di nuovo a ragionare.
Inghiottisco più volte, perché mi sembra di avere la gola totalmente secca e di non riuscire a parlare. Dannazione, spero che anche il cuore rallenti.
Sbatto le palpebre più volte, tornando in me, e poi faccio i conti con il suo stupore. Prendo un profondo respiro e scelgo le parole da dire. Brevi, concise.
«No, non voglio.»
La testa di Cedric si inclina di lato, studiandomi con attenzione. Prima sfoggia una specie di timore poi, mio malgrado, lo raggiunge l'ironia.
Mi sorprendo di riuscire a interpretare il suo stato d'animo con così poco. Nemmeno tre giorni fa non ne sarei stata in grado ma ci sono piccoli segnali che Cedric lascia, e in quelli è contenuto tutto.
«Hai le pupille dilatate, Amy, e il fiato corto. Sicura che non mi vuoi?»
Non ho detto di non volere lui ma di non volere entrare, non che faccia differenza, comunque. Non voglio lui oltre la porta di questo capannone.
Ma è possibile che sul mio viso ogni emozione venga rivelata così?
Le mani di Cedric si posano ai lati del mio viso e le sue braccia mi intrappolano, mandandomi un capogiro quando vedo come questo gesto abbia spinto il suo volto di nuovo tanto vicino.
«Che cosa mi stai nascondendo, Amy?»
«Niente.»
Sorride, e con un dito mette apposto una ciocca dei miei capelli dietro l'orecchio. Dovrebbe smetterla di toccarmi.
«Non so se qualcuno te lo ha già detto ma sei pessima a dire le bugie.»
Questa è una condizione della quale sono cosciente da sola.
Cedric prende un profondo respiro e per un attimo quell'azione mi stordisce. Deve essere la sua vicinanza a farmi un effetto del genere.
«Perché sei venuta qui, Amy?»
Il panico. Ecco adesso cosa si mescola nelle mie vene, e il fatto che al termine di ogni sua domanda il mio nome venga ripetuto, con diverse tonalità di rimprovero o confidenza, non fa che peggiorare il tutto.
«Te l'ho detto, per te» sussurro, con voce tremante. Dannazione, mi vantavo della sua inflessibilità.
«Mi piacerebbe davvero crederlo» mi dice, fissandomi la bocca con uno sguardo assorto, «ed è per questo che ti prometto che, un giorno, lo farai davvero di tua iniziativa.»
Quelle parole sono ustioni e stanno lasciando piccoli roghi lungo il mio corpo, abbandonando nella sonnolenza la parte di me che urlerebbe contro la sua arroganza. Dannazione, non dovrebbe ostentare tutta questa sicurezza.
Ma poco da fare... la sua mano apre di scatto la maniglia della porta, spalancandola e portando alla luce tutti i suoi segreti.
Torna a fissarmi negli occhi, poi, nel pronunciare la frase seguente.
«Avanti, Ercole, esci.»
La sorpresa che manifesto provoca il suo buonumore di cui è il solo sponsor. La faccia del mio amico mostra uno sfondo di fastidio invece, specie quando Cedric si rivolge a lui, allungano il palmo all'insù della mano destra mentre l'altra è ancora appoggiata al muro dietro di me, ad intrappolarmi.
«La chiave, prego.»
Ecco, quindi, a chi l'aveva rubata Ercole.
Il mio amico sbuffa ma la lascia cadere nel suo palmo prima di lanciare una veloce occhiata a noi e spedirmi nel profondo cavedio della vergogna.
«Forse è il caso che vi prendiate una stanza» commenta, per poi tornare a osservare Cedric che sospira.
«La prossima volta, magari. La ragazza ancora non sa cosa vuole.»
La ragazza è presente e sta sentendo tutto, e presto gli farà scontare tutta questa arroganza. Ma in un secondo momento, sembra dirmi con uno sguardo Cedric, che si allontana in una spinta da me per separarsi dal muro, passando poi gli occhi tra i due complici criminali, beccati in piena notte.
«Allora... immagino che ci sia un motivo per il quale siate qui.»
«C'è» risponde Ercole, intrecciando le braccia al petto in segno di insofferenza. «E riguarda la Garcia Coltivazioni.»
L'entusiasmo di averci colti sul fatto sembra essersi smorzato, sulla faccia del Garcia presente.
«D'accordo, parliamone all'interno.»
Ercole esegue, facendo retro front a passo stanco e tornando all'interno del magazzino. Sto per seguirlo quando il braccio di Cedric irrompe, nuovamente, lungo il mio cammino.
«Ah-ah! Non così in fretta, ho solo una richiesta.»
L'ironia che possiede, dunque, deve essere rivolta esclusivamente a me dal momento che il sorriso torna sovrano del suo volto quando sono costretta, di profilo come ero rispetto al suo viso, a tornare frontale appoggiando di nuovo la schiena alla parete.
«Che cosa?»
Forse per non farsi sentire da Ercole o forse per il desiderio masochista di ricreare l'intimità che ci aveva circondati poco prima, Cedric si avvicina di nuovo a me passandomi la bocca sulla guancia solo per vedere il modo in cui mi ritraggo affinché non tocchi le mie labbra, così da riprendere a sorridere.
Torna dritto e fissa all'interno dei miei occhi arrabbiati, concentrati e non poco storditi.
Non lo avevo mai visto così da vicino e così alla luce. Aprire la porta retro del magazzino ha fatto accendere la lampadina di emergenza gialla sopra lo stipite e adesso questa ci copre come un ombrello, rischiarando il suo viso e facendomi notare la pagliuzza dorata al centro delle sue iridi.
«La prossima volta che provi a baciarmi fai in modo che non sia per un secondo fine.»
Spalanco la bocca, arrabbiata con la sua superbia, e lui mi dedica un occhiolino prima di andarsene, lasciandomi su tutte le furie.
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