66- Negli abissi
"What you know about rollin' down in the deep?
When your brain goes numb, you can call that mental freeze
When these people talk too much, put that shit in slow motion, yeah
I feel like an astronaut in the ocean, ayy."
Astronaut in the ocean - Masked Wolf
P.O.V.
Cedric
La testa mi scoppia. I problemi ed i discorsi l'hanno appesantita ulteriormente creando un gioco di tiro alla fune con i miei nervi che urlano nel dolore.
Passo le dita sulle tempie, nella speranza che questa sofferenza si attenui. Niente da fare.
La sensazione è come quella di stare precipitando negli abissi, in un fondo sempre più nero.
«Cedric, va tutto bene? Ancora i tuoi mal di testa?» Sento chiedere alla voce di Sasha al mio fianco, e sollevo una mano affinché la sua voce smetta di parlarmi.
Alle volte è troppo stridula, altre troppo tenera. Non gioca a mio favore e mi esorta per la gran parte del tempo ad allontanarla.
«Va tutto bene, Sasha. Dammi solo il tempo per riprendermi.»
Credo che sia il nervosismo a generare questa sensazione di smarrimento, o forse la mancanza di sonno.
Non dormo bene da mesi, resistendo solo tre ore ogni notte, nonostante le pillole che prendo e la presenza di lei, certe sere, al mio fianco.
Come riusciva mio nonno a sopravvivere a tutto questo?
La società comporta troppe responsabilità e il confronto continuo con dissensi e dissapori in grado di generare ulteriore rabbia come scompenso.
«Sei sicuro che vuoi che me ne vada? Posso restare, se hai bisogno da me. Dormiamo vicini nel tuo letto, come le ultime notti...»
Sentirla pronunciare ad alta voce una simile frase è alquanto penoso dal momento che mette in mostra il bisogno che ultimamente richiedo di supporto emotivo e fisico.
Il calore del suo corpo morbido, le poche sere in cui l'ho strinta a me, era servito a scacciare via il freddo di una desolazione rappresentativa della mia intera vita.
Alle volte, però, neanche quella fiammella bastava a stemperare il vuoto di casa mia. O gli sguardi della gente, che mi osserva con pena. O la rabbia di quegli uomini di affari rivali che aspettano solo che crolli per levarmi da sotto il corpo il trono che è mio di diritto.
Nessuno dovrà prendere ciò che spetta al nome Garcia che morirà con me se un giorno non creerò una famiglia con Sasha.
Per ironia della sorte, è l'unica che mi resta. La compagna di banco di anni pieni di torture mentali che hanno conosciuto la mia sofferenza, anche se niente è paragonabile a quella che provo adesso.
Avrei bisogno di un attimo di respiro. Una vacanza o una pausa, lontano da tutta questa vita, ma non sono certo di poterla ottenere.
«No, Sasha, torna a casa e non preoccuparti. Non ci sono problemi, è un semplice mal di testa.»
Eppure gli abissi continuano a inghiottirmi, prendendosi parti del mio corpo in un cannibalismo che mi attira in un nero oblio.
«D'accordo, allora chiamami appena sarai libero, possiamo pranzare insieme o qualsiasi cosa tu voglia» mormora, prima di chinarsi verso le mie labbra e lasciarmi un lento bacio a stampo.
«D'accordo...»
«D'accordo...»
Le sorrido, pur covando ancora il fastidio del mal di testa e della tristezza, seguendola nella discesa dalla mia macchina. Dopodiché ingrano la marcia e riprendo a guidare in direzione della mia proprietà.
Ho un errore a cui porre rimedio che mi ha fatto sentire sbagliato agli occhi di mio nonno, intento ad osservarmi dall'alto, e non sono disposto a riprendere a lavorare senza prima essermene occupato.
Per questo motivo arresto la macchina sul selciato di casa mia, scendo, e poi riprendo a camminare nei percorsi scanditi dalla ghiaia che congiungono il parcheggio con la trama dei campi.
Il personale mi saluta con piccole frasi o cenni di capo, mostrando il rispetto di quei pochi fedeli che ancora continuano a credere in me forse solo grazie al cognome che porto. Non gli ho ancora dimostrato niente per guadagnarmi il loro rispetto, diventando il proprietario di un lavoro vicino al fallimento ed è eclatante quanto lotti per combattere una simile miseria, fingendo che possa andare tutto bene.
In fondo, immagino che anche i sovrani del passato facessero nello stesso modo, no? Buon sorriso a cattivo gioco, illudendo la popolazione che tutto potesse andare bene nonostante gli attacchi dei nemici.
Sfortuna vuole che il nostro nemico più grande sia la mancanza di reddita sufficiente a sfamare le loro bocche, e una disarmonia di fondo che impedisce la nascita di quei discorsi, tra un lavoro e un altro, che prendevano vita tanto facilmente in tempi migliori.
Ora le persone non si parlano. A malapena si guardano, rimanendo con il capo chino a lavorare nella speranza che quanto da loro svolto possa essere ricompensato in denaro che non possiedo.
Siamo quasi arrivati allo stremo, lo sento. Per questo motivo ancora mi batto per non far decadere del tutto il mio cognome, portandolo ad una stregua di sputi.
«Posso parlarti?» Domando a Frederick una volta raggiunto, e l'uomo, che sta tagliando con un serramanico la spiga del grano per poter vedere la consistenza dello stelo all'interno, nemmeno stacca gli occhi dalla sua operazione, concedendosi solo alla ritualità di una vecchia usanza.
«In merito a che cosa?»
«Non mi sono rivolto a te con il rispetto che meriti, lo scorso giorno, e mi dispiace. Sei uno dei lavoratori più anziani di questo posto, legato alla mia famiglia da anni e questo aggrava ulteriormente la mia colpa. A nessuno avrei dovuto rivolgermi così, tanto meno a te» confesso, portando sotto il sole di questo mezzogiorno le verità che le ore trascorse si sono generate in me, dando altro materiale alla mia angoscia.
Frederick sorride, chiudendo di scatto il coltello. «Difficilmente lasci trapelare delle scuse, tu. E questo da quando eri un bambino che odiava tanto sua nonna.»
Al ricordo di lei, la stretta al cuore si fa ancora più violenta e tento di scacciare via quell'immagine eterna della sua morte che si manifesta dinanzi i miei occhi.
«Così sei tu ad offendermi» gli dico, notando i sorrisi che sono nati sui volti delle persone intorno a noi. «Allora, accetterai o no le mie parole?»
«Non ce ne è bisogno. La tua ragazza mi aveva già convinto.»
Aggrotto la fronte, confuso. «Sasha ti aveva già parlato?»
«Sasha?» Chiede lui, volgendo la testa sorpreso per poi ridere sommessamente. «Non vorrei offenderti, Garcia, ma lei non ha nemmeno mai provato a raggiungerci in questi campi per non sporcarsi i tacchi.» Stringo i denti, davanti le sue insinuazioni che hanno un fondo di verità, ma lo lascio continuare. «No, intendevo l'altra. Lei non si ricorda di me ma io la ricordo eccome. Sono felice che sia tornata, finalmente.»
Amelie...
«Ha parlato con te?» Sibilo, avvertendo nuovamente il mio cuore reagire nel suo solito modo violento. All'ascolto del suo nome, infatti, la rabbia sale irrefrenabile, assieme ad una sorta di fastidio che mi esorta a stringere i denti.
Quando Frederick annuisce, poi, tutto peggiora.
«Direi che è stata molto convincente, sembra una in gamba. Hai fatto bene ad attribuirla al reparto finanziario, da quanto è sveglia può trovare il nostro problema in un attimo.»
«Che cosa ha detto?»
«Ti ha difeso, ed ha convinto tutti noi» dice, dirigendo lo sguardo sui lavoratori che, nel cerchio che ci vede centrali, si sono fermati nelle loro mansioni per annuirci e fissarci. «Ormai saprai che il motivo per cui continuiamo a lavorare per te, Cedric, è per il nome che porti sulle spalle. Non ci hai mai dimostrato niente di ciò che sei in grado di fare ma tua nonna credeva in te, e questo ci ha convinti. Poi arriva una ragazza ed anche lei, per qualche assurda ragione, ci chiede di darti fiducia e di crederti, perché sei in grado di far fronte ai nostri problemi. Ora direi che sta a te, no? Credo che sia arrivato il momento di dimostrarci quanto quelle due donne possano aver avuto ragione, ma senza fretta, vedi di fare un lavoro con i fiocchi.»
Sono divertito, e non per la sua presa di giro finale, quanto per ciò che mi ha appena detto.
Amelie? Fidarsi di me? Cristo... vorrei davvero scoppiare a ridere dall'ironia della cosa ma si è generato un buon clima intorno a noi, le persone mi sorridono, e non vorrei del tutto destabilizzarle dai problemi della mia vita.
Che questa illusione di tranquillità regga il suo gioco, allora.
Allungo la mano a Frederick e aspetto che la stringa, per poi decidere la mossa seguente.
«Affare fatto, vi dimostrerò cosa sono capace di fare.»
«Non aspettiamo altro.»
Quando li abbandono lo faccio solo per incamminarmi in una direzione precisa, che non percorro da tempo.
Intravedo Halima lungo la strada e mi accorgo del suo leggero sobbalzo, quando le passo vicino.
Ha paura di me. L'ho notato da tempo, e cerco in tutti i modi di non ricordare l'istante in cui ho percepito una simile paura anche sul volto di un'altra donna.
Continuo semplicemente a camminare, sperando di trovarla da sola.
Ed eccola qui, proprio come un tempo, ma per fortuna senza la sua scorta.
I due che solitamente la fiancheggiano, quasi nel timore di lasciarla da sola un solo minuto, sono del tutto scomparsi ed ora davanti a me ho di nuovo quella vecchia conoscenza che veste abiti gitani e stivali texani, muovendosi veloce come una trottola.
«Hai del tempo per me, Lèa?»
La mia voce la arresta, e noto palesemente come la sua mano tremare prima che la testa si volti nella mia direzione.
«Cedric...»
«Avrei bisogno di parlarti» le dico, sorridendo in modo alquanto maligno vista la direzione dei miei pensieri.
Lèa si schiarisce la voce allo scopo di abbandonare la sorpresa e vestirsi di nuovo della grinta che, solo per un'istante, le era venuta a mancare.
«Immagino già di cosa.»
«Perché l'hai assunta qui?»
«Ci mancava qualcuno nel reparto finanziario. Non posso occuparmi di tutto, e nemmeno Halima. Avevamo bisogno di una terza persona.»
«E perché proprio lei?» Continuo a domandarle incedendo ed osservando come, preoccupata, noti l'avanzare dei miei passi.
«Perché è brava e nonostante già ci conoscessimo si è procurata di lasciarmi anche il suo curriculum per mostrarmi le esperienze avute. Si trova in casa mia, adesso, ma se occorre te lo mostro così che tu possa leggerlo.»
«Non mi interessa sapere cosa ha fatto mentre era via» sibilo fuori, dandole però una mossa alquanto semplice da giocare.
Lèa infatti solleva gli occhi, sorridendo di divertimento dinanzi la mia furia.
«Perché? Hai paura di scoprire che si è impegnata davvero, mentre il suo professore la supportava?»
Mi assale l'istinto di tapparle la bocca con una mano, in modo che possa tacere del tutto ma mi limito a sfoggiare ancora la mia veste di tranquillità.
«Poi ti domandi perché abbia smesso di parlare con te...»
Il suo volto muta, lasciandomi vedere anche la sua verità. «Non è solo con me che hai smesso di farlo. Ercole aspetta ancora che tu ti ricreda sulla vostra amicizia e torni a fare pace.»
«Non ho niente da discutere con lui. Conosce già tutto ciò che serve sul nostro rapporto di adesso, ed è puramente lavorativo.»
«Eppure le situazioni cambiano, non trovi? Avevi promesso di parlare con me solo di lavoro, ma poi torna Amy e guarda... stiamo discutendo d'altro» commenta, di nuovo divertita da questa patetica situazione.
Quasi lo sono anche io. Quasi... Rimane tutto il resto.
«Per questo motivo l'hai assunta? In modo che io e te, che io e Ercole, potessimo fare pace?»
Pone entrambe le mani sui fianchi, sbilanciandosi in avanti per avere un confronto diretto con me, che sono più alto di lei di diversi centimetri e più grosso, e più uomo. Una parte di me risulta sorpresa e soddisfatta della sua ritrovata grinta.
Manifesta anche la bruciatura apertamente da tempo, non dovrebbe credere che non l'abbia notato. Ed è vero, apprezzo molto la sua ritrovata forza, ma questo non cambia niente.
«Devo ripetertelo? Il curriculum sta a casa mia...»
«... Dove c'è anche Ercole...» commento, divertito dalla sua trappola, senza il desiderio di caderci.
«... Amy è brava e potrai verificarlo da solo. Inoltre, la sua presenza rende divertenti anche questi siparietti. Devo dirtelo chiaramente, Cedric? Per quanto tu adesso sia uno stronzo sei ancora mio amico, e mi sei mancato. Se credi che la stia usando solo per riaverti nel mio cerchio di amicizie puoi pensarlo quanto vuoi, ma c'è da chiedersi una cosa: perché la presenza di Amy lo rende possibile? Forse perché è la sola in grado di risvegliare il tuo cuore?»
Stavolta tocca a me chinarmi verso di lei, e capeggiare la sua arroganza che ha da tempo smesso di sedersi al proprio posto.
«Dovresti davvero stare attenta alle sciocchezze che dici, Lèa. Altrimenti smetterò di notare quanto tu sia incapace di svolgere il tuo lavoro, distratta dal tuo ragazzo.»
La vedo sgranare gli occhi, non riuscendo a credere a ciò che sente. «Questo che significa? Minacci di licenziarmi?»
«Tu prova a dimostrarmi sul serio che sei la stessa di un tempo ed io proverò a trattarti con il rispetto che tanto chiedi. Sappi, però, che assumerla è stata già una mossa a tuo sfavore. Perdi punti, e la mia fiducia. Vediamo quanto ti servirà per riguadagnartela.»
«E cosa dovrei fare di tanto particolare per riuscirci?»
«Al momento, solo rispondere a una domanda: dove si trova?»
«Non. Nel. Tuo. Letto.» Lascia scivolare fuori dalla voce scandite parole, l'una dopo l'altra senza pause, e devo ammettere che la frase mi fa sorridere ma che ne fossi consapevole da solo.
«Scendi sotto zero, in questo modo, Lèa.»
«Tu, per me, sei già sprofondato da tempo. Cercatela da solo quella pazza che si ostina a tornare da te! Io e Ercole ce ne tiriamo fuori.»
Raddrizzo il corpo e mi allontano, ricevendo la risposta che avrei già voluto avere entrando. Odio perdere tempo e Lèa ha giocato proprio su questo, nonostante lo sfogo con lei, in qualche modo, sembri avermi quasi riportato il sorriso.
«Lo farò, Lèa, ma voglio dirti che ti sbagli su una cosa: lei non torna da me. Torna solo per combattere la sua paura eterna: quella di non sentirsi mai abbastanza. Poi chissà che altro... Cerca di farglielo capire, quando stasera tornerai a parlarle. Non è qui che riceverà dei meriti riguardo ai suoi talenti.»
Dopodiché non sorprenderti se scapperà via.
In fondo, è la cosa che le riesce meglio quando la situazione si fa troppo pressante ed opprimente.
Era scappata di fronte a molte ipotesi del nostro futuro ed ora cosa pensa? Che creda alla possibilità che rimanga ad affrontare la difficile situazione della mia proprietà?
Forse il tempo ha reso Amy ancora più ingenua nel credere che soccomberò facilmente, mentre per sua disgrazia io sono diventato più cinico, scostante e schiavo di un'idea che adesso prende spazio dentro di me ed avvolge la mia mente come una piovra.
Mi raggiunge il desiderio... di metterla alla prova, in modo da vedere se scapperà.
Un'idea malsana quanto congeniale che può divenire un piacevole passatempo.
Sì, può diventarlo, ragiono, accorgendomi di come il mal di testa se ne sia del tutto andato.
P.O.V.
Amy
Sfoglio le carte ininterrottamente nel desiderio di trovare presto l'errore su cui si fonda qualsiasi collasso della famiglia Garcia. Deve esserci stato un errore nel far quadrare i conti, una scelta sbagliata in certe fasi di operazione e sono disposta a scoprirlo in modo tale da mantenere la mia promessa.
Non sono solita scegliere lo schieramento peggiore da fiancheggiare, so che questa situazione porterà a qualcosa di buono. Devo solo trovare, con accuratezza, una risposta che possa essere sufficiente nella trafila di questi fogli contabili generati secondo un'origine confusa di date.
Sono impegnata a rimetterle in ordine quando avverto un piccolo rumore alle spalle che, però, non cattura la mia attenzione.
Mi piego lungo il tavolo per poter raggiungere la piccola montagna di ricevute raggruppate, come le ho trovate, sul fondo di un cassetto quasi sigillato dal tempo, dentro uno di quei piccoli scaffali bassi ma ricolmi che corrono lungo tutta questa stanza cieca di finestre ma arredata da mattoni a faccia vista.
Apprezzo il lavoro di Lèa quanto disprezzo la sua poca attenzione avuta per situazioni secondarie, come certi pagamenti arretrati.
Forse è un male comune, quello di avere confusione dentro il proprio archivio di industria, penso, riflettendo su quanto vecchi creditori non abbiano raggiunto le porte di questo posto chiedendo risarcimenti e con il timore che possano farlo molto presto, un giorno.
In fondo, sono le sanguisughe peggiori in grado di mandare sul lastrico importanti realtà come la nostra, ritengo di poter affermare al mio io interiore, mentre continuo a riporre i fogli nel giusto ordine lungo questo tavolo fintanto che il mio sguardo non carpisce la presenza di una sagoma, sul fondo della stanza.
Sobbalzo alla vista e mi rialzo in piedi, stringendo quei fogli in una mano come se potessero essere uno scudo ai suoi occhi feroci e a quelle braccia, intrecciate tra loro, che risaltano nei muscoli.
L'attimo dopo mi maledico per averlo fatto.
«Cedric, da quanto sei lì?»
«Ti ho spaventata?» Sussurra la sua voce, e la richiesta avrebbe il confine con la premura se solo non fosse macchiata come di ironia.
Inghiotto la saliva che la sua presenza aveva annullato del tutto nel mio corpo, cercando di riprendere il controllo delle mie emozioni.
«Che cosa ridicola, certo che no» rispondo, eppure in un attimo mi passa di fronte il ricordo di quella scena di rabbia nel corridoio di scuola.
Sollevo lo sguardo verso di lui e noto i suoi occhi come ardere dalle fiamme.
Gli incendi, in questo posto, si sono del tutto estinti eppure il fuoco è ancora vivo e corrode ciò che c'era di buono nel suo sguardo.
«Già, lo penso anche io.»
Evito di tradurre le sue parole, o di pensare alla possibilità che anche lui abbia ricondotto la mia risposta a quel momento ed avanzo con il mio interesse.
«Perché sei venuto qui?»
«Fino a prova contraria, anche questo posto mi appartiene per cui faccio come voglio.»
Maledetta bestia incattivita dentro il proprio castello.
«Ti occorre qualcosa?» Domando, abbassando gli occhi per dimostrare al mio cuore di non avere il bisogno di accontentarsi anche di questa versione di lui.
Testardo, però, non si lascia vincere e sogna, immagina, mal traduce le parole che Cedric mi rivolge.
«Sì, avrei bisogno di qualcosa. Da te.»
Gli occhi schizzano fino a lui, maledetti codardi. Non sanno quali siano i loro limiti e come osservare i suoi, cattivi quanto distanti. Mi domando che sguardo io abbia, ora. Se traspaia l'immagine di sciocca ragazza innamorata.
«Ricordi quando ti ho detto di non volermi occupare di te, e di starmi alla larga?»
Le parole mi sembravano diverse. Ricordo la frase "ripensamenti da scolaretta" venire sibilata fuori dalle sue belle labbra ma evito di comunicarglielo, mutata in una versione di me stessa carica di odio all'avvertenza del suo modo perspicace di ferirmi.
«Mi riferivo anche al fatto che dovessi stare al tuo posto. Ho parlato con Frederick e ho scoperto del tuo intervento da super eroina.
Evita di replicare lo show un'ulteriore volta, Amelie. Questo posto non ha bisogno delle tue parole vuote.»
Tanto più lui è cattivo tanto più io mi rivelo calma.
Aggiusto i foglietti che ho tra le mani, battendoli appena contro il tavolo a cercare un ritmo al mio cuore, assieme alle parole da comunicare, mentre concentro su di loro l'attenzione.
«Mi sono solo limitata a calmare gli animi. La tua trovata ingegneristica e rivoluzionaria non è andata a genio a tutti. Sono abituati a vecchi modi di coltivare e non erano pronti a ricredersi.»
«E tu invece?» Domanda, sciogliendo le braccia e avanzando di qualche lento passo dal fondo della sala. Si avvicina al grande tavolo su cui lavoro. Seguo quella camminata.
«Io che cosa?»
«Tu credi a quell'idea?»
«Sì» dico senza esitazione, il che lo porta a sollevare le sopracciglia. In un secondo momento, poi, a separare lento le labbra producendo un piccolo schiocco della lingua contro il palato.
Mi sforzo, con tutta me stessa, di non fissare troppo a lungo quella bocca.
«Però... non sapevo che fuori dalla nostra città attribuissero certificazioni, in certi ambiti, senza alcuna competenza in materia. Dimmi, quando sei diventata un'esperta di tali soluzioni ingegneristiche?»
«Non occorre esserlo, per crederci» replico, difendendomi con parole che il vecchio Frederick non è stato in grado di dire ma Cedric non demorde.
«E le certezze? Che fine fanno le certezze, in questa mossa di completo sostegno ad una causa estranea?»
«Tu le hai?»
«Le ho.»
«Allora tanto basta.»
Per la seconda volta, in questa semioscurità che è rischiarata solo dalla luce sopra il tavolo, Cedric mi mostra la sua sorpresa.
Felice di darle vita, ma non mi piace che si mescoli tanto alla derisione che è pronto a rivolgermi.
Non mi piace il modo con cui i suoi occhi fissano intorno a noi e poi me, pronti a colpire mentre le sue mani si posano di piatto sul supporto del tavolo, lungo il lato più corto dell'estensione del legno.
«"Tanto basta", mh? Questo è ciò che credi?»
Non annuisco. Non rispondo. Semplicemente lo guardo, in modo tale che possa ricevere dalla mia certezza la sua risposta.
Riesce a catturarla.
«Vuol dire che abbiamo assunto una nuova versione di Amelie Reyens... peccato che questa sia meno competente dell'altra.»
Lo dice prima di sollevare uno delle certificazioni che ho disposto come foglie su quest'albero di pensieri e collegamenti che riveste l'intera tavolata, mostrandolo ai miei occhi affinché possano rendersi conto di quel qualcosa che lui ha carpito con un solo sguardo.
«Questi non ti serviranno a niente. Certi vecchi creditori non si avvicinano alla nostra porta per rispetto di mio nonno e di mia nonna.»
«Sono comunque un rischio» affermo, certa delle mie idee ma senza ancora convincerlo a pieno.
«E perché mai?»
Il cuore mi balla in petto ma il volto è immutabile nel comunicare quelle parole che tanto lo smuovono.
«Perché anche chi ti ama può farti del male, e questo non preclude che un simile amore fosse una bugia.»
Cedric continua a fissarmi ma la mano con la ricevuta si abbassa. Il suo sguardo serio tradisce il nero di un iride che è in grado di assorbire in un profondo vuoto, privo di battito cardiaco e di qualsiasi altro tipo di emozione.
«Bella risposta. Peccato che non sia sincera.»
Per un attimo non riesco a credere che possa pensarlo davvero. Poi osservo il modo con cui la sua mano accartoccia il foglio e lo lancia lontano, lungo le altre pratiche presenti sul tavolo.
Una vita gettata al vento. Un ricordo che se ne è andato.
Cedric abbandona la stanza lasciandomi questo peso sul petto, e posso solo sperare che sia servito ad alleggerire il suo animo.
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