62- Alleati o rivali?
P.O.V.
William
La fretta condanna uomini violenti a compiere azioni troppo impulsive, o donne troppo calcolatrici a cadere nella confusione di una disillusione.
Avevo promesso a Dalia che avrei trovato Attila, a tutti i costi, ed ecco che finalmente sono riuscito ad avvicinarmi al suo nascondiglio. Non posso saperlo con certezza eppure il mio sesto senso mi avverte che è qui, da qualche parte.
Grazie ai miei scagnozzi, un pedinamento ininterrotto e durato settimane mi ha aperto gli occhi sulla mia nuova strada da percorrere, capitolata poi dalla volontà di mio padre: sarei entrato nell'esercito.
Mio padre desidera già da tempo vedere suo figlio in una divisa, probabilmente della polizia civile per poter essere sicuro di avere un maggiore controllo del territorio, mentre Dalia vuole solo che smentisca ciò che ognuno di noi crede in merito a suo marito.
Due traguardi in uno, se solo non fosse che... Non trovo Attila da nessuna parte, ed essendo incapace di conoscere la completezza del suo nome non ho riscontri nelle voci che mi affiancano, chiamandosi esclusivamente per cognome.
Che cosa odiosa, specie per me vista la pesantezza che comporta il pronunciare "Lee" al termine della frase. Per questo motivo, con una semplice mossa strategica e una mazzetta di banconote riposte nelle mani della persona più giusta sono riuscito ad entrare a far parte dei militari con il cognome di mia madre, ed ora eccomi qui.
William Davies, soldato che si conforma al resto del suo plotone e che ama non essere troppo di spicco.
In fondo, devo attenermi alle regole e passare semplicemente per secondi canali. L'unico modo che ho per ottenere con la fatica, così come richiesto dalle aspettative di mio padre, il premio alla bravura per ciò che mi compete ed una rassicurazione della mia astuzia, non appena Dalia si renderà conto di aver riposto la sua fiducia sbadatamente.
Già, avrei dovuto essere indifferente, un personaggio del tutto invisibile eppure... quando i miei occhi si soffermano su di una figura che la mente rievoca come nota non riesco a continuare ad esserlo. Le orecchie captano le voci di due commilitoni che mi affiancano nel momento esatto che occorre per farmi decidere di compiere una mossa avventata.
Perché ne sono certo, conosco quello sguardo, e una curiosità morbosa mi spinge ad andargli contro.
Capelli molto corti, come quelli di tutti noi, passati sotto la lama di acuti rasoi, e neri. In qualche modo sembra diverso eppure è lo stesso uomo che aveva puntato la pistola alla schiena di Taigar, quella notte. Ne sono certo.
«A quale dormitorio sei stato affidato?» Domanda il primo dei due ragazzi del mio reggimento mentre l'altro allunga il collo per direzionare, in traiettoria, l'attenzione verso quel gruppo di persone che ha catturato il mio sguardo.
«Al loro, a quanto pare. Dormo vicino a quello moro.»
Il primo dei due, l'odioso e viscido Yulian con il quale ho già avuto modo di confrontarmi nei nostri addestramenti, sghignazza ridendo per poi intrecciarsi le braccia al petto, con quel suo modo saccente che sfoggia nel dar prova di se.
«Ma dai... con Francis Dowson? Niente di meno?»
«Lo conosci?»
«Tu perché non lo conosci? Non ricordi che il nostro capitano, nell'addestramento, già ce ne aveva parlato? È uno tosto, tutta la sua squadra lo è.»
Quindi si gioca nei primi ranghi, niente di meglio.
Sorrido ed avanzo, arrivando di fronte a questi due idioti con un mezzo sorriso. Li vedo rabbrividire ed è divertente, nonostante sia dovuto alla mia incapacità di sorreggere la maschera che mi sono posto addosso per molto.
Anche loro sono stati costretti a scorgervi attraverso, e non gli era piaciuto affatto il mostro che sono.
«Davies! Che cosa vuoi?»
«Che vi facciate da parte» dico, leggendo la loro confusione.
«Da parte? Ma che intendi?»
Per renderlo più chiaro sollevo il palmo della mano verso l'alto, in direzione di Patrick, il primo dei due.
Inutile. Questi due scimmioni sono più inutili di quanto potessi pensare... Sospiro.
«L'assegnazione del posto letto. Dammelo, Patrick.»
Esitante, fa quanto richiesto ed in un attimo lo alterno con il mio. Posto letto con numero e fila della colonna a castello. Ottenuto quanto richiesto, mi faccio più sereno.
«Adesso sparite» sibilo ed in un attimo si allontanano, lasciandomi ai miei affari.
Uno tosto, eh? Rifletto, avanzando nella sua direzione e ragionando sul fatto che in qualche modo ero già arrivato a pensarlo. Ricordo l'istante in cui aveva afferrato da terra l'arma come il suo cogliere completamente alla sprovvista lo zingaro. Si può dire non l'ultimo degli arrivati, quantomeno, vista la bravura di cui quell'essere squallido si poteva vantare nell'essere in grado di fare del male.
Questo mi riempie di curiosità. Mi spinge a chiedermi chi diavolo sia questo moro ragazzo rigido nella postura ma con uno sguardo perso nel vuoto, assorto, quasi triste, e se in qualche modo possa essere anche lui parte del mio mondo.
Figlio di un uomo di potere come il mio od un semplice assassino? Quali possono essere i suoi interessi?
Ad ogni modo, la sua maschera ha attirato la mia attenzione ed ha risvegliato la mia curiosità in questo posto pieno di noia.
Gli arrivo di fronte e tendo la mano, pronto a rivestire di nuovo il ruolo di una menzogna.
«Tu devi essere Francis» proclamo, ma non ricevo alcuna reazione. «Sono la recluta che occuperà il posto a fianco al tuo, in dormitorio.»
Tendo la mia mano verso la sua ed ecco che il suo volto si solleva. Si sofferma su quel mio segno di primo saluto per poi risalire lungo il mio vestiario finendo al mio volto e con piacere scopro che non mi conosce.
Nessun affare che i Lee, a quanto pare, ma comunque un uomo interessante.
Sorrido al pensiero, dedicandogli tutta la mia tranquillità nell'aver trovato forse un alleato, forse un avversario. Ad ogni modo una figura gradita dentro questo scenario.
«Felice di fare la tua conoscenza. Io mi chiamo William. William Davies.»
Ancora del silenzio ma poi la sua mano si solleva per incontrare la mia. Al contatto è fredda, quasi quanto i suoi occhi verdi quando si concentrano su di me. I nostri volti sono alla stessa altezza.
«Il mio nome già lo sai.»
«Ma non il tuo cognome» gli faccio notare, mentendo al solo fine di instaurare un contatto. Ritrae la mano.
«Dowson. Hai il foglio di collocazione?»
Parla in modo alquanto meccanico, confermandomi la sua tristezza che tanto somiglia alla mia noia, per poi leggere la documentazione che gli porgo.
Quando solleva lo sguardo nota, proprio come me, l'esercito che gli appartiene, sfoggiante una divisa verde chiara, accogliere i nuovi membri del mio, vestiti in un colore più scuro, fino dentro gli alloggi.
«Si tratta di una camerata da trentaquattro persone. Loro sono solo una parte, e la mia squadra» spiega dopo essere stato affiancato da altri quattro uomini. Tutti alquanto diversi tra loro, pare.
Il primo che noto è un tipo basso, a malapena un metro e settanta forse, che mi sorride, divertito probabilmente dalla novità, con una pelle marroncina, molto più che abbronzata, a manifestare le sue origine estere.
«Lui è Nasir Hossein. Poi c'è Vincent Moreau» continua le presentazioni Francis, mostrandomi il colosso che affianca il piccolo. Questi mi saluta con una mano sollevata, libera dall'intreccio di quei bicipiti troppo gonfi, con un "ehilà". «Russel Blanc» di seguito all'alto e muscoloso armadio che mi è di fronte, ecco un altro ragazzo dall'aspetto normale ma con una punta come di astuzia, nascosta nello sguardo. «E per ultimo Gareth Ortega.»
Conclude la sua presentazione dirigendo la mano nella direzione dell'ultimo nome, manifestandomi un soldato con le mani nelle tasche e la tracolla del fucile su una spalla.
Mi soffermo su quell'arma, ricordando all'istante quanto sia quasi impossibile per un soldato semplice avere il diritto, in questo posto, di sfoggiarne una.
Te la offrono per ricompensa ad un importante gesto, così come fanno per le medaglie, o come premio nei riguardi di qualcosa, e solitamente si tratta di bravura.
Opto per la seconda delle due, per quanto lo riguarda. Un cecchino ne sa riconoscere un altro, ed io temo di aver capito quanto quegli occhi azzurri, chiari come i miei ma posti al di sotto di una cute scura, possano essere in grado di mirare con una precisione priva di esitazione verso un obbiettivo.
Ha mai sparato ad un essere umano?
«Felice di conoscere tutti voi.»
«Avanti, tieni il passo, ti portiamo fino al dormitorio» mi esorta il terzo rappresentato, Russel se non ricordo male, ricevendo il mio consenso ed il mio ringraziamento. Borsa in spalla, seguo le loro mosse ed in un attimo mi accorgo che mentre il gruppo scorre Francis e Gareth rimangono indietro, fermi sul terreno sabbioso, a parlare.
Soffermo l'attenzione su di loro, facendo in modo che nessuno se ne accorga, notando una strana intesa.
Ancora non conosco Francis Dowson ma sarà mia premura vedere di farlo, in modo da capire che tipo di ruolo possa investire uno come lui. Se appartenga a quella schiera uomini corrotti, almeno quanto la mia famiglia, e se anche il rapporto con Gareth possa essere definito come quello tra semplice sottoposto e comandante, come avviene tra me e i miei uomini.
Non ne conosco la reale motivazione, oltre la curiosità di aver visto quell'estraneo inciampare nei miei affari, ma qualunque sia sono esortato a scoprirla. Prima d'ora il mio sesto senso non mi ha mai tradito, per cui spetterà solo al tempo il compito di dimostrarmi la sede vacante della verità.
P.O.V.
Francis
Uscendo dal commando di Attila non mi sarei aspettato quest'ora di pausa che i capitani sembrano garantirci, al margine della scena, con rassicurazioni continue. Anzi, avrei quasi sperato di essere destinato a sfiancanti esercizi, al solo fine di non pensare.
Recupero le sigarette dalla tasca sul pettorale destro della divisa, aprendo la confezione in alluminio piatta che ne contiene troppe poche.
«Stai fumando troppo» mi fa notare Gareth ed io sghignazzo, con la sigaretta incastrata tra le labbra, mentre mi chino verso la fiamma dell'accendino ed aspiro fumo di dolore.
Quando rialzo il capo, trovandomi di fronte il suo volto impassibile, ovale, trattengo e poi rilascio la nube di nicotina per poter parlare.
«Hai saputo della prologa di un anno?» Gli chiedo, con una finta dose di calma.
«Sì.»
«E ti sta bene?»
«Non possiamo fare molto altro, adesso.»
«Sì, è vero... non possiamo fare molto altro» commento, e senza volerlo la mia mano si attarda sul polso che trattiene la sigaretta.
Gioca con il braccialetto che vi è stretto intorno, nel ricordo di quando è stato Rais a donarmelo.
Gareth osserva la mossa senza dire una parola: capta il mio nervosismo e mi domando se non sia accorto anche dell'importanza che riservo per un simile accessorio.
«Lui non mi piace» gli sento dire, ed aggrotto la fronte.
«Chi? Il nuovo arrivato?»
«Ha notato subito che avevo un'arma.»
Sorrido, arrivando ad osservarlo con ironia. «Non si può dire che sia difficile da notare.»
«A te sta bene?»
«Non possiamo fare molto altro, adesso, no?» Lo rimbecco con le sue stesse parole, vedendolo cambiare peso da un piede ad un altro.
«No... ma non mi piace lo stesso.»
«Sono molte le cose che qua dentro non vanno» rifletto, vedendo nella mente Attila ed il modo patetico con il quale cercava di rassicurarmi. «Sarà solo un'altra delle tante. Ad ogni modo tra poco inizierà l'addestramento, avrai modo di valutarlo. È quello che succede sempre, no? Le persone, qui, si mettono alla prova e si giudicano tra loro. Si analizzano, parlano.»
Getto la sigaretta a terra, infastidito al ricordo di come il mio mentore mi abbia messo alla prova, in modo subdolo.
«È come essere dentro un maledetto mercato rionale.»
Con queste ultime parole, lascio il silenzioso soldato alle mie spalle, certo che la mia rabbia possa essere condita solo dall'atroce silenzio.
******
Esistono casualità contro le quali, alle volte, è piacevole scontrarsi ma niente è peggiore di vedere rovinato ogni tuo proposito mentalmente costruito.
Credevo che l'esercizio che saremo stati costretti a volgere, o la missione, in alternativa, che ci avrebbe visto impegnati tutto il pomeriggio, sarebbe stato in grado di annientare i miei pensieri come un razzo che plana, a tutta velocità, sulla terra ed a quanto pare mi ero sbagliato.
L'accelerazione alla quale puntavo era stata drasticamente rallentata da un'insolita dose di calma che in questo distretto non era mai stata contemplata.
Merito dei nuovi arrivati, forse?
Non ne posso essere certo, anche se è vero che il sergente che ci sta impartendo ordini non si era rivelato, prima d'ora, mai così comprensivo.
Per un attimo, rimpiango l'assenza di Attila.
Solo uno.
Dopodiché mi assale la rabbia per quanto ci è capitato.
Ieri notte avrei potuto vedermi con Rais. Baciare le sue labbra, contro il doloroso pensiero di tutto. Ero certo che sarebbe stato sbagliato ed ora, dopo le parole del mio mentore, lo sono ancora di più ma avrei voluto sapere l'attimo esatto in cui avrei incontrato la bocca dell'uomo che amo per l'ultima volta, prima della separazione di due anni.
Nemmeno un telefono con cui parlargli... avevo razionalizzato, ma in un simile momento mi assale solo la rabbia.
Alla faccia della prima impressione di calma che dono. Ho scoperto ormai da tempo che, se alimentato, quel fuoco dato dalla furia può corrodermi, tanto annidato come è nel mio sangue.
Devo trovare una valvola di sfogo. L'intelligenza lo è sempre stata, ma adesso mi trovo dinanzi un irrazionale corpo a corpo che il nostro istruttore ci ha assegnato come esercizio fisico.
«Chi vuole ritirarsi può farlo? Ma fa sul serio?» Domanda, dando voce ai miei pensieri, Russell per poi osservare stupito e inorridito il sergente.
«Stai pensando di farlo? Hai paura di scontrarti con me?» Chiede ridendo Vicent, picchiettandosi gli avambracci.
Avverto le loro voci a mala pena.
«Chi vorrebbe averci qualcosa a che fare con quei muscoli?»
«Francis?»
«Sceglierà il sergente le coppie» li informo, cercando di carpire il significato di questa messinscena e cogliendolo nello sguardo del nostro capo militare. «Questa è solo una prova per vedere se ci sono dei codardi. Il sergente sta testando le nuove matricole.»
Ed è chiaramente vero visto il modo con cui si sofferma sugli sguardi delle persone che si sono ritirate, spostandosi a sedere verso il fondo della sala.
I due schieramenti, nuove reclute e vecchi proprietari di questo posto, al momento non trovano distinzione delle loro divise perché l'abbigliamento sportivo ci accumula tutti alle sorti di questa grigia palestra. Non lo faranno nemmeno a seguito di queste prova, quando ci troveremo domani a sollevare la testa e le mani verso la nostra bandiera schierati su un'unica fila, integrati tra di noi sotto un unico colore.
Anche se non tutti alla pari con la comprensività del comandante.
«Moreau contro Scotland. Si preparino, a seguito, Martin e Castillio.»
«A quanto pare è mio, il primo turno» commenta Vincent sollevandosi in piedi, e ricevendo una pacca da Russell sulla spalla.
La sua avanzata, che si affianca al sorriso del generale, non è altro che un modo di intimorire i nuovi arrivati. Schierare in campo l'uomo grande e grosso solo per generare del panico.
Seguo lo scontro con distrazione, non avendo la concentrazione sufficiente per farlo e dando piuttosto per scontato il finale.
Quando tocca a Nasir, però, la mia preoccupazione sale e non è infondata. L'iraniano torna alquanto malconcio ma non si lamenta, lascia il posto a Russell su quello che sembra essere diventato un ring.
I piedi, privi di calzature, sulla gomma di questo palcoscenico di pugni enfatizzano lo scattante suono dei movimenti generati dai lottatori. Lasciano percepire lo spostamento d'aria e dei vestiti, il tono di respiri rotti al di sotto del suono di fischi... che si enfatizzando quando, al turno di Russell, dall'altra parte della sala si solleva una donna.
Coda alta e mora, fisico magro e sguardo piuttosto combattivo.
Seguo il loro combattimento avvincente notando quanto sia errore comune in Russell sottovalutare qualcosa, solo dal giudizio di un primo impatto.
Il mio amico lascia scoperta la sua guardia più di una volta e ciò permette a lei di colpirlo, ad i nostri avversari di generare esclamazioni di approvazione.
Al comandante, infine, spetta solo di proclamare la vittoria puramente al femminile.
«Ti sei fatto battere da una donna» gli commenta prontamente Vincent, non appena torna a sedere al nostro fianco pulendosi il labbro sanguinante con il dorso della mano.
«Donna un accidenti! Non sai come picchia!»
Sono costretto a tapparmi la bocca, disinvoltamente, con il pugno della mano chiusa per non far accorgere al mio amico di stare ridendo ma l'euforia passa quando noto Gareth sollevarsi in piedi e raggiungere un uomo alquanto massiccio sul ring.
Non sono solo i suoi muscoli, però, a spaventarmi quando il silenzio che è sceso nella sala, i volti pieni di aspettativa dei suoi compagni dall'altro lato, lo sguardo pieno di veleno che sembra far trasudare.
«Avanti, Yulian! Colpisci duro!» Esclama ad un tratto uno, dalla loro parte, ed è cosi che a seguito di quella voce ripartono i cori di supporto, totalmente accettati dall'esercito.
Perché fare cameratismo, ed essere uniti significa anche essere al riparo.
Peccato l'essere sempre da soli, testa a testa con il nemico, quando ci sta per accadere qualcosa di brutto, rifletto, rimanendo ad osservare Gareth preoccupato.
Lui, però, si mostra alquanto tranquillo. Disinvolto mentre passeggia a piedi scalzi attorno al grosso omone leggermente chinato verso terra, con le braccia distanziate dal busto quasi non riuscisse a chiuderle per tutto quel testosterone.
Deve aver visto qualcosa, il mio amico, che io ancora non sono stato in grado di notare. E non credo, nemmeno, che sia completamente rilassato.
Gareth è bravo a non far trasparire quello che prova e l'espressione seria che sfoggia è la più comune contro il suo viso.
Quando prendono a litigare l'approccio è brutale: l'avversario si scaraventa su di lui ed ha sufficiente resistenza da garantirsi un veloce tempo di recupero, nonostante la stazza.
Gareth lo sovrasta in altezza ed anche in velocità, è bravo a schivare, ma niente può andare contro la forza dell'altro.
Non appena un pugno lo raggiunge del sangue cola sul pavimento di gomma, esortando a darmi più coraggio mentre lo guardo.
Forse nemmeno lui sa come ci riesce, ma non appena si dimostra in grado di batterlo sgrana gli occhi, osservando l'avversario a terra con il respiro rotto, a significare che questi avversari non sono del tutto da sottovalutare.
«Dawson e Davies, adesso.»
Sollevo la testa al richiamo del sergente, vedendo dall'altra parte della sala William alzarsi in piedi mentre Gareth incede verso di me.
«Sei stato bravo» gli dico, osservando la mano che preme contro il costato.
«Quegli stronzi giocano sporco, non farti ingannare» mi dice, per poi riprendere il suo posto.
Mi sollevo in piedi e noto William già al centro della scena, con un mezzo sorriso in mia attesa.
Non appena arrivo sul tappetino, a piedi nudi, noto quanto il nostro capitano sia lontano da noi. Come, anche in questo caso, la sala si sia fatta lievemente silenziosa. Come su questo nuovo terreno sia quasi impossibile rimbalzare, vista la rigidità.
«Direi che è davvero un modo pessimo di iniziare una nuova conoscenza» mi dice il mio avversario, in quel tono cordiale ma pieno di beffa con il quale si è dall'inizio presentato.
Potrebbe avere ragione, o potrebbe essere il migliore. Quello che è certo è che desidero che finisca presto, in modo da tornare ai miei problemi.
Non ho niente da dimostrare a quell'essere saccente che, da un lato della sala, ci analizza come fossimo topi in gabbia, riportando sul suo taccuino delle riflessioni.
Evito di rispondere a William e mi metto in posizione, suscitando la sua momentanea sorpresa per questa mia mancanza di riflessione ulteriore.
Ciò che avviene dopo è il suo consenso a questo gioco e mentre ci ruotiamo intorno, mentre tento di carpire un suo punto di debolezza, mi accorgo di avere appena trovato la via per il mio sfogo.
Tendo il braccio di colpo e sfioro il suo zigomo, poco dopo che con uno scatto si è sottratto. Non si aspettava che facessi la prima mossa così in fretta e nemmeno io. Colpo avventato, ma che ci permette di dare un pizzico di maggiore interesse a questo gioco.
D'un tratto, facciamo sul serio.
Il silenzio nella sala è asfissiante ma potrebbe esserci perfino un rumore assordante, non avrebbe importanza: i suoni fanno da cornice dal momento che avverto solo il tachicardico ritmo del mio cuore arrabbiato.
Quando sferra il primo pugno sono preparato, riesco a schivarlo ed obbligato ad innestare un affondo lascia scoperto un fianco che colpisco forte, suscitando il suo sorriso mentre si piega leggermente in avanti, dandomi modo di retrocedere.
Solleva le sopracciglia con un espressione che sembra dirmi di essere stato piacevolmente colpito dalla mia iniziativa e non mi interessa.
L'arroganza mi acceca quando credo di poter sferzare un nuovo colpo: intravedo il suo corpo poco prima dell'impatto ma non sono in grado di schivarlo, colpendomi come fa sotto il mento e donandomi un feroce contraccolpo.
Lo scopo è farmi cadere a terra e lo evito, riesco ad arrivargli alle spalle e afferrarlo sotto le ascelle con le braccia, al fine di intrappolare le sue ma in un attimo scivola via.
Osservo, confuso e orripilato, il vuoto che ha lasciato in meno di un attimo, riflettendo sulla mossa che ha compiuto. Una semplice torsione con il busto abbinata al colpo della punta di piede contro il mio stinco, per farmi perdere il peso scaricato in equilibrio.
Una mossa... completamente South Side.
Scivola via e parte alla carica in meno di un attimo. Lo afferro al bavero della maglietta, proprio come lui mi ha afferrato dal mio e quello che ne consegue è un responso di mosse troppo simili.
La rabbia scivola via da me e la concentrazione vi prende il posto, notando suo malgrado quanto William non si lasci intimidire ed usi contro di me azioni che sarei stato il primo a generare.
Finiamo a terra con una parità che ci lascia il respiro rotto.
«Questo è intressante» lo sento dire, vicino al mio viso e vittima di una mia stretta, ricambiata della sua con altrettanta forza, e non posso che dargli ragione.
Il nostro capitano annuncia parità e ci esorta a sollevarci, congedandosi come si conviene ed una volta sollevato in piedi, tornato dinanzi il suo sguardo, mi domando che cosa ha appena avuto vita e che uomo possa essere quello che mi trovo davanti.
Un alleato, o un rivale?
William mi sorride semplicemente, con gli occhi che brillano nella penombra, senza offrirmene risposta.
Bạn đang đọc truyện trên: Truyen247.Pro