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60- Dolorosi addii

P.O.V.
Rais

La confusione generata dal mercato cittadino rievoca alla mente dolci ricordi di un tempo in cui tutto questo non era altro che un'illusione, ed io un uomo completamente diverso.
Cinico, sprezzante, troppo orgoglioso di sé e che aveva ceduto solo allo scompenso della resa trovandosi di fronte una figura, alla ricerca di vendetta, in grado di tenergli testa.

Quella persona era Francis ed io un relitto che, però, si era completamente affidato a lui promettendogli la resa ma mai avrei pensato di arrivare fino a questo punto.

Credevo di essere già cresciuto, nei miei anni di orfanotrofio e di gavetta per le strade, eppure mi sono trovato a mutare ancora la mia pelle, il che è sfibrante. Maturare lo è sempre, perché ti spinge ad avere consapevolezza di dover affrontare prove sempre più difficili, che richiedono la tua scesa in campo.

Ed è solo per tenere conto del nostro passato, scivolato via dalle dita troppo in fretta, che mi ritrovo nuovamente dentro questa stanza con il doppio affaccio finestrato delle pareti.
Proprio qui ci siamo parlati per la prima volta e ricordo ancora il momento in cui lo avevo visto entrare, mani nelle tasche, vestendo un carattere sprezzante sotto il nero cappotto per poi domandarmi di quei grammi di ecstasy, giudicando la mia reazione.
Sorrido al solo rammentare come mi abbia fatto ridere la sua sicurezza, una volta appreso che non si trattava di un uomo dei Lee ma semplicemente del mio destino.

Già... era entrato con passo lento fissandosi intorno, mentre giù per strada c'era questo stesso mercato, e la scena si ripete non appena avverto i suoi passi sopraggiungere.
Spio di sottecchi la sua figura, riflettendo sull'essere, in fondo, cambiati entrambi.
Non ha più quel dolore nello sguardo, nonostante in questi giorni la stanchezza abbia imparato in che modo colorargli la bordatura negli occhi.
C'eravamo dati appuntamento a casa mia per dormire a fianco la sera ma non si era presentato per due giorni, rimanendo intrappolato alla centrale. La cosa divertente, però, è la sua capacità costante di riuscire a trovarmi ovunque io sia.

«Ciao. Va tutto bene?» Chiede con esitazione, venendomi incontro con calma.

«Dovrei chiederlo io a te» commento mentre lo vedo arrestarsi, ancora una volta mani nelle tasche, affianco a me per potermi guardare.

«È tutto finito, Rais.»

Prendo un profondo respiro, certo che questo momento sarebbe arrivato, rimanendo a guardare oltre le finestre di questo posto nella ricerca di consolazione dalle vite che stanno continuando a passeggiare fuori da qui.

«Che cosa è successo?»

«Abbiamo convinto Taigar a parlare, ha confermato l'omicidio di Fernando Garcia e non è stato affatto facile. Carlail è riuscito a condurre da solo l'interrogatorio per tutto il tempo, allontanando le altre persone della centrale e lasciando solo me dietro il vetro della stanza ad ascoltare. Sono rimasto partecipe di tutto e così ho sentito anche la sua negazione in merito agli incendi.»

«Chi era stato, allora?»

Espira e con la coda degli occhi lo vedo fissare, proprio come me, oltre questa finestra andando a caccia dei pensieri.

«Hasim Usman.»

«Usman? Il fratello di Gyasi?» Domando, volgendosi verso di lui e ricordando quelle ricerche svolte in merito al suo ex, quando indagavo sulla sua morte. Francis annuisce.

«Anche lui ha confessato. Era stato ingaggiato da William Lee e si è reso disponibile a collaborare. Come te, sarà iscritto dentro una protezione testimoni almeno fino a che la polizia non sarà certa che i Lee abbiano smesso di cercarlo.»

«Daranno la caccia a entrambi, non appena si accorgeranno della sparizione di Taigar. Perché è in carcere, ora, no?»

«Sì, in carcere... quello che è certo è che non permetterò a nessuno di quella famiglia di farti del male. Mi sono accordato con Carlail.»

«E c'è altro?»

Sorride, liberando le mani dalle tasche e passandone una delle due tra i riccioli neri, completamente stravolti.
Dinanzi alla mia voglia di sapere, torna a farsi serio andando a caccia delle parole.

«In verità ci sarebbe fin troppo in più, sono successe un sacco di cose. La nonna di Cedric è morta ed ora sono giorni che lui si trova a far i conti con il suo testamento. Oltre a quello, il notaio gli ha lasciato anche una lettera, scritta di totale pugno da Zelda.»

«Sapeva di dover morire» constato, e Francis annuisce, per la seconda volta.
Il movimento leggero della sua testa evidenza la sua stanchezza.

«Probabilmente, proprio come lo sapeva suo marito ed è per questo che forse ha tentato di stemperare il lutto di Cedric con qualche consolazione. Non possiamo saperlo.»

«Una lettera di addio non è mai consolatoria.»

«Chiunque sia a conoscenza del rischio che corre, e di essere arrivato alla fine, si assicura che le persone a cui tiene non ne vengano ferite. Fernando Garcia aveva impedito a sua moglie di seguirlo, la notte del suo assassinio. Zelda ha lasciato una lettera a Cedric con delle istruzioni.»

«Non tutti lo fanno, la maggior parte delle persone vivrebbe solo con terrore la consapevolezza della propria morte» faccio notare con braccia conserte, sfidandolo ad affermare il contrario ma non ci prova nemmeno. Sorride, invece.

«Allora, solo le persone piene di coraggio.»

Già... e di amore verso il prossimo, penso amaramente, riflettendo su quanto possa essere doloroso scrivere una lettera o lasciar dette specifiche parole. Difficili da scrivere, da dire, e difficili all'altro da dover ascoltare dal momento che, forse, resteranno pronte a ripetersi nella mente per tutta una vita.

«Ad ogni modo non è la sola cosa strana» prosegue nel dire, mostrandomi come l'intenzione di attardare il vero argomento della nostra conversazione il più possibile. «Ho scoperto che Lèa sta tentando di perdonare Hasim per l'incendio nel quale è rimasta ferita, il che le fa onore. Una donna come lei... credevo che solo la vendetta potesse smuoverla, ma la vicinanza di Ercole sembra farle bene, capace come di darle più coraggio e farla crescere, spingendola, per giunta, verso l'ipotesi di un perdono. Halima, invece, è sotto la custodia di Issa fin tanto che suo fratello rimarrà con la polizia. Solo Amy sembra essere rimasta all'oscuro di tutto, Issa e Ercole l'hanno accompagnata a casa di ritorno dalla festa e in questi giorni è tornata a scuola a studiare, per fortuna.»

Persino io non voglio giungere al termine di questa distrazione, per cui la incoraggio a procedere.
Che il tema delle nostre paure possa attardarsi il più possibile dal sopraggiungere.

«E la tua famiglia?»

«Mio padre è tornato a casa. Mia madre e mio fratello stanno bene.»

Tempo scaduto.
Inghiotto l'amaro, dovendo porgere la successiva domanda.

«E noi?»

Francis tace, rimane a fissarmi nel tentativo di cercare le giuste parole da calibrare. Quando le scopre, nonostante la bontà, appaiono spietate al mio ascolto.

«La scuola di polizia inizierà il suo turno accademico dopo domani. Mi resta solo di comunicare la scelta alla mia famiglia, preparare le mie cose... e andarmene.»

«Capisco.»

«Si tratta di una cosa che posso rimandare fino all'ultimo, però. La loro opinione non cambierà niente. Per cui posso restare, fino a che mi vorrai.»

Taccio, fissando in basso, adesso, reso vittima dell'invisibile pesantezza delle sue parole.

«Per fare cosa?»

«Tutto ciò di cui hai voglia, abbiamo tempo.»

No, non ne abbiamo abbastanza.
Quando sono con lui sento come se stessimo marciando ad un ritmo folle. Tanto veloce che, se solo ci guardassimo indietro, sconvolti ci accorgeremo di tutta la strada già percorsa e non basta. Scivola presto via. I ricordi rimangono intrappolati nel tempo che può essere dedicato a un sogno e non è sufficiente. Non vorresti mai svegliarti. Mai perdere altro tempo.

Se ne andrà via per un anno... che sommato alle settimane trascorse ad odiarmi offrono il risultato di un enorme spreco di tempo.
Desidero non buttare via più un solo minuto, per quanto mi piacerebbe montare con lui sulla mia moto e partire, allontanarsi, vivere dentro il respiro di un'aria diversa... ma no, non quest'oggi.

«Sei-» parto con il dire, ma la voce si blocca. La gola è secca e la tensione, mescolata alla tristezza, avvertibile nel mio tono rende i suoi occhi più tristi. Tento di scacciare quell'oppressione con una piccola tosse, ristabilendo in me l'apatia di cui ha bisogno. «Sei d'accordo sul rimanere qui, insieme? Semplicemente qui, seduti.»

Andare e tornare con la mia moto sarebbe un'esperienza indimenticabile per noi, specie cadendo in coincidenza a un simile momento in cui maciniamo dentro chicchi piccanti di dolore, ma brucerebbe le ore, renderebbe impossibile parlare, ed ora come ora sento di aver bisogno della sua vicinanza più che mai.
Osservandolo posso dire di lui lo stesso, e la percezione viene confermata dalle sue parole che mi raggiungono poco dopo.

«Sì, direi che si può fare.»

Mani nelle tasche, mi da le spalle per poter scegliere il nostro nascondiglio di questa giornata.

Ci sono molte cose sui cui Francis mente, nonostante il suo integerrimo bisogno e amore per la verità, ma si tratta solo dei piccoli gesti che potrebbero ferire un'altra persona, proprio come adesso.
La mano celata dalla stoffa mostra una falsa ipotesi di tranquillità ma il suo animo supplica una carezza.

Supplica che quel pugno, che posso immaginare esservisi strinto all'interno trainando a sé quelle pieghe di lana, possa essere disciolto in una stretta più docile, in grado di trasformarlo in amore.
Trascino gli occhi più lontano, verso il lato opposto della sala, non avendo ancora il coraggio per chiedergli, e permettergli, di farlo.

P.O.V.
Francis

Niente è più morbido della pelle della persona che ami. Niente è più liscio, né più delicato. E mentre l'accarezzi, mentre senti sulla punta delle tue dita quella sensazione di benessere, ti accorgi di starti perdendo del tutto nella profondità di un colore oscuro, bello ma sconosciuto, in grado di darti la vertigine.

Questo è ciò che provo mentre lo sfioro, la confusione di un capogiro continuo e la concentrazione data solo dall'attenzione di voler carpire quanti più dettagli possibile.
Se non lo tocco abbastanza mi dimenticherò della drastica scavatura del suo viso, all'altezza degli zigomi, o della perfezione del suo profilo. Se non lo guardo abbastanza dimenticherò la locazione dei suoi nei. Se non lo bacio... sono del tutto finito.

Cerco di non comunicargli la mia angoscia, regalandogli solo quella metà di benessere che mi alberga dentro, mentre continuo a sfiorargli la testa che riposa contro il mio petto.

«Hai mai pensato di farti crescere i capelli?» Gli domando con curiosità, godendo della morbidezza di quelle piccole punte presenti, riuscite ad allungarsi di alcuni centimetri.

«Perché me lo domandi?»

Ha la voce stanca, vittima di una leggera sonnolenza stabilità dalle mie lente movenze.
Dall'alto osservo la bocca dischiusa che le ha pronunciate, non attardando la mano.

«Secondo me staresti molto bene» affermo e lo immagino.

Per un attimo solo rimpiango l'assenza del fattore dominante, sulla sua figura, che mi aveva fatto innamorare di lui; la manifestazione della sua fragilità dalla testa rasata, l'esposizione delle ossa del suo collo, la morbidezza di lui avvertibile al tocco... ma presto la percezione viene sostituita dall'immagine della novità.
Il suo volto contornato dai capelli più lunghi. Mi domando si che sfumatura li renda vittime il sole, se rossa o bionda.
Sono particolarmente combattuto ma il desiderio di volerlo scoprire rimane, tanto da riuscire ad albergare persino nei suoi pensieri.

«Quanto lunghi?»

Mi stringo nelle spalle, nonostante non possa vedermi, allontanando gli occhi dalla sua bocca per poter direzionare lo sguardo in avanti, figurandomelo a pochi passi.

«Forse poco più lunghi dell'orecchio, ma non ne sono certo.»

«Non li ho mai portati più lunghi.»

Sorrido. «Ci sono un sacco di cose nuove che hai fatto quest'anno, no?»

«Finiscila» mi rimprovera, prima ancora che io possa dire quali siano state.
Prendo un respiro profondo e lo avvicino ancora di più al mio petto, posandogli una mano sugli addominali per trattenerlo e noto, con piacere, che al mio tocco non si mostra spaventato o sorpreso. Si sta abituando a me, e forse desidera al mio stesso modo che questo eterno contatto non finisca.

«Sai che cosa?» Mi chiede a un tratto, riportandomi a sé.

«Che cosa?»

«A te li taglieranno. Tutti quei riccioli neri. Avrai i capelli uguali a tutti gli altri nell'esercito.»

Lo dice con una sorta di cattiveria divertita, il che mi fa sorridere perché è vero e non ci avevo pensato. Inoltre, questo argomento leggero tramortisce molti demoni, allontanando il dolore.

Con la schiena contro uno dei quattro pilastri presenti ho Rais steso su di me e insieme fissiamo avanti, oltre la finestra dietro cui cala la notte, proiettati verso il futuro.

«Ti piacerò lo stesso?» Lo provoco.

«Chi ha detto che tu mi piaccia?»

«Non giocare con il fuoco...»

«Tornerai con la divisa dell'esercito?»

«Ma senti a cosa pensa...»

«Uno se lo domanda.»

«Non preoccuparti, è possibile. Si diventa poliziotti solo una volta usciti da lì.»

«Allora avrai qualche speranza in più.»

«Ne sono felice. »

Spero proprio di continuare a piacergli. Mente e cuore.
Dicono che l'esercito ti cambi, che stabilisca in te una disciplina in grado di farti sottostare agli ordini dei quali, solitamente, non sono un particolare amante ma c'è di più. C'è il rischio di diventare annoiati soldati.
Svolgere un compito con abitudine senza eseguirlo con fierezza.

Se quella divisa mi toglierà l'anima... Rais saprà come rimediare?

Infastidito da questi pensieri, scorro ancora una volta la schiena lungo il pilastro, alla ricerca di una posa più comoda.

Dovrò anche abituarmi alle armi, non c'è niente di peggio.

Per un cittadino del South Side non sono insolite da maneggiare e ottenere. Le persone credono che la criminalità possa essere solo qualcosa di estraneo, un fattore cinematografico, l'espediente scenico della pellicola di un film.
Sfortunatamente per noi, però, siamo cresciuti con essa, in bilico costante tra la scelta di una buona azione o la perdizione di una cattiva.

Siamo sempre stati messi alla prova, e ho visto molta gente sbagliare. Rimanere attratta dal pesante ferro che quella canna attardava sul palmo della tua mano.
Questione di scelte: riporre la pistola o irrigidire il braccio, puntare più in alto.

Preso dalla follia della fame, del dolore, dell'indifferenza il mio popolo ha urlato con quelle armi in mano, ha chiesto di essere ascoltato, si è fatto giustizia da solo, ha sbagliato. È morto. E mai rinato.

Ed ora tocca a me, andare incontro a quella tentazione.
Perché c'è un motivo per il quale le persone del South Side non si proclamano parte integrante del corpo di polizia, un motivo per cui quelle divise alla centrale ospitano corpi di persone istruite e colte cresciute fuori dal nostro confine abitativo: il nostro sangue è sporco e reagisce al ferro di quell'arma in un modo folle.

Macchia tutto ciò che c'è di buono e lo porta a distruggere.

Convivo con il presentimento di covare un aspetto tutt'altro genuino, in me, da che sono nato. La mia bontà, la mia furbizia di cui tanto sono elogiato dagli altri... temo che possa essere solo parte di ciò che sono, che dentro di me si agiti un animo ben meno magnanimo e pieno di rabbia.
Quell'orrore furibondo e funesto che mi aveva spinto a cercare Rais, in preda al dolore.

Forse lo ha impiantato in me il South Side.
Forse è quel mostro che mi indebolisce le ossa e mi rende cagionevole, spezzato, quasi a metà. Non posso saperlo.

Ciò a cui devo pensare è che al momento in cui prenderò quell'arma lo farò per un motivo: perché voglio combattere, in un modo giusto, tutto ciò che la sofferenza non ci ha spinto ad ottenere.

Quei ragazzi morti in sparatorie per strada. Quei giovani, quei vecchi, quei senza tetto al margine delle strade, il popolo della via vecchia... tutti loro sono occhi in lacrime che tentano di avere un riscatto e desidero essere io a darglielo.

Per questo motivo quella divisa, quella pistola, peseranno più di una veste di cemento.
Solo il pensare che Rais possa amarla, che riesca a vedervi me attraverso, la rende più leggera.

«Questo posto è davvero scomodo»commento, bofonchiando appena, ed avverto come la sua attenzione farsi repentina.

«Vuoi andare altrove?»

Crede che non abbia compreso il motivo della sua scelta? 
Non abbiamo tempo da perdere perché ogni minuto sta diventando prezioso, per questo motivo non possediamo altro posto dove andare che non sia qui, il luogo stabilito da questo solo istante che ci vede in trappola.

«No» affermo sorridendo e sperando che in questo modo possa rilassarsi. Aspetta il continuo della mia frase per farlo. «Dico solo che non sarebbe male ipotizzare di avere un letto, in futuro. Davvero, è proprio scomodo.»

«Vuoi un letto?»

«Mh.»

«Solo perché sei scomodo?»

«Tu vuoi fare altro?»

«No... mormora piano, annullando il mio tentativo di soluzione ma regalandomi qualcosa di ancora più sincero. ... «voglio continuare a parlare.»

«Di che cosa?»Avanzo richiesta con dolcezza, scorrendo la mano leggera sulla sua pancia per non far cessare la nostra frizione.
Si stringe nelle spalle.

«Come farai con il diploma?»

«Potrò proseguire i miei corsi in accademia, e conseguire l'esame.»

Dovrò avvertire la scuola, ed Amy, della novità dei miei studi.
Molte cose vengono mobilitate da una semplice decisione, alternando differenti animi.

«Tu, invece? Che cosa farai?»Chiedo ad un tratto, estremamente curioso.

«In che senso? Sarò controllato dalla polizia, no?»Immagino che me ne starò in una casa proprio come è successo mentre stavamo insieme.

Mh, non innamorarti della tua guardia carceraria, ti prego.

«E rimarrai un anno senza fare assolutamente niente?» Lo beffeggio quasi ridendo, ma poi mi decido a conoscerlo meglio. «Che cosa ti sarebbe piaciuto diventare, quando eri bambino?»

Rais rimane in silenzio, lasciando le dita giocare appena con la zip bassa della felpa.

«Non ci ho mai pensato. Non ho mai avuto altri sogni se non quello di uscire da quell'orfanotrofio.»

«Era difficile, vivere lì?»Domando con esitazione, temendo un argomento di cui insieme non abbiamo mai parlato.
La maggior parte delle volte si intristisce, proprio come adesso, e solitamente viene spinto dai pensieri a perdersi nel silenzio. Mi auguro di non perderlo e per fortuna la coscienza lo esorta a non allontanarsi troppo.

«Certi giorni più di altri, ma si non era mai facile. Nonostante la presenza di Oliver, credo di aver sempre patito per la mancanza di affetto o di amore.
Probabilmente per questo motivo non ho sviluppato sogni: tendo a voler lottare solo per le cose che amo.»

Resto in silenzio, pensando che adesso un letto lo vorrei sul serio. Non per destreggiarmi con lui in lotte fisiche e mentali di estenuanti provocazioni ma per dimostrargli che, per lo meno, adesso ha una persona che lo ama. Purtroppo per lei, perdutamente.

Forse si imbarazzerebbe a scoprirlo. Forse ne trarrebbe un benessere estremo.
Forse la parola "forse" rappresenta tutta l'incertezza del nostro futuro, posto come è verso l'ignoto in questa giornata.

Lo stringo a me a sufficienza da fargli posare la testa all'indietro, sulla mia spalla. Più in su di quanto fosse prima e in questo modo vicino alla mia bocca.

Mi volto quanto basta per osservarlo e poi poso le mie labbra sulle sue, nella richiesta di un morbido bacio a stampo.

Lo ottengo e mi attardo su di esso, vivendo nella morbidezza di una bontà che raramente si manifesta tra noi. Solo isolati, circondati dal silenzio, con i cuori scoperti.

La sua mano, posata contro la mia guancia, tenta di trattenermi dentro il nostro contatto finché le nostre labbra non si allontanano e quei polpastrelli scivolano in giù, lungo la mia pelle, come i suoi occhi.

In ogni coppia esistono dei fattori in grado di generale equilibrio, armonia, e in certi momenti avverto come se lo possedessimo più che mai.
Rais si è aggrappato alla vita, amandomi.
Io ho curato il mio dolore e l'ho tramutato in qualcosa di perfetto, mai provato.

Finché sarà al mio fianco saprò di non essermi perso.
Rais è la luce gialla delle lanterne nella notte, attorno al mio lago. La consapevolezza della terra ferma, di un arrivo. Ma sarà anche il volto che si sovrapporrà tra me e il mirino al quale punterà la mia arma. Sarà quell'espressione, davanti ai miei occhi, che mi ricorderà di stare lottando per una causa.

Per la mia casa. Per la libertà.

Ancora non è pronto a sentirsi dire simili parole ma io gliele sussurro nell'impronta di un lieve stampo sulla sua tempia, glielo comunico senza parole. Gli trasmetto il mio amore ed in esso lo ringrazio.

Un uomo come me non poteva chiedere nient'altro che una certezza in grado di indirizzarlo verso il giusto cammino, perché ho desiderato percorrerlo per così tanto tempo. Ho lottato per sceglierlo e Rais ne è la prova.

Non riusciremo a rimanere distanti, nonostante troppo presto il peso del suo corpo non graverà più sul mio e la sua testa non si poserà più sulla mia spalla.

P.O.V.
Hasim

Il suo abito bianco si è sporcato di terra. La sua faccia è stata trafitta dal terrore, correndomi incontro.
Non rivedo che quella scena, in un loop infinito.

La voce, per tutto il giorno, è uscita dalle mie labbra come un'automa in grado di articolare solo la follia del mio strano passato e la complicanza delle mie scelte ma la mente... quella tornava sempre a lei, al modo in cui mi aveva salvato e finalmente dopo una giornata intera la rivedo.

Lèa mi è di fronte, truccata da un pesante strato di rabbia. Qualcuno deve averle fatto sapere della mia confessione al commissariato e del semplice modo in cui le frasi siano state trainate, l'una dall'altra, come una catena infinita che non aveva lasciato intervenire nessuno degli agenti per poter lasciare spazio a lei.

Già, deve essere infuriata per la semplicità della mia confessione, per la possibilità mancata di effettuare questo gesto prima ma non avevo ancora incontrato lei. Non mi aveva ancora parlato come mi aveva fatto nella sua casa rivelandomi la pesantezza del cuore che si portava in petto, trafitto e ferito, cosciente di ciò che gli avevo fatto.

«Perché sei corsa di fronte a me, quando Taigar ha provato a uccidermi?»

Le porgo la domanda che ha continuato a tormentarmi ogni minuto fino al tramonto del sole che mi aveva visto giungere fin qui, strisciando come un tarlo nelle membra del mio cervello.

So cosa quello zingaro sia in grado di fare con il suo serramanico e confesso di aver visto la morte in faccia, al cospetto della luna piena di quella notte.
Lei, però, non era stata dello stesso avviso e incurante si era posta di fronte a me, come uno scudo.

È fatta di acciaio, modellata dal fuoco che ho appiccato io stesso.

Il suo mento si solleva verso l'alto per confermarmelo, mentre la sua mano tiene stretta la maniglia della porta di questo soggiorno che è tornato ad ospitarmi fin tanto che la polizia non tornerà ad occuparsi di me.

«Tutti meritano una seconda chance. Persino chi è stato in grado di generare tanto dolore. Soprattutto lui.»

Non riesco a fare altro: inevitabilmente sorrido, appena, in maniera accennata ma il cuore mi batte veloce dinanzi alla sua imprudenza.

Di fronte all'inizio di una nuova vita.

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